RITORNARE A SAN PAOLO: PERCHÉ MORIRE È UN GUADAGNO
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RITORNARE A SAN PAOLO
di Angelo Colacrai, ssp
Perché morire è un guadagno
Paolo insegna la necessità di morire come e con Cristo. Chiunque accoglie Gesù, crocifisso, morto e sepolto, come il Cristo e Signore, accoglie il Figlio risorto, esaltato dal Padre.
La morte è solo una porta di ingresso nella Famiglia di Dio. Già celebrare comunitariamente l’Eucaristia, è koinonía con il Padre e il Figlio, primogenito fra molti fratelli. Per Paolo morire è guadagnare la vita quando è un donarsi come Gesù sulla croce; è lo spendersi e sopraspendersi come liturgo di Cristo, adempiendo la liturgia dell’annuncio perché la famiglia umana divenga offerta gradita, santificata dallo Spirito. Fare l’apostolo è versare la vita, portandosi addosso la morte di Gesù salvatore degli uomini.
Particolari della parete absidale mosaicata della Chiesa di San Paolo Apostolo di Barletta. Nella parte centrale c’è il crocifisso e davanti, stretto al crocifisso, si trova santo Stefano ferito dalle pietre della lapidazione che ancora stanno ai suoi piedi. A sinistra della croce giace il corpo di san Paolo. A destra, guardando la croce, in posizione speculare a san Paolo – caduto con le braccia anch’esse aperte sulla croce – si trova la piscina battesimale in forma di croce.
RITMO A DUE TEMPI
Paolo parla di morte, ma sempre in connessione alla risurrezione e alla vita nuova. Nell’articolazione del suo pensiero intenso, insieme umanistico e teologico, unisce tre termini che singolarmente presi hanno significati opposti.
Paolo riesce a superare questa contraddizione fondamentale del morire, allineandola, meglio facendone il principio di una vita nuova, eterna.
Nell’ordine alfabetico del testo greco, riporto l’elenco (quasi) completo dei termini con cui Paolo insegna il mistero pasquale: – athanasía, un termine usato 3 volte, significa « immortalità ». Nell’AT greco ricorre solo nell’apocrifo 4Mac 14,5; 16,13 e nel libro della Sap 3,4; 4,1; 8,13.17; 15,3. Paolo lo usa in 1Cor 15,53-54; 1Tm 6,16. Nel resto del NT, il termine è sconosciuto. – anazáo, 1 (Rm 7,9), « riprendo vita », indica l’azione del peccato, anch’esso vivo come una realtà micidiale.
– anástasis, 8 (Rm 1,4; 6,5; 1Cor 15,12-13.21.42; Fil 3,10; 2Tm 2,18), la « risurrezione »; – apothneisko, 42 (cfr. Rm 5,7; 6,10; 14,8; 2Cor 5,14-15) significa « muoio ». – aphtharsía, 7 volte nel corpus paulinum, significa « incorruttibilità »; è sconosciuta al resto del NT, mentre ricorre nell’AT greco (4Mac 9,22; 17,12; Sap 2,23; 6,18-19; Rm 2,7; 1Cor 15,42.50.53-54; Ef 6,24; 2Tm 1,10): la vita eterna, percepibile come incorruttibilità, è per coloro che, perseverando nelle opere di bene, dono di sé, cercano gloria e onore che sono attributi divini.
L’aggettivo áphthartos, 4 volte, in Rm 1,23; 1Cor 9,25; 15,52; 1Tm 1,17, significa « incorruttibile » ed è usato anche altrove nell’AT e nel NT (Sap 12,1; 18,4; Mc 16,8; 1Pt 1,4.23; 3,4). Di per sé riferito solo a Dio, Re dei secoli, mentre uomini e donne, animali e cose sono corruttibili o corrotti, pur potendo aspirare all’incorruttibilità della risurrezione come ad una corona regale. La vita dopo la morte è descritta fondamentalmente dal verbo egeíro, usato 41 volte da Paolo (cfr. Rm 4,24; 8,11; 1Cor 15,15-16; 2Cor 4,14; 2Tm 2,8) come il superamento della morte ingloriosa di Gesù crocifisso. Significa « io risorgo ».
Anche l’exanástasis, (solo in Fil 3,11), « risurrezione da » (dai morti) è termine paolino (cfr. il testo greco di Gn 7,4, dove ha un significato opposto: cancellazione degli uomini dalla faccia della terra) come conseguenza immediata del conformarsi alla morte di Gesù.
Anche exegeíro (in Rm 9,17; 1Cor 6,14), « risorgo da », è usato, solo da Paolo nel NT, per indicare la risurrezione dei credenti basata sulla risurrezione del Signore ad opera del Padre.
Davvero conosciamo Cristo crocifisso e Dio che lo esalta, morendo apostolicamente.
La morte, cioè, compresa l’esecuzione di una condanna, è un’esperienza cristiana imprescindibile: il termine epithanátios, (1Cor 4,9), « condannato a morte », è autobiografico per Paolo, che, assieme agli altri apostoli come lui, è messo all’ultimo posto.
La morte per scomunica è dunque la migliore, come per Gesù, quella che garantisce la vita nuova. Il verbo záo, « io vivo », è usato almeno 59 volte da Paolo (cfr. Rm 1,17; 6,2; 8,13; 14,8-9; 2Cor 5,15; 13,4; Gal 2,20), per rivelare come « il giusto », o il credente nella croce, viva di fede « per Dio in Cristo Gesù », Signore dei morti e dei vivi – mentre godersi la vita « secondo la carne », vivendo per se stessi, non ha un futuro oltre il proprio io. La « vita » zoa, 37 volte nel corpus paulinum (cfr. 2Cor 2,16; Gal 6,8) indica sia quella presente che la futura. Il verbo zoiogonéo, (1Tm 6,13), « do vita », può usarlo in prima persona, davvero solo Dio mentre zoiopoiéo (Rm 4,17; 8,11; 1Cor 15,22.36.45; 2Cor 3,6; Gal 3,21), « faccio vivere », è almeno in un caso, riferito anche all’ultimo Adamo, a Gesù risorto che divenne e resta per sempre « spirito datore di vita ».
Morire da cristiani e da apostoli, come Paolo, è dunque una necessità. Il sostantivo maschile thánatos, la « morte » (cfr. Rm 5,12; 7,13; 1Cor 15,55; 2Cor 2,16), domina sovrana la storia degli uomini soprattutto dell’AT, fino alla morte sulla croce di Gesù. Il verbo thneisko, 1 (solo in 1Tm 5,6), « muoio », indica la morte di una giovane vedova che si abbandona ai piaceri della vita da single; thnetós (Rm 6,12; 8,11; 1Cor 15,53-54; 2Cor 4,11; 5,4) ricorda quanto ciò che è umano è « mortale ».
MA MORIRE DA CRISTIANI CHE SIGNIFICA?
Nel NT, e anche in Paolo, è usato koimáomai (1Cor 7,39; 11,30; 15,6.18.20.51; 1Ts 4,13-15), da cui la parola « cimitero ». Questo verbo ci induce a considerare la morte come un sonno, « io mi addormento » – anche se la CEI, e non ne comprendo il perché, drammatizza con « io muoio », per Cristo, risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti (= che si sono addormentati).
La morte è comunque una realtà che riduce progressivamente la vitalità personale. Paolo usa infatti anche l’aggettivo nekrós, 43 (cfr. Rm 1,4; 8,11; 1Cor 15,12.29; 2Tm 4,1), « necrotico » e il sostantivo nékrosis (in Rm 4,19; 2Cor 4,10), « necrosi » pensando al corpo del vecchio Abramo e al grembo seccato e sterile della moglie Sara, dai quali, però, per grazia sarà generato Isacco, il figlio della promessa. È però la necrosi di Gesù, sulla croce svuotato della sua dignità, vitalità, giovinezza, che Paolo fa sua nel compimento della missione. Solo questa necrosi, evangelica e apostolica, garantisce la rivelazione di Gesù risorto, Signore della vita.
Paolo inventa il suo linguaggio per indicare questa connessione esistenziale tra morte e vita. Solo lui, in tutta la Bibbia, usa syzáo in Rm 6,8; 2Cor 7,3; 2Tm 2,11, « convivo », per dire che se siamo con-morti con Cristo, in quanto con-crocifissi apostolicamente insieme a lui, crediamo che con-vivremo con lui.
IL MERITO DI UN ESSERE UMANO È CONFORMARSI FEDELMENTE ALLA MORTE DI GESÙ.
Paolo usa anche syzoopoiéo (in Ef 2,5; Col 2,13), « faccio con-vivere » assieme a synapothneisko (in 2Cor 7,3; 2Tm 2,11) « muoio con ». Il contrario è synegeíro, 3 (Ef 2,6; Col 2,12; 3,1), « risorgo con »: chi muore con Cristo risorge con lui.
L’ultimo termine che registriamo in questa lista, è phthartós, in Rm 1,23; 1Cor 9,25; 15,53-54: indica l’essere « soggetto a corruzione ». il corpo,anche quello di Paolo, è corruttibile ossia mortale; ma alla fine si veste d’incorruttibilità e d’immortalità.
Morire con e come Cristo – e vivere e morire come Paolo per la nostra Famiglia Paolina – è una necessità, ma anche merito nella prospettiva dell’esaltazione nella vita stessa del nuovo Adamo, spirituale e immortale, come quella del Padre. Ci è dunque necessario morire per vivere secondo il ritmo delle feste di Pasqua.
LA VITA COME COMPIMENTO
Il Padre chiama all’esistenza figli e cose che ancora non sono e, parallelamente, dà vita a chi, come Abramo e Sara, sono necrotizzati, per generare Isacco, figura di Cristo. Per Abramo, la vita è promessa divina, mantenuta (Rm 4,17) mentre nel corpo sta avanzando la morte.
Credere in Dio Creatore è presupposto della fede cristiana, essendo già fiducioso abbandono in « Colui che ha risuscitato dai morti Gesù, nostro Signore ».
LA VIA DIPENDE DAL PADRE E DAL FIGLIO
Per Paolo proclamare la croce è necessario come primo tempo di un ritmo pasquale, quello della promessa che Dio manterrà. Il secondo, della definitiva giustizia che è virtù divina, è appunto quello della risurrezione. Se la vita è compimento di una promessa, o di un patto fedele, la morte è necessaria all’apostolo.
Se, infatti, quand’eravamo nemici, – ragiona Paolo – siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati saremo salvati mediante la sua vita (Rm 5,10). Gesù muore per fedeltà.
Infatti se per la caduta di uno solo, la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo (Rm 5,17).
La morte obbediente, apostolica, di Gesù è principio di vita nuova. Se per il battesimo siamo stati sepolti con lui nella morte, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, anche noi possiamo camminare, per sempre, in una vita nuova (cfr. Rm 6,4).
La morte di Gesù è inscindibile dalla vita. Se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti, più non muore; la morte non ha potere su di lui. Se Gesù mori, mori per il peccato una volta per tutte; ora vive e vive per Dio e da Dio, per sempre. La morte è finita. Perché se mediante la morte di Cristo, anche noi siamo messi a morte per quanto riguarda la Legge e i precetti, già apparteniamo a un altro Signore, risuscitato dai morti (cfr. Rm 7,4). È la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù. È lo Spirito la stessa vita del Risorto che ci ha liberato dalla legge del peccato e della morte (Rm 8,2).
DISANGUIBAZIONE FINALE
Sempre in Romani, Paolo usa « morte » e « vita » solo a partire dal Crocifisso Risorto. Se la carne di per sé tende alla morte, lo Spirito tende alla vita e alla pace. Ora, se Cristo è in noi, il corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita filiale e fraterna. E se lo Spirito che ha risuscitato Gesù dai morti abita in noi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà vita anche a corpi mortali per mezzo dello Spirito che pure abita in noi.
Per Paolo, la vita è spirituale. Infatti, « se vivete secondo la carne, morirete. Ma se, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete ».
La vita è un’indissolubile connessione, la nuova alleanza con Dio in Cristo. « Io sono infatti persuaso – sostiene Paolo – che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che e in Cristo Gesù, nostro Signore » (Rm 8,38-39). La vita è fedeltà del Creatore e del Salvatore; è relazione familiare, filiale e fraterna con Dio, che non muore.
CAMBIO DI PROSPETTIVA
La vita, ma anche la morte, per Paolo sono termini apostolici. La missione da compiere è diventare per alcuni odore di morte per la morte e per altri odore di vita per la vita (cfr. 2Cor 2,16). Un giudizio è necessario per un ministro della nuova alleanza, – non però della lettera ma dello Spirito; perché la lettera (la Legge) produce la morte, lo Spirito invece dà vita – portando sempre e dovunque nel corpo la morte di Gesù, perché anche la sua vita si manifesti. Poco importa, al presente, l’essere consegnati alla morte; questo avviene perché la vita del Cristo si manifesti. Cosicché se nel ministro agisce la morte, parola della croce, in chi l’accoglie si rivela il Risorto.
VIVERE È CRISTO
La morte dell’apostolo è vangelo. Nella 1Ts, Paolo invita ad attendere il Figlio, che il Padre ha risuscitato, Gesù, che ci libera dall’ira che viene. Vivere è attendere la morte come un incontro definitivo, nuziale. Se crediamo nel vangelo pasquale, allora Dio radunerà con suo Figlio coloro che sono morti. Gesù si è consegnato alla morte perché, « sia che noi vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui » (1Ts 5,10).
E quando il nostro corpo si sarà « abbigliato », anch’esso d’immortalità, si compirà la festa promessa dalla Scrittura: La morte è stata inghiottita nella vittoria (1Cor 15,54). Allora anche la morte degli apostoli sarà una buona notizia, un annuncio magari in sordina, del Signore che viene, come via, verità e vita per chi lo sta aspettando scomparendo un tantino ogni giorno.
Angelo Colacrai, ssp
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