Archive pour janvier, 2013

DAVID, RE D’ISRAELE

 http://www.paroledivita.it/upload/2001/articolo3_2.asp

 DAVID, RE D’ISRAELE

Pier Luigi Ferrari

(la data della pubblicazione, probabilmente, è quella nel link)

Dopo la tragica morte di Saul, emerge in tutto il suo spessore la grande figura di David, che fonda la dinastia del regno di Giuda e regna su tutto Israele.
Alle vicende di questo regno è dedicato il secondo libro di Samuele, che presenta David come un uomo dalla personalità indubbiamente eccezionale, fortunato conquistatore, astuto politico, sapiente organizzatore dello stato, equo amministratore della giustizia, uomo religioso e di sincera pietà. Al tempo stesso il testo biblico sottolinea senza imbarazzi le sue miserie morali, le tragedie familiari, gli intrighi di corte e le faide sanguinose che ne attraversano il regno e la successione, così che questa figura appare fortemente ridimensionata fino, forse, a creare qualche perplessità nel lettore abituato a pensare a David attraverso il filtro della idealizzazione fatta dalla tradizione ebraico-cristiana. Gli articoli di questo numero di «Parole di vita» ci aiutano ad addentrarci in questa drammatica vicenda.
David è tutt’altro che un re deciso e glorioso, e tuttavia sempre riconosce la propria debolezza e il bisogno della misericordia di Dio (Narrativa della successione di David: 2Sam 9-20 e 2Re 1-2). Nell’intricata vicenda della sua ascesa al trono, dove la politica s’intreccia alla fede, è messa in risalto la libertà di Dio che, con assoluta gratuità, sceglie il più piccolo(David tra politica e fede: 2Sam 1-8). In questo contesto la profezia di Natan, con la quale Dio promette una «casa» a David, rappresenta il «vangelo» che manterrà viva la speranza del popolo anche nei suoi momenti più critici (Promessa di Dio e preghiera di David: 2Sam 7). Ma subito dopo la grande promessa, giunge il drammatico «impiccio» con Betsabea e l’assassinio di Uria: il commento del narratore è chiaro e suona come la voce del giudizio di Dio sulla storia del re: «Ciò che David aveva fatto era male agli occhi del Signore» (Vizi privati e pubbliche virtù: 2Sam 9-12). Le disgrazie della sua famiglia, che vedono come protagonisti attivi e negativi gli stessi suoi figli (la violenza fatta da Amnon alla sorellastra Tamar e la rivolta di Assalonne) sono quasi la tragica conseguenza del grave peccato commesso da David (Pagherà quattro volte tanto: 2Sam 13-21). La teologia successiva, ebraica e cristiana, vedrà in David una figura ideale di re, proponendolo come modello della speranza messianica. In particolare, la tradizione cristiana lo avvolgerà di una interpretazione cristologica (David figura messianica nella Bibbia).
Le rubriche La narrativa biblica e I libri dei re nella storia completano questo tema monografico: la primavuole familiarizzarci con le strategie narrative usate dall’autore biblico; la seconda offre una lettura patristica della vicenda del re Saul e della negromante di Endor. La Scheda biblica propone un altro incontro con Gesù: la vicenda del cieco nato (Gv 9) mentre nella rubrica Attualità un vescovo (quello di Piacenza) presenta gli itinerari di una pastorale biblica nel programma diocesano. Infine la rubrica di Arte sceglie, nel panorama davvero vasto dell’interpretazione iconografica relativa al re David, una miniatura, contenuta nella lettera D, presenta il personaggio biblico in abiti regali, con la cetra e un leone, in un gesto carico della consapevolezza di aver ricevuto da Dio una missione da compiere a favore del popolo d’Israele.

Publié dans:Bibbia - Antico Testamento, biblica |on 15 janvier, 2013 |Pas de commentaires »

L’ICONA DELLA NATIVITÀ DEL SIGNORE

 http://tradizione.oodegr.com/tradizione_index/arte/iconanativita.htm

L’ICONA DELLA NATIVITÀ DEL SIGNORE

Tradotto perTradizione Cristiana da E. M. dicembre 2011

Sull’icona della Natività di nostro Signore, è raffigurato tutto il messaggio evangelico dell’incarnazione del nostro Salvatore dalla Vergine Maria, insieme ad altri dettagli aggiunti dalla santa Tradizione. Su molte icone della Natività ci sono un gran numero di dettagli, in altre meno. Nel diagramma qui mostrato, tratto da un disegno per un’icona, possiamo individuare almeno 8 elementi principali.

L’ICONA DELLA NATIVITÀ DEL SIGNORE dans arte sacra icona%20Natale

(1) Il focus dell’icona, ovviamente, è la nascita di nostro Signore dalla sua Purissima Vergine Madre Maria; Lei viene mostrata più grande di tutte le altre figure, sdraiata su una stuoia, e che guarda non verso il suo Figlio neonato, ma piuttosto con amore e compassione verso il suo sposo, san Giuseppe (7), vedendo la sua afflizione e lo smarrimento per questa nascita molto singolare e divina. Egli viene mostrato in basso a sinistra, mentre conversa con Satana, travestito da vecchio pastore. La postura di san Giuseppe è quella del dubbio e del travaglio interiore, per lui che si chiedeva se fosse possibile che il concepimento e la nascita non venissero da qualche unione umana segreta; come beato egli serviva la Madre di Dio e il suo Figlio divino, nonostante questi pensieri e tentazioni, e per proteggerla dai pettegolezzi maligni della gente che non poteva ancora comprendere come fosse possibile un così grande mistero. Nostro Signore è mostrato in fasce, che giace in una mangiatoia, “perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Cfr Luca 2). Lo sfondo del presepe è una caverna buia (3), che ci ricorda immediatamente la grotta in cui fu sepolto nostro Signore, 33 anni dopo, avvolto in un sudario. Nella grotta ci sono un bue e un asino, dettagli non citati negli evangeli, ma che rappresentano una caratteristica invariabile di ogni icona della Natività, la scena è stata inserita per mostrare il compimento delle parole del profeta Isaia: “Il bue conosce il suo Proprietario e l’asino la greppia del suo Padrone, ma Israele non mi conosce, e il popolo non mi ha considerato” (Isaia 1, 3). (2) Al di sopra di questa composizione centrale, nel centro stesso dell’icona vi è la stella meravigliosa proveniente dal cielo, che ha guidato i Magi (6) al luogo dove giaceva il nostro Salvatore; essa ci ricorda la sfera celeste che vediamo sulle icone della Teofania, o della Pentecoste, dovunque è indicato l’intervento divino.
Lateralmente si vedono i santi angeli (4) mentre glorificano Dio e portano la buona novella della nascita del Signore ai pastori (5). Il fatto che pastori Ebrei e magi pagani furono tra i primi ad adorare il Signore ci mostra l’universalità di questo grande evento, inteso per la salvezza di tutta l’umanità.
Il dettaglio finale di questa icona, la scena del lavaggio del Signore (8) è un elemento che ha causato qualche polemica nel corso dei secoli. In alcune chiese dei santi monasteri del Monte Athos, la scena negli affreschi è stata deliberatamente cancellata e sostituita con cespugli o pastori; era opinione comune che questa scena fosse degradante verso Cristo, che non aveva bisogno di essere lavato, essendo nato in una maniera miracolosa da una vergine pura. Ma noi manteniamo questa immagine sulle nostre icone, essendo parte della santa tradizione trasmessaci; davvero essa non degrada il Signore, ma lo esalta, come è evidente nella preghiera per la levatrice stabilita al momento del battesimo di un bambino: (dal Potrebnik del vecchio rito, seconda Preghiera per la levatrice) “Maestro e Signore, nostro Dio… Che giacesti in una mangiatoia e benedicesti la levatrice Salome* che credette in un’onorevole verginità…” [* secondo la Tradizione, Salome era figlia di san Giuseppe dal suo precedente matrimonio]. Chi, più efficacemente di una levatrice, potrebbe testimoniare la nascita divina e verginale? Perciò facciamo bene a comprendere l’importanza di questa scena beata.
Infine, mentre osserviamo l’icona come una composizione unita, non possiamo che essere pieni di gioia, non solo a causa dei colori brillanti e delle attività festive ivi rappresentate, ma per la gioiosa notizia della nostra salvezza da essa proclamata in modo così chiaro. In essa, tutta la creazione gioisce per la nascita del nostro Signore: il cielo (una stella e gli angeli), la terra (le montagne, le piante e gli animali); e soprattutto l’umanità, rappresentata più perfettamente nella figura della nuova Eva, la purissima Madre di Dio.

Cristo è nato! Glorificatelo!

Testo originale in: http://www.churchofthenativity.net/

Publié dans:arte sacra, NATALE 2012, Ortodossia |on 15 janvier, 2013 |Pas de commentaires »

Santa Macrina

Santa Macrina dans immagini sacre macrina2

http://www.johnsanidopoulos.com/2010/07/st-macrina-icon-of-female-modesty-and.html

Publié dans:immagini sacre |on 14 janvier, 2013 |Pas de commentaires »

14 GENNAIO : LA «VITA DI SANTA MACRINA» (mf) m. 340 circa

http://monachesimoduepuntozero.wordpress.com/2011/10/05/la-%C2%ABvita-di-santa-macrina%C2%BB-pt-2/

14 GENNAIO : LA «VITA DI SANTA MACRINA» (mf) m. 340 circa

In fondo non stupisce che metà della già breve Vita di santa Macrina, che Gregorio di Nissa dedica, probabilmente intorno al 390, alla sua sorella maggiore, sia occupata in realtà dalla sua morte. È nella morte infatti che si concentrano una serie di temi dell’opera di Gregorio, che sgorgano qui esaltati dal dolore, seppur trattenuto, per la scomparsa di una donna che «non era estranea alla mia famiglia».
Secondo Gregorio, spiega Peter Brown, successivamente alla Caduta, insieme con la morte una nuova percezione del tempo era entrata a far parte della condizione umana: al tempo «puro» della creazione, caratterizzato dalla certezza del fine, era subentrato un tempo terreno «impuro» e incerto, denso di «ansie mai soddisfatte e vissuto come una perpetua e inquieta “tensione” dell’anima verso un futuro minaccioso e ignoto». «Il tempo umano era fatto da incessanti tentativi di evitare la morte», e al suo cuore, per così dire, trovava posto «l’orologio del matrimonio», lo strumento principe nella lotta contro la paura della fine. Per Gregorio, dunque, «il modo migliore di vincere quella paura consisteva nell’evitare la specifica istituzione sociale che ne era l’esplicito frutto»; di qui l’ossessione per il celibato e il nubilato, la verginità, l’astinenza: «Nel cuore dell’individuo casto cessava finalmente il sonoro ticchettio emesso dall’orologio del tempo mondano».
Così, Macrina, di cui Gregorio acconsente a scrivere, «affinché una vita così luminosa non fosse ignorata e non rimanesse nell’oblio, senza profitto, l’operato di una donna che, in forza del suo vivere filosofico, raggiunse il più alto grado di virtù».                                                                                    
La prima immagine la coglie all’età di dodici anni, «quando, soprattutto, rifulge il fiore della giovinezza», e Macrina «nonostante la sua riservatezza, non riesce a tenere nascosta la propria bellezza». Siamo intorno al 340, Macrina infatti è nata probabilmente nel 328 a Cesarea di Cappadocia, nella ricca famiglia di Emmelia e di Basilio il Retore, un «esercito di santi» se si considera che seguono la vocazione religiosa cinque dei dieci figli, tra i quali appunto Gregorio e il grande Basilio. Alla morte – ecco – del pretendente scelto dal padre, Macrina, già molto addentro alle sacre scritture, sceglie la verginità, sostenendo che lo sposo promesso è soltanto «momentaneamente lontano», «in viaggio e non già defunto», che lo ritroverà dopo la resurrezione e che quindi non vede perché non debba restargli fedele.           
Il matrimonio, come accennato, era in quel contesto materia molto delicata, piena di risvolti economici, sociali e politici, ma la ragazza è irremovibile e convince anche la madre, cui è molto legata, «a rinunziare all’abituale esistenza molto agiata e ai servizi delle domestiche cui era stata avvezza sino ad allora». Dopo la morte del padre, all’età di circa vent’anni, Macrina lascia Cesarea e si ritira ad Annesi, in una proprietà di famiglia, dove fonda un asceterio che si trasforma presto in un vero e proprio monastero femminile, cui ne risulta affiancato anche uno maschile, poi affidato al fratello Pietro, l’ultimogenito. Alle consorelle Macrina detta una regola che purtroppo non si è conservata e sulla quale lo stesso Gregorio si diffonde brevemente. Libertà dalle passioni mondane, lavoro (pare che Macrina fosse particolarmente abile nel «lavoro della lana») e preghiera, preghiera continua e incessante: un’esistenza, commenta Gregorio, «sospesa a mezzo tra la natura umana e quella angelica». «Come le anime libere dai corpi in seguito a morte sono esenti dalle cure di questo mondo, così la loro esistenza era distaccata, del tutto lontana dalle vanità terrene e regolata in modo da imitare le vite degli angeli».
Anzi, azzarda Gregorio, forse si potrebbe dire addirittura che erano superiori a essi, perché comunque «vivevano nella carne, eppure non erano appesantite dal corpo: lievi, levandosi in alto, spaziavano per il firmamento in compagnia degli angeli».
È la morte della sorella, come si diceva, a «interessare» maggiormente Gregorio di Nissa. Morte di fronte alla quale si manifesta ancor più, ai suoi occhi, la grandezza di lei. Macrina aveva già mostrato «la sublimità del suo animo» in occasione della scomparsa, prematura, del fratello Naucrazio, quando «non solo conservò la calma rifuggendo da irrazionali manifestazioni di dolore, ma prestò valido soccorso alla madre che dava prova di debolezza, sollevandola dall’abisso di dolore in cui era caduta», poi di quella della stessa madre e infine di quella del fratello Basilio (quella del padre è menzionata di sfuggita). Sempre Macrina aveva resistito, «come un invitto atleta», ai colpi della sorte mantenendo lo sguardo sereno sull’oltre e, questo è ciò che preme a Gregorio, «levandosi al di sopra della natura medesima».
Ora è il suo turno. Gregorio lo apprende per caso. Sta andando a trovarla e incontra uno dei «servi» del monastero: «Domandai, allora, notizie della grande. La risposta fu che era in preda a grave morbo». Gregorio si affretta ad Annesi e si precipita nella cella di Macrina. Fratello e sorella si vedono, lei fa per tirarsi su (è stesa su «una tavola ricoperta da un sacco»), lui, «sorreggendole con le mani il volto inchinato a terra», la rimette sdraiata. Lei parla, «filosofando intorno alla natura dell’anima e spiegandoci la ragione della vita nella carne, e perché l’uomo è stato fatto e come egli è mortale», lui piange e si sente quasi «libero dai vincoli della natura umana».
Poi Macrina dice che sta meglio («né lo diceva per illuderci») e manda il fratello a riposarsi e rifocillarsi. Quindi sono di nuovo insieme e si abbandonano ai ricordi, «a partire dagli anni della giovinezza». Viene la notte. Salmi e preghiere, «tra un ansimare lieve, persistente». «A quella vista ero combattuto tra me e me da contrastanti sentimenti», ricorda Gregorio: «triste» perché di lì a poco non avrebbe  più udito la sua voce, «però entusiasta innanzi allo spettacolo che si offriva ai miei occhi, convinto che la vergine aveva varcato i confini della natura umana».
La sera dell’indomani Macrina muore. Seguono i primi riti, la vestizione, la notizia che si diffonde, il concorso di folla, l’esposizione della salma, la processione, la funzione, la sepoltura accanto alla madre: si fa il «tempo di pensare al ritorno».
La compostezza, la fortezza, la speranza sono il segno di questa cronaca minuziosa e consapevole dei posteri, ma a me sono rimasti impressi soprattutto due frammenti, incastrati fra tanto ritegno, una «cosa» sfuggita alle consorelle cui Macrina aveva sempre raccomandato il «decoro in ogni evenienza» e una confessione dell’autore: «Quando non fu possibile dominare più a lungo la sofferenza, come fuoco avvampasse nel profondo dei cuori consumandoli, [le religiose] mandarono un urlo straziante, irrefrenabile. Anch’io», aggiunge Gregorio, «non seppi contenermi».

Gregorio di Nissa, Vita di santa Macrina, a cura di E. Marotta, Città Nuova 1989.

Publié dans:Santi, Santi: memorie facoltative |on 14 janvier, 2013 |Pas de commentaires »

VANGELO DI OGGI: MARCO 1,14-20

http://www.nicodemo.net/NN/commenti_p.asp?commento=Marco%201,14-20

VANGELO DI OGGI: MARCO 1,14-20

14 Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: 15 «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo».
16 Passando lungo il mare della Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. 17 Gesù disse loro: «Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini». 18 E subito, lasciate le reti, lo seguirono.
19 Andando un poco oltre, vide sulla barca anche Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello mentre riassettavano le reti. 20 Li chiamò. Ed essi, lasciato il loro padre Zebedèo sulla barca con i garzoni, lo seguirono.

COMMENTO
Marco 1,14-20

L’inaugurazione del regno di Dio  
Il prologo del vangelo di Marco (1,1-13) termina con la tentazione di Gesù nel deserto. Dopo di esso l’evangelista riporta una sezione in cui descrive il ministero pubblico di Gesù in Galilea (1,14–3,35). Il materiale contenuto in questa sezione può sembrare a prima vista eterogeneo. Tuttavia a un’attenta analisi il quadro presentato dall’evangelista rivela una profonda unità. Il tema generale è indicato nel sommario iniziale (1,14-15), dove si riassume la predicazione di Gesù tutta incentrata sulla venuta imminente del regno di Dio. I brani successivi mostrano invece come questa predicazione sia stata accompagnata da gesti significativi che ne hanno manifestato la dinamica interna. In altre parole l’evangelista vuole mettere in luce l’impatto che l’apparizione di Gesù ha avuto in Galilea: Diversamente da Matteo, il quale riporta subito all’inizio del vangelo un discorso programmatico di Gesù («Discorso della montagna»), Marco attesta la venuta del regno di Dio da lui annunziato mediante il racconto delle sue opere straordinarie. Il testo liturgico riprende il sommario introduttivo (vv. 14-15) e la chiamata dei primi discepoli (vv. 16-20).
La predicazione in Galilea (vv. 14-15)
// Mt 4,12.17
Marco introduce la predicazione di Gesù in Galilea con due versetti che rappresentano il primo dei sommari di cui è ricco il secondo vangelo: «Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, predicando il vangelo di Dio, e diceva: Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel vangelo». La notizia secondo cui Gesù ha iniziato il suo ministero pubblico dopo l’arresto di Giovanni contrasta con il fatto che il quarto vangelo ricorda un’attività parallela dei due (cfr. Gv 3,22-24); d’altro canto Marco stesso narrerà solo in seguito l’arresto e la morte di Giovanni (6,17-29). È probabile che egli voglia qui separare nettamente l’opera del Battista da quella di Gesù per motivi più teologici che storici, mettendo così in luce una tendenza che sarà accentuata maggiormente da Luca (cfr. Lc 3,19-20; 16,16). Invece di recarsi in Giudea, zona densamente abitata da giudei, dove avevano sede le principali istituzioni giudaiche, Gesù torna in Galilea, sua terra d’origine. L’evangelista non ignora che in Is 8,23 essa è chiamata «Galilea delle genti» (Galilaia tôn êthnôn), appellativo che all’epoca di Gesù richiamava il carattere misto della sua popolazione (cfr. Mt 4,15).
Il termine «predicare» (keryssô), con cui è indicata l’attività di Gesù in Galilea, indica la proclamazione pubblica fatta da un araldo; con esso i cristiani indicavano l’annunzio della salvezza fatto dagli apostoli (cfr. At 8,5; Rm 10,8; 1Cor 1,23). L’espressione «vangelo (euanghelion) di Dio», appartiene anch’essa al linguaggio della prima comunità cristiana (cfr. Rm 1,1; 15,16; 2Cor 11,7) e indica non la buona novella che ha per oggetto Dio, ma quella che proviene da Dio stesso, in quanto autore della salvezza. Gesù si presenta dunque come colui che, in nome di Dio, annunzia la salvezza imminente (cfr. 2Cor 5,20). L’espressione «predicare il vangelo di Dio», pur rispecchiando il modo di esprimersi dei primi cristiani,  ha però profonde radici bibliche. Il verbo «evangelizzare» (euanghelizô) infatti è usato nella seconda e nella terza parte del libro di Isaia per indicare il lieto annunzio della prossima liberazione rivolto ai giudei esiliati in Mesopotamia e ai primi rimpatriati (cfr. Is 40,9; 52,7; 61,1).
Il lieto annunzio proclamato da Gesù è espresso con una frase molto concisa. Anzitutto egli afferma, con un linguaggio che si ispira all’apocalittica giudaica, che «il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino» (v. 15a): il «tempo» (kairos), cioè il periodo dell’attesa, che separa il momento attuale da quello finale e conclusivo della storia, è arrivato al termine; di conseguenza il «regno di Dio», cioè l’esercizio pieno e definitivo della sua sovranità divina in questo mondo, «è vicino» (enghiken), o meglio si è reso prossimo, sta per realizzarsi in questa terra. In altre parole sta ora iniziando il periodo finale della storia, caratterizzato dal fatto che Dio stesso interviene per far riconoscere e accettare pienamente la sua sovranità non solo su Israele, ma su tutta l’umanità.
Al tempo di Gesù li tema della regalità di JHWH era molto sentito nel giudaismo. Esso gettava le sue radici nell’esperienza primordiale di Israele, il quale attribuiva il titolo di re al Dio che lo aveva liberato dalla schiavitù d’Egitto. In questo contesto la regalità di Dio assumeva una dimensione di potenza, ma soprattutto di misericordia, e suscitava l’impegno per una liberazione interiore basata su norme di giustizia e di uguaglianza. Il periodo trascorso in esilio aveva conferito a questa esperienza un aspetto di universalismo e una forte dimensione escatologica: JHWH è re di tutta l’umanità, ma non ha ancora rivelato pienamente la sua sovranità, cosa che farà quanto prima sconfiggendo in modo definitivo le potenze diaboliche, identificate spesso con l’impero romano, oppressore dei giudei. Gesù afferma dunque che questa attesa apocalittica, in tutta la sua dimensione universalistica, sta per essere adempiuta: egli si riserva però di spiegare con più precisione le modalità con cui ciò avverrà.
All’annunzio del lieto messaggio riguardante l’azione escatologica di Dio fa eco un invito: «convertitevi e credete nel vangelo» (v. 15b). Come già aveva fatto Giovanni Battista, Gesù invita i suoi ascoltatori a «convertirsi» (metanoein, cambiare mente) cioè, in base al linguaggio ebraico sottostante, a «ritornare» a Dio cambiando mentalità e sottomettendosi una volta per tutte alla sua sovranità; ma per fare ciò è necessario «credere (pisteuô) nel vangelo», cioè aprirsi al lieto annunzio ed essere disposti a basare su di esso tutta la propria vita.
I primi discepoli di Gesù (vv. 16-20)
// Mt 4,18-22 // Lc 5,1-11
Il primo gesto compiuto da Gesù dopo il suo ritorno in Galilea è stato, secondo Marco, la chiamata di alcuni discepoli, che ebbe luogo mentre Gesù stava «passando lungo il mare di Galilea», cioè il lago di Genezaret. Luca invece inquadra la loro vocazione in un contesto di miracolo, la pesca miracolosa (cfr. Lc 5,1-11). I primi chiamati sono due fratelli, Simone e Andrea, i quali stanno svolgendo il loro lavoro di pescatori (v. 16). Per la loro professione, che precludeva loro un’osservanza precisa e costante della legge, essi appartenevano a quello che i farisei chiamavano con disprezzo il «popolo della terra». È significativo che uno dei primi due, Andrea, porti un nome greco; ma anche il nome dell’altro, Simone, è una trasposizione greca di Simeone.
Ai due Gesù rivolge l’invito: «Seguitemi; vi farò diventare pescatori di uomini» (v. 17). È dunque lui che prende l’iniziativa, chiamandoli al suo seguito. Il significato simbolico della pesca può essere ricavato da un brano di Geremia (16,16) in cui si tratta in realtà dell’invio di Israele in esilio, ma che, letto alla luce del versetto precedente, poteva alludere alla raccolta degli esuli in vista del ritorno nella terra promessa. Da questo parallelo si ricava che ciascuno dei prescelti, sotto la guida di Gesù, dovrà diventare un centro di aggregazione per altre persone disposte ad accettare il regno di Dio. In altre parole essi dovranno lasciarsi coinvolgere nel progetto di Gesù, per annunziare con lui la venuta del regno di Dio e per chiamare tutto Israele alla conversione e al perdono.
All’invito perentorio di Gesù i primi due chiamati lasciano «subito» (euthys), senza tergiversare, le loro reti, che rappresentano tutto il loro avere, e lo seguono (v. 18); il verbo «seguire» (akoloutheô) rievoca l’esperienza di Israele, che nell’esodo si è lasciato guidare da JHWH e ha preso l’impegno di «camminare nelle sue vie» (cfr. Dt 10,12). Essi rispondono, come aveva fatto Abramo, con una silenziosa obbedienza, abbandonando le proprie sicurezze e affrontando un cambiamento radicale di vita.
Lo stesso invito è rivolto anche a un’altra coppia di fratelli, Giacomo e Giovanni, ugualmente pescatori, i quali seguono Gesù lasciando il loro padre Zebedeo nella barca con i garzoni (vv. 19-20): anche qui appare la radicalità di un gesto che implica l’abbandono non solo di una persona cara, il padre, ma anche di una piccola impresa a gestione familiare, in cui la presenza di garzoni è segno inequivocabile di una certa prosperità.

LINEE INTERPRETATIVE
L’annunzio di Gesù è un «vangelo» in quanto mette in primo piano non ciò che gli uomini devono fare per ottenere il favore di Dio, ma ciò che Dio stesso sta facendo per coinvolgere il suo popolo in un grande progetto di liberazione, che trova nell’antica idea della regalità di Dio il suo carattere distintivo. È significativo il fatto che Gesù annunzia non se stesso e le sue prerogative, ma l’opera di Dio in un mondo dominato da potenze che ne impediscono l’attuazione. Agli ascoltatori egli chiede di convertirsi, cioè di lasciarsi coinvolgere, di non opporre resistenza all’azione di Dio in questo mondo.
La chiamata dei primi discepoli mostra qual era la risposta che Gesù si aspettava quando annunziava la venuta del regno di Dio e invitava alla conversione. L’evangelista sottolinea come la loro chiamata sia dovuta esclusivamente a Gesù, il quale sceglie egli stesso uomini adulti e maturi, impegnati in una precisa attività professionale. Così facendo egli si distacca dai dottori della legge i quali non sceglievano, ma accoglievano giovani studenti che facevano richiesta di essere guidati nello studio della legge. Il fatto che i prescelti siano semplici pescatori mette ulteriormente in luce la gratuità della loro vocazione e al tempo stesso mostra come Gesù, cominciando dagli ultimi, voglia veramente arrivare a tutto il popolo.
I primi chiamati dovranno essere «pescatori di uomini». Ciò significa che essi rappresentano il nucleo centrale intorno al quale e per mezzo del quale dovrà radunarsi l’Israele degli ultimi tempi. Dal punto di vista storico la chiamata dei primi discepoli non può essere avvenuta se non dopo un certo periodo, quando cioè Gesù era già noto in forza della sua predicazione: e di fatti Luca la situa in un momento successivo (Lc 5,1-11). Il fatto che Marco ponga questo episodio subito all’inizio della sua attività rivela un interesse non tanto biografico, quanto piuttosto teologico: il regno di Dio annunziato da Gesù manifesta la sua vera natura ed efficacia anzitutto nell’aggregazione di persone disposte ad assumerlo su di sé e ad accettarne tutte le conseguenze. Il racconto della vocazione dei primi discepoli trasmesso da Giovanni (Gv 1,35-51) si distacca da quello di Marco, in quanto il quarto evangelista, più che i fatti, intende mettere in luce il significato teologico della vocazione.

IL Battesimo del Signore

IL Battesimo del Signore dans immagini sacre baptemeJesus

http://www.vazy-jetecrois.com/spip.php?article514

Publié dans:immagini sacre |on 13 janvier, 2013 |Pas de commentaires »

QUELLA SERA DI NATALE DEL 1886 – PAUL CLAUDEL: COLPITO DAL CANTO DEL MAGNIFIICAT…

http://www.stpauls.it/madre/1111md/incontri.htm

(forse l’ho già messo, ma è bello e lo propongo – o ripropongo)

INCONTRI CON MARIA

 di MARIA DI LORENZO

QUELLA SERA DI NATALE DEL 1886

PAUL CLAUDEL:: COLPITO DAL CANTO DEL MAGNIFIICAT, «IN UN ISTANTE IL MIO CUORE FU TOCCATO E IO CREDETTI»…

«C’è una cosa, Dio supremo, che Tu non puoi fare. / Ed è di impedire che io Ti ami». L’amore radicale, oseremmo dire bruciante, che il poeta nutre nei confronti di Dio è espresso da due versi fulminanti in cui la supplica si fa assoluta. Paul Claudel nella primavera del 1900, all’età di 32 anni, si era presentato all’abbazia benedettina di Solesmes, e qualche mese più tardi a quella di Ligugé, per un ritiro. Maaveva compreso di non essere fatto per la vita monastica. «Fu un momento molto crudele nella mia vita», scrive a Louis Massignon nove anni dopo. «Benché non sia piaciuto a Dio di farmi uno dei suoi preti, amo profondamente le anime», dirà ad André Gide con cui, insieme a Jacques Rivière, fonderà La Nouvelle Revue française (1909).
Da questo momento Claudel decide di praticare la letteratura come una sorta di sacerdozio. Sente che è questa la sua missione. E per guadagnare le anime a Dio mette in scena le questioni morali e spirituali proprie del cattolicesimo testimoniando i piani divini attraverso le realtà terrestri. A tutt’oggi è riconosciuto come uno dei massimi autori francesi del Novecento e le sue opere teatrali sono ancora rappresentate con successo in tutto il mondo.
Una vocazione unica. Era nato a Villeneuve- sur-Fère il 6 agosto 1868 – giorno della Trasfigurazione, come lui stesso noterà anni più tardi – e alla nascita viene consacrato alla Vergine, come primo maschio. A Villeneuve resta solo due anni, poiché il padre, che era conservatore delle ipoteche, è costretto dal suo lavoro a continui trasferimenti, finché nel 1882, a 13 anni, si trasferisce a Parigi con la madre e le sorelle.
Al liceo Louis Le Grand è un allievo molto brillante: legge Baudelaire, scopre con passione Goethe, ma è verso il poeta Arthur Rimbaud che sente di avere una sorta di « filiazione spirituale », forse perché percepisce nel precoce genio letterario, sotto le apparenze di una vita da maudit, la sua stessa sete bruciante di assoluto. Anche Paul è un ribelle. Tutto gli dà noia. Tutto in quei primi anni giovanili, imbevuto com’è di idee positiviste, gli risulta intollerabile, la morte come la vita, la solitudine come la compagnia. Comincia a cercare delle risposte che sazino la sua fame esistenziale. Simpatizza con il movimento anarchico del suo tempo e inizia a frequentare i Martedì letterari di Mallarmé.
Dai quattordici ai vent’anni vive il tempo difficile della crisi adolescenziale. «Chi sono io?», si chiede il giovanissimo Paul, e non sa trovare risposta. In questo periodo, abbandonate le pratiche religiose dell’infanzia, non ha punti fermi nella sua vita. È introverso e solitario. Nessuno, in famiglia come nella cerchia di amici, sospetta la crisi profonda in cui è immerso. Legge molto, ma confusamente: i romanzi di Hugo, di Zola, La vie de Jésus di Renan. Al liceo Louis Le Grand imperversa la moda del positivismo materialista di Taine e di Renan che invece di placare acuisce la sua inquietudine interiore. Del mondo ha una visione tanto cupa e disperata che non ha il coraggio di comunicare ad anima viva. La prima luce gli viene dalla lettura dei versi di Rimbaud, poi accadrà quello che sarà l’evento decisivo della sua vita.
A diciotto anni, la sera di Natale del 1886, Paul va ad ascoltare i Vespri a Notre- Dame e lì avviene il « giro di boa », una conversione così potente che imprimerà un segno fortissimo non solo alla sua anima, ma finirà per avvolgere e racchiudere tutta la sua esperienza letteraria. Colpito dal canto del Magnificat durante la funzione dei Vespri, avverte il sentimento vivo della presenza di Dio. «In un istante – scrive – il mio cuore fu toccato e io credetti».
Claudel in quell’istante si è sentito chiamato inequivocabilmente alla scrittura. Si può dire che solo ora comincia la sua attività letteraria, che non sarà mai disgiunta dal suo percorso di fede, ma costituirà un tutt’uno con esso, divenendone per questo strumento di conoscenza e di espressione artistica.
Tre anni dopo pubblica l’opera teatrale Testa d’oro. «Certamente – gli dirà Mallarmé – il teatro è in lei». Ma Paul in quegli anni decide di impegnarsi soprattutto nel diritto e nelle scienze politiche; superato un concorso, comincia a lavorare presso il Ministero degli affari esteri. Viene nominato viceconsole e mandato a New York, successivamente a Boston (1893). Lì stabilisce quella che sarà la sua regola di vita: sveglia ogni mattina alle 6 per pregare o recarsi a Messa; lavori personali fino alle 10, il resto del tempo dedicato alla diplomazia.
Scrive due nuove pièces, La città e Lo scambio, in cui esprime la sua scoperta della città e della società del profitto. Sente di aver trovato nel poema e soprattutto nel teatro la sua personale forma espressiva. Il suo stile è impetuoso, passionale, quasi violento, a tratti impenetrabile. Pensiamo per esempio al primo abbozzo del dramma La giovane Violaine che nasce da una antitesi potente, e irrisolta, tra cielo e terra, tra l’attaccamento profondo alle cose del mondo e il desiderio ineludibile di Dio, che nessuna brama terrena, appagata o no, può mai riuscire a saziare.
Un’opera magistrale per il sì di Maria. A 27 anni s’imbarca per la Cina. Su consiglio del suo confessore, porta con sé le due « summe » di Tommaso d’Aquino, che leggerà per cinque anni. Qui scrive la prima parte di Conoscenza dell’Est, la sua prima opera in prosa, che i contemporanei definiscono come il massimo traguardo raggiunto dalla lingua francese. Nel 1909 lascia la Cina per andare a Praga: qui termina L’Annonce faite à Marie, una delle più belle pièces teatrali di tutti i tempi, che sarà rappresentata per la prima volta al Théâtre de l’Oeuvre di Parigi nel 1912, ricevendo un’accoglienza trionfale da un pubblico costituito soprattutto di giovani.
La pièce s’incentra su un tema particolarmente caro a Claudel: ogni essere umano vive nel mondo per volontà di Dio che ha affidato a ciascuno una missione specifica sulla terra. È un compito unico che ciascuno ha per sé, diverso da tutti gli altri, ma che concorre alla fine all’armonia di tutto il creato. Lo stesso titolo dell’opera ne spiega la portata: l’annuncio dell’Angelo a Maria fu il segno concreto della volontà divina che chiamava la giovane a una missione nel mondo che avrebbe non solo sconvolto la sua vita, ma cambiato radicalmente le sorti dell’intera umanità. È stato il manifestarsi, limpido e concreto, di una vocazione. L’Annuncio parte da questo dato per porre in luce l’errore che può compiere l’essere umano di fronte a questo, ritenendo che la propria vocazione dipenda in ultima analisi esclusivamente da se stessi.
Dopo la cessazione dall’attività diplomatica avvenuta nel 1935, Claudel si ritira nel suo castello di Brangues per dedicarsi intensamente all’esplorazione dei segreti e dei misteri di quella che per lui è la fonte di ogni poesia e di ogni grazia, la Bibbia, scrivendo numerosi commenti alla Sacra Scrittura: Introduction au Livre de Ruth (1937), Un poète regarde la croix (1938), Le Cantique des cantiques (1948-1954), L’Apocalypse (1952), solo per citare i più noti. Per il teatro realizza altre pièces, come La crisi meridiana, La scarpina di raso e l’oratorio drammatico Il libro di Cristoforo Colombo. Ma rimane L’Annuncio a Maria l’opera che Claudel amava di più. Quando, nel 1955, venne rappresentata alla Comédie française, si organizzò la replica nel suo appartamento. La prima ebbe luogo il 17 febbraio, di fronte al Presidente della Repubblica. Ma solo cinque giorni più tardi il cuore di Paul Claudel cedette. Morì infatti il 23 febbraio 1955, poco dopo aver ricevuto la Comunione. Le ultime parole che il figlio maggiore intese dalla sua bocca furono: «Non ho paura».

Maria Di Lorenzo

PAPA BENEDETTO: « CON IL BATTESIMO MANIFESTATE LA GIOIA DI APPARTENERE ALLA CHIESA »

http://www.zenit.org/article-34985?l=italian

« CON IL BATTESIMO MANIFESTATE LA GIOIA DI APPARTENERE ALLA CHIESA »

L’omelia di Benedetto XVI durante la Messa per la Festa del Battesimo del Signore

CITTA’ DEL VATICANO, Sunday, 13 January 2013 (Zenit.org).
Alle ore 9.45 di oggi, Festa del Battesimo del Signore, il Santo Padre Benedetto XVI ha presieduto nella Cappella Sistina la Santa Messa nel corso della quale ha amministrato il Sacramento del Battesimo a 20 neonati. Dopo la lettura del Santo Vangelo, il Papa ha pronunciato la seguente omelia:
***
Cari fratelli e sorelle!
La letizia scaturita dalla celebrazione del Santo Natale trova oggi compimento nella festa del Battesimo del Signore. A questa gioia viene ad aggiungersi un ulteriore motivo per noi che siamo qui riuniti: nel sacramento del Battesimo che tra poco amministrerò a questi neonati si manifesta infatti la presenza viva e operante dello Spirito Santo che, arricchendo la Chiesa di nuovi figli, la vivifica e la fa crescere, e di questo non possiamo non gioire. Desidero rivolgere uno speciale saluto a voi, cari genitori, padrini e madrine, che oggi testimoniate la vostra fede chiedendo il Battesimo per questi bambini, perché siano generati alla vita nuova in Cristo ed entrino a far parte della comunità dei credenti.
Il racconto evangelico del battesimo di Gesù, che oggi abbiamo ascoltato secondo la redazione di san Luca, mostra la via di abbassamento e di umiltà, che il Figlio di Dio ha scelto liberamente per aderire al disegno del Padre, per essere obbediente alla sua volontà di amore verso l’uomo in tutto, fino al sacrificio sulla croce. Diventato ormai adulto, Gesù dà inizio al suo ministero pubblico recandosi al fiume Giordano per ricevere da Giovanni un battesimo di penitenza e di conversione. Avviene quello che ai nostri occhi potrebbe apparire paradossale.
Gesù ha bisogno di penitenza e di conversione? Certamente no. Eppure proprio Colui che è senza peccato si pone tra i peccatori per farsi battezzare, per compiere questo gesto di penitenza; il Santo di Dio si unisce a quanti si riconoscono bisognosi di perdono e chiedono a Dio il dono della conversione, cioè la grazia di tornare a Lui con tutto il cuore, per essere totalmente suoi. Gesù vuole mettersi dalla parte dei peccatori, facendosi solidale con essi, esprimendo la vicinanza di Dio.
Gesù si mostra solidale con noi, con la nostra fatica di convertirci, di lasciare i nostri egoismi, di staccarci dai nostri peccati, per dirci che se lo accettiamo nella nostra vita Egli è capace di risollevarci e condurci all’altezza di Dio Padre. E questa solidarietà di Gesù non è, per così dire, un semplice esercizio della mente e della volontà. Gesù si è immerso realmente nella nostra condizione umana, l’ha vissuta fino in fondo, fuorché nel peccato, ed è in grado di comprenderne la debolezza e la fragilità. Per questo Egli si muove a compassione, sceglie di « patire con » gli uomini, di farsi penitente assieme a noi. Questa è l’opera di Dio che Gesù vuole compiere: la missione divina di curare chi è ferito e medicare chi è ammalato, di prendere su di sé il peccato del mondo.
Che cosa avviene al momento in cui Gesù si fa battezzare da Giovanni? Di fronte a questo atto di amore umile da parte del Figlio di Dio, si aprono i cieli e si manifesta visibilmente lo Spirito Santo sotto forma di colomba, mentre una voce dall’alto esprime il compiacimento del Padre, che riconosce il Figlio unigenito, l’Amato. Si tratta di una vera manifestazione della Santissima Trinità, che dà testimonianza della divinità di Gesù, del suo essere il Messia promesso, Colui che Dio ha mandato a liberare il suo popolo, perché sia salvato (cfr Is 40,2).
Si realizza così la profezia di Isaia che abbiamo ascoltato nella prima Lettura: il Signore Dio viene con potenza per distruggere le opere del peccato e il suo braccio esercita il dominio per disarmare il Maligno; ma teniamo presente che questo braccio è il braccio esteso sulla croce e che la potenza di Cristo è la potenza di Colui che soffre per noi: questo è il potere di Dio, diverso dal potere del mondo; così viene Dio con potenza per distruggere il peccato.
Davvero Gesù agisce come il Pastore buono che pasce il gregge e lo raduna, perché non sia disperso (cfr Is 40,10-11), ed offre la sua stessa vita perché abbia vita. E’ per la sua morte redentrice che l’uomo è liberato dal dominio del peccato ed è riconciliato col Padre; è per la sua risurrezione che l’uomo è salvato dalla morte eterna ed è reso vittorioso sul Maligno.
Cari fratelli e sorelle, che cosa avviene nel Battesimo che tra poco amministrerò ai vostri bambini? Avviene proprio questo: verranno uniti in modo profondo e per sempre con Gesù, immersi nel mistero di questa sua potenza, di questo suo potere, cioè nel mistero della sua morte, che è fonte di vita, per partecipare alla sua risurrezione, per rinascere ad una vita nuova. Ecco il prodigio che oggi si ripete anche per i vostri bambini: ricevendo il Battesimo essi rinascono come figli di Dio, partecipi della relazione filiale che Gesù ha con il Padre, capaci di rivolgersi a Dio chiamandolo con piena confidenza e fiducia: « Abbà, Padre ».
Anche sui vostri bambini il cielo è aperto, e Dio dice: questi sono i miei figli, figli del mio compiacimento. Inseriti in questa relazione e liberati dal peccato originale, essi diventano membra vive dell’unico corpo che è la Chiesa e sono messi in grado di vivere in pienezza la loro vocazione alla santità, così da poter ereditare la vita eterna, ottenutaci dalla risurrezione di Gesù.
Cari genitori, nel domandare il Battesimo per i vostri bambini, voi manifestate e testimoniate la vostra fede, la gioia di essere cristiani e di appartenere alla Chiesa. È la gioia che scaturisce dalla consapevolezza di avere ricevuto un grande dono da Dio, la fede appunto, un dono che nessuno di noi ha potuto meritare, ma che ci è stato dato gratuitamente e al quale abbiamo risposto con il nostro « sì ». È la gioia di riconoscerci figli di Dio, di scoprirci affidati alle sue mani, di sentirci accolti in un abbraccio d’amore, allo stesso modo in cui una mamma sostiene ed abbraccia il suo bambino.
Questa gioia, che orienta il cammino di ogni cristiano, si fonda su un rapporto personale con Gesù, un rapporto che orienta l’intera esistenza umana. È Lui infatti il senso della nostra vita, Colui sul quale vale la pena di tenere fisso lo sguardo, per essere illuminati dalla sua Verità e poter vivere in pienezza. Il cammino della fede che oggi comincia per questi bambini si fonda perciò su una certezza, sull’esperienza che non vi è niente di più grande che conoscere Cristo e comunicare agli altri l’amicizia con Lui; solo in questa amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana e possiamo sperimentare ciò che è bello e ciò che libera (cfr Omelia nella S. Messa per l’inizio del pontificato, 24 aprile 2005). Chi ha fatto questa esperienza non è disposto a rinunciare alla propria fede per nulla al mondo.
A voi, cari padrini e madrine, l’importante compito di sostenere e aiutare l’opera educativa dei genitori, affiancandoli nella trasmissione delle verità della fede e nella testimonianza dei valori del Vangelo, nel far crescere questi bambini in un’amicizia sempre più profonda con il Signore. Sappiate sempre offrire loro il vostro buon esempio, attraverso l’esercizio delle virtù cristiane. Non è facile manifestare apertamente e senza compromessi ciò in cui si crede, specie nel contesto in cui viviamo, di fronte ad una società che considera spesso fuori moda e fuori tempo coloro che vivono della fede in Gesù.
Sull’onda di questa mentalità, vi può essere anche tra i cristiani il rischio di intendere il rapporto con Gesù come limitante, come qualcosa che mortifica la propria realizzazione personale; «Dio viene visto come il limite della nostra libertà, un limite da eliminare affinché l’uomo possa essere totalmente se stesso» (L’infanzia di Gesù, 101). Ma non è così!
Questa visione mostra di non avere capito nulla del rapporto con Dio, perché proprio a mano a mano che si procede nel cammino della fede, si comprende come Gesù eserciti su di noi l’azione liberante dell’amore di Dio, che ci fa uscire dal nostro egoismo, dall’essere ripiegati su noi stessi, per condurci ad una vita piena, in comunione con Dio e aperta agli altri. « »Dio è amore; chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui » (1 Gv 4,16). Queste parole della Prima Lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l’immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino» (Enc. Deus caritas est, 1).
L’acqua con la quale questi bambini saranno segnati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, li immergerà in quella « fonte » di vita che è Dio stesso e che li renderà suoi veri figli. E il seme delle virtù teologali, infuse da Dio, la fede, la speranza e la carità, seme che oggi è posto nel loro cuore per la potenza dello Spirito Santo, dovrà essere alimentato sempre dalla Parola di Dio e dai Sacramenti, così che queste virtù del cristiano possano crescere e giungere a piena maturazione, sino a fare di ciascuno di loro un vero testimone del Signore. Mentre invochiamo su questi piccoli l’effusione dello Spirito Santo, li affidiamo alla protezione della Vergine Santa; lei li custodisca sempre con la sua materna presenza e li accompagni in ogni momento della loro vita. Amen.

Battesimo del Signore

Battesimo del Signore dans immagini sacre Baptism-of-Christ-by-Guido-Reni-1622

http://fireofthylove.com/2013/01/07/the-baptism-of-the-lord-it-is-fitting-for-us-to-fulfill-all-righteousness/

Publié dans:immagini sacre |on 11 janvier, 2013 |Pas de commentaires »

BATTESIMO E PRESENTAZIONE DEL SIGNORE – Risponde padre Edward McNamara

 http://www.zenit.org/article-34950?l=italian

BATTESIMO E PRESENTAZIONE DEL SIGNORE

Risponde padre Edward McNamara, L.C., professore di Teologia e direttore spirituale

ROMA, Friday, 11 January 2013 (Zenit.org).

Un lettore di lingua inglese ha posto la seguente domanda a padre Edward McNamara: Nella liturgia dopo il Natale, il Battesimo del Signore precede la festa della Presentazione al Tempio. Per quale motivo? — C.T., Johannesburg, Sudafrica
Padre McNamara ha risposto nel modo seguente:
La festa della Presentazione è legata al rito ebraico della purificazione della madre, la quale doveva avvenire secondo la legge di Mosè 40 giorni dopo la nascita di un figlio maschio (Levitico 12,2-6).
Per la legge ebraica, solo la madre aveva bisogno di essere purificata, ma come figlio primogenito Gesù doveva essere riscattato (Esodo 13,11 ss). Per questo motivo, la festa della Presentazione viene dunque celebrata esattamente 40 giorni dopo Natale, ossia il 2 di febbraio.
A fornire le prime notizie riguardanti la celebrazione di questa festività è Egeria, una donna che fece un lungo pellegrinaggio in Terra Santa verso l’anno 390. Anche se non menziona l’uso di candele, Egeria racconta nel suo Itinerarium che la predica fosse ispirata dalle parole di Simeone che definiscono Gesù “luce delle genti” (cfr. Luca 2,25 ss).
Da qui dunque l’usanza di accendere torce e ceri, come chiaramente attestata solo pochi decenni dopo in Egitto (circa 440) e a Roma (tra il 450 e il 457).
Più complessa è la storia della festa del Battesimo del Signore. Le origini della festa dell’Epifania (ἐπιφάνεια in greco significa “manifestazione” o “rivelazione”) sono da cercare tra i cristiani d’Oriente. Vengono celebrate insieme tre manifestazioni della divinità di Cristo: la sua manifestazione ai Magi, il suo battesimo nel Giordano, e le nozze di Cana, con il primo miracolo compiuto da Gesù.
Anche se nel rito romano della celebrazione dell’Epifania la manifestazione di Cristo ai Magi occupa un posto privilegiato, le preghiere della Messa e l’ufficio divino conservano ancora tracce di questo precedente triplice memoriale.
A Roma, probabilmente a causa di influenze bizantine, il battesimo di Nostro Signore, pur non essendo propriamente una festa, è stato commemorato in modo particolare nell’ottava dell’Epifania a partire dal secolo VIII. I principali uffici utilizzano gli stessi salmi del 6 gennaio, ma le antifone fanno riferimento al battesimo di Gesù.
L’ottava dell’Epifania, insieme a molte altre, fu soppressa da papa Giovanni XXIII nel 1960. Ma lo stesso Pontefice decise di dare maggiore importanza alla preesistente memoria del battesimo di Cristo, trasformandolo in una commemorazione speciale del Signore celebrata il 13 gennaio, l’ex ottava dell’Epifania.
La riforma liturgica dopo il Concilio Vaticano II ha fissato la festa del Battesimo del Signore nella domenica dopo l’Epifania, chiudendo in questo modo ufficialmente il periodo natalizio ed inaugurando il tempo ordinario.
Prima della riforma di Giovanni XXIII, il periodo natalizio si concludeva con la Presentazione. Questa festa rimane come una sorta di appendice al Natale, come testimoniano alcune tradizioni popolari, come lasciare il presepe fino al 2 febbraio, come è prassi in piazza San Pietro.
*I lettori possono inviare domande all’indirizzo liturgia.zenit@zenit.org. Si chiede gentilmente di menzionare la parola “Liturgia” nel campo dell’oggetto. Il testo dovrebbe includere le iniziali, il nome della città e stato, provincia o nazione. Padre McNamara potrà rispondere solo ad una piccola selezione delle numerosissime domande che ci pervengono.

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