Archive pour le 28 décembre, 2012

-Luk-02,41_Jesus_Dialogue_Temple

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Publié dans:immagini sacre |on 28 décembre, 2012 |Pas de commentaires »

Commento su 1 Gv 3,1 : Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/7068.html

Eremo San Biagio

Commento su 1 Gv 3,1

Dalla Parola del giorno
Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!

Come vivere questa Parola?
« Siamo figli di Dio ». Una constatazione a cui abbiamo fatto l’abitudine e che quindi non ci smuove più di tanto. Eppure è qualcosa di sconvolgente. La distanza infinita che ci separa dal Creatore è colmata da questo riversarsi di Dio-Amore in noi. Per suo dono, possiamo chiamare Dio col nome di Padre e non in senso analogico. Giovanni afferma: « e lo siamo realmente! » riassumendo in questa semplice espressione tutto lo stupore di chi ne percepisce la grandiosità. Sì, siamo figli di Dio. Generati dal suo amore e chiamati a vivere di questo amore. Non possiamo svendere la nostra dignità cedendo al facile compromesso. Ma cosa vuol dire per noi oggi vivere da figli di Dio? Basta guardare al « Figlio » per eccellenza che è Gesù. Lui che ci ha rivelato il volto del Padre ci ha anche rivelato il nostro vero volto: quello, appunto, di figli. Gesù si relazione al Padre nel segno dell’amorosa obbedienza: « Io faccio sempre ciò che piace al Padre »; del sereno e fiducioso abbandono: « Io so che sempre mi ascolti… Padre, nelle tue mani affido il mio spirito »; dell’umile e gioiosa riconoscenza: « Ti ringrazio o Padre! ». Nei riguardi degli uomini, poi, lo vediamo chinarsi con amore su qualunque necessità: gli ammalati accorrono a lui, i poveri, gli emarginati, gli esclusi possono accostarlo senza difficoltà. Infrange tabù consolidati da tradizioni umane pur di farsi prossimo di chi soffre (lebbrosi, donne, bambini…). In particolare si prende cura dei peccatori. Per loro ha tratti di misericordia ineguagliabili: « Oggi sarai con me in paradiso! ». « Io non sono venuto per condannare ma per salvare… perché abbiano la gioia ». Ecco il ritratto del figlio di Dio, il mio, il tuo ritratto. A questo siamo chiamati!.
Oggi, nella mia pausa contemplativa, mi confronterò con Gesù. Fino a che punto il mio modo di pensare di essere e di operare ne ricalca le orme?
Ti ringrazio, Padre, di avermi chiamato ad essere tuo figlio. Ti ringrazio perché in Gesù me ne indichi i tratti qualificanti che devo assumere. Ti ringrazio perché nel dono dello Spirito rendi possibile tutto ciò.

La voce di una donna provata dal dolore
Come è bello avere un Padre nel cielo che ci aiuta e ci ama più di noi stesi; un Padre che conosce anche il numero dei capelli del nostro capo! Come amo il Signore!, Lui, che veramente mi ha sempre custodita, ed è accorso ad aiutarmi tutte le volte che io l’ho invocato.

Benedetta Bianchi Porro

Sacra Famiglia (Anno C), Brano biblico: 1Sam 1,20-22.24-28 : Il gioco a palla

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Il gioco a palla

don Marco Pratesi 

Sacra Famiglia (Anno C)

Brano biblico: 1Sam 1,20-22.24-28  

Anna desidera intensamente un figlio. La sua sterilità significa (il sospetto di) una certa maledizione da parte di Dio; una certa emarginazione sociale; il senso di un profondo fallimento esistenziale. Possiamo vedere in questa situazione la rappresentazione dell’intensa, inappagata sete di vita che è in ogni uomo.
Anna non si rassegna. Anno dopo anno sale in pellegrinaggio al santuario di Silo col marito, e prega il Signore. La sua preghiera viene accolta, il bambino nasce e lei, come promesso, lo consacra al servizio del Signore: « il Signore mi ha concesso il dono che gli ho chiesto, e anch’io a mia volta lo dono al Signore » (vv. 27-28).
Vediamo qui la « circolarità » del dono: Dio dona ad Anna, Anna dona a Dio.
Ogni dono davvero tale nasce dalla gratuità, non guarda a sé, ma all’altro. Tuttavia ogni vero dono chiede anche reciprocità, domanda di essere ricambiato. Perché? Non è forse gratuito? In cosa differisce allora da uno scambio commerciale e, se siamo in ambito religioso, dalla mentalità religiosa mercantile del « do per ricevere »?
Il dono gratuito tende a stabilire un rapporto di reciprocità, un rapporto nel quale il dono suscita dono in risposta, e così via, in una sorta di infinito « gioco a palla » (non è questa la Trinità?). L’amore vuole intesa, comunione. E se l’altro risponde al mio dono con qualcosa di diverso dal dono, egli non ha veramente capito, non ha accolto il dono come tale, la comunione è imperfetta, non siamo in sintonia.
Ecco la differenza tra un rapporto oblativo e uno mercantile: il primo cerca la comunione profonda, il secondo il vantaggio reciproco – che sono due cose apparentemente simili, in realtà molto differenti.
Anna vive questa gratuità, è entrata in questo « circuito » di dono, e questo le permette di essere anche molto libera, sorprendentemente indipendente nei confronti di un figlio che si è fatto tanto aspettare. Non diventa schiava del dono ricevuto, non cerca di appropriarsene, di arraffarlo tutto per sé. La vocazione di Samuele, importante per Israele, nascerà dal suo gesto di libertà e di gratuità.
Ecco una famiglia dove i rapporti sono liberati dalla volontà di possesso, e dunque liberanti. Ancora una volta, servire il Signore libera dalla schiavitù degli idoli, compresi i rapporti familiari che, in vario modo, pretendono di rimpiazzare il rapporto col Signore, diventando così deludenti e soffocanti.
È questa la realtà vissuta dalla S. Famiglia: una famiglia dove si vive quella gratuità che è resa possibile unicamente dal riconoscimento del primato di Dio.
Anche le nostre famiglie sono chiamate ad essere così, icone trinitarie: « impossibile presso gli uomini » ma, pronti ad impegnarci in questo senso, con fiducia instancabile lo chiediamo al Signore.

Omelia per la festa della Sacra Famiglia (Anno C): Un universo bellissimo da esplorare

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Un universo bellissimo da esplorare

padre Gian Franco Scarpitta 

Sacra Famiglia (Anno C) (30/12/2012)

Vangelo: Lc 2,41-52  

Il Bambino divino entrato nel mondo ha raggiunto l’uomo sotto tutti i suoi aspetti. Ha assunto un’epoca contrassegnata, una dimensione sociale e un nucleo familiare e pertanto la prima dimensione che ha vissuto il Verbo Incarnato è pari a quella di tutti gli altri uomini, poiché essa riguarda vita familiare, il vissuto di sottomissione ai genitori, le ansie della crescita, le difficoltà dell’adolescienza e della prima giovinezza.
Oltre che un valore da salvaguardare e da difendere, la famiglia è anche un universo da esplorare. Non la si può interpretare unilateralmente o darvi una visione a senso unico, perché la sua realtà è molto dinamica e complessa. Molte volte l’atteggiamento di una persona rispecchia il proprio ambito familiare, altre volte se ne distacca. Nella maggior parte dei casi la timidezza è acquisita dall’ambiente in cui si vive (da famiglie chiuse o poco comunicative), mentre altri episodici fenomeni dimostrano che esser timidi e paurosi non corrisponde ad appartenere ad un nucleo familiare di tal fatta. Dalle famiglie umili e illetterate molto spesso sorgono talenti intellettuali, altre volte dai nuclei familiari elevasti per dottrina sorgono giovani votati allo sbando e al deperimento. Parecchie famiglie facoltose e benestanti possono vivere il dramma del figlio immaturo e viziato che precipita nel baratro della droga; parecchi nuclei semplici e dimessi partoriscono elementi virtuosi e apprezzabili.
Nella liturgia di oggi si riscontrano tipologie differenti di situazioni familiari, legate ad altrettanti problemi o situazioni contingenti. Per esempio, il caso di Anna, seconda moglie di Elkana accanto a Peninna (la poligamia era legittima e legale nel tempo in cui si scrive) è speculare del dramma di tante giovani coppie costrette ad rassegnarsi a non poter avere figli per ragioni di sterilità. Nei versi precedenti si descrive infatti il pianto di Anna che non ha potuto generare figli, la vana consolazione del marito e il premio del Signore che concede successivamente alla sterile moglie la possibilità di avere un bambino. Di conseguenza adesso Anna si impegna a mostrare riconoscenza a Dio consacrando il proprio figlio Samuele alla vita del tempio. E tuttavia per inciso si sottende ad un problema esacerbante per non poche famiglie appena formate: l’impossibilità di avere figli. Come vivono le aspiranti mamme una situazione del genere? Quali atteggiamenti assumono, come si comportano gli sposi che si ritrovano a dover soffrire l’impossibilità di mettere prole al mondo, dopo aver sognato per tanti anni il matrimonio e la vita familiare nella gioiosa compagnia dei figli? Da quello che personalmente ho riscontrato non è facile da parte loro accettare quella che ora – a ragione – definiscono una condanna, poiché riguarda la frantumazione di un intero progetto di vita agognato da tanti anni, comporta lo smorzamento di un grande entusiasmo coltivato da tempo, la rottura di una serenità che credevano di aver raggiunto almeno in parte. Non sono poche le turbative psicologiche alle quali si va incontro in circostanze come queste. Non sempre è facile consolare queste coppie (soprattutto le mamme) con discorsi relativi alla volontà divina orientata diversamente, in altre parole dicendo loro che forse il Signore ha impostato per essi un programma diverso da quello della prole, magari nella dedizione maggiore al coniuge o al volontariato.
Se è da una parte è aberrante notare che si ricorre con estrema facilità alla nefandezza dell’aborto, dall’altra è spiacevole fare esperienza di giovani mamme depresse e demoralizzate per aver subito aborti involontari mentre avrebbero preferito portare avanti la gravidanza. Senza contare il fatto che moltissimi aborti volontariamente portati a termine generano a lungo andare stati di smarrimento e di angoscia in chi li ha procurati, perché il sentire materno prima o poi, immancabilmente, emerge. Nelle circostanze suddette e in altre simili le coppie necessitano di continuo sostegno morale e materiale, si richiede che non siano lasciate sole e che a loro si conceda quanta più vicinanza e solidarietà; soprattutto perché determinate esperienze incidono nella visione pessimistica della vita sponsale e familiare e l’afflizione e lo scoramento che esse comportano non facilitano la crescita nella coppia. Nella famiglia occorre credere, anche se non poche esperienze minano la nostra fede in essa. Anche quando nel corso della vita di convivenza problemi suscitati dai ragazzi e dai giovani con le loro pretese a volte assurde ci destabilizzano; anche quando vi sono drastici incidenti di percorso quali la fuga di un giovane nella droga o nel furto o in altre alienazioni facili dovute molto spesso alla mancata incomprensione all’interno della propria casa. Anche quando la figlioletta improvvisamente per imprecisati motivi scappa di casa o a sorpresa fa trovare il proprio cadavere appeso ad una corda… Anche se molte volte il mancato dialogo con i genitori, le incomprensioni e le situazioni di contrasto e i dissapori tendono a disfare l’unione della famiglia. Anche se il salario non è sufficiente a garantire il sostentamento mensile di tutti, il costo della vita è sempre più insostenibile e la perdita dell’impiego dell’unico che porta i soldi a casa (generalmente il padre) induce a volte ad atti impropri di disperazione.
Occorre credervi sempre e comunque, ed eliminare tutto quello che possa ostacolare in noi la speranza e la certezza fondate sul nucleo familiare. Ma domandiamoci: quali sono le condizioni per perseverare in questa fede? Quale visione della famiglia può incoraggiarci in determinate occasioni aberranti? Rispondiamo: la famiglia sacrale fondata sul matrimonio, cioè sulla nostra fede di essere stati eletti da Dio che ci ha motivati e radicati nell’unità sacramentale. Nella misura in cui si concepisce la famiglia come vincolo sacramentale indissolubile voluto da Cristo, la stessa fede nel Signore ci induce a vivere anche l famiglia secondo la volontà del Signore e di conseguenza a coltivare fiducia, speranza, coraggio e determinazione nella prova e nel dolore.
La famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria non era affatto differente dalle nostre quanto ai problemi e alle possibilità di tentennamento: le turbative di coscienza da parte di Giuseppe sono ben note quando questi sa di aver accolto nella propria casa una donna incinta non importa seppure per volontà e per intervento divino e in circostanze ostili e avverse come quelle dell’epoca la tentazione di dover abortire poteva anche esserci. Come pure in tempi di persecuzione erodiana poteva subentrare la volontà di disfare quel nucleo familiare che tanto costava a Giuseppe o ancora potevano ingenerarsi occasioni di attrito e di dissapore fra i due coniugi o fra questi e il figlioletto Gesù. E invece nella Santa famiglia di Nazaret la Scrittura e la Tradizione se da una parte enumerano i problemi e le difficoltà insormontabili, dall’altra ci parlano sempre di unità, di coesione e di concordia. E soprattutto ci raccontano della fede vissuta, condivisa e consolidata fra i tre membri, come nell’episodio dello smarrimento di Gesù e del suo ritrovamento al tempio dopo tre giorni. E’ vero che Gesù avrebbe potuto avvertire i genitori della sua assenza sulla via del ritorno da Gerusalemme, è altrettanto vero che Maria e Giuseppe dovevano essersi angosciati e impauriti nel cercarlo per ogni dove, domandando in giro di lui e percorrendo trafelati la strada per la quale poteva essere passato nel tentativo di ritrovarlo. Tuttavia Gesù nella sua età predolesenziale (12 anni) era già in grado, secondo la cultura dell’epoca, di apprendere anche da solo la Legge, i Profeti e di entrare così in relazione con il mondo rabbinico e giudaico. Quello che aveva fatto era pertanto in un certo qual modo legittimo anche dal punto di vista legale e in ogni caso « Perché mi cercavate? Non sapevate che devo occuparmi delle cose del Padre mio? » La risposta sottende sia al fatto che Gesù doveva essere stato educato dai suoi in senso religioso, sia alla verità che lui stesso, Verbo Incarnato, stava ora educando i suoi stessi genitori in tal senso e che pertanto vi era un legame con i suoi intessuto sull’orlo della fede e della devozione alla Parola di Dio. E proprio questa fede animava ogni atto e ogni momento di convivenza di Maria, Giuseppe e di Gesù, consentendo il superamento ordinario degli immancabili assilli e delle difficoltà.
La famiglia matrimoniale, a differenza di tutti gli altri sistemi di convivenza non condivisibili, si fonda sulla fede incondizionata in Colui che ci ha amati e creati e che sa cosa fare di noi (S. Agostino) e comporta che nel suo nome si trovino soluzioni ai problemi e ragioni di speranza.

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