Te Deum Laudamus – Storia
Te Deum Laudamus – Storia
L’inno Te Deum laudamus, con cui tradizionalmente ringraziamo il Signore Dio dei benefici da Lui ricevuti, pure se detto « inno ambrosiano », è una composizione poetica adesso attribuita con certezza a Niceta di Remesiana, intorno all’anno 400.
Originariamente si rivolgeva a Cristo Dio e Signore: « Te (o Cristo) noi lodiamo Dio! Te (o Cristo) noi professiamo Signore! ». Successivamente, con l’attenuarsi delle eresie sulla Persona Divina e sulla Divina Signoria di Gesù, poco alla volta la pietà cristiana lo ha indirizzato al Padre e al Figlio e allo Spirito; infatti, con questa qualificazione trinitaria noi lo abbiamo recepito e a nostra volta lo trasmettiamo.
Per la composizione musicale in occasione della chiusura del Grande Giubileo 2000 nella solennità dell’Epifania 2001 abbiamo ritmato l’inno in forma diversa da quella tradizionale allo scopo di valorizzare più e meglio nel canto della Cappella Musicale Pontificia « Sistina », sufficientemente sviluppato e adeguatamente ornato, l’intervento attivo della sterminata Assemblea partecipante; ma, insieme, allo scopo di scandire chiaramente nella lode al nostro Dio la proclamazione del suo essere Luce e Amore di Padre e Figlio e Spirito, e del suo divenire salvezza misericordiosa nella nostra storia.
Un « ritornello » assembleare è stato fatto, dunque, così da intendersi: ?« Te (o Padre e Figlio e Spirito) noi lodiamo (nostro) Dio! Te (o Padre e Figlio e Spirito) noi professiamo (nostro) Signore! ».
Intonazione dell’inno e insistenza iniziale, prima, esso irrompe sette volte ripetendo poi la medesima proclamazione trinitaria.
I versetti dell’inno originario (esclusi, quindi, gli otto versetti salmici dell’aggiunta finale), complessivamente venti oltre l’intonazione, sono cantati dal coro raccolti con raffinata eleganza in sette complesse unità ciascuna di senso testuale-musicale compiuto. Essi offrono all’Assemblea una ampiezza senza assillo e una suggestione senza pari per contemplare la Vita divina ed eterna, per pregare Lui che si ama e ci ama, per evocare la Sua Salvezza e invocare la Sua Misericordia.
I sette affreschi sonori si concatenano come raccordati in tre navate architettoniche.
La prima, si costruisce e si colora per il Padre:
1. « Te, o eterno Padre venera tutta la terra! ?- 2. A te gli Angeli tutti, a te, i Cieli e tutte le Potenze – 3. a te i Cherubini e i Serafini, inneggiano con voce incessante:?- Te noi lodiamo… – ?4. Santo Santo Santo il Signore Dio Pantocratore! – ?5. I cieli e la terra (o Signore) sono pieni della tua gloria! »?- Te noi lodiamo…
La seconda architettura enumera la Chiesa diffusa nel Mondo e riunita dai quattro venti nella confessione di Dio Padre e Figlio e Spirito:
6. « Te il glorioso coro degli Apostoli – ?7. te il non piccolo numero dei Profeti? – 8. te il candido esercito dei Martiri – 9. te la santa Chiesa diffusa su tutta la terra, confessa:?- Te noi lodiamo…? – 10. Padre della gloria immensa – ?11. il Figlio tuo unigenito vero e adorando – ?12. il Santo (tuo) Spirito Consolatore! »?- Te noi lodiamo…
La terza, si costruisce e si colora per il Figlio fatto uomo e salvatore, Lui che è venuto e che ritornerà:
13. « Tu, o Cristo, Re della gloria – 14. Tu Figlio eterno del Padre – 15. Tu per il progetto di liberazione dell’uomo ti sei abbassato (a incarnarti) nel grembo della Vergine! – ?16. Tu vincitore del pungiglione della morte hai (ri)aperto ai (tuoi) fedeli il regno dei cieli!? – 17. Tu siedi alla destra di Dio, nella gloria del Padre – ?18. e (da li) noi crediamo che, giudice, verrai!? – 19. Tu dunque (o Cristo) soccorri i tuoi servi che hai redenti con il sangue tuo prezioso? – 20. e fa che (tutti) si riuniscano nel numero dei tuoi Santi »!?- Te noi lodiamo…
Chi il 6 gennaio 2001 in Piazza San Pietro cantò « Te noi lodiamo Dio! Te noi professiamo Signore! » e chi fu tra i due miliardi di creature umane che in mondovisione ne vide e ne sentì « vibrare gli stipiti delle porte » (Isaia 6,4) alla « voce dell’immensa folla, simile al fragore di grandi acque e a rombo di tuoni possenti, che gridavano » (Apocalisse 19,6) gioirà di certo facendo riecheggiare il medesimo canto nelle Chiese di tutta la terra.
La formazione del canto cristiano
Il cristianesimo nacque dalla predicazione e dagli insegnamenti di Gesù Cristo, il quale completò e rinnovò la dottrina del popolo ebraico sull’esistenza di un solo Dio. I giudei furono ostili ai primi seguaci di Cristo, ma non si può ignorare il fatto che furono ebrei i primi convertiti alla nuova fede. Giustamente quindi si afferma che l’ebraismo giudaico fu la matrice del cristianesimo e quindi della sua dottrina, ma anche della sua liturgia, delle sue preghiere, dei suoi canti. ?La conquista e la distruzione di gerusalemme effettuata nel 70 d.C. dalle truppe romane dell’imperatore Tito cagionarono la cosidetta diaspora (cioè la dispersione, l’esilio) di gran parte degli abitanti di Isdraele, ebrei e cristiani. Essi si sparsero in tutto il bacino mediterraneo, favorendo la costituzione delle prime comunità cristiane fra el popolazioni dell’impero romano di lingua greca (soprattutto a Efeso, ad Antiochia, ad Alessandria d’Egitto e a Costantinopoli, poi capitale dell’Impero d’oriente) e di lingua latina (particolarmente nella capitale Roma, dove si insediarono l’apostolo Pietro, il primo Papa, e S. Paolo, ma anche nell’Africa settentrionale e nella Spagna). Si svilupparono così varie Chiese, prime quelle d’oriente. Fra esse venne assumendo maggiore importanza la Chiesa di Costantinopoli, poi ribattezzata Bisanzio, centro di sviluppo del canto liturgico bizantino. Da esso derivano in seguito la musica del rito greco-ortodosso e quella del rito russo.
Le persecuzioni dei cristiani volute dagli imperatori romani fino a Diocleziano ritardarono l’espansione del cristianesimo in Occidente. Solo dopo che l’imperatore Costantino, con l’editto di milano (313) ebbe riconosciuto ufficialmente il cristianesimo, e dopo che l’imperatore Teodosio ebbe vietato i culti pagani (391), il cristianesimo potè espandersi a Roma, e il latino fu riconosciuto quale lingua della liturgia in Occidente.? E’ dimostrato che le manifestazioni del culto cristiano nei primi tempi derivano da quelle della tradizione giudaica, e che nessuan influenza esercitò su di esse la musica greco-romana. I trapassi dall’ebraismo al cristianesimo riguardarono sia libri sacri dell’Antico Testamento, dai quali vennero tratti i testi delle letture e delle preghiere, sia i modi e le forme primitive del canto, ricalcati su quelli impiegati nelle cerimonie di culto giudaico: la cantillazione, il jubilus, l’esecuzione dei salmi. ?Nella sua irradiazione tra le popolazioni mediterranee, il nuovo culto venne a contatto con le usanze religiose e musicali delle varie regioni, e parzialmente ne fù influenzato e le assorbì. Si spiega in questo modo la formazione di differenti repertori locali che caratterizzarono i primi secoli del canto cristiano e che vennero poi unificati attraverso una lunga azione omogeneizzante, la cui paternità fu attribuita al Papa Gregorio I Magno.
I primi e principali repertori locali del canto cristiano occidentale furono il romano antico, l’ambrosiano, l’aquileiese e il beneventano in Italia; il mozarambico nella Spagna il gallico nella Gallia.? L’unico tra questi repertori che sia stato in parte conservato fino ad oggi è il canto milanese, più noto come canto ambrosiano dal nome di S. Ambrogio (339 ca. – 397), prima governatore, poi vescovo di Milano, che ne fu l’iniziatore.? A S. Ambrogio risalgono varie iniziative riguardanti il canto liturgico latino, a cominciare dalla diffusione degli inni, che erano cantati soprattutto durante le assemblee di fedeli, al tempo delle lotte contro i seguaci dell’eresia ariana. S. Ambrogio compose certamente 4 inni, forse più. Egli inoltre adottò il canto salmodico, l’esecuzione antifonica e il jubilus. Sul jubilus lasciò scritte pagine mirabili S. Agostino (354 – 430), che trascorse alcuni anni a Milano, a contatto con S. Ambrogio.?Gli altri repertori locali hanno lasciato incerte e lacunose tracce, e tra essi solo due ebbero rilevanza storica: il gallicano e il mozarabico.? Il canto gallico rimase in uso in Galiia fino all’VIII secolo; conteneva elementi celtici e bizantini e fu soppresso dagli imperatori carolingi. Il canto ispanico, che fu chiamato canto mazarabico dopo la conquista araba di parte della Spagna, aveva subìto nel V secolo l’influenza dei Visigoti (già convertiti al cristianesimo), i quali avevano in precedenza assimilato usi delle liturgie orientali.
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