Ghirlandaio Domenico. Visitation, approx. 1491, Musée du Louvre, Paris

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MICHEA 5, 1-4
MEDITAZIONE
In questo passo si delinea qualche altra caratteristica del Messia. Egli sarà il dominatore d’Israele, ovvero colui che regnerà. Egli introdurrà un regno di pace che si estenderà oltre i confini della nazione d’Israele ed egli pascerà i suoi nella forza di Yahweh. Sotto il suo regno tutti vivranno nella sicurezza. Si evidenziano, dunque, tre funzioni importanti di colui che deve venire: il suo ruolo di re, il suo ruolo di portatore di pace e il ruolo di chi guida, nutre e protegge. In contrasto con queste funzioni è l’umiltà del luogo di nascita: Betlemme.
La Parola di Dio afferma spesso che le vie e i pensieri di Dio non sono quelli dell’uomo, anzi, molto spesso sono l’opposto: « i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie » (Isaia 55, 8). Gesù, l’arrivo del quale viene preannunciato in questo passo, rivela le vie del Padre e i suoi pensieri dall’inizio alla fine della sua vita terrena. Pur essendo uguale al Padre (Filp. 2, 6) non esitò a rinunciare alla sua gloria presso il Padre, per diventare uomo uguale a noi in tutto, tranne nel peccato. Non solo divenne uomo ma anche servo (Fil. 2, 7) perché noi potessimo partecipare alla sua gloria. Egli dunque rivela che la via di Dio va in direzione contraria a quella dell’uomo naturale che mira all’affermazione di sé stesso. Gesù non affermò mai sé stesso, ma ribadì la sottomissione alla volontà del Padre: « non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato » (Giov. 5, 30). La volontà del Padre fu che Cristo nascesse non nella città prestigiosa di Gerusalemme, bensì a Betlemme di Efrata, il più piccolo capoluogo della Giudea. Era rinomata perché aveva precedentemente dato alla luce l’inizio della dinastia davidica, dalla quale doveva provenire il Messia « farò germogliare per Davide un germoglio di giustizia » (Ger. 33, 15). Cristo è nato nella città di Davide: « Non dice forse la Scrittura che il Cristo verrà dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide? » (Giov. 7, 42). Le origini terrene del Messia risalgono dunque ai tempi remoti dell’inizio della dinastia davidica: « le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti » (v. 1). Le origini umane, regali del Messia sono menzionate spesso nelle pagine del Nuovo Testamento. Matteo, ad esempio, inizia il suo vangelo dicendo: « genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide » (Matt. 1, 1).
Gesù nacque, dunque, a Betlemme come fu profetizzato anche se la sua famiglia risiedeva a Nazaret (Matt. 2, 23) luogo che non godeva di una buona reputazione: « Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono? » (Giov.1, 46). Se poi pensiamo in quali condizioni egli sia nato dobbiamo concludere che secondo il modo di pensare umano non si tratta di un debutto eclatante. È un modo del tutto insolito per introdurre il « Re dei re » e il « Signore dei signori ». Abbiamo la dimostrazione viva di quanto affermò Paolo: « Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla » (1 Cor. 1, 27, 28). Ma anche tutta la vita di Gesù rivela la stessa umiltà. Egli si mise in fila tra i peccatori per essere battezzato da Giovanni, fu accusato di essere amico dei peccatori, predilisse gli emarginati, morì come un criminale tra due ladri, dopo che la folla gli preferì l’omicida Barabba. Sulla croce strumento di morte per i criminali fu posto lo scritto « questi è Gesù, il re dei Giudei » (Matt. 27, 27). I capi religiosi schernendolo dissero: « E il re d’Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo » (Matt. 27, 42). Questo è »il dominatore in Israele » (v. 1) a cui allude il profeta Michea. Ma non dimentichiamo che secondo il pensiero di Dio, secondo il pensiero di Cristo, colui che è più forte, colui che domina, è in realtà, colui che serve, come fece Cristo: « I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non cosi dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti » (Matt. 20, 25-28). Per mezzo della risurrezione Gesù è diventato il Signore della vita e della morte. La logica umana è saltata completamente. Quella saggezza, conseguenza del primo peccato di Eva e trasmesso a tutti in seguito, è rivelata inferiore alla stoltezza di Dio: »ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini » (1 Cor. 1, 25). Sono due modi di pensare opposti e irreconciliabili ed è per questo che, per poter beneficiare pienamente della vita nuova di Cristo, occorre morire a sé stessi. Dal trono di Dio Cristo continua a servire e ad attirare a sé tutti, lasciando a ciascuno la libertà di accettarlo o di respingerlo. A ciascuno la sua scelta.
La profezia di Michea evidenzia un altro ruolo del Messia: quello di pastore. Afferma che pascerà i suoi. In Ezechiele il Signore si lamentava che il suo popolo era disorientato e senza pastore: « Per colpa del pastore si sono disperse e son preda di tutte le bestie selvatiche: sono sbandate. Vanno errando tutte le mie pecore in tutto il paese e nessuno va in cerca di loro e se ne cura » (Ezech. 34, 5). La situazione non era meglio ai tempi di Gesù che « vedendo le folle ne senti compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore » (Matteo 9, 36). Egli disse di essere il buon pastore che ha cura delle pecore (Giov. 10, 11). Il buon Pastore ha promesso la massima protezione ai suoi, perché fondata su una reciproca conoscenza nonché sulla sequela: « le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono » (Giov. 10, 27). La reciproca conoscenza che induce le pecore a seguire la voce del Pastore garantisce la protezione perché si è custoditi dall’onnipotenza di Dio: « Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola » (Giov. 10, 28, 29). Chiunque può decidere se accettare la protezione della mano onnipotente di Dio o meno, accettando che Cristo diventi per lui Salvatore e Signore.
Chi si sottomette alla sua signoria scoprirà la sicurezza eterna del suo regno sia in questa vita che in quella a venire: « abiteranno sicuri, perché egli allora sarà grande fino agli estremi confini della terra » (v. 3). Da questa sicurezza nasce la pace, una delle caratteristiche fondamentali del regno di Dio: »Il regno di Dio … è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo » (Rom. 14, 17). Accetti che Cristo ti custodisca e ti pasca »con la forza di Yahweh » (v. 3)? allora rispondi alla chiamata del Padre, di accogliere suo Figlio, donato per questo motivo.
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Beata colei che ha creduto
mons. Gianfranco Poma
IV Domenica di Avvento (Anno C) (23/12/2012)
Vangelo: Lc 1,39-45
È una pagina splendida, tutta al femminile, quella di Luca (Lc.1,39-48) con la quale la Liturgia ci prepara al Natale: l’incontro di due donne incinte che portano la vita nel loro grembo, la più giovane che fa sussultare di gioia il bambino in grembo alla donna che tutti ritenevano sterile. È una pagina che solo la donna può gustare pienamente. Da una parte tutto è così umanamente normale eppure tutto è così straordinariamente divino. Maria, una giovane donna sorpresa dalla sua inattesa maternità che si allontana dal suo paese per andare ad incontrare la anziana cugina Elisabetta sconcertata per la sua maternità da tutti ritenuta impossibile.
In questa storia nella quale Maria, giovane donna ebrea, è la protagonista, si intrecciano tutti i sentimenti che accompagnano l’esperienza femminile chiamata a vivere la complessa ricchezza della vita umana: sorpresa, sgomento, meraviglia, solitudine, paura, desiderio di condivisione, gioia, ringraziamento… E in questa storia così fatta di carne, Maria ascolta nel profondo del suo cuore una Parola che ravviva, dà senso: Maria accoglie la Parola che diventa la sua carne e genera un Figlio che è Parola diventata carne e tutto ciò che è carne, ogni sentimento, ogni sussulto è ormai espressione della Parola incarnata. Tutto ciò che è umano, in Maria, accogliente della Parola di Dio, diventa una epifania, una impronta di Dio.
L’intenzione di Luca discepolo di Paolo, in tutto il suo Vangelo è di annunciare, in modo narrativo, la novità e la bellezza della fede in Gesù: nei primi capitoli Maria è la credente e l’annunciatrice della fede. Narrando l’esperienza di Maria, Luca introduce il suo lettore nella stessa esperienza: l’esperienza più personale che la persona umana possa fare. È l’esperienza credente di una giovane donna, che si chiama Maria, fidanzata con Giuseppe, che abita a Nazareth.
Tutto comincia da quelle parole che attraverso l’angelo Gabriele Dio ha rivolto a Maria: « Rallegrati, piena di grazia! Il Signore è con te. » Sono parole così dense, in qualche modo intraducibili nelle nostre lingue, che sintetizzano l’esperienza di Dio di tutto il suo popolo, che adesso sono rivolte, imprevedibilmente, a lei, ragazza normale di Israele: è invitata a rallegrarsi, perché tutto il bene promesso al suo popolo, tutto l’amore di Dio, è per lei. L’angelo in nome di Dio ha parlato a Maria e l’ha chiamata: « Amore ». Non può che rimanere turbata, Maria, e non può che cominciare un cammino interiore che non avrà più fine: « si domandava che senso avesse un saluto come questo ». Tutto ciò che segue è il dialogo della fede di una ragazza con Dio: come lasciarsi amare da Dio? Come rispondere all’amore di Dio? Dio afferra totalmente Maria: in lei che si abbandona completamente in lui, il suo Spirito diventa operante. La donna, Maria, è la piena accoglienza di Dio nel mondo: non può non generare il Figlio di Dio la donna che ha accolto Dio con una tale pienezza che ormai esiste solo per Lui.
« Ecco la serva del Signore: avvenga a me secondo la tua parola! »: Maria esprime tutta la libertà con la quale l’umanità e la creazione intera si affida all’Amore di Dio, e si lascia rigenerare dalla sua Parola. L’esperienza della fede di Maria è la realizzazione del desiderio di comunione di Dio che giunge sino ad incarnarsi. « Nulla è impossibile a Dio ». L’onnipotenza di Dio è l’onnipotenza dell’Amore che ha bisogno della libertà di una giovane donna per incarnarsi ed essere generato da lei: Dio, il figlio, carne della sua carne credente,
Adesso Maria « alzatasi, partì verso la montagna, in fretta, verso una città di Giuda… »: è bellissima questa descrizione di Maria, icona della comunità cristiana di Luca. Maria « alzatasi »: è il verbo della risurrezione. La fede ha cambiato la vita alla piccola ragazza di Nazareth che da questo momento tutta la storia esalterà. Tutti gli schemi umani cominciano a saltare: « Dio ha fatto per me meraviglie…ha guardato al mio niente… ». Questa ragazza ha sperimentato l’Amore: è piena di una gioia incontenibile. Porta con sé la vita, genera vita, e comincia a correre verso il mondo intero: nessuno più potrà fermarla.
« Entrò nella casa di Zaccaria »: se il mondo intero è l’orizzonte verso cui è incamminata, Maria ormai vive concretamente la sua esperienza di credente: l’infinito di Dio sta nelle piccole cose della vita quotidiana. Maria corre verso una città di Giuda, ma non verso il Tempio dove Zaccaria sacerdote era stato chiamato da Gabriele, ma verso la sua casa: ormai Maria ha imparato lo stile di Dio, la sua ferialità.
« E salutò Elisabetta »: Gabriele aveva salutato lei, perché aveva guardato alla piccolezza della serva di Dio ». Adesso lei saluta Elisabetta, che tutti ritenevano sterile. Ma adesso Maria sa che Dio ama gli ultimi, i peccatori, le donne, ritenute giuridicamente ultime.
Non sappiamo come Maria abbia salutato Elisabetta: in tutta la scena Maria non parla. Eppure il gesto di Maria, la sua presenza, la grazia di cui è piena, la sua bellezza, l’amore di cui vive, fa sussultare di gioia il bambino nel grembo di Elisabetta.
« Quando udì il saluto di Maria Elisabetta, sussultò il bimbo nel suo grembo e fu riempito di Spirito santo Elisabetta »
Maria è testimone della fede, non con le parole, non con gesti singolari: « udì Elisabetta » c’è un modo nuovo di « ascoltare », è tutta la persona che si apre all’ascolto. Maria « parla » con il suo saluto, con la sua umanità così vera perché piena di Dio. Tutto è così normale in questo incontro di due donne incinte: eppure tutto diventa così nuovo, così intenso. Il figlio del suo Amore rende pieno di gioia il bambino nel grembo di Elisabetta che ancora prima di nascere, esulta perché tutto ormai è vita nuova.
« E fu piena di Spirito santo Elisabetta »: l’incontro con Maria, la relazione con lei, la apre all’azione dello Spirito santo. Ormai lo Spirito è operante, riempie l’universo e trasforma la vita di ogni persona che si abbandona a Lui.
Il saluto di Maria, l’intensità dell’incontro, ha liberato la vita di Elisabetta che « si era nascosta per cinque mesi », e dalle sue labbra sgorga un inno di gioia: l’esperienza che le ha riaperto la vita, adesso, da lei stessa viene interpretata e proclamata, perché continui la catena delle donne che credendo, rigenerano la vita.
« Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! »: adesso è finita la tristezza della donna che non aveva creduto all’amore di Dio, adesso il suo grembo è benedetto.
« A che debbo che la madre del mio Signore venga a me…? »: Elisabetta è stupita per la meraviglia della gratuità della logica nuova di Dio che entra nel mondo, nella sua vita, nel frutto del suo ventre, incarnandosi nel ventre di una giovane donna.
« E beata colei che ha creduto che ci sarà compimento alle cose dette a lei da parte del Signore ». In questa frase stupenda troviamo la più intensa definizione dell’esperienza della fede di Maria e la più completa interpretazione di Maria stessa, la donna credente, la donna felice.
Adesso anche le labbra di Maria si schiudono nel suo cantico: « Rende grande la mia anima il Signore ed esulta il mio spirito in Dio mio salvatore… ». Tutto è così grande e tutto è così intimo. Tutta l’umanità di Maria è pervasa di Dio: la piccola ragazza di Nazareth esplode di gioia.
Tutto questo è per noi, perché noi pure viviamo la nostra esperienza della fede e gustiamo la gioia di Dio che ci è più intimo di quanto noi stessi possiamo essere intimi a noi stessi.