Bible illustrée_Images Eric de Saussure_Textes de la bible de Jérusalem-Les pressesde Taizé-Seuil 1968

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6 GENNAIO: EPIFANIA DEL SIGNORE (s)
UFFICIO DELLE LETTURE
Prima Lettura
Dal libro del profeta Isaia 60, 1-22
Il Signore manifesta la sua gloria sopra Gerusalemme
Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce,
la gloria del Signore brilla sopra di te.
Poiché, ecco, le tenebre ricoprono la terra,
nebbia fitta avvolge le nazioni;
ma su di te risplende il Signore,
la sua gloria appare su di te.
Cammineranno i popoli alla tua luce,
i re allo splendore del tuo sorgere.
Alza gli occhi intorno e guarda:
tutti costoro si sono radunati, vengono a te.
I tuoi figli vengono da lontano,
le tue figlie sono portate in braccio.
A quella vista sarai raggiante,
palpiterà e si dilaterà il tuo cuore,
perché le ricchezze del mare si riverseranno su di te,
verranno a te i beni dei popoli.
Uno stuolo di cammelli ti invaderà,
dromedari di Madian e di Efa,
tutti verranno da Saba,
portando oro e incenso
e proclamando le glorie del Signore.
Tutti i greggi di Kedar si raduneranno da te,
i montoni dei Nabatei saranno a tuo servizio,
saliranno come offerta gradita sul mio altare;
renderò splendido il tempio della mia gloria.
Chi sono quelle che volano come nubi
e come colombe verso le loro colombaie?
Sono navi che si radunano per me,
le navi di Tarsis in prima fila,
per portare i tuoi figli da lontano,
con argento e oro,
per il nome del Signore tuo Dio,
per il Santo di Israele che ti onora.
Stranieri ricostruiranno le tue mura,
i loro re saranno al tuo servizio,
perché nella mia ira ti ho colpito,
ma nella mia benevolenza ho avuto pietà di te.
Le tue porte saranno sempre aperte,
non si chiuderanno né di giorno né di notte,
per lasciar introdurre da te le ricchezze dei popoli
e i loro re che faranno da guida.
Perché il popolo e il regno
che non vorranno servirti periranno
e le nazioni saranno tutte sterminate.
La gloria del Libano verrà a te,
cipressi, olmi e abeti insieme,
per abbellire il luogo del mio santuario,
per glorificare il luogo dove poggio i miei piedi.
Verranno a te in atteggiamento umile
i figli dei tuoi oppressori;
ti si getteranno proni alle piante dei piedi
quanti ti disprezzavano.
Ti chiameranno Città del Signore,
Sion del Santo di Israele.
Dopo essere stata derelitta,
odiata, senza che alcuno passasse da te,
io farò di te l’orgoglio dei secoli,
la gioia di tutte le generazioni.
Tu succhierai il latte dei popoli,
succhierai le ricchezze dei re.
Saprai che io sono il Signore tuo salvatore
e tuo redentore, io il Forte di Giacobbe.
Farò venire oro anziché bronzo,
farò venire argento anziché ferro,
bronzo anziché legno,
ferro anziché pietre.
Costituirò tuo sovrano la pace,
tuo governatore la giustizia.
Non si sentirà più parlare di prepotenza nel tuo paese,
di devastazione e di distruzione entro i tuoi confini.
Tu chiamerai salvezza le tue mura
e gloria le tue porte.
Il sole non sarà più
la tua luce di giorno,
né ti illuminerà più
il chiarore della luna.
Ma il Signore sarà per te luce eterna,
il tuo Dio sarà il tuo splendore.
Il tuo sole non tramonterà più
né la tua luna si dileguerà,
perché il Signore sarà per te luce eterna;
saranno finiti i giorni del tuo lutto.
Il tuo popolo sarà tutto di giusti,
per sempre avranno in possesso la terra,
germogli delle piantagioni del Signore,
lavoro delle sue mani per mostrare la sua gloria.
Il piccolo diventerà un migliaio,
il minimo un immenso popolo;
io sono il Signore:
a suo tempo, farò ciò speditamente.
Responsorio Is 60, 1. 3
R. Alzati, vestiti di luce, Gerusalemme, perché viene colui che t’illumina: * sopra di te brilla la gloria del Signore.
V. Alla tua luce cammineranno i popoli, i re allo splendore che ti irradia:
R. sopra di te brilla la gloria del Signore.
Seconda Lettura
Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa
(Disc. 3 per l’Epifania, 1-3. 5; Pl 54, 240-244)
Il Signore ha manifestato in tutto il mondo la sua salvezza
La Provvidenza misericordiosa, avendo deciso di soccorrere negli ultimi tempi il mondo che andava in rovina, stabilì che la salvezza di tutti i popoli si compisse nel Cristo.
Un tempo era stata promessa ad Abramo una innumerevole discendenza che sarebbe stata generata non secondo la carne, ma nella fecondità della fede: essa era stata paragonata alla moltitudine delle stelle perché il padre di tutte le genti si attendesse non una stirpe terrena, ma celeste.
Entri, entri dunque nella famiglia dei patriarchi la grande massa delle genti, e i figli della promessa ricevano la benedizione come stirpe di Abramo, mentre a questa rinunziano i figli del suo sangue. Tutti i popoli, rappresentati dai tre magi, adorino il Creatore dell’universo, e Dio sia conosciuto non nella Giudea soltanto, ma in tutta la terra, perché ovunque «in Israele sia grande il suo nome» (cfr. Sal 75, 2).
Figli carissimi, ammaestrati da questi misteri della grazia divina, celebriamo nella gioia dello spirito il giorno della nostra nascita e l’inizio della chiamata alla fede di tutte le genti. Ringraziamo Dio misericordioso che, come afferma l’Apostolo, «ci ha messo in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. E’ lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del suo Figlio diletto» (Col 1, 12-13). L’aveva annunziato Isaia: «Il popolo dei Gentili, che sedeva nelle tenebre, vide una grande luce e su quanti abitavano nella terra tenebrosa una luce rifulse» (cfr. Is 9, 1). Di essi ancora Isaia dice al Signore: «Popoli che non ti conoscono ti invocheranno, e popoli che ti ignorano accorreranno a te» (cfr. Is 55, 5).
«Abramo vide questo giorno e gioì» (cfr. Gv 8, 56). Gioì quando conobbe che i figli della sua fede sarebbero stati benedetti nella sua discendenza, cioè nel Cristo, e quando intravide che per la sua fede sarebbe diventato padre di tutti i popoli. Diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto il Signore aveva promesso lo avrebbe attuato (Rm 4, 20-21). Questo giorno cantava nei salmi David dicendo: «Tutti i popoli che hai creato verranno e si prostreranno davanti a te, o Signore, per dare gloria al tuo nome» (Sal 85, 9); e ancora: «Il Signore ha manifestato la sua salvezza, agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia» (Sal 97, 2).
Tutto questo, lo sappiamo, si è realizzato quando i tre magi, chiamati dai loro lontani paesi, furono condotti da una stella a conoscere e adorare il Re del cielo e della terra. Questa stella ci esorta particolarmente a imitare il servizio che essa prestò, nel senso che dobbiamo seguire, con tutte le nostre forze, la grazia che invita tutti al Cristo. In questo impegno, miei cari, dovete tutti aiutarvi l’un l’altro. Risplendete così come figli della luce nel regno di Dio, dove conducono la retta fede e le buone opere. Per il nostro Signore Gesù Cristo che con Dio Padre e con lo Spirito Santo vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.
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SUL SALMO 71 – ESPOSIZIONE DI SANT’AGOSTINO
Cristo nostra pace.
1. [v 1.] Il titolo di questo salmo reca: A Salomone; ma le cose in esso cantate non possono adattarsi a quel Salomone re di Israele secondo la carne, se almeno vogliamo stare a quanto di lui dice la santa Scrittura. Si adattano invece meravigliosamente a Cristo Signore. Si comprende pertanto che anche il nome di Salomone è usato in senso figurativo, in modo che vi si intenda il Cristo. Salomone significa infatti ” pacifico “; e tale vocabolo si adatta perfettamente e veracemente a Cristo, dal quale, come mediatore tra nemici, noi abbiamo ricevuto il perdono dei peccati e siamo stati riconciliati con Dio. Infatti, mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo 1. Egli stesso è quel ” Pacifico “, che di due ha fatto uno, che ha abbattuto il muro di separazione, le inimicizie, nella sua carne. Egli ha abrogato la legge dei comandamenti racchiusa nei decreti, in modo da riunire in sé i due e farne un unico uomo nuovo e riportare la pace. Egli, venendo, ha annunziato la pace a coloro che erano lontani e a coloro che erano vicini 2. Egli stesso dice nel Vangelo: Vi lascio la pace, vi do la mia pace 3. E molte altre testimonianze attestano che Cristo Signore è ” il pacifico “: non di quella pace che conosce e cerca questo mondo, ma quella pace della quale è detto nel profeta: Darò loro la vera consolazione, la pace sopra la pace 4. Ciò si avvera quando alla pace della riconciliazione si aggiunge la pace dell’immortalità. Infatti lo stesso profeta mostra che, dopo esserci state date tutte le cose che Dio ha promesse, noi dobbiamo aspettare la pace definitiva, nella quale vivremo con Dio in eterno. È il passo ove egli dice: Signore Dio nostro, dacci la pace; infatti ci hai dato tutte le cose 5. Questa pace perfetta ci sarà quando sarà distrutta l’ultima nemica, la morte 6. Ma dove avrà luogo tutto questo, se non in quel ” pacifico ” autore della nostra riconciliazione? Infatti, come in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti saranno vivificati 7. Poiché dunque abbiamo trovato il vero Salomone, cioè il vero ” pacifico “, prestiamo attenzione a ciò che in seguito il salmo ci insegna di lui.
Il parallelismo dei membri nella letteratura biblica.
2. [v 2.] O Dio, concedi il tuo giudizio al re e la tua giustizia al figlio del re. Il Signore stesso dice nel Vangelo: Il Padre non giudica nessuno ma ogni giudizio ha dato al Figlio 8. Questo significano le parole: O Dio, il tuo giudizio concedi al re. Tale re è poi anche figlio del re, poiché anche Dio Padre è re. Come sta scritto: Un re fece la festa di nozze al suo figlio 9. Qui tuttavia, secondo il costume delle Scritture, si ripete lo stesso concetto. Infatti le parole Il tuo giudizio, le ripete con espressione alquanto diversa: La tua giustizia. E parimenti il termine al re è ripetuto con al figlio del re. Non diversamente da quel che altrove sta scritto: Colui che abita nei cieli riderà di loro, e il Signore se ne burlerà 10. Le parole: Colui che abita nei cieli, equivalgono a: Il Signore; e le parole: Riderà di loro, equivalgono a: Li schernirà. Troviamo ancora: I cieli narrano la gloria di Dio e il firmamento annunzia le opere delle sue mani 11. La parola cieli è ripetuta nel nome di firmamento; e le parole: La gloria di Dio, sono ripetute quando si dice: Le opere delle sue mani; e infine la parola narrano è ripetuta con annunzia. Il linguaggio divino si serve spesso di queste espressioni ove si ripete lo stesso concetto, sia con le stesse parole sia con altre; e soprattutto le troviamo nei salmi e in quel genere letterario il cui scopo è toccare il sentimento.
I poveri di Dio non vantano meriti e risorse proprie.
3. Continua: Giudicare il tuo popolo nella giustizia e i tuoi poveri nel giudizio. Il re Padre mostra sufficientemente al re Figlio perché gli abbia dato il suo giudizio e la sua giustizia, dicendo: Giudicare il tuo popolo nella giustizia, cioè, per giudicare il tuo popolo. Una espressione del genere si trova in Salomone: Proverbi di Salomone, figlio di David, per conoscere la sapienza e la disciplina 12. Cioè: Proverbi di Salomone, miranti a far conoscere la sapienza e la disciplina. Così qui: Il tuo giudizio concedi, e: giudicare il tuo popolo, stanno per ” concedi il tuo giudizio affinché possa giudicare il tuo popolo “. Quanto diceva prima, cioè il tuo popolo, ripete dopo con i tuoi poveri; e come prima aveva detto: nella giustizia, così successivamente dice: nel giudizio, secondo la nota abitudine biblica di ripetere i concetti. Nella quale espressione, poi, si dimostra che il popolo di Dio deve essere povero, cioè non superbo ma umile. Infatti: Beati i poveri di spirito, perché di loro è il regno dei cieli 13. Di questa povertà fu povero il beato Giobbe; e ciò anche prima di perdere le sue grandi ricchezze terrene. Particolare, questo, che ho creduto bene non tacere perché ci sono alcuni che abbastanza facilmente distribuiscono tutte le loro ricchezze ai poveri, ma poi non sono altrettanto disposti a divenire essi stessi poveri di Dio. Sono gonfi di orgoglio e credono che sia da attribuire a loro stessi, non alla grazia di Dio, la vita buona che conducono; e perciò neppure vivono bene, anche se compiono molte opere buone. Credono di avere risorse loro proprie e si gloriano come se non le avessero ricevute 14: ricchi di sé, non poveri di Dio; pieni di sé, non bisognosi di Dio. Ma dice l’Apostolo: Se avrò distribuito ogni mia ricchezza ai poveri e avrò dato il mio corpo alle fiamme ma non avrò carità, a niente mi giova 15. Come se dicesse: Pur avendo distribuito ogni mia ricchezza ai poveri, se non sarò povero di Dio, a niente mi giova. Infatti la carità non si gonfia; né è vera carità di Dio in colui che si mostra ingrato verso lo Spirito Santo, per il quale la carità divina si spande nei nostri cuori 16. Perciò costoro non appartengono al popolo di Dio; e questo proprio perché non sono poveri di Dio. Infatti i poveri di Dio dicono: Noi non abbiamo ricevuto lo spirito di questo mondo ma lo Spirito, che è da Dio, per conoscere le cose che da Dio ci sono state donate 17. Non diversamente si canta in questo salmo, ove, per il mistero dell’assunzione da parte del Verbo della umanità nella quale si è fatto carne 18, si dice a Dio, padre e, re: La tua giustizia concedi al Figlio del re.Ebbene, nonostante tutto questo, costoro non ammettono che la giustizia venga loro donata da Dio ma credono di averla da se medesimi. Ignorano quindi la giustizia di Dio e vogliono stabilire la loro propria; così non sono sottomessi alla giustizia di Dio 19. Non sono pertanto, come ho detto, poveri di Dio ma ricchi di sé; cioè, non sono umili ma superbi. Ma verrà il Signore a giudicare il popolo di Dio nella giustizia e i poveri di Dio nel giudizio; e in quel giudizio separerà da coloro che son ricchi di se stessi quelli che sono i suoi poveri: coloro cioè che egli, con la sua povertà, ha fatto divenire ricchi in Dio. A lui grida il popolo povero:Giudicami, o Dio, e distingui la mia causa dalla gente non santa 20.
Il giudizio e la giustizia.
4. Notiamo che in questo versicolo l’ordine delle parole viene invertito. Prima aveva detto: O Dio, concedi al re il tuo giudizio, e la tua giustizia al figlio del re, ponendo prima il giudizio e poi la giustizia. Successivamente pone prima la giustizia e poi il giudizio, dicendo: Giudicare il tuo popolo nella giustizia e i tuoi poveri nel giudizio. Con ciò dimostra che con ” giudizio ” intende la ” giustizia “, e fa intendere che non comporta alcuna differenza l’ordine delle parole, quando esse significano la stessa cosa. Si suole infatti dire che un giudizio è perverso quando è ingiusto; mentre non siamo soliti parlare di giustizia iniqua o ingiusta. Se infatti fosse iniqua o ingiusta, non potremmo affatto chiamarla giustizia. Quindi, parlando egli prima di giudizio e poi ripetendo il concetto col nome di giustizia, oppure parlando prima di giustizia e ripetendo poi il concetto col nome di giudizio, sufficientemente fa capire che chiama giudizio ciò che di solito si chiama giustizia: una prerogativa, cioè, che non si trova quando il giudizio è ingiusto. Quando infatti il Signore dice:Non giudicate secondo le persone, ma giudicate con retto giudizio 21, mostra che vi può essere anche un giudizio non retto se specifica: Giudicate con retto giudizio. Delle due specie di giudizio, egli vieta l’una e prescrive l’altra. Quando invece parla di giudizio senza nessuna aggiunta, si riferisce certamente al giudizio giusto. Così quando dice: Voi avete abbandonato le cose più gravi della legge: la misericordia e il giudizio 22. E a tale giudizio si riferisce Geremia con le parole: Accumulando le sue ricchezze senza giudizio 23. Non dice: Accumulando ricchezze con giudizio disonesto o ingiusto, oppure: Con giudizio non retto o non giusto; ma dice: senza giudizio, chiamando ” giudizio ” solo quello che è retto e giusto.
I monti e i colli nella Chiesa.
5. [v 3.] Ricevano i monti la pace per il popolo, e i colli la giustizia. I monti sono più grandi, i colli più piccoli. Senza dubbio costoro sono le stesse persone di cui parla il salmo: I piccoli con i grandi. Ebbene, questimonti hanno esultato come arieti, e questi colli come gli agnelli del gregge, all’uscita di Israele dall’Egitto 24, cioè alla liberazione del popolo di Dio dalla servitù di questo mondo. I più grandi nella Chiesa, quei che si segnalano per la loro santità, sono i monti. Essi sono in grado di istruire gli altri 25, sia con le parole, affinché siano bene edotti nella fede, sia con la vita Vissuta, offrendo loro un esempio da imitare e così salvarsi. I colli invece sono coloro che li seguono con docilità nel raggiungimento della stessa virtù eminente. Perché dunque i monti la pace e i colli la giustizia? Forse non c’è nessuna differenza. Per cui si sarebbe potuto anche dire: Ricevano i monti la giustizia per il popolo e i colli la pace. Ad ambedue infatti sono necessarie sia la giustizia che la pace; e potrebbe darsi veramente che, con nome diverso, la stessa giustizia sia chiamata pace: essa infatti è la vera pace, non quella che stipulano fra loro gli iniqui. O non dobbiamo piuttosto vedere una distinzione non trascurabile tira le parole: I monti la pace, e i colli la giustizia? Sta di fatto che i dignitari della Chiesa debbono vegliare sulla pace con attento zelo, per evitare che, comportandosi superbamente nella ricerca del loro onore, si abbiano a creare scismi e si spezzi la compagine dell’unità. Dal canto loro i colli debbono, sì, seguire i primi nell’imitazione e nell’obbedienza, ma sempre in modo tale da non ritenerli superiori a Cristo, evitando così di allontanarsi dall’unità di Cristo, sedotti dalla vana autorità di monti cattivi che sembrano eccellere. Per questo è detto: Ricevano i monti la pace per il popolo. Dicano costoro: Siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo 26. Ma dicano del pari: Anche se noi o un angelo dal cielo vi annunzierà qualcosa di diverso da quanto avete ricevuto, sia anatema 27. Dicano anche: Forse Paolo è stato crocifisso per voi? oppure siete stati battezzati nel nome di Paolo? 28 In questo modo ricevano la pace per il popolo di Dio, cioè per i poveri di Dio: desiderando regnare, non su di loro, ma con loro. Viceversa i colli non dicano: Io sono di Paolo, io sono di Apollo, io sono Cefa; ma dicano tutti: Io sono di Cristo 29. Questa è la giustizia: non anteporre i servi al Signore, e neppure porli sullo stesso livello di lui. Levino pure gli occhi verso i monti donde viene loro il soccorso; tuttavia non sperino dai monti questo soccorso. Lo sperino dal Signore, che ha fatto il cielo e la terra 30.
Ministri di Cristo, ministri della riconciliazione.
6. L’espressione: Ricevano i monti la pace per il popolo può essere molto opportunamente intesa nel senso che “pace” corrisponda a riconciliazione: quella riconciliazione per la quale torniamo in pace con Dio. Nel qual caso sono veramente i monti a riceverla per il suo popolo. Lo attesta l’Apostolo: Le cose vecchie sono passate; ecco compiute si sono le nuove. Tutto però deriva da Dio, il quale ci ha riconciliati a sé per mezzo di Cristo, e ha dato a noi l’ufficio della riconciliazione. Ecco in qual modo i monti ricevono la pace per il suo popolo. Dio era in Cristo e in lui riconciliava il mondo con sé: non imputando ad essi i loro delitti, ma ponendo in noi la parola della riconciliazione. In chi la poneva, se non nei monti che ricevono la pace per il suo popolo? Essi pertanto, sapendosi ambasciatori di pace, così continuano e dicono: Per Cristo, dunque, noi fungiamo da ambasciatori, come se Dio vi esortasse per nostro mezzo. Vi scongiuriamo in nome di Cristo a riconciliarvi con Dio 31. Questa pace ricevono i monti per il suo popolo; ricevono cioè l’incarico di predicare la sua pace e d’esserne i messaggeri. I colli invece ricevono la giustizia, cioè l’obbedienza. La quale obbedienza è, per gli uomini e per tutte le creature razionali, l’origine e la perfezione di ogni giustizia: tanto che tra i due uomini, cioè tra Adamo (che fu il capo della nostra morte) e Cristo (che è il capo della nostra salvezza) essa costituisce, fra tutte le altre, la nota distintiva di base. Come per la disobbedienza di un solo uomo molti divennero peccatori, così per l’obbedienza di un solo uomo molti sono divenuti giusti 32. Ebbene, ricevano i monti la pace per il popolo e i colli la giustizia, onde si compia, nella piena concordia tra loro, quanto sta scritto: La giustizia e la pace si sono baciate 33. Ci son poi codici che recano: Ricevano i monti la pace per il popolo, e i colli. A questo riguardo penso che tanto per ” monti ” quanto per “colli” si debbano intendere i predicatori della pace evangelica: identico, quindi, il significato dei primi e dei secondi. In tali codici il salmo continuerebbe così: Nella giustizia giudicherà i poveri del popolo. Ma sono più attendibili i codici che recano quello che abbiamo detto prima: Ricevano i monti la pace per il popolo, e i colli la giustizia. Alcuni peraltro riportano: Per il popolo tuo; altri non hanno Per il tuo, ma soltanto Per il popolo.
Cristo salva gli eletti, umilia il diavolo.
7. [v 4.] Giudicherà i poveri del popolo, e salverà i figli dei poveri. Mi sembra, che ” i poveri ” e ” i figli dei poveri ” siano le stesse persone. Come la stessa città è ” Sion ” e ” la figlia di Sion “. Ma, se volessimo distinguere più sottilmente, per poveri intenderemmo i monti; e per figli dei poveri, i colli. Vedremmo cioè, nei poveri, i profeti e gli apostoli, mentre nei figli dei poveri vedremmo i loro figli, cioè coloro che traggono profitto dalla loro autorità. Quanto poi alle parole: Giudicherà e salverà, questa seconda costituisce una spiegazione del modo come giudicherà. Per questo infatti giudicherà i suoi poveri, per salvarli: per separare quelli che dovranno essere condannati alla perdizione da coloro cui egli dona la salvezza, che è pronta a manifestarsi nell’ultimo tempo 34. Costoro gli dicono: Non perdere con gli empi la mia anima! 35 e: Giudicami, o Dio, e distingui la mia causa dalla gente non santa 36. Dobbiamo considerare anche come non dica: ” Giudicherà il popolo povero “, ma i poveri del popolo. Prima infatti, cioè là dove diceva: Giudicare il tuo popolo nella giustizia, e i tuoi, poveri nel giudizio, identificava il popolo di Dio con i poveri di lui, cioè con i soli buoni, con coloro che saranno alla destra. Ma poiché in questo mondo sono insieme nutriti quelli della destra e quelli della sinistra, cioè gli agnelli e i caproni, che alla fine dovranno essere separati 37, per questo chiama con il nome di popolo tutto l’insieme degli uni e degli altri. E siccome il giudizio di cui qui parla mira al bene, cioè alla salvezza 38, per questo, anche qui dice: Giudicherà i poveri del popolo. Cioè: distinguerà, per salvarli, coloro che in mezzo al suo popolo sono i poveri. Già abbiamo detto chi siano i poveri; pensiamo che gli stessi siano anche i miseri. E umilierà il calunniatore. In questo “calunniatore” non è da vedersi alcun altro se non il diavolo, la cui calunnia suona così: Forse che Giobbe adora gratuitamente Dio? 39 Ma il Signore Gesù lo umilia, in quanto egli con la sua grazia aiuta i suoi affinché adorino gratuitamente Dio, provino, cioè, gioia nel Signore 40. Anzi, già in altra occasione lo ha umiliato. Il diavolo, cioè il principe di questo mondo, pur non trovando in lui alcuna colpa 41, fece uccidere il Cristo sulla base di calunnie inventate dai giudei. Il calunniatore si servì di loro come di suoi strumenti, operando nei figli dell’incredulità 42. Anche allora però il Signore lo umiliò: colui che essi avevano ucciso risorse e strappò al diavolo il regno della morte. Di questo regno di morte egli era talmente padrone che, a cominciare da quell’Adamo che per primo fu sedotto, mediante l’azione della morte era riuscito a far condannare tutta l’umanità. Ma il diavolo è stato umiliato; e se per il delitto di un solo uomo la morte aveva regnato tramite quello solo, molto di più coloro che ricevono l’abbondanza della grazia e della giustizia regneranno nella vita tramite il solo Gesù Cristo 43. Gesù ha umiliato il calunniatore: ha umiliato colui che aveva inventato le false accuse, che aveva sollevato contro di lui falsi giudici e falsi testimoni per farlo perire.
Cristo vive in eterno.
8. [v 5.] E resterà quanto il sole; oppure: Resterà così a lungo come il sole. Infatti alcuni nostri esegeti hanno ritenuto essere questa la migliore traduzione della parola . Se essa potesse essere tradotta in latino con una sola parola, dovremmo dire “conresterà”; ma siccome questa parola non esiste in latino, per renderne almeno il significato si dice: Resterà a lungo quanto il sole. Infatti “conresterà al sole” non significa altro che resterà quanto il sole. Ma cosa c’è di grande nel durare a lungo quanto il sole, per uno ad opera del quale tutte le cose furono fatte e senza il quale nulla fu fatto 44? A meno che non si ritenga che questa profezia sia stata proferita per coloro secondo i quali la religione cristiana sopravvivrà in questo mondo solo per un certo tempo, e poi non esisterà più! Ebbene, resterà quanto il sole: finché cioè il sole sorgerà e tramonterà. Sì, finché scorreranno i secoli la Chiesa di Dio, ossia il corpo di Cristo in terra, resterà e non verrà meno. Quanto alle parole che il salino aggiunge: E prima della luna, le generazioni delle generazioni, avrebbe potuto dire anche: ” E prima del sole “. Cioè: Egli è ” e con il sole e prima del sole “, vale a dire: ” E con i tempi e prima dei tempi “. Quanto precede il tempo è eterno; ed eterno dobbiamo considerare ciò che non muta col tempo, come il Verbo che era in principio. Menzionando però la luna, ha voluto piuttosto indicare il comparire e lo scomparire proprio dei mortali. Infatti, dopo aver detto: Prima della luna, volendo in qualche modo spiegare perché era ricorso proprio alla luna, aggiunge: Le generazioni delle generazioni. Come per dire: Prima della luna equivale a prima delle generazioni delle generazioni, le quali passano con la morte e il succedersi dei mortali: passano come la luna col crescere e il diminuire delle sue fasi. E per questo, che cosa meglio si può intendere per restare prima della luna, se non precedere per l’immortalità ogni cosa mortale? E il restare quanto il sole non erroneamente si può applicare anche al Signore da quando, umiliato il calunniatore, siede alla destra del Padre. Si sa infatti che il Figlio è lo splendore della gloria eterna 45. Il Padre è il sole, e suo splendore è il Figlio. Ma queste espressioni debbono intendersi in maniera conveniente alla invisibile sostanza del Creatore; non come quando si parla delle creature di questo nostro mondo visibile, nella cui sfera rientrano anche i corpi celesti, fra i quali il più luminoso è il sole da cui è tratta questa similitudine. Ma la nostra è appunto una similitudine, come tante altre desunte anch’esse dalle cose terrestri: dalla pietra, dal leone, dall’agnello, dall’uomo che aveva due figli, eccetera. Ebbene, umiliato il calunniatore, egli resterà con il sole. Vinto il diavolo nella resurrezione, Cristo siede alla destra del Padre 46, dove più non muore, né la morte più oltre lo dominerà 47. E tutto questo accade prima della luna; in quanto egli è il primogenito di tra i morti e precede la Chiesa, la quale ha un qualcosa di transeunte, poiché passa con lo scomparire e il succedersi dei mortali. A questo succedersi si riferiscono, appunto, le generazioni delle generazioni. A meno che non si parli di generazioni in relazione alla nostra nascita alla vita mortale, e generazioni delle generazioni lo si dica in riferimento alla rigenerazione per l’immortalità. Questa è la Chiesa che lui ha preceduto: lui che resta prima della luna, primogenito dai morti. Vien qui fatto di osservare che alcuni hanno tradotto le parole greche non le generazioni, ma della generazione delle generazioni: perché è in greco un caso ambiguo, e non appare chiaro se debba leggersi (genitivo singolare) cioè di questa generazione, oppure (accusativo plurale) cioè queste generazioni. Sembra tuttavia che il significato da noi preferito sia il più esatto, poiché in questo caso l’autore avrebbe aggiunto generazioni delle generazioni proprio per spiegare l’accusativo luna posto più avanti.
Cristo annunziato prima ai giudei e poi ai pagani.
9. [v 6.] E discenderà come pioggia sul vello, e come gocce stillanti sulla terra. Ricorda quanto fu fatto dal giudice Gedeone e sottolinea che tutto aveva il suo fine in Cristo. Gedeone un giorno domandò un segno al Signore e gli chiese che fosse bagnato dalla pioggia soltanto il vello disteso sull’aia, e l’aia restasse asciutta; e appresso chiese che soltanto il vello restasse asciutto, mentre la pioggia doveva bagnare l’aia. Così precisamente accadde 48. Nell’allegoria, quel vello asciutto rappresentava l’antico popolo d’Israele, posto come nell’aia, cioè in, mezzo al mondo. Ebbene, Cristo discese come pioggia sul vello, mentre l’aia rimaneva ancora asciutta; e per questo poteva dire: Non sono stato mandato se non alle pecore della casa di Israele che si sono perdute 49. In Israele si scelse la madre, dalla quale doveva assumere la natura del servo con cui sarebbe apparso agli uomini. In Israele si scelse i discepoli, ai quali impartiva gli stessi ordini quando diceva loro: Non andrete sulla via dei gentili e non entrerete nelle città dei samaritani. Andate prima dalle pecore della casa di Israele che si sono perdute 50. Dicendo: Andate prima a tali pecore, mostrava che dopo, quando la pioggia sarebbe caduta anche sull’aia, essi sarebbero dovuti andare anche alle altre pecore che non appartenevano all’antico popolo d’Israele, e delle quali è detto: Ho altre pecore che non sono di questo ovile. Debbo condurre anch’esse, affinché vi sia un solo gregge e un solo pastore 51. Per questo anche l’Apostolo afferma: Io vi dico che Cristo è stato ministro della circoncisione a cagione della verità di Dio, per confermare le promesse dei padri. In questo modo la pioggia scendeva sopra il vello, mentre l’aia restava asciutta. Ma continua l’Apostolo: Le genti han da glorificare Dio per la sua misericordia 52. Cioè: maturando i tempi, si sarebbe adempiuto ciò che era stato detto per mezzo del profeta: Il popolo che io non ho conosciuto mi ha servito; ascoltando con l’orecchio la mia parola mi ha obbedito 53. E difatti noi vediamo che il popolo giudaico è rimasto asciutto nei confronti della grazia di Cristo, mentre su tutta la terra e su tutte le genti piove dalle nubi la pienezza della grazia cristiana. A questa stessa pioggia allude il salmista con l’altra espressione, quando menziona le gocce stillanti, non più sul vello ma sulla terra. Che cosa infatti è la pioggia se non gocce stillanti? Quanto poi al vello, io credo che con tale vocabolo il salmista abbia voluto indicare la nazione giudaica, o perché doveva essere spogliata dell’autorità della dottrina, come quando la pecora viene tosata del vello; oppure perché essa teneva nascosta in luogo segreto tale pioggia, che non voleva fosse annunziata al prepuzio, cioè non voleva fosse rivelata alle genti incirconcise.
La luna simbolo della nostra mortalità e della Chiesa.
10. [v 7.] Nei suoi giorni fioriranno giustizia e abbondanza di pace, finché sia levata la luna. La parola sia levata alcuni l’hanno tradotta con: Sia portata via, mentre altri con: sia innalzata. Nel tradurre la stessa parola greca che si trova nel testo, cioè ogni interprete ha scelto il termine che credeva più adatto. In realtà quanti hanno inteso Sia levata e quanti hanno tradotto Sia portata via, non sono troppo distanti fra loro. È vero, infatti, che ordinariamente, quando di una cosa si dice Sia levata, si intende che essa deve essere portata via e così scomparire, e non che essa deve essere sollevata più in alto. Sia portata via, poi, non può certamente significare altro se non che la cosa dev’essere eliminata, cioè che non ha da esistere più. Al contrario, Sia innalzata non significa altro se non che la cosa deve essere sollevata in alto; e quando questa espressione è intesa in senso cattivo, suole significare la superbia, come quando la Scrittura dice: Non innalzarti nella tua sapienza 54, mentre, se la si intende in senso buono, l’espressione suppone un onore più grande, ed è come se la cosa venisse realmente portata in alto. In questo senso sta scritto: Nelle notti innalzate le vostre mani verso il santo, e benedite il Signore 55. Ebbene, se riterremo di dover leggere: Sia portata via, allora l’espressione: Finché sia portata via la luna, avrà questo senso: ” Finché si faccia in modo che essa non sia più “. Con la quale formula ha voluto forse farci intendere che la condizione mortale non esisterà più quando, ultima nemica, sarà distrutta la morte 56, e che l’abbondanza della pace sarà tale che nessun ostacolo proveniente dalla debolezza mortale si opporrà alla felicità dei beati. Questo si verificherà in quel secolo di cui abbiamo indubitata promessa di Dio fattaci da Gesù Cristo nostro Signore. Di lui infatti è detto: Nei suoi giorni fioriranno la giustizia e l’abbondanza della pace, fino a che sia assorbita ogni condizione mortale e la morte sia del tutto sconfitta e distrutta. Ma se nella parola ” luna ” non s’intende la condizione mortale della carne, attraverso cui ora passa la Chiesa, ma si intende la Chiesa stessa che resterà in eterno, liberata da tale condizione mortale, allora le parole: Fioriranno ai suoi giorni la giustizia e l’abbondanza della pace, finché sia levata la luna, debbono essere intese come se dicesse: Ai suoi giorni spunterà la giustizia, che vincerà la contraddizione e la rivolta della carne, e la pace si attuerà con sempre maggiore estensione e abbondanza finché la luna sia innalzata, cioè finché la Chiesa sia elevata nella gloria della resurrezione, e ottenga il regno insieme col Cristo, che è il primogenito dei morti, e che l’ha preceduta in tale gloria, sedendo alla destra del Padre 57. Là infatti egli rimane quanto durerà il sole e prima della luna; e alla stessa gloria più tardi sarà innalzata anche la luna.
La Chiesa inizia con l’elezione dei Dodici.
11. [v 8.] E dominerà dal mare fino al mare, e dal fiume fino ai confini della terra. Si tratta di colui di cui prima aveva detto: Nei suoi giorni fioriranno la giustizia e l’abbondanza della pace, finché sia innalzata la luna 58. Se con la parola ” luna ” è da intendersi veramente la Chiesa il Signore ci indica quanto ampiamente avrebbe diffuso questa Chiesa; aggiunge infatti: E dominerà dal mare fino al mare. La terra è circondata dal mare grande che chiamiamo oceano, di cui una piccola parte entra in mezzo alle terre e forma i mari che noi conosciamo e che sono solcati dalle navi. Dice pertanto che egli dominerà dal mare fino al mare, cioè da una estremità all’altra della terra, in quanto il suo nome e il suo regno sarebbero stati annunziati in tutto il mondo, e in tutto il mondo si sarebbero affermati. E infatti, perché non potessero essere intese altrimenti le parole: Dal mare fino al mare, aggiunge subito: E dal fiume sino ai confini della terra. Quanto qui dice: Fino agli estremi confini della terra, già l’aveva detto prima con le parole: Dal mare fino al mare. Ma menzionando anche il fiume, indica all’evidenza come Cristo intendesse manifestare il suo potere già quando cominciava a scegliere i discepoli: cioè dal momento in cui, là presso il fiume Giordano, lo Spirito Santo scese sul Signore battezzato, e dal cielo echeggiò la voce: Questi è il mio Figlio diletto 59. Prendendo dunque le mosse da presso quel fiume, la dottrina di Cristo e l’autorità del suo magistero celeste vanno gradatamente estendendosi fino ai confini della terra, in quanto la buona novella del regno viene annunziata in tutto il mondo, a testimonianza per tutte le genti. Poi verrà la fine.
La cattolicità della Chiesa.
12. [v 9.] Dinanzi a lui si prostreranno gli etiopi, e i suoi nemici lambiranno la terra. Con ” etiopi “, prendendo la parte per il tutto, raffigura tutte le genti, scegliendo, per menzionarlo espressamente, un popolo che si trova ai confini della terra. Dinanzi a lui si prostreranno i popoli, cioè, lo adoreranno. In diverse parti del mondo sarebbero però ben presto scoppiati degli scismi, e alla loro origine ci sarebbe stato sempre l’odio per la Chiesa cattolica diffusa in tutto il mondo (va notato che questi scismi si sarebbero poi frazionati in se stessi a causa dei vari corifei; comunque, siccome la gente avrebbe amato ciecamente gli autori del loro scisma, sempre più numerosi sarebbero stati i nemici che si accaniscono contro la gloria di Cristo diffusa su tutta la terra). Per questo, dopo aver detto: Dinnanzi a lui si prostreranno, gli etiopi, aggiunge: E i suoi nemici lambiranno la terra. Essi cioè ameranno gli uomini negando la gloria a Cristo, al quale è detto: Elévati al di sopra dei cieli, o Dio, e sopra tutta la terra si spanda la tua gloria 60. Quanto all’uomo invece, egli si meritò di udire le parole: Sei terra, e alla terra ritornerai 61. Orbene, lambendo questa terra, cioè amando gli uomini, entusiasmati dell’autorità vana e ciarliera di costoro, e considerandoli loro amici sincerissimi, gli eretici contraddicono le parole divine là dove queste preconizzano la Chiesa cattolica, la quale non dovrà essere circoscritta a qualche parte della terra, come certi scismi, ma dovrà estendersi in tutto il mondo, sin presso gli etiopi, i più lontani e brutti tra gli uomini, e ovunque fruttificare e svilupparsi.
13. [vv 10.11.] I re di Tarsi e le isole offriranno doni; i re degli Arabi e di Saba porteranno offerte. E lo adoreranno tutti i re della terra; tutti i popoli lo serviranno. È una realtà di fatto che non va commentata ma soltanto contemplata. Essa infatti si impone e non soltanto allo sguardo dei fedeli che ne traggono motivo di gioia, ma anche a quello degli infedeli che se ne rammaricano. L’unica espressione da vagliare potrebbe essere: Essi recheranno doni. Difatti ” recare ” (adducere) propriamente si dice di cose che possono camminare. Vuole forse il salmista riferirsi a vittime da immolare? No certo. Non è di tal sorta la giustizia che spunterà ai suoi giorni. I doni che dovranno condursi (di cui parla qui la profezia) mi sembra che, al di là della figura, siano gli uomini, che il prestigio dei re conduce alla compagine della Chiesa di Cristo. Sebbene sia anche vero che i re portavano doni a Dio anche quando perseguitavano la Chiesa e, senza sapere cosa facessero, immolavano quali vittime gradite i santi martiri.
Cristo debella Satana.
14. [v 12.] Spiegando le cause per cui tanto onore è reso a Cristo dai re, e come mai tutti i popoli lo servano, dice: Perché ha liberato il misero dal potente e il povero che non aveva chi lo soccorresse. Questo “misero” e “povero” è il popolo dei credenti in lui. In questo popolo sono compresi anche i re che lo adorano. Non hanno infatti disdegnato di essere miseri e poveri, cioè di confessare umilmente i propri peccati e di riconoscersi bisognosi della gloria e della grazia di Dio, affinché quel re, figlio del re, li liberasse dal potente. Questo potente è colui che prima è stato chiamato calunniatore. Non è stata la sua forza a renderlo potente, consentendogli di assoggettare a sé gli uomini e di ridurli in sua cattività: sono stati i peccati dell’uomo. Egli è chiamato anche ” forte “: come qui lo si chiama ” potente “. Ma il nostro Salvatore ha umiliato il calunniatore, ed è entrato nella casa del forte, portandogli via i suoi vasi dopo averlo incatenato 62; egli ha liberato il misero dal potente, e il povero che non aveva chi lo soccorresse. Questo infatti non avrebbe potuto farlo nessuna potenza creata: né quella di un qualsiasi uomo giusto e neppure quella dell’angelo. Non c’era alcuno in grado di salvarci; ed ecco, è venuto lui di persona e ci ha salvati.
Grazia sanante e grazia santificante.
15. [v 13.] In proposito qualcuno potrebbe chiedersi: ” Se l’uomo era tenuto prigioniero dal diavolo a cagione dei peccati, forse che Cristo, quando venne a liberare il misero dal potente, lo fece perché gli piacevano i peccati? ” Nemmeno per l’idea! Infatti, egli perdonerà al bisognoso e al povero: cioè, rimetterà i peccati all’umile, a colui che non confida nei suoi meriti né spera la salvezza dalle sue risorse, ma si riconosce bisognoso della grazia del suo Salvatore. Aggiungendo poi: E salverà le anime dei poveri, sottolinea che in duplice direzione ci soccorre la grazia: rimettendoci i peccati (ed ecco le parole: Perdonerà al bisognoso e al povero) e facendoci partecipi della giustizia (aspetto indicato da ciò che aggiunge: E le anime dei poveri salverà). Nessuno, infatti di per sé è capace di darsi la salvezza (la quale comporta la perfetta giustizia), ma gli occorre l’aiuto della grazia di Dio. Pienezza della legge, in altre parole, altro non è se non la carità: la quale non ha origine da noi stessi, ma è diffusa nei nostri cuori ad opera dello Spirito Santo che ci è stato dato 63.
Redenti dal peccato, rivestiti della giustizia.
16. [v 14.] Dalle usure e dall’iniquità riscatterà le loro anime. Quali sono queste usure se non i peccati, che sono chiamati anche ” debiti “ 64? Quanto poi al nome ” usura “, credo che sia stato adoperato per indicare che il male della pena riservato al colpevole sarà più grande di quello della colpa commessa. Ad esempio: un omicida può uccidere soltanto il corpo dell’uomo, ma non può nuocere alla sua anima. Dell’assassino invece andranno in perdizione nell’inferno e l’anima e il corpo. A coloro che in vita disprezzano i comandamenti e si prendono gioco del futuro supplizio è detto: Io, venendo, con usura avrei riscosso 65. Da queste usure sono riscattate le anime dei poveri, mediante quel sangue che fu versato in remissione dei peccati. Riscatterà dunque dalle usure, perdonando i peccati, ai quali erano dovuti ben più grandi supplizi; ma riscatterà anche dall’iniquità, aiutando con la sua grazia a compiere la giustizia. Sono pertanto così ripetuti i concetti che già erano stati enunziati prima. Quanto prima aveva detto, cioè chePerdonerà al bisognoso e al povero, viene qui ripreso con Dalle usure; e le ulteriori parole: E le anime dei poveri salverà 66, son riprese con Dall’ingiustizia. E così riscatterà si riferisce ad ambedue le nozioni. Infatti, perdonando riscatterà dalle usure; e salvando riscatterà dall’ingiustizia. Perdonerà dunque al povero e al bisognoso, e libererà le anime dei poveri, e così riscatterà le loro anime dalle usure e dall’iniquità. E degno d’onore sarà il suo nome al loro cospetto. Rendono onore al suo nome, per gli immensi benefici ricevuti, quanti dichiarano essere cosa degna e giusta ringraziare il Signore loro Dio. Alcuni codici recano: E degnod’onore è il loro nome al suo cospetto. Vorrebbe dire che il nome dei cristiani, anche se al mondo essi sembrano spregevoli, è degno d’onore al cospetto di colui che lo ha loro imposto, e che più non ricorda i nomi con cui essi prima si chiamavano con le loro labbra 67 (prima, cioè, quando erano soggetti alle superstizioni dei gentili) né i titoli con cui si distinguevano un tempo, cioè prima di essere cristiani (titoli basati su opere peccaminose). Il nome cristiano è onorifico al cospetto di Dio, anche se ai nemici sembra spregevole.
Cristo vero Salomone e maestro di verità.
17. [v 15.] E vivrà e gli sarà dato l’oro dell’Arabia. Non direbbe: Egli vivrà (di quale uomo infatti non si potrebbe dire così, anche se vivesse per un brevissimo tempo qui sulla terra?) se non volesse inculcare l’idea di quella vita nella quale Cristo più non morirà né la morte più oltre dominerà su di lui 68. Vivrà, dunque, per sempre colui che fu disprezzato morente. Così infatti dice un altro profeta: Sarà tolta dalla terra la sua vita 69. Ma che significano le parole: E gli sarà dato l’oro dell’Arabia? Sta di fatto che proprio dall’Arabia ricevette oro il re Salomone; e questo particolare, in forza dell’allegoria, si applica nel nostro salmo all’altro Salomone, al vero Salomone, cioè al vero ” pacifico “. Infatti il re Salomone non ha mai dominato dal fiume fino ai confini della terra 70. Viene dunque profetizzato in queste parole che anche i sapienti di questo mondo avrebbero ben presto creduto in Cristo, intendendo con ” Arabia ” i popoli pagani e con ” oro ” la sapienza: la quale tanto eccelle su tutte le dottrine, quanto l’oro è superiore agli altri metalli. Sta scritto:Ricevete la saggezza come l’argento, e la sapienza come oro colato 71. E in riferimento a lui sempre pregheranno. Alcuni hanno tradotto la parola greca : Riguardo a lui, altri Per lui stesso, o Per lui.Ma che significa: Riguardo (o in riferimento) a lui, se non ciò che chiediamo con l’invocazione: Venga il tuo regno 72? L’avvento di Cristo infatti presenterà ai fedeli la visione del regno di Dio. La traduzione Per lui è più difficile a comprendersi, a meno che non si intenda che si prega per lui quando si prega per la Chiesa, che è il suo corpo. Era stato infatti preannunziato il grande sacramento di Cristo e della Chiesa nelle parole:Saranno due in una sola carne 73. Segue poi: Per tutto il giorno – cioè per tutto il tempo – lo benediranno; e questo è sufficientemente chiaro.
Gli autori ispirati sono le vette dei monti. I beni apportati dal cristianesimo e i beni ricercati dal mondo.
18. [v 16.] E il firmamento sarà sulla terra, sopra le vette dei monti. In Cristo si sono realizzate tutte le promesse di Dio 74, cioè in lui sono state confermate, in quanto in lui si è adempiuto tutto quanto era stato profetizzato per la nostra salvezza. È infatti opportuno intendere per “vette dei monti” gli autori delle Scritture divine, cioè coloro per cui mezzo esse sono state redatte. Di costoro egli stesso è il firmamento, perché tutte le cose che divinamente sono state scritte a lui si riferiscono. Ha voluto essere il firmamento sulla terra perché tali cose sono state scritte per coloro che sono in terra; e se egli è venuto in terra, vi è venuto proprio per confermarle, cioè per mostrare che in lui si dovevano adempiere. Diceva: Era necessario si adempissero tutte le cose che erano state scritte di me nella legge, nei profeti e nei salmi 75, cioè nelle vette dei monti. E così è venuto negli ultimi tempi, manifesto, il monte del Signore, preparato sulla cima dei monti 76; ossia – come qui dice – sopra le vette dei monti. Sarà innalzato sopra il Libano il suo frutto. Per ” Libano ” siamo soliti intendere la grandezza di questo mondo; difatti il Libano è un monte che ha alberi altissimi, e il suo nome significa ” biancore “. Che c’è allora di strano se, al di sopra di ogni gloria mondana, anche la più grande, si è elevato il frutto di Cristo e se gli appassionati di tale frutto han saputo disprezzare tutte le vette del mondo? Ma se intendiamo in senso buono questo ” Libano “, a cagione dei cedri del Libano che Dio vi ha piantati 77, quale altro frutto dovremo intendere che si eleva al di sopra di questo Libano, se non quello di cui l’Apostolo dice, parlando della carità: Una via ancora più eccellente vi mostro 78? Tra i doni divini infatti la carità è quello che viene posto per primo, là dove si dice: Frutto dello spirito è la carità, e da esso tutti gli altri provengono come di conseguenza 79. E fioriranno dalla cittàcome erba della terra. È vero che leggiamo genericamente città, e non vi è aggiuntò ” di lui ” o ” di Dio ” (non dice infatti ” dalla città di lui ” o ” dalla città di Dio “, ma soltanto dalla città). Tuttavia preferiamo intendere le parole in senso buono, come se gli dicesse che costoro fioriscono qual erba dalla città di Dio, cioè dalla Chiesa. Si tratterà quindi di erba fruttifera, come il grano; infatti anche il grano è chiamato ” erba ” nella santa Scrittura. Nel Genesi si ordina alla terra di produrre ogni albero e ogni erba 80, e non si aggiunge che ha da produrre anche il frumento, mentre non vi è dubbio che l’autore avrebbe certamente menzionato anche il frumento, se esso non fosse già sottinteso nel nome ” erba “. Così si trova in molti altri passi delle Scritture. Che se invece dovessimo intendere le parole: E fioriranno come erba della terracome in quella frase: Ogni carne è erba, e la gloria dell’uomo è come fiore dell’erba, allora senza dubbio dovremmo intendere anche la città come un simbolo della società di questo mondo. Non per caso, del resto, fu Caino il primo a fondare una città 81. Innalzato perciò il frutto di Cristo al di sopra del Libano (cioè al di sopra degli alberi più longevi e del legno che sembrava incorruttibile) poiché il suo frutto è eterno, ogni gloria dell’uomo, che viene computata sul metro dell’altezza temporale e mondana, la si può paragonare all’erba, in quanto i credenti e coloro che già sperano nella vita eterna disprezzano la felicità temporale. Si adempie così quanto sta scritto: Ogni carne è erba, e ogni gloria della carne è come fiore dell’erba. L’erba inaridisce, e il fiore avvizzisce; ma la parola del Signore rimane in eterno 82. Ecco il frutto di lui, quel frutto che si eleva al di sopra del Libano. È vero infatti che la carne fu sempre erba e la gloria della carne come fiore dell’erba; ma finché non ci era stata mostrata la felicità che avremmo dovuto scegliere e preferire alle altre, si attribuiva grande importanza al fiore dell’erba; e non soltanto non lo si disprezzava, ma anzi era oggetto delle più vive aspirazioni. Come se il nuovo stato di cose avesse cominciato a esistere da allora, quando cioè è stato sovvertito e disprezzato tutto quanto fioriva nel mondo, è detto: Sarà innalzato sopra il Libano il suo frutto, e fioriranno dalla città come erba della terra. Cioè: appena conosciute, le promesse eterne saranno apprezzate al di sopra di ogni altra cosa, e sarà paragonato all’erba della terra tutto quanto si tiene in gran conto nel mondo.
In Cristo sono benedette tutte le genti.
19. [v 17.] Sia, dunque, il suo nome benedetto nei secoli! Prima del sole resterà il suo nome. Per ” sole ” si intendono i tempi; quindi il suo nome resterà in eterno. L’eterno precede i tempi e non termina con il tempo. E saranno benedette in lui tutte le tribù della terra. In lui si adempie la promessa fatta ad Abramo. Non dice infatti [il sacro testo]: Nei discendenti, come se fossero molti; ma parla come di un solo. Dice: E nella tua discendenza, che è Cristo 83. Ad Abramo, dunque, era stato detto: Nella tua discendenza saranno benedette tutte le tribù della terra 84. Orbene: Non i figli della carne ma i figli della promessa appartengono alla discendenza 85. Tutte le genti lo magnificheranno. A titolo di spiegazione si ripete quanto era stato detto prima. Benedette in lui, le genti lo magnificheranno. Non in quanto esse, così facendo, renderanno grande colui che è grande di per sé, ma in quanto, lodandolo, ne proclameranno la grandezza. È così che anche noi magnifichiamo Dio, e in tal senso diciamo: Sia santificato il tuo nome! 86 mentre egli, certamente, è sempre santo.
20. [v 18.] Benedetto il Signore, il Dio d’Israele. Egli solo opera meraviglie. Dopo aver considerato tutte le cose di cui sopra, prorompe in un inno, e benedice il Signore Dio d’Israele. Si adempiono così le parole dette a quella donna sterile: Colui che ti ha liberato, egli stesso sarà chiamato per tutta la terra il Signore Dio d’Israele 87. Egli solo opera meraviglie; perché, chiunque le compia, è sempre lui che opera in essi, lui che solo opera meraviglie.
21. [v 19.] E sia benedetto il nome della sua gloria in eterno, e nel secolo del secolo! Quale altra espressione avrebbero dovuto usare i traduttori latini, dato che non potevano dire “in eterno e nell’eterno dell’eterno “? Così dicendo, sembrerebbe, però, che una cosa sia in eterno e un’altra nel secolo; mentre il greco reca : espressione che forse più opportunamente si tradurrebbe con ” Nel secolo e nel secolo del secolo “. In tal modo con Nel secolo si sarebbe potuto intendere la durata di questo secolo, mentre Nel secolo del secolo ciò che ci è promesso dopo la fine di questo secolo. E si riempirà della sua gloria ogni terra. Amen! Amen! Hai comandato, o Signore, e così accade. E, così accadrà finché quanto è cominciato dal fiume non giunga proprio fino agli estremi confini della terra 88.
http://www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=27307
Impresa costruzioni stradali a Betlemme
don Marco Pozza
Epifania del Signore (06/01/2013)
Vangelo: Mt 2,1-12
Come costruttori di strade. Così giaceranno nella nostra memoria quei tre uomini profumati d’Oriente e di sapienza. Sono gli ultimi a fare capolino nel presepio e, subito dopo, se ne allontanano con la stessa leggerezza e rapidità, lasciando come gesto d’altissima eredità quei piccoli gesti di una sapienza che diventa ricerca e di una ricerca che non manca di sapienza. Quella notte hanno sentito il cuore vibrare e si sono scomodati, agganciando una stella al bramire dei loro cammelli accomodati nelle stalle d’oltre Oriente: « Dov’è il Re dei Giudei? ». Disturbati magari nell’attimo esatto in cui erano riusciti a decifrare le costellazioni, hanno accantonato scienza e sapienza e sono partiti alla volta di Betlemme, barattando la sicurezza delle abitudini con l’ingenuità fanciullesca di un viaggio, fedeli al primo dovere dell’uomo ch’è da millenni quello della speranza. Nelle loro stanze d’Oriente ci si fidava dell’astrologia e ci s’inchinava di fronte alla divinità; ma pur fedeli a Zoroastro e teorici dei calcoli dei Caldei, alla vista di quella stella non capirono più nulla. Un Battito d’insopportabile gaudio accese i loro passi; disturbati nel sogno da voci angeliche – microfoni fidati per anime vaganti alla ricerca del Vero – seppero come pochi altri trafficare la ricchezza senza prendersi gioco della dottrina, fino a strappare qualche rigo dentro l’immensità luminosa dei Vangeli. Quei tre sono uomini piantati nel tempo, ma lesti a fiutare quell’inedita novità di cui raccontava quella stella. S’imbatteranno nell’inganno di Erode – « Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo » -, faranno i conti con il velarsi di quella stella, s’inginocchieranno e, alzatisi, sperimenteranno che nulla più è come prima. « E prostratisi lo adorarono » (Mt 2,11): adorarono il Bambino: e quella rimase la lezione magistrale della loro carriera di dottori. Non un Re, non un Crocifisso perdonante, non un Risorto: semplicemente un bambino, il quasi niente. E si prostrano, si fanno piccoli davanti all’infinitamente piccolo, davanti ad una scena già vista innumerevoli volte in tante case. Proprio a Betlemme, la « casa del pane »: anche Dio ora sa di pane. E pur ammantati di titoli e onori, avvertono che l’essenza del cristianesimo non risiede nell’originalità di una dottrina ma nella persona di un Dio fatto uomo in Gesù. Non nella sublimità della parola, non nell’altezza della spiritualità neppure nell’audacia dell’impegno per gli altri. Ma nella divinità di Gesù: il tutto di Dio.
I Magi. E pure noi, cercatori come loro della carne di Dio, d’ora innanzi la cercheremo là dove abita: « vederti splendere negli occhi di un bimbo / e poi incontrarti nell’ultimo povero; / vederti piangere le lacrime nostre, / oppur sorridere come nessuno » (D. M. Turoldo). Aprono i loro scrigni e offrono oro, incenso e mirra: non c’è adorazione senza regalo. Oro, incenso e mirra portano i misteriosi lettori di stelle; e non fiori, giocattoli o dolciumi. L’oro della nostra obbedienza, l’incenso della nostra adorazione, la mirra delle angosce e delle delusioni. Il prezioso, il sublime, l’austero; il nobile, il divino, il tragico: in quel bambino c’è tutto questo. S’inginocchiano, per poi rincasare.
I magi scompaiono nei gorghi dell’Oriente ma non si smarriscono, perché ormai portano una stella in fondo al cuore. La fede è un incontro che cambia la vita e ci rende capaci di sostenere il confronto con ogni opposizione: saputo di Erode, per un’altra via fecero ritorno alle loro case (Mt 2,12). Chi ha incontrato il Signore scopre che la sua vita prende una nuova direzione, che il ritorno a casa – che altro non è che un ritorno al centro di se stessi – avviene per una strada nuova, attraverso la sorpresa di gesti inattesi e di parole impensate. I gesti di quel Bambino appena sarà svezzato: uomo delle strade e amico dei pubblicani, i suoi anni nascosti e i suoi gesti pubblici, le sue mani sui malati e i suoi occhi negli occhi dei re, i suoi piedi e la polvere delle strade di Palestina, e poi il nardo che scende, il sangue che cola.
Perché Cristo è un incontro che cambia la vita. E apre una strada inedita: in barba all’arroganza di Erode e della sua discendenza nei secoli a venire.
SANTA MESSA NELLA SOLENNITÀ DELL’EPIFANIA DEL SIGNORE
OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Basilica Vaticana
Martedì, 6 gennaio 2010
Cari fratelli e sorelle!
Oggi, Solennità dell’Epifania, la grande luce che irradia dalla Grotta di Betlemme, attraverso i Magi provenienti da Oriente, inonda l’intera umanità. La prima lettura, tratta dal Libro del profeta Isaia, e il brano del Vangelo di Matteo, che abbiamo poc’anzi ascoltato, pongono l’una accanto all’altro la promessa e il suo adempimento, in quella particolare tensione che si riscontra quando si leggono di seguito brani dell’Antico e del Nuovo Testamento. Ecco apparire davanti a noi la splendida visione del profeta Isaia il quale, dopo le umiliazioni subite dal popolo di Israele da parte delle potenze di questo mondo, vede il momento in cui la grande luce di Dio, apparentemente senza potere e incapace di proteggere il suo popolo, sorgerà su tutta la terra, così che i re delle nazioni si inchineranno di fronte a lui, verranno da tutti i confini della terra e deporranno ai suoi piedi i loro tesori più preziosi. E il cuore del popolo fremerà di gioia.
Rispetto a tale visione, quella che ci presenta l’evangelista Matteo appare povera e dimessa: ci sembra impossibile riconoscervi l’adempimento delle parole del profeta Isaia. Infatti, arrivano a Betlemme non i potenti e i re della terra, ma dei Magi, personaggi sconosciuti, forse visti con sospetto, in ogni caso non degni di particolare attenzione. Gli abitanti di Gerusalemme sono informati dell’accaduto, ma non ritengono necessario scomodarsi, e neppure a Betlemme sembra che ci sia qualcuno che si curi della nascita di questo Bambino, chiamato dai Magi Re dei Giudei, o di questi uomini venuti dall’Oriente che vanno a farGli visita. Poco dopo, infatti, quando il re Erode farà capire chi effettivamente detiene il potere costringendo la Sacra Famiglia a fuggire in Egitto e offrendo una prova della sua crudeltà con la strage degli innocenti (cfr Mt 2,13-18), l’episodio dei Magi sembra essere cancellato e dimenticato. E’, quindi, comprensibile che il cuore e l’anima dei credenti di tutti i secoli siano attratti più dalla visione del profeta che non dal sobrio racconto dell’evangelista, come attestano anche le rappresentazioni di questa visita nei nostri presepi, dove appaiono i cammelli, i dromedari, i re potenti di questo mondo che si inginocchiano davanti al Bambino e depongono ai suoi piedi i loro doni in scrigni preziosi. Ma occorre prestare maggiore attenzione a ciò che i due testi ci comunicano.
In realtà, che cosa ha visto Isaia con il suo sguardo profetico? In un solo momento, egli scorge una realtà destinata a segnare tutta la storia. Ma anche l’evento che Matteo ci narra non è un breve episodio trascurabile, che si chiude con il ritorno frettoloso dei Magi nelle proprie terre. Al contrario, è un inizio. Quei personaggi provenienti dall’Oriente non sono gli ultimi, ma i primi della grande processione di coloro che, attraverso tutte le epoche della storia, sanno riconoscere il messaggio della stella, sanno camminare sulle strade indicate dalla Sacra Scrittura e sanno trovare, così, Colui che apparentemente è debole e fragile, ma che, invece, ha il potere di donare la gioia più grande e più profonda al cuore dell’uomo. In Lui, infatti, si manifesta la realtà stupenda che Dio ci conosce e ci è vicino, che la sua grandezza e potenza non si esprimono nella logica del mondo, ma nella logica di un bambino inerme, la cui forza è solo quella dell’amore che si affida a noi. Nel cammino della storia, ci sono sempre persone che vengono illuminate dalla luce della stella, che trovano la strada e giungono a Lui. Tutte vivono, ciascuna a proprio modo, l’esperienza stessa dei Magi.
Essi hanno portato oro, incenso e mirra. Non sono certamente doni che rispondono a necessità primarie o quotidiane. In quel momento la Sacra Famiglia avrebbe certamente avuto molto più bisogno di qualcosa di diverso dall’incenso e dalla mirra, e neppure l’oro poteva esserle immediatamente utile. Ma questi doni hanno un significato profondo: sono un atto di giustizia. Infatti, secondo la mentalità vigente a quel tempo in Oriente, rappresentano il riconoscimento di una persona come Dio e Re: sono, cioè, un atto di sottomissione. Vogliono dire che da quel momento i donatori appartengono al sovrano e riconoscono la sua autorità. La conseguenza che ne deriva è immediata. I Magi non possono più proseguire per la loro strada, non possono più tornare da Erode, non possono più essere alleati con quel sovrano potente e crudele. Sono stati condotti per sempre sulla strada del Bambino, quella che farà loro trascurare i grandi e i potenti di questo mondo e li porterà a Colui che ci aspetta fra i poveri, la strada dell’amore che solo può trasformare il mondo.
Non soltanto, quindi, i Magi si sono messi in cammino, ma da quel loro atto ha avuto inizio qualcosa di nuovo, è stata tracciata una nuova strada, è scesa sul mondo una nuova luce che non si è spenta. La visione del profeta si realizza: quella luce non può più essere ignorata nel mondo: gli uomini si muoveranno verso quel Bambino e saranno illuminati dalla gioia che solo Lui sa donare. La luce di Betlemme continua a risplendere in tutto il mondo. A quanti l’hanno accolta Sant’Agostino ricorda: “Anche noi, riconoscendo Cristo nostro re e sacerdote morto per noi, lo abbiamo onorato come se avessimo offerto oro, incenso e mirra; ci manca soltanto di testimoniarlo prendendo una via diversa da quella per la quale siamo venuti” (Sermo 202. In Epiphania Domini, 3,4).
Se dunque leggiamo assieme la promessa del profeta Isaia e il suo compimento nel Vangelo di Matteo nel grande contesto di tutta la storia, appare evidente che ciò che ci viene detto, e che nel presepio cerchiamo di riprodurre, non è un sogno e neppure un vano gioco di sensazioni e di emozioni, prive di vigore e di realtà, ma è la Verità che s’irradia nel mondo, anche se Erode sembra sempre essere più forte e quel Bambino sembra poter essere ricacciato tra coloro che non hanno importanza, o addirittura calpestato. Ma solamente in quel Bambino si manifesta la forza di Dio, che raduna gli uomini di tutti i secoli, perché sotto la sua signoria percorrano la strada dell’amore, che trasfigura il mondo. Tuttavia, anche se i pochi di Betlemme sono diventati molti, i credenti in Gesù Cristo sembrano essere sempre pochi. Molti hanno visto la stella, ma solo pochi ne hanno capito il messaggio. Gli studiosi della Scrittura del tempo di Gesù conoscevano perfettamente la parola di Dio. Erano in grado di dire senza alcuna difficoltà che cosa si poteva trovare in essa circa il luogo in cui il Messia sarebbe nato, ma, come dice sant’Agostino: “è successo loro come le pietre miliari (che indicano la strada): mentre hanno dato indicazioni ai viandanti in cammino, essi sono rimasti inerti e immobili” (Sermo 199. In Epiphania Domini, 1,2).
Possiamo allora chiederci: qual è la ragione per cui alcuni vedono e trovano e altri no? Che cosa apre gli occhi e il cuore? Che cosa manca a coloro che restano indifferenti, a coloro che indicano la strada ma non si muovono? Possiamo rispondere: la troppa sicurezza in se stessi, la pretesa di conoscere perfettamente la realtà, la presunzione di avere già formulato un giudizio definitivo sulle cose rendono chiusi ed insensibili i loro cuori alla novità di Dio. Sono sicuri dell’idea che si sono fatti del mondo e non si lasciano più sconvolgere nell’intimo dall’avventura di un Dio che li vuole incontrare. Ripongono la loro fiducia più in se stessi che in Lui e non ritengono possibile che Dio sia tanto grande da potersi fare piccolo, da potersi davvero avvicinare a noi.
Alla fine, quello che manca è l’umiltà autentica, che sa sottomettersi a ciò che è più grande, ma anche il coraggio autentico, che porta a credere a ciò che è veramente grande, anche se si manifesta in un Bambino inerme. Manca la capacità evangelica di essere bambini nel cuore, di stupirsi, e di uscire da sé per incamminarsi sulla strada che indica la stella, la strada di Dio. Il Signore però ha il potere di renderci capaci di vedere e di salvarci. Vogliamo, allora, chiedere a Lui di darci un cuore saggio e innocente, che ci consenta di vedere la stella della sua misericordia, di incamminarci sulla sua strada, per trovarlo ed essere inondati dalla grande luce e dalla vera gioia che egli ha portato in questo mondo. Amen!
http://www.zenit.org/article-34806?l=italian
IL DIO CHE SI FA UOMO: UN ANNUNCIO SEMPRE NUOVO DI SPERANZA
La catechesi di Benedetto XVI nella prima Udienza del 2013, svoltasi questa mattina in aula Paolo VI
CITTA’ DEL VATICANO, Wednesday, 2 January 2013 (Zenit.org).
L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre ha incontrato gruppi di fedeli e pellegrini provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo. Nel discorso in lingua italiana, il Papa si è soffermato ancora sul tempo liturgico del Natale e sul mistero di Dio fatto uomo. L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica.
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Cari fratelli e sorelle,
il Natale del Signore illumina ancora una volta con la sua luce le tenebre che spesso avvolgono il nostro mondo e il nostro cuore, e porta speranza e gioia. Da dove viene questa luce? Dalla grotta di Betlemme, dove i pastori trovarono «Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia» (Lc 2,16). Di fronte a questa Santa Famiglia sorge un’altra e più profonda domanda: come può quel piccolo e debole Bambino avere portato una novità così radicale nel mondo da cambiare il corso della storia? Non c’è forse qualcosa di misterioso nella sua origine che va al di là di quella grotta?
Sempre di nuovo riemerge così la domanda sull’origine di Gesù, la stessa che pone il Procuratore Ponzio Pilato durante il processo: «Di dove sei tu?» (Gv 19,29). Eppure si tratta di un’origine ben chiara. Nel Vangelo di Giovanni, quando il Signore afferma: «Io sono il pane disceso dal cielo», i Giudei reagiscono mormorando: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: « Sono disceso dal cielo? »» (Gv 6,42).
E, poco più tardi, i cittadini di Gerusalemme si oppongono con forza di fronte alla pretesa messianicità di Gesù, affermando che si sa bene «di dov’è; il Cristo, invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia» (Gv 7,27). Gesù stesso fa notare quanto sia inadeguata la loro pretesa di conoscere la sua origine, e con questo offre già un orientamento per sapere da dove venga: «Non sono venuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete» (Gv 7,28). Certo, Gesù è originario di Nazaret, è nato a Betlemme, ma che cosa si sa della sua vera origine?
Nei quattro Vangeli emerge con chiarezza la risposta alla domanda «da dove» viene Gesù: la sua vera origine è il Padre, Dio; Egli proviene totalmente da Lui, ma in un modo diverso da qualsiasi profeta o inviato da Dio che l’hanno preceduto. Questa origine dal mistero di Dio, « che nessuno conosce », è contenuta già nei racconti dell’infanzia dei Vangeli di Matteo e di Luca, che stiamo leggendo in questo tempo natalizio.
L’angelo Gabriele annuncia: «Lo Spirito scenderà su di te, e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,35). Ripetiamo queste parole ogni volta che recitiamo il Credo, la Professione di fede: «et incarnatus est de Spiritu Sancto, ex Maria Virgine», «per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria». A questa frase ci inginocchiamo perché il velo che nascondeva Dio, viene, per così dire, aperto e il suo mistero insondabile e inaccessibile ci tocca: Dio diventa l’Emmanuele, « Dio con noi ».
Quando ascoltiamo le Messe composte dai grandi maestri di musica sacra, penso per esempio alla Messa dell’Incoronazione di Mozart, notiamo subito come si soffermino in modo particolare su questa frase, quasi a voler cercare di esprimere con il linguaggio universale della musica ciò che le parole non possono manifestare: il mistero grande di Dio che si incarna, si fa uomo.
Se consideriamo attentamente l’espressione «per opera dello Spirito Santo nato nel seno della Vergine Maria», troviamo che essa include quattro soggetti che agiscono. In modo esplicito vengono menzionati lo Spirito Santo e Maria, ma è sottointeso «Egli», cioè il Figlio, che si è fatto carne nel seno della Vergine. Nella Professione di fede, il Credo, Gesù viene definito con diversi appellativi: «Signore, … Cristo, unigenito Figlio di Dio… Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero… della stessa sostanza del Padre» (Credo niceno-costantinopolitano). Vediamo allora che « Egli » rinvia ad un’altra persona, quella del Padre. Il primo soggetto di questa frase è dunque il Padre che, con il Figlio e lo Spirito Santo, è l’unico Dio.
Questa affermazione del Credo non riguarda l’essere eterno di Dio, ma piuttosto ci parla di un’azione a cui prendono parte le tre Persone divine e che si realizza «ex Maria Virgine». Senza di lei l’ingresso di Dio nella storia dell’umanità non sarebbe giunto al suo fine e non avrebbe avuto luogo quello che è centrale nella nostra Professione di fede: Dio è un Dio con noi. Così Maria appartiene in modo irrinunciabile alla nostra fede nel Dio che agisce, che entra nella storia. Ella mette a disposizione tutta la sua persona, «accetta» di diventare luogo dell’abitazione di Dio.
A volte, anche nel cammino e nella vita di fede possiamo avvertire la nostra povertà, la nostra inadeguatezza di fronte alla testimonianza da offrire al mondo. Ma Dio ha scelto proprio un’umile donna, in uno sconosciuto villaggio, in una delle provincie più lontane del grande impero romano. Sempre, anche in mezzo alle difficoltà più ardue da affrontare, dobbiamo avere fiducia in Dio, rinnovando la fede nella sua presenza e azione nella nostra storia, come in quella di Maria. Nulla è impossibile a Dio! Con Lui la nostra esistenza cammina sempre su un terreno sicuro ed è aperta ad un futuro di ferma speranza.
Professando nel Credo: «per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria», affermiamo che lo Spirito Santo, come forza del Dio Altissimo, ha operato in modo misterioso nella Vergine Maria il concepimento del Figlio di Dio. L’evangelista Luca riporta le parole dell’arcangelo Gabriele: «Lo Spirito scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra» (1,35). Due richiami sono evidenti: il primo è al momento della creazione.
All’inizio del Libro della Genesi leggiamo che «lo spirito di Dio aleggiava sulle acque» (1,2); è lo Spirito creatore che ha dato vita a tutte le cose e all’essere umano. Ciò che accade in Maria, attraverso l’azione dello stesso Spirito divino, è una nuova creazione: Dio, che ha chiamato l’essere dal nulla, con l’Incarnazione dà vita ad un nuovo inizio dell’umanità. I Padri della Chiesa più volte parlano di Cristo come del nuovo Adamo, per sottolineare l’inizio della nuova creazione dalla nascita del Figlio di Dio nel seno della Vergine Maria.
Questo ci fa riflettere su come la fede porti anche in noi una novità così forte da produrre una seconda nascita. Infatti, all’inizio dell’essere cristiani c’è il Battesimo che ci fa rinascere come figli di Dio, ci fa partecipare alla relazione filiale che Gesù ha con il Padre. E vorrei far notare come il Battesimo si riceve, noi «siamo battezzati» – è un passivo – perché nessuno è capace di rendersi figlio di Dio da sé: è un dono che viene conferito gratuitamente.
San Paolo richiama questa figliolanza adottiva dei cristiani in un passo centrale della sua Lettera ai Romani, dove scrive: «Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: « Abbà! Padre! ». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio »» (8,14-16), non servi. Solo se ci apriamo all’azione di Dio, come Maria, solo se affidiamo la nostra vita al Signore come ad un amico di cui ci fidiamo totalmente, tutto cambia, la nostra vita acquista un nuovo senso e un nuovo volto: quello di figli di un Padre che ci ama e mai ci abbandona.
Abbiamo parlato di due elementi: l’elemento primo lo Spirito sulle acque, lo Spirito Creatore; c’è un altro elemento nelle parole dell’Annunciazione.
L’angelo dice a Maria: «La potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra». E’ un richiamo alla nube santa che, durante il cammino dell’esodo, si fermava sulla tenda del convegno, sull’arca dell’alleanza, che il popolo di Israele portava con sé, e che indicava la presenza di Dio (cfr Es 40,40,34-38). Maria, quindi, è la nuova tenda santa, la nuova arca dell’alleanza: con il suo «sì» alle parole dell’arcangelo, Dio riceve una dimora in questo mondo, Colui che l’universo non può contenere prende dimora nel grembo di una vergine.
Ritorniamo allora alla questione da cui siamo partiti, quella sull’origine di Gesù, sintetizzata dalla domanda di Pilato: «Di dove sei tu?». Dalle nostre riflessioni appare chiara, fin dall’inizio dei Vangeli, qual è la vera origine di Gesù: Egli è il Figlio Unigenito del Padre, viene da Dio. Siamo di fronte al grande e sconvolgente mistero che celebriamo in questo tempo di Natale: il Figlio di Dio, per opera dello Spirito Santo, si è incarnato nel seno della Vergine Maria.
E’ questo un annuncio che risuona sempre nuovo e che porta in sé speranza e gioia al nostro cuore, perché ci dona ogni volta la certezza che, anche se spesso ci sentiamo deboli, poveri, incapaci davanti alle difficoltà e al male del mondo, la potenza di Dio agisce sempre e opera meraviglie proprio nella debolezza. La sua grazia è la nostra forza (cfr 2 Cor 12,9-10). Grazie.
http://liturgia.silvestrini.org/santo/114.html
Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno
Vescovi e Dottori della Chiesa, santi
BIOGRAFIA
San Basilio nacque nel 330 a Cesarea di Cappadocia da genitori santi. Di buona educazione letteraria e di egregie virtù, prese a condurre vita di eremitica, ma nel 370 fu fatto vescovo della sua città. Il tema che ricorreva più spesso e con più forza era quello della carità, dell’aiuto ai fratelli bisognosi. Lottò contro gli Ariani e scrisse eccellenti opere, specialmente le regole monastiche che ancor oggi sono seguite da moltissimi monaci orientali. Morì povero, come era vissuto, nell’anno 379.
Tra i primi e più preziosi amici di S. Basilio, notiamo S. Gregorio Nazianzeno: essi si stimolavano a vicenda alla pratica delle virtù e all’acquisto della scienza. Nato come S. Basilio nel 330 a Nazianzo da nobili genitori, sopravvisse una decina d’anni all’amico. Uomo di studio e poeta, per la sua eccellente dottrina ed eloquenza ricevette l’appellativo di “teologo”. Intraprese molti viaggi a scopo di istruzione e seguì poi nel deserto l’amico Basilio. Ma fu poi ordinato sacerdote e vescovo di Costantinopoli. Ma a causa delle fazioni che dividevano la sua chiesa, si ritirò a Nazianzo dove spirò nel 390.
MARTIROLOGIO
Memoria dei santi Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno, vescovi e dottori della Chiesa. Basilio, vescovi di Cesarea in Cappadocia, detto Magno per dottrina e sapienza, insegnò ai suoi monaci la meditazione delle Scritture,e il lavoro nell’obbedienza e nella carità fraterna e ne disciplinò la vita con regole da lui stesso composte; istruì i fedeli con insigni scritti e rifulse per la cura pastorale dei poveri e dei malati; morì il primo gennaio. Gregorio, suo amico, vescovo di Sàsima, quindi di Costantinopoli e infine di Nazianzo, difese con grande ardore la divinità del Verbo e per questo motivo fu chiamato anche il Teologo. Si rallegra la Chiesa nella comune memoria di così grandi dottori.
DAGLI SCRITTI…
Dai “Discorsi” di san Gregorio Nazianzeno, vescovo
Eravamo ad Atene, partiti dalla stessa patria, divisi, come il corso di un fiume, in diverse regioni per brama d’imparare, e di nuovo insieme, come per un accordo, ma in realtà per disposizione divina.
Allora non solo io mi sentivo preso da venerazione verso il mio grande Basilio per la serietà dei suoi costumi e per la maturità e saggezza dei suoi discorsi , ma inducevo a fare altrettanto anche altri che ancora non lo conoscevano. Molti però già lo stimavano grandemente, avendolo ben conosciuto e ascoltato in precedenza.
Che cosa ne seguiva? Che quasi lui solo, fra tutti coloro che per studio arrivavano ad Atene, era considerato fuori dell’ordine comune, avendo raggiunto una stima che lo metteva ben al di sopra dei semplici discepoli. Questo l’inizio della nostra amicizia; di qui l’incentivo al nostro stretto rapporto; così ci sentimmo presi da mutuo affetto.
Quando, con il passare del tempo, ci manifestammo vicendevolmente le nostre intenzioni e capimmo che l’amore della sapienza era ciò che ambedue cercavamo, allora diventammo tutti e due l’uno per l’altro: compagni, commensali, fratelli. Aspiravamo a un medesimo bene e coltivavamo ogni giorno più fervidamente e intimamente il nostro comune ideale.
Ci guidava la stessa ansia di sapere, cosa fra tutte eccitatrice d’invidia; eppure fra noi nessuna invidia, si apprezzava invece l’emulazione. Questa era la nostra gara: non chi fosse il primo, ma chi permettesse all’altro di esserlo.
Sembrava che avessimo un’unica anima in due corpi . Se non si deve assolutamente prestar fede a coloro che affermano che tutto è in tutti, a noi si deve credere senza esitazione, perché realmente l’uno era nell’altro e con l’altro.