Archive pour janvier, 2013

Presentazione del Signore

Presentazione del Signore dans immagini sacre presentation

http://claanews.com/2012/02/01/hymns-for-the-feast-of-the-presentation-of-our-lord-liturgy-of-the-hours/

Publié dans:immagini sacre |on 31 janvier, 2013 |Pas de commentaires »

2 FEEBBRAIO: PRESENTAZIONE DEL SIGNORE AL TEMPIO

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2 FEEBBRAIO: PRESENTAZIONE DEL SIGNORE AL TEMPIO

Paolo VI ha restituito a questa festività il significato liturgico di un tempo, quando tutta la Chiesa (specialmente nelle antiche liturgie orientali) ricordava che quaranta giorni dopo la nascita, il Signore Gesù si trova nel tempio con il Dio dei suoi padri, compiendo così la prima offerta rituale della sua vita terrena e incontrando, nello stesso tempo, il popolo dei credenti nelle persone di Simeone e Anna, unici testimoni della sua grande manifestazione. È sorprendente il contrasto fra il modesto comportamento dei genitori di Gesù, preoccupati di rispettare scrupolosamente la “Legge” riguardo ai primogeniti, e la densità teologica dell’evento percepito nella fede dai due anziani personaggi. La Liturgia di questa festività approfondisce questa intuizione di fede, ricordando come il mistero della redenzione ha liberato dal “male” tutta l’umanità; infatti, già nell’antifona d’inizio è affermato: “Abbiamo accolto, o Dio, la tua misericordia in mezzo al tuo tempio”.
Nella prima lettura il profeta Malachia annuncia un messaggero che prepara il “giorno del Signore” quando Dio ritornerà tra il suo popolo come giudice, per ristabilire l’autentica alleanza di un tempo. Nella seconda lettura, l’autore della lettera agli Ebrei afferma che è Gesù Cristo colui che rinnova l’alleanza salvando ogni credente con la sua “condizione umana”; questa “assunzione” d’umanità è il supremo atto della sua immensa misericordia. La pagina evangelica descrive Gesù come colui che Dio ha destinato alla salvezza dell’intera umanità; il “canto” di Simeone lo afferma chiaramente (I miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele).

PRIMA LETTURA
Dal libro del profeta Malachia 3,1-4
-Così dice il Signore Dio: «Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate; l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, ecco viene, dice il Signore degli eserciti. Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’oblazione secondo giustizia. Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani».
In questa parte del suo libro, il profeta Malachia, dopo aver rimproverato i sacerdoti del tempio per il loro formalismo nella celebrazione del culto, e l’incapacità di offrire un vero sacrificio a JHWH, annuncia l’imminente venuta del “giorno del Signore” che vedrà Dio stesso, come giudice, stabilire una nuova liturgia a lui gradita. Malachia riprende e precisa la profezia del ritorno del Signore nel suo tempio che avverrà come per un grande re, preceduto da messaggeri con il compito di redimere spiritualmente il popolo. Alcuni studiosi vedono in questi messaggeri di JHWH l’immagine del profeta Elia, atteso dal popolo eletto per preparare la venuta del Signore mediante la riconciliazione dei cuori; altri, invece scorgono Giovanni il Battista, la “voce proclamante” l’avvento del Signore che, come “angelo dell’alleanza”, stabilirà il nuovo patto promesso dal Profeta Geremia.
Per la Chiesa, il giorno del Signore è la venuta del Cristo che riconcilia gli uomini con il Padre. Non è facile, però, riconoscere il “giorno del Signore” e sentire il “suo essere” se il cuore non è “puro” e riconciliato con Dio; il peccato, infatti, allontana l’uomo dal suo creatore e causa la perdita della sua amicizia. Il “giudizio” del Signore è continuamente presente nell’animo umano, perché il “suo giorno” è una realizzazione spirituale interiore e perpetua che giudica incessantemente ogni comportamento. Tommaso d’Aquino, in una delle sue pagine più belle, afferma: “Mentre l’amore umano tende ad impossessarsi del bene che trova nel suo oggetto, l’amore divino crea il bene nella creatura amata”. Un concetto molto bello che può essere realizzato solo in un cuore completamente aperto e disponibile al Signore, che sappia seguire i nuovi Elia ed i nuovi Battista presenti nella Chiesa; essi sono coloro che come il Santo Padre, con moniti e richiami, cercano di preparare gli uomini all’incontro escatologico con il Signore, sono gli angeli inviati da Dio quale segno della sua sollecitudine per attirare ogni credente nel Regno preparato da sempre per la sua creatura più cara.

SALMO RESPONSORIALE
Dal Salmo 23
-Vieni, Signore, nel tuo tempio santo.
Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi, porte antiche, ed entri il re della gloria.
Chi è questo re della gloria? Il Signore forte e potente, il Signore potente in battaglia.
Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi, porte antiche, ed entri il re della gloria.
Chi è questo re della gloria? Il Signore degli eserciti è il re della gloria.
Questo bellissimo Salmo è una solenne epifania del Signore di tutto l’universo, il Dio degli eserciti celesti; esso è scandito come una marcia che accompagna la processione sacra verso Gerusalemme, la città Santa. Dopo aver celebrato la signoria suprema di JHWH sul creato, il corteo si arresta davanti al Tempio del Signore dove le porte sono invitate a spalancarsi, sollevando i loro frontoni e i loro archi per accogliere il Re della Gloria.
Il Salmo è, in ogni sua parte, una bellissima ode al Signore (probabilmente un ricordo della processione con l’Arca dell’alleanza) che, come ricorda Plinio il Giovane in una sua lettera a Traiano (103 d.C.) anticamente era recitata nella Liturgia cristiana dell’aurora. Padre David Maria Turoldo ispirandosi a questo Salmo ha scritto: “Pure se il velo del Tempio si è rotto alla sua morte e la Presenza ora si posa sopra un patibolo, anche se più non credete, o pellegrini, aiutateci a cantare ad altra gloria”.  

SECONDA LETTURA
Dalla lettera agli Ebrei 2,14-18
Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Gesù ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e fedele nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti, proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova.
L’autore della lettera agli Ebrei, dopo aver delineato la realtà della mediazione unica e perfetta di Cristo, in questa parte della sua epistola chiarisce le “modalità” e gli “effetti” di tale intervento divino. Gesù ha indicato la via della salvezza a tutta l’umanità, non con una semplice manifestazione di solidarietà, ma vivendo l’umana condizione al limite estremo delle sue possibilità (l’unica realtà umana non assunta da Cristo fu il peccato). La conseguenza di tale redenzione è stata la liberazione dalla “schiavitù” della morte, principale espressione del potere del male sull’uomo; la morte di Cristo ha donato a tutta l’umanità, per la prima volta nella storia, la possibilità di vivere in una perfetta adesione a Dio, che con vero amore e misericordia può, così, rimanere vicino al “suo popolo” nell’esperienza delle quotidiane debolezze.
Questo “suo popolo”, per il quale Cristo ha esercitato il sommo sacerdozio con la sua passione e la sua vittoria sulla morte, sono tutti coloro che credono nella sua “Parola” e la diffondono tra gli altri. Essi non sono più morti (nel peccato), perché Cristo è risorto; non sono più deboli, perché Cristo è forte; non sono più paurosi di fronte al nemico (il maligno), perché Cristo è il vincitore. Tuttavia non è possibile dimenticare la triste esperienza umana la cui storia, anche quella individuale, parla di debolezza, di infedeltà, di vigliaccheria, di resa di fronte al nemico; parla soprattutto di peccato. Esiste un misterioso legame tra la potenza di Cristo e la disponibilità dell’uomo per vincere il peccato e ottenere la salvezza, non solo quella finale ma anche quella della quotidiana esistenza; esso (il legame) è la mano di Cristo continuamente tesa verso l’uomo e la volontà dell’uomo che, purtroppo, può anche rifiutare di stringere quella mano salvatrice.

IL VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca 2,22-40
Quando venne il tempo della purificazione secondo la Legge di Mosè, (Maria e Giuseppe) portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: “Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore”; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d’Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio. «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima». C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero tutto compiuto secondo la Legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazareth. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.
Ai tempi di Gesù il tempio era il luogo del sacrificio, della purificazione, dell’adorazione di JHWH e per ogni israelita un obbligo di fede. La presentazione al tempio avveniva per “essere riscattati” perché, secondo la “Legge di Mosè”, ogni primogenito maschio apparteneva al Signore e poteva essere “riavuto dai genitori” con l’offerta di due animali (le due tortore erano il riscatto per il povero) che erano sacrificati con un olocausto cruento perché, come è affermato nel Pentateuco, il sangue versato in sacrificio è principio di vita, rende immondi e purifica anche le puerpere. Questa legge, imposta ad ogni figlio d’Israele, coinvolge anche Gesù che con Maria e Giuseppe entra per la prima volta nel tempio; un evento nel quale lo studioso Giosuè Boesch vede la realizzazione di tre realtà di grande valore teologico: il Signore è entrato nel suo tempio, adempiendo la profezia di Malachia, Israele è purificato in Maria da tutto il sangue versato dai profeti uccisi, in Gesù il genere umano è riscattato e ogni uomo in lui è primogenito del Padre. Per testimoniare questo grande avvenimento, lo Spirito del Signore invita nel tempio Anna e Simeone, due persone che da lungo tempo attendevano l’arrivo del Messia.
Per il terzo Evangelista Gerusalemme è sempre la tappa ultima di un viaggio definitivo, o almeno significativo di Gesù; egli, anche se concepito a Nazareth, lontano dalla Giudea è “presentato” da Maria e Giuseppe nella città santa, nel tempio, nella casa della gloria del Padre, dove egli deve manifestare nella pienezza tutta quella gloria messianica che, in qualche modo, già preannuncia la sua gloria suprema e definitiva quando (come precisa sempre l’Evangelista Luca), dopo il quarantesimo giorno dalla sua Risurrezione entrerà definitivamente nel tempio del cielo. È significativo come Luca escluda completamente dalla scena i sacerdoti del tempio, e concentri invece l’attenzione su due persone apparentemente senza particolari qualifiche giuridico-cultuali (è il vero popolo d’Israele che in loro incontra il Signore); per l’evangelista non è la presentazione di Gesù nel tempio l’avvenimento più importante, ma la sua rivelazione nell’incontro con il suo popolo. Un’incontro di gioia che, unitamente allo Spirito santo, “apre” la bocca a Simeone in un cantico di fede e di amore (I miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele).
La profezia di Simeone coinvolge anche la madre nel destino del figlio (… e anche a te una spada trapasserà l’anima), un mistero che allude alla partecipazione di Maria alle sofferenze redentrici del Cristo, il servo di JHWH. A questo proposito il teologo Louis Soubigou in una sua riflessione afferma: “Anche se può stupire che la profezia di Simeone non sia indirizzata anche a Giuseppe, nel contesto della pagina lucana Maria è il simbolo o, meglio, la figlia di Sion nella quale è personificato il destino di Israele; la “spada che trapasserà il cuore” non è riferita solo alle sofferenze personali di Maria perché la croce sul Golgota sarà come una spada nella carne di tutta Israele. Maria, come figlia di Israele, è trafitta perché l’Israele, incarnato da Gesù, diventerà “il trafitto”, al quale molti leveranno gli sguardi per salvarsi”. Per questo la Chiesa vede nella festività della presentazione del Signore al tempio, madre e figlio (uniti) attuare il mistero di salvezza operato dal Cristo, nel quale la Vergine diviene l’esecutrice di quella stessa missione che doveva realizzare il popolo eletto, l’antico Israele; una missione che con Maria coinvolge anche il nuovo popolo di Dio (tutti i credenti) anche se costantemente provato nella fede. Maria è una donna povera e l’offerta dei poveri (due tortore) lo prova, ma è anche la “più ricca” di tutte le madri perché suo Figlio, anche se non le appartiene, è il Figlio di Dio. Nel tempio, infatti, inizia quel “distacco” che culminerà con l’affermazione di Gesù sulla croce: “Donna ecco tuo figlio”, dove egli non ha che Dio per Padre al quale affida il suo spirito.
In questo brano evangelico (più che altrove) Maria è la “figura” della Chiesa; essa soffrirà per il Figlio che ha partorito e per il Messia in cui crede. Lo scandalo della Croce coinvolge lei come madre più di ogni altra persona; anche se la sofferenza di Cristo si completa nella sua persona, è necessario che Maria e la Chiesa (della quale è figura) portino in loro la morte stessa di Cristo alla sequela del servo sofferente. Quindi, in questa festività che ricorda la presentazione al tempio di Gesù, sono presenti due aspetti apparentemente contrastanti (di lode e di imbarazzo): l’annuncio di Simeone della “liberazione”, non più attesa ma fatta “carne”, in un bambino che si può tenere in braccio dolcemente e ammirare (i miei occhi hanno visto la salvezza) e la dura profezia (Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima), che mette a nudo le contraddizioni di ogni uomo e di tutto un popolo. La profezia di Simeone è sempre attuale perché la “luce” rivela sempre le situazioni umane, le concessioni al male, e svela i continui compromessi. Ma la luce è anche via, orientamento, invito alla speranza e alla gioia per ogni uomo. Rimane ad ogni fedele la volontà di seguirla con fedeltà, con gioia, anche se un po’ di “spada nella carne” li farà sempre più simili a Maria, e a tutta la Chiesa.

Preghiera
Dio onnipotente ed eterno,
guarda i tuoi fedeli
riuniti nella festa della presentazione al tempio
del tuo unico Figlio fatto uomo,
e concedi anche a noi
di essere presentati a te
pienamente rinnovati nello spirito.

Amen.

(Giosuè Boesch)                                                                                                                

LA FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE (PONTIFICIO COLLEGIO GRECO SANT’ATANASIO – ROMA)

http://collegiogreco.blogspot.it/

PONTIFICIO COLLEGIO GRECO SANT’ATANASIO – ROMA

(Chiesa Cattolica di Rito Bizantino)

LA FESTA DELLA PRESENTAZIONE DEL SIGNORE

MARTEDÌ 2 FEBBRAIO 2010

Per annunciare ad Adamo che ho visto Dio fatto bambino

« Il quarantesimo giorno dopo l’Epifania è qui celebrato veramente con grande solennità ». Così la pellegrina Egeria, nella seconda metà del iv secolo, ci dà testimonianza della celebrazione a Gerusalemme, nella basilica della Risurrezione, della festa dell’Incontro del Signore, con la proclamazione del vangelo di Luca (2, 22-40). La festa del 2 febbraio è una delle Dodici Grandi feste dell’anno liturgico, e così la considera Egeria paragonandola quasi alla Pasqua. Tra i secoli v e vi viene celebrata ad Alessandria, Antiochia e Costantinopoli e, alla fine del vii secolo è introdotta a Roma da un Papa di origine orientale, Sergio i, che vi introdurrà anche le feste della Natività di Maria (8 settembre), dell’Annunciazione (25 marzo) e della Dormizione della Madre di Dio (15 agosto). Con il titolo di « incontro » (hypapànte) la Chiesa bizantina in questa festa vuol soprattutto sottolineare l’incontro di Gesù con l’anziano Simeone, cioè l’Uomo nuovo con l’uomo vecchio, e l’adempimento dell’attesa di tutto il popolo di Israele rappresentato da Simeone e Anna. La festa ha un giorno prefestivo e un’ottava. L’ufficiatura del giorno, molto ricca dal punto di vista cristologico, sottolinea il mistero dell’incontro del Verbo di Dio incarnato con l’uomo, « il nuovo bambino », « il Dio prima dei secoli » – come lo cantavamo a Natale – viene incontro all’uomo. Uno dei tropari del vespro è entrato anche come canto di offertorio della liturgia romana: « Adorna il tuo talamo, o Sion, e accogli il Re Cristo; abbraccia Maria, la celeste porta, perché essa è divenuta trono di cherubini, essa porta il Re della gloria; è nube di luce la Vergine perché reca in sé, nella carne, il Figlio che è prima della stella del mattino ». Nei testi dell’ufficiatura ci viene offerta tutta una raccolta di immagini bibliche applicate alla Madre di Dio con un retroterra chiaramente cristologico. Tipiche e bellissime risultano confessioni cristologiche in un costante gioco di contrasti: « Colui che portano i cherubini e cantano i serafini » eccolo « nelle braccia di Maria » e « nelle mani del santo vegliardo ». E Simeone, « portando la Vita, chiede di essere sciolto dalla vita », con un riferimento conclusivo direttamente pasquale: « Lascia che io me ne vada, o Sovrano, per annunciare ad Adamo che ho visto il Dio che è prima dei secoli fatto bambino ». L’ufficiatura del vespro prevede anche tre letture veterotestamentarie. La prima è tratta dai libri dell’Esodo (13) e del Levitico (12), con la presentazione e consacrazione a Dio dei primogeniti collegata alla festa della Presentazione di Gesù nel tempio il quarantesimo giorno dopo la sua nascita. Le altre due letture sono tratte dal profeta Isaia (6 e 12), con il tema della santità di Dio e della sua salvezza portata all’uomo.
La stessa icona della festa si fonda sui testi dell’Esodo, con la presentazione dei primogeniti, e soprattutto sul vangelo di Luca con l’incontro del Bambino con Simeone. L’icona mette in luce particolarmente l’incontro di Dio con l’uomo insistendo ancora una volta sul mistero dell’Incarnazione. La distribuzione iconografica è molto chiara: Gesù bambino al centro, poi ai lati, più vicini, Maria e Simeone, e poi Giuseppe e Anna. In fondo l’altare e il baldacchino che lo copre, richiamando la disposizione tipica dell’altare cristiano: baldacchino, altare ed evangeliario sopra. Bisogna sottolineare ancora la somiglianza tra Simeone e Anna, per disposizione e caratteristiche iconografiche, e Adamo ed Eva nell’icona pasquale della discesa di Cristo agli inferi: con lo stesso sguardo Simeone e Adamo, e Anna ed Eva si rivolgono a Cristo sia nell’una che nell’altra delle icone. In quella del 2 febbraio è Simeone che si china per accogliere e abbracciare Cristo; in quella della Pasqua è Cristo che si china per accogliere e abbracciare Adamo. L’icona della festa dell’Incontro diventa così preannuncio dell’altro grande incontro: quando l’Uomo nuovo, Cristo scende nell’Ade per riscattarne l’uomo vecchio, Adamo. La festa del 2 febbraio è dunque una festa dal carattere fortemente pasquale, e della risurrezione è un annunzio evidente. « Gioisci, Madre di Dio Vergine piena di grazia: da te infatti è sorto il sole di giustizia, Cristo Dio nostro, che illumina quanti sono nelle tenebre. Gioisci anche tu, o giusto vegliardo, accogliendo fra le braccia il liberatore delle anime nostre che ci dona anche la risurrezione ». Questo tropario della festa, che si conclude con la frase « ci dona anche la risurrezione », riecheggia i versi conclusivi del tropario pasquale, che recita « e a coloro che sono nei sepolcri ha fatto il dono della vita ». Così la festa dell’Incontro di Gesù bambino con l’anziano Simeone è la festa dell’incontro di Dio, per mezzo dell’incarnazione del Figlio, con l’umanità, con ogni uomo. Incontro che ha luogo nel Tempio, cioè nella vita ecclesiale di ogni cristiano, di ognuno di noi.

di P. Manel Nin, Rettore P.C.Greco

Cristo e i Dodici Apostoli

Cristo e i Dodici Apostoli dans immagini sacre 12_apostles

http://streetjesus.info/the_apprenticeship/?p=3323

Publié dans:immagini sacre |on 30 janvier, 2013 |Pas de commentaires »

COME TRATTIAMO I NOSTRI FIGLI?

http://www.zenit.org/article-35340?l=italian

COME TRATTIAMO I NOSTRI FIGLI?

È necessario proporre un nuovo modello formativo che possa risolvere la crisi educativa delle nuove generazioni e ricordare ai genitori le proprie responsabilità verso i figli

Don Anderson Alves
ROMA, Tuesday, 29 January 2013 (Zenit.org).
Attualmente si avverte sempre più una crisi educativa, una “intensa” crisi educativa. Ad un livello generale è possibile constatare che la soglia media di educazione è drasticamente diminuita con la conseguenza di grosse difficoltà nella realizzazione del processo di formazione dei giovani.
Sia i bambini che gli adolescenti imparano sempre meno. L’autorità dei docenti tende a offuscarsi e i giovani, nel pieno di un’apparente energia fisica, avvertono un senso di solitudine e di disorientamento. Ciò accade proprio in un’epoca d’incredibile sviluppo della pedagogia. Mai come in questi tempi ci sono state tante persone a studiare questa scienza con il risultato di così tante teorie pedagogiche. E, soprattutto, la crisi si è intensificata in un periodo di sviluppo materiale, proprio nelle società del benessere.
La nostra tesi quindi è che una delle principali cause della crisi attuale nell’educazione non sia la mancanza di risorse, ma qualcosa di più profondo: ovvero il fatto che non sappiamo più come trattare i nostri figli.
Sino alla metà del secolo scorso, si aveva un’idea ben chiara di cosa fossero i figli: innanzitutto un dono di Dio, un regalo datoci per essere curato con attenzione e affetto, ma anche molta responsabilità. La paternità veniva considerata, dunque, una speciale partecipazione al potere creatore di Dio, e di conseguenza i figli erano trattati con rispetto e la vita accolta con allegria e generosità.
Ciò era dovuto al fatto che il nostro modo di vivere sino ad allora era segnato dagli insegnamenti della cultura giudaico-cristiana. Si seguiva l’esempio di personaggi come Anna (1, Sam. 1), una donna sterile che chiese più volte a Dio un figlio. Dio realizzò il suo desiderio, ascoltando le sue ferventi orazioni, e la donna andava ogni anno al tempio di Israele per ringraziarlo del dono ricevuto. Anna era quindi pienamente cosciente del fatto che la vita umana venisse da Dio e ritornasse a Dio, essendo nulla impossibile a Lui.
A partire dalla rivoluzione del 1968, però, sorse una nuova cultura che abbandonò totalmente la visione biblica. Sigmund Freud sognava un giorno in cui la generazione dei figli si sarebbe separata dalla struttura familiare; un’idea questa che a partire dal 1968 cominciò ad essere sempre più frequente. Da allora, infatti, si infuse nei giovani l’idea che i figli fossero un ostacolo, qualcosa di limitante la propria libertà personale.
I figli cominciarono pertanto ad essere considerati una minaccia e la gravidanza una sorta di malattia da evitare ad ogni costo. Oggi, invece, alle persone, in particolare quelle che non sono più così giovani, è stata inculcata l’idea che i figli siano un “diritto”.
Tra una teoria e l’altra, quindi, i figli vengono considerati o come “minaccia” o come un “diritto”, mai come un dono. E da ciò emergono i problemi più gravi.
Negli Stati Uniti, secondo i dati raccolti dal Census Bureau e dall’American Community Survey, 15 milioni di bambini (uno su tre) cresce senza il padre e altri 5 milioni senza la madre. In Gran Bretagna, invece, nel 2012, avere un padre risulta nella top 10 dei regali chiesti a Babbo Natale. Anche in Italia sono oltre 2 milioni e 800 mila i bambini inseriti in famiglie monogenitoriali: 2 milioni e 400 mila circa vivono senza padre e altri 400 mila senza madre [1].
Il rischio attuale è che gli adulti ritengano i propri figli una specie di “merce”, un sogno consumistico da realizzare in un momento perfettamente determinato. I figli sono ogni volta di più un frutto di calcoli e non piuttosto di amore. Ciò lascia una ferita profonda nei figli stessi.
Soprattutto il non considerare più i figli come dono di Dio ma averli attraverso un risultato tecnico, costituisce un passo significativo verso la destrutturazione delle famiglie e la distruzione dell’educazione. Di fatto succede spesso che i genitori, paradossalmente, tentino di iper-proteggere i figli, cercando di sollevarli da qualsiasi pericolo, ma, al tempo stesso, non hanno nessuna voglia di trovare del tempo per dedicarsi al difficile compito di educarli. I bambini vengono mandati ancora prima a scuola e i professori devono impegnarsi a trasmettere valori che i bambini avrebbero dovuto ricevere invece a casa.
C’è poi un altro grave pericolo: gli adulti cercano di aver figli più per ricevere da questi ultimi un’approvazione che per trasmettere loro un amore totale, gratuito e disinteressato. Molte volte, però, nelle famiglie, succede qualcosa di orribile: i genitori finiscono per comportarsi come bambini, lamentandosi della loro infanzia, e i figli finiscono per comportarsi come adulti, obbligati da tali atteggiamenti [2]. Con un tale ribaltamento dei ruoli nessuno si assume la propria responsabilità familiare, e ciò si riflette sul rendimento dei giovani nelle scuole e Università.
Su questo punto possiamo forse tornare a dare un’occhiata al libro che ha formato la civiltà occidentale: il Vangelo. Esso ci racconta solo una scena dell’adolescenza di Gesù e del suo “processo educativo”. Quando Gesù aveva dodici anni, fu portato al tempio da Maria e da Giuseppe per partecipare alla festa della Pasqua (Lc 2). Quando la famiglia stava per far ritorno a casa, Maria e Giuseppe si distrassero e Gesù, da vero adulto, rimase nel tempio discutendo con i dottori della legge. Rincontratolo, Maria lo riprese, pur sapendo chi le stesse di fronte allo stesso Figlio di Dio: “Figlio che hai fatto? Ecco io e tuo padre ti cercavamo angosciati”. E Gesù dopo aver manifestato la piena consapevolezza della sua identità divina – “Non sapete che devo occuparmi delle cose del Padre mio?” – fa ritorno a casa i genitori e “stava loro sottomesso”.
Davvero impressionante! Maria e Giuseppe non fuggirono dalle proprie responsabilità educative pur sapendo bene che quell’adolescente che avevano di fronte era il Figlio di Dio. E Gesù, vero Figlio di Dio, ritorna a casa con la sua famiglia obbedendo loro in tutto sino all’età di trent’anni. Vediamo così che nella famiglia di Nazareth nessuno rifugge dalle proprie responsabilità, uniti da un vero amore che emerge nell’autorità, nell’umiltà e nel servizio, non nell’autoritarismo o nell’indifferenza.
Sembra perciò che per recuperare il senso di una vera educazione, per affrontare la grave crisi attuale, dobbiamo aiutare le famiglie a considerare la vita come un dono di Dio e, di conseguenza, a trattare i propri figli con diligenza, non delegando tutta la responsabilità educativa ad estranei o a mere intuizioni.
Il compito è arduo, ma può essere realizzato in pieno, specialmente alla luce della fede che per secoli ha illuminato la nostra società. In sostanza, dobbiamo ritornare a seguire il modello della Sacra Famiglia andando al di là dei parametri contraddittori di una “rivoluzione” che ci ha portato soltanto ad un’esaltazione dell’egoismo e dell’irresponsabilità e al conseguente aumento della sofferenza dei più deboli.
*
NOTE
[1] Per i dati cfr.: http://www.agensir.it/pls/sir/v3_s2doc_b.rss?id_oggetto=252815
[2] Cfr. G. CUCCI, La scomparsa degli adulti, «La Civiltà Cattolica», II, 220-232, quaderno 3885, 5/5/2012.
* Don Anderson Alves è sacerdote della diocesi di Petrópolis, Brasile. E’ dottorando in Filosofia presso alla Pontificia Università della Santa Croce a Roma

Publié dans:Educazione, famiglia |on 30 janvier, 2013 |Pas de commentaires »

PAPA BENEDETTO: « UN ATTEGGIAMENTO DI PAZIENZA, MITEZZA E AMORE È IL VERO MODO DI ESSERE POTENTE »

http://www.zenit.org/article-35354?l=italian

« UN ATTEGGIAMENTO DI PAZIENZA, MITEZZA E AMORE È IL VERO MODO DI ESSERE POTENTE »

Le parole di Benedetto XVI durante l’Udienza Generale di questa mattina

CITTà DEL VATICANO, Wednesday, 30 January 2013 (Zenit.org).
L’Udienza Generale di questa mattina si è svolta alle ore 10.30 nell’Aula Paolo VI dove il Santo Padre Benedetto XVI ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo. Nel discorso in lingua italiana il Papa ha continuato il ciclo di catechesi dedicato all’Anno della fede. L’Udienza Generale si è conclusa con il canto del Pater Noster e la Benedizione Apostolica. Riportiamo di seguito le parole del Pontefice:
***
Cari fratelli e sorelle,
nella catechesi di mercoledì scorso ci siamo soffermati sulle parole iniziali del Credo: « Io credo in Dio ». Ma la professione di fede specifica questa affermazione: Dio è il Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra. Vorrei dunque riflettere ora con voi sulla prima, fondamentale definizione di Dio che il Credo ci presenta: Egli è Padre.
Non è sempre facile oggi parlare di paternità. Soprattutto nel mondo occidentale, le famiglie disgregate, gli impegni di lavoro sempre più assorbenti, le preoccupazioni e spesso la fatica di far quadrare i bilanci familiari, l’invasione distraente dei mass media all’interno del vivere quotidiano sono alcuni tra i molti fattori che possono impedire un sereno e costruttivo rapporto tra padri e figli.
La comunicazione si fa a volte difficile, la fiducia viene meno e il rapporto con la figura paterna può diventare problematico; e problematico diventa così anche immaginare Dio come un padre, non avendo modelli adeguati di riferimento. Per chi ha fatto esperienza di un padre troppo autoritario ed inflessibile, o indifferente e poco affettuoso, o addirittura assente, non è facile pensare con serenità a Dio come Padre e abbandonarsi a Lui con fiducia.
Ma la rivelazione biblica aiuta a superare queste difficoltà parlandoci di un Dio che ci mostra che cosa significhi veramente essere « padre »; ed è soprattutto il Vangelo che ci rivela questo volto di Dio come Padre che ama fino al dono del proprio Figlio per la salvezza dell’umanità. Il riferimento alla figura paterna aiuta dunque a comprendere qualcosa dell’amore di Dio che però rimane infinitamente più grande, più fedele, più totale di quello di qualsiasi uomo.
«Chi di voi, – dice Gesù per mostrare ai discepoli il volto del Padre – al figlio che gli chiede un pane, darà una pietra? E se gli chiede un pesce, gli darà una serpe? Se voi, dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele chiedono» (Mt 7,9-11; cfr Lc 11,11-13). Dio ci è Padre perché ci ha benedetti e scelti prima della creazione del mondo (cfr Ef 1,3-6), ci ha resi realmente suoi figli in Gesù (cfr 1Gv 3,1). E, come Padre, Dio accompagna con amore la nostra esistenza, donandoci la sua Parola, il suo insegnamento, la sua grazia, il suo Spirito.
Egli – come rivela Gesù – è il Padre che nutre gli uccelli del cielo senza che essi debbano seminare e mietere, e riveste di colori meravigliosi i fiori dei campi, con vesti più belle di quelle del re Salomone (cfr Mt 6,26-32; Lc 12,24-28); e noi – aggiunge Gesù – valiamo ben più dei fiori e degli uccelli del cielo! E se Egli è così buono da far «sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e … piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45), potremo sempre, senza paura e con totale fiducia, affidarci al suo perdono di Padre quando sbagliamo strada. Dio è un Padre buono che accoglie e abbraccia il figlio perduto e pentito (cfr Lc 15,11ss), dona gratuitamente a coloro che chiedono (cfr Mt 18,19; Mc 11,24; Gv 16,23) e offre il pane del cielo e l’acqua viva che fa vivere in eterno (cfrGv 6,32.51.58).
Perciò l’orante del Salmo 27, circondato dai nemici, assediato da malvagi e calunniatori, mentre cerca aiuto dal Signore e lo invoca, può dare la sua testimonianza piena di fede affermando: «Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto» (v. 10). Dio è un Padre che non abbandona mai i suoi figli, un Padre amorevole che sorregge, aiuta, accoglie, perdona, salva, con una fedeltà che sorpassa immensamente quella degli uomini, per aprirsi a dimensioni di eternità.
«Perché il suo amore è per sempre», come continua a ripetere in modo litanico, ad ogni versetto, il Salmo 136 ripercorrendo la storia della salvezza. L’amore di Dio Padre non viene mai meno, non si stanca di noi; è amore che dona fino all’estremo, fino a sacrificio del Figlio. La fede ci dona questa certezza, che diventa una roccia sicura nella costruzione della nostra vita: noi possiamo affrontare tutti i momenti di difficoltà e di pericolo, l’esperienza del buio della crisi e del tempo del dolore, sorretti dalla fiducia che Dio non ci lascia soli ed è sempre vicino, per salvarci e portarci alla vita eterna.
È nel Signore Gesù che si mostra in pienezza il volto benevolo del Padre che è nei cieli. È conoscendo Lui che possiamo conoscere anche il Padre (cfr Gv 8,19; 14,7), è vedendo Lui che possiamo vedere il Padre, perché Egli è nel Padre e il Padre è in Lui (cfr Gv 14,9.11). Egli è «immagine del Dio invisibile» come lo definisce l’inno della Lettera ai Colossesi, «primogenito di tutta la creazione… primogenito di quelli che risorgono dai morti», «per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati» e la riconciliazione di tutte le cose, «avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (cfr Col 1,13-20).
La fede in Dio Padre chiede di credere nel Figlio, sotto l’azione dello Spirito, riconoscendo nella Croce che salva lo svelarsi definitivo dell’amore divino. Dio ci è Padre dandoci il suo Figlio; Dio ci è Padre perdonando il nostro peccato e portandoci alla gioia della vita risorta; Dio ci è Padre donandoci lo Spirito che ci rende figli e ci permette di chiamarlo, in verità, «Abbà, Padre» (cfr Rm 8,15). Perciò Gesù, insegnandoci a pregare, ci invita a dire « Padre nostro » (Mt 6,9-13; cfr Lc 11,2-4).
La paternità di Dio, allora, è amore infinito, tenerezza che si china su di noi, figli deboli, bisognosi di tutto. Il Salmo 103, il grande canto della misericordia divina, proclama: «Come è tenero un padre verso i figli, così il Signore è tenero verso coloro che lo temono, perché egli sa bene di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere» (vv. 13-14). E’ proprio la nostra piccolezza, la nostra debole natura umana, la nostra fragilità che diventa appello alla misericordia del Signore perché manifesti la sua grandezza e tenerezza di Padre aiutandoci, perdonandoci e salvandoci.
E Dio risponde al nostro appello, inviando il suo Figlio, che muore e risorge per noi; entra nella nostra fragilità e opera ciò che da solo l’uomo non avrebbe mai potuto operare: prende su di Sé il peccato del mondo, come agnello innocente, e ci riapre la strada verso la comunione con Dio, ci rende veri figli di Dio. È lì, nel Mistero pasquale, che si rivela in tutta la sua luminosità il volto definitivo del Padre. Ed è lì, sulla Croce gloriosa, che avviene la manifestazione piena della grandezza di Dio come « Padre onnipotente ».
Ma potremmo chiederci: come è possibile pensare a un Dio onnipotente guardando alla Croce di Cristo? A questo potere del male, che arriva fino al punto di uccidere il Figlio di Dio? Noi vorremmo certamente un’onnipotenza divina secondo i nostri schemi mentali e i nostri desideri: un Dio « onnipotente » che risolva i problemi, che intervenga per evitarci le difficoltà, che vinca le potenze avverse, cambi il corso degli eventi e annulli il dolore.
Così, oggi diversi teologi dicono che Dio non può essere onnipotente altrimenti non potrebbe esserci così tanta sofferenza, tanto male nel mondo. In realtà, davanti al male e alla sofferenza, per molti, per noi, diventa problematico, difficile, credere in un Dio Padre e crederlo onnipotente; alcuni cercano rifugio in idoli, cedendo alla tentazione di trovare risposta in una presunta onnipotenza « magica » e nelle sue illusorie promesse.
Ma la fede in Dio onnipotente ci spinge a percorrere sentieri ben differenti: imparare a conoscere che il pensiero di Dio è diverso dal nostro, che le vie di Dio sono diverse dalle nostre (cfr Is 55,8) e anche la sua onnipotenza è diversa: non si esprime come forza automatica o arbitraria, ma è segnata da una libertà amorosa e paterna.
In realtà, Dio, creando creature libere, dando libertà, ha rinunciato a una parte del suo potere, lasciando il potere della nostra libertà. Così Egli ama e rispetta la risposta libera di amore alla sua chiamata. Come Padre, Dio desidera che noi diventiamo suoi figli e viviamo come tali nel suo Figlio, in comunione, in piena familiarità con Lui.
La sua onnipotenza non si esprime nella violenza, non si esprime nella distruzione di ogni potere avverso come noi desideriamo, ma si esprime nell’amore, nella misericordia, nel perdono, nell’accettare la nostra libertà e nell’instancabile appello alla conversione del cuore, in un atteggiamento solo apparentemente debole – Dio sembra debole, se pensiamo a Gesù Cristo che prega, che si fa uccidere.
Un atteggiamento apparentemente debole, fatto di pazienza, di mitezza e di amore, dimostra che questo è il vero modo di essere potente! Questa è la potenza di Dio! E questa potenza vincerà! Il saggio del Libro della Sapienza così si rivolge a Dio: «Hai compassione di tutti, perché tutto puoi; chiudi gli occhi sui peccati degli uomini, aspettando il loro pentimento. Tu infatti ami tutte le cose che esistono… Tu sei indulgente con tutte le cose, perché sono tue, Signore, amante della vita» (11,23-24a.26).
Solo chi è davvero potente può sopportare il male e mostrarsi compassionevole; solo chi è davvero potente può esercitare pienamente la forza dell’amore. E Dio, a cui appartengono tutte le cose perché tutto è stato fatto da Lui, rivela la sua forza amando tutto e tutti, in una paziente attesa della conversione di noi uomini, che desidera avere come figli. Dio aspetta la nostra conversione.
L’amore onnipotente di Dio non conosce limiti, tanto che «non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi» (Rm 8,32). L’onnipotenza dell’amore non è quella del potere del mondo, ma è quella del dono totale, e Gesù, il Figlio di Dio, rivela al mondo la vera onnipotenza del Padre dando la vita per noi peccatori. Ecco la vera, autentica e perfetta potenza divina: rispondere al male non con il male ma con il bene, agli insulti con il perdono, all’odio omicida con l’amore che fa vivere.
Allora il male è davvero vinto, perché lavato dall’amore di Dio; allora la morte è definitivamente sconfitta perché trasformata in dono della vita. Dio Padre risuscita il Figlio: la morte, la grande nemica (cfr 1 Cor 15,26), è inghiottita e privata del suo veleno (cfr 1 Cor 15,54-55), e noi, liberati dal peccato, possiamo accedere alla nostra realtà di figli di Dio.
Quindi, quando diciamo « Io credo in Dio Padre onnipotente », noi esprimiamo la nostra fede nella potenza dell’amore di Dio che nel suo Figlio morto e risorto sconfigge l’odio, il male, il peccato e ci apre alla vita eterna, quella dei figli che desiderano essere per sempre nella « Casa del Padre ». Dire «Io credo in Dio Padre onnipotente», nella sua potenza, nel suo modo di essere Padre, è sempre un atto di fede, di conversione, di trasformazione del nostro pensiero, di tutto il nostro affetto, di tutto il nostro modo di vivere.
Cari fratelli e sorelle, chiediamo al Signore di sostenere la nostra fede, di aiutarci a trovare veramente la fede e di darci la forza di annunciare Cristo crocifisso e risorto e di testimoniarlo nell’amore a Dio e al prossimo. E Dio ci conceda di accogliere il dono della nostra filiazione, per vivere in pienezza le realtà del Credo, nell’abbandono fiducioso all’amore del Padre e alla sua misericordiosa onnipotenza che è la vera onnipotenza e salva.
[Dopo aver riassunto la Sua catechesi in diverse lingue, il Santo Padre ha rivolto particolari espressioni di saluto ai gruppi di fedeli presenti. Ai pellegrini polacchi e arabi ha detto:]
Pozdrawiam przybylych na audiencje pielgrzymów polskich. Rok Wiary jest szczególna okazja, by uswiadomic sobie, ze Bóg jest naszym Ojcem. Ta prawda czyni nas radosnymi swiadkami Ewangelii! Pamietajmy o niej takze w chwilach naszych zyciowych doswiadczen, kryzysów i cierpienia. Bóg jest zawsze z nami, prowadzi nas i pragnie naszego dobra. Niech bedzie pochwalony Jezus Chrystus.
Saluto cordialmente i pellegrini polacchi venuti a quest’udienza. L’Anno della fede è un’occasione particolare per rendersi consapevoli che Dio è nostro Padre. Questa verità ci renda testimoni gioiosi del Vangelo! Ricordiamoci di essa anche nei momenti di prova, di crisi e di sofferenza che la vita ci porta. Dio è sempre con noi, ci guida e desidera il nostro bene. Sia lodato Gesù Cristo.
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Il Papa prega per tutte le persone di lingua araba. Dio vi benedica tutti.
[Si è poi rivolto ai fedeli in lingua slovacca e ceca dicendo:]
Zo srdca pozdravujem slovenských pútnikov, osobitne z Ošcadnice, Bánoviec nad Bebravou a z Univerzity Komenského z Bratislavy.
Bratia a sestry, prajem vám, aby svetlo Evanjelia osvecovalo všetky kroky vášho ivota a ochotne udelujem Apoštolské Poehnanie kadému z vás a vašim drahým vo vlasti.
Pochválený bud Jeiš Kristus!
Saluto di cuore i pellegrini slovacchi, particolarmente quelli provenienti da Ošcadnica, Bánovce nad Bebravou e dall’Università Komenský di Bratislava.
Fratelli e sorelle, mentre vi auguro che la luce del Vangelo illumini tutti i passi della vostra vita, volentieri imparto la Benedizione Apostolica a ciascuno di voi ed ai vostri cari in Patria. Sia lodato Gesù Cristo!
Srdecnezdravímpoutníky z Ceskérepubliky. S duverou se odevzdejtelásceBohaOtce a jehomilosrdnéspasitelnémoci.
Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini della Repubblica Ceca. Vivete nell’abbandono fiducioso all’amore di Dio Padre e alla sua misericordiosa onnipotenza che salva.
[L'ultimo saluto è andato, infine, ai fedeli in lingua italiana. A loro il Papa ha indirizzato queste parole:]
Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i Vescovi amici del Movimento dei Focolari. Cari Confratelli, insieme con voi saluto anche quanti parteciperanno agli incontri organizzati in diverse regioni del mondo. Assicurando la mia preghiera, auspico che il carisma dell’unità a voi particolarmente caro, possa sostenervi e animarvi nel vostro ministero apostolico.
E saluto i fedeli dell’Arcidiocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsiconuovo, accompagnati dal loro Pastore Mons. Agostino Superbo. Cari amici, continuate a dedicare ogni sforzo perché sia curata, ugualmente nelle città come nei centri minori, una solida istruzione religiosa, perché tutti siano preparati a ricevere con frutto i Sacramenti, indispensabile nutrimento della crescita nella fede.
La presenza a questo incontro delle Autorità civili della Basilicata, alle quali rivolgo un deferente saluto, mi offre l’opportunità di esprimere la mia viva riconoscenza a quanti si sono prodigati per l’allestimento del suggestivo presepio, collocato in questa Piazza, che è stato ammirato dai numerosi pellegrini, anche da me con grande gioia, quale espressione dell’arte lucana.
Mi rivolgo, infine, ai giovani, ai malati e agli sposi novelli. Ricorre domani la memoria liturgica di san Giovanni Bosco, sacerdote ed educatore. Guardate a lui, cari giovani, come a un autentico maestro di vita. Voi, cari ammalati, apprendete dalla sua esperienza spirituale a confidare in ogni circostanza in Cristo crocifisso. E voi, cari sposi novelli, ricorrete alla sua intercessione per vivere con impegno generoso la vostra missione di sposi. Grazie.

La croce e la Resurrezione, Pontificio Ateneo S. Anselmo

La croce e la Resurrezione, Pontificio Ateneo S. Anselmo dans immagini sacre resurr--2

http://www.santanselmo.org/croce.html

Publié dans:immagini sacre |on 29 janvier, 2013 |Pas de commentaires »

IL PENSIERO EBRAICO: IL MIDRASH

http://www.linguaggioglobale.com/filosofia/oriente/eb_midrash.htm

Il PENSIERO ORIENTALE – DI ERNESTO RIVA

IL PENSIERO EBRAICO: IL MIDRASH

Il termine midrash, plurale midrashim, viene dalla radice DRS, che contiene i concetti di spiegare, interpretare, indagare, sviscerare, e infatti darshanim sono coloro che si servono del midrash per indagare il testo biblico. La Casa del midrash è poi la scuola dove si approfondisce lo studio dei testi sacri. Nell’accezione divenuta comune e diffusa, il termine midrash viene quindi ad indicare un’attività di studio e di ricerca del testo biblico, eseguita con la massima attenzione, che non si limita al senso immediato e letterale ma indaga e scruta ogni possibile significato implicito: midrash quindi indica essenzialmente un metodo rabbinico di esegesi. Il termine poi per estensione indica anche altre due cose: la singola interpretazione ottenuta applicando il metodo e la raccolta di più interpretazioni (raccolta molto diluita nel tempo, che va dal IV sec. a.C al 1550 ca.).
Vi sono due tipi di midrash: uno relativo alla halakà e uno relativo alla aggadà. Il primo si riferisce alla componente legale e giuridica della tradizione; con l’altro termine, si itende praticamente tutto ciò che non è strettamente halakà e quindi ogni forma di narrazione storica, mitica, leggendaria, le espressioni post-bibliche della letteratura sapienziale, la morale, in un certo senso anche la mistica. Ma per toccare subito con mano che cosa sia concretamente il midrash, ecco qui di seguito una serie di midrashim.
Perché il mondo fu creato con la lettera Beth? Per insegnarci: come la Beth è chiusa da tutti i suoi lati, e aperta solo in avanti, così tu non sei autorizzato a indagare ciò che è in alto, in basso, in avanti e indietro, ma solo dal giorno in cui fu creato il mondo in poi. (Bereshit Rabbà,1).
Disse Rabbi Berechia: « mentre il Signore stava per creare il primo uomo, previde che da lui sarebbero derivati i giusti e i peccatori e pensò: se io creo l’uomo, ne verranno i peccatori; e se non lo creo, come sorgeranno i giusti? Allora il Santo, benedetto Egli sia, allontanò da sé il pensiero dei peccatori e, unitosi all’attributo della clemenza, creò l’uomo » (Bereshit Rabbà, 8).
« L’uomo fu creato solo (come progenitore del genere umano) perché da ciò si deducesse che chiunque distrugge una vita umana è come se distruggesse un mondo e viceversa chi salva una vita è come se salvasse il mondo intero » (Sanedrin, 37).
« Così dirai alla casa di Giacobbe ed esporrai ai figli di Israele » (Esodo, 19,3). L’espressione casa di Giacobbe significa: le donne. Il Signore disse a Mosè: alle donne annuncia i principi fondamentali, quelli che esse sono in grado di comprendere. Esporrai ai figli di Israele si riferisce agli uomini. Agli uomini, disse il Signore, esporrai minutamente tutte quelle leggi che sono in grado di comprendere. Secondo un’altra interpretazione, la Torà doveva essere esposta alle donne prima che agli uomini perché le donne sono più sollecite nell’adempimento delle mitzvot o, secondo altri, affinché si mostrassero zelanti nell’avvicinare i loro figli allo studio della Torà (Shemot Rabbà 25).

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DIO UNSE DI SPIRITO SANTO GESÙ DI NAZARETH : LUCA 3,21-22

http://www.sanbiagio.org/lectio/spirito2.pdf

DIO UNSE DI SPIRITO SANTO GESÙ DI NAZARETH

LUCA 3,21-22

prendiamo in considerazione la grande pagina del battesimo di gesù al giordano. tanto in matteo (3,11) che in marco (1,8) in luca (3,17) e in giovanni (1,33) è esplicitata un’affermazione importante: anche gesù battezzava, ma diversamente da giovanni, cioè con la forza dello spirito santo. tutti gli evangelisti narrano del battesimo di gesù: una scena succinta, ma di forte densità perché, come rimette in luce la teologia dopo il vaticano ii, ha un’enorme significato esistenziale per gesù. è qui infatti che egli accetta la sua vocazione entrando nella consapevolezza della propria missione di messia. l’evangelista ci ha appena detto che giovanni il battista è stato imprigionato da erode: lui che ha battezzato anche gesù nel giordano. è il battesimo che li accomuna e li diversifica. in luca, a differenza degli altri sinottici, il battesimo è descritto come già avvenuto; ma la sua enorme importanza viene colta anche dal fatto che qui è collocata la genealogia di gesù: da giuseppe fino ad adamo. c’è il peso di tutte le generazioni
affidato a lui che, accettando ora nello spirito santo la sua vocazione, redime con la sua obbedienza, la disobbedienza di adamo.
tre nuclei:
v. 21 il battista è scomparso dalla scena del giordano. tutto il popolo è ormai stato battezzato; anche gesù lo
è stato, mentre era in preghiera.
v. 22a si è aperto il cielo. è comparso lo spirito che aleggiava su gesù in forma di colomba.
v. 22b una voce, quella del padre, ha proclamato: « tu sei il figlio mio, l’amato, in te mi compiaccio ».
i versetti 21-22 sono il centro di tutto il cap.3. gesù si è messo in fila con i peccatori, facendosi carico del loro peccato e della loro morte, di cui quel battesimo è segno.
v.21 l’immersione nell’acqua, quasi una liquida tomba prenatale (cfr. ger. 20,17), è l’immersione in ciò che raffigura il ritorno all’abisso della morte. è il gesto di chi, non conoscendo peccato, si è fatto per noi maledizione e peccato (cfr. 2 cor.5,21).è l’immagine di un altro battesimo: quello della passione di cui gesù dirà: « c’è un battesimo che devo ricevere e come sono angosciato finché non sia compiuto » (12,50). l’immersione avviene mentre gesù sta pregando. è tipico di luca sottolineare questo suo modo di vivere i momenti esistenziali più importanti: pregando.
v.22a nel pensiero cristiano più antico questo versetto è importantissimo, perché dice che avviene in questo momento la misteriosa unzione di gesù nello spirito santo. pietro, in casa del centurione cornelio, affermerà: « dopo il battesimo predicato da giovanni dio unse di spirito santo e potenza gesù di nazareth, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo » (at. 10,37ss.). lo spirito santo era apparso sotto forma di colomba. l’aleggiare dello spirito con questa parvenza di colomba sulla persona di gesù immersa nell’acqua richiama l’aleggiare sulle acque del caos primordiale (cfr. gen.. 1,2). evoca anche la colomba portatrice di salvezza il cui ritorno tranquillizzò noè. come poi non assimilarla al simbolo dell’amore fedele? tuba in ogni stagione il suo amore, così come l’amore di dio, appunto lo spirito santo, canta la sua
perenne fedeltà per l’uomo e provoca una risposta di amore fedele. (cfr. ct.2,14).
v.22b l’amante, la voce del padre, nella presenza-azione dello spirito santo, riconosce gesù come l’amato per eccellenza. è in lui , l’amato, che a nostra volta siamo infinitamente amati. a tal punto che il padre non esita a dare il figlio sulla croce perché chiunque crede al suo mistero di morte e risurrezione abbia la vita (cfr. gv.3,16), e una vita filiale secondo lo spirito. « gesù si chiama cristo -scrive tertulliano- perché unto dal padre con lo spirito santo ». a ragione r. cantalamessa afferma che l’unzione ricevuta da gesù nel giordano è un’unzione trinitaria . »il padre ha unto, il figlio è stato unto, lo spirito santo è la stessa unzione. » . isaia non a caso dice: « lo spirito del signore è su di me, perché mi ha unto » (is. 61,1) . e il salmista afferma: « dio, il tuo
dio ti ha unto con olio di allegrezza »( sl.44,8).chiaramente approfondire questi testi evangelici sulla scorta dei più antichi padri, significa scoprire che il battesimo di gesù non è solo da celebrarsi come la festa dell’istituzione del battesimo cristiano. c’è ben di più:
« è dal momento del battesimo che gesù acquisì la certezza che doveva assumere il ruolo di servo di javéh ». lo asseriscono o. culmam e diversi altri autori. ora questo mistero dell’unzione dello spirito santo al giordano c’interessa e ci interpella da vicino. lo spirito santo, per il quale il verbo s’era fatto carne, prende con potenza ad agire in gesù, a guidarlo e a ispirarlo fino a quando, morente, egli « emette lo spirito »(gv. 19,30). non solo, ma gesù, mandato dal padre, trasmette le parole di dio e dà lo spirito senza misura (gv. 3,34). come dice origene: « ci sono stati uomini sapienti che, possedendo dio, ne
hanno riferito le parole; essi tuttavia avevano solo parzialmente lo spirito di dio (…). invece il salvatore, mandato a trasmettere le parole di dio, non dona lo spirito parzialmente, perché egli non lo dona agli altri avendolo ricevuto egli stesso; bensì dona lo spirito essendone la sorgente » lo spirito santo è il mistero del permanere di gesù, oggi, in mezzo a noi nella forza che egli ci dà con la parola e coi sacramenti. lo spirito santo, è stato
detto, è oggi la scia del profumo che gesù si è lasciato dietro, passando sulla terra. s. ignazio d’antiochia afferma: « il signore al giordano ha ricevuto sul suo capo un’unzione profumata per spirare sulla chiesa l’incorruttibilità ». . mirabilmente s. agostino dice: « non solo fu unto il suo capo: lo siamo stati anche noi che siamo il suo corpo. noi siamo il corpo di cristo perché tutti siamo unti e tutti noi, in lui, siamo di cristo e siamo cristo poiché il cristo totale è il capo e il corpo insieme ». ed è di capitale importanza credere (come credo all’esistenza della forza solare!) che l’unzione di spirito santo agisce in noi, è forza operativa in ordine alla nostra esistenza di consacrazione e servizio.
con quale preparazione e consapevolezza ricevo i sacramenti che ci rendono partecipi di questa unzioneprofumo? è con vero spirito di servizio che vivo in compagnia delle sorelle e dei fratelli? con quale impegno personale, divento a mia volta « cristo » , cioè unto, consacrato , effondo il profumo di una vita santa? ho il coraggio di effondere questo profumo di vita-testimonianza sulle membra del corpo mistico, spezzando l’alabastro della mia umanità troppo spesso legata ancora agli schemi « dell’uomo vecchio », con tutte le sue spinte egoistiche?
il « profumo di cristo » (cfr. 2 cor. 2,15) diventa espansione accattivante da parte del mio testimoniare gesù per opera e forza di spirito santo fuori dal sonnacchioso tran tran d’una vita che, se non abbagliata da cristo, è rassegnata e spenta? & solo chi nel mistero di cristo, l’amato del padre, accetta d’essere infinitamente amatoda lui può veramente impegnarsi (fuori da volontarismi e lassismi) alla vocazione fondamentale del cristiano (tanto più della religiosa) che è vocazione ad amare, nello spirito santo, come cristo, dando la vita. qual è la mia convinzione a riguardo?
facciamo nostra la bella preghiera della messa crismale del giovedì santo:
« o padre, che hai consacrato il tuo unico figlio con l’unzione dello spirito santo e lo hai costituito messia e signore, concedi a noi, partecipi della sua consacrazione,  di essere testimoni nel mondo della sua opera di salvezza ». avendone l’occasione, aspiro aria profumata di primavera o il semplice profumo di un fiore e, interiorizzando a lungo la mia sensazione olfattiva, prego:


« o spirito santo,
profumata unzione del padre sul capo di gesù,
rendimi profumo di lui
in mezzo a sorelle e fratelli »

The Calling of the First Apostles, Domenico Ghirlandaio 1481

The Calling of the First Apostles, Domenico Ghirlandaio 1481  dans immagini sacre Calling-of-Apostles-Domenico-Ghirlandaio-1481
http://freechristimages.org/biblestories/jesus_calls_his_first_disciples.htm

Publié dans:immagini sacre |on 28 janvier, 2013 |Pas de commentaires »
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