Archive pour le 19 décembre, 2012

Annunciation To Zacharias, Domenico Ghirlandaio, 1490

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LA NASCITA DI GESU’, LUCA – UN ANNO CON MARIA

http://www.donbosco-torino.it/ita/Maria/meditazioni/06-07/05-Nascita_di_Gesu.html

UN ANNO CON MARIA

LA NASCITA DI GESU’

Il racconto di Luca, in cui si accenna alla nascita di Gesù, trova poco spazio nei grandi trattati di Mariologia. Infatti si parla di Maria solo nei vv. 5-7.16.19. Eppure è qui dove il Figlio di Dio, per mezzo di Maria, appare per la prima volta nella sua umanità. Luca ne sente tutta l’importanza: per lui la nascita di Gesù è l’evento che ha la più grande importanza nella storia dell’umanità e per questo cerca in qualche modo di evidenziarla sin dall’inizio:
“In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra”. In 1,5 si introduce l’annuncio a Zaccaria dicendo: “Al tempo di Erode re della Giudea…”.
Era un fatto limitato alla Palestina, la nascita di Gesù invece riguarda la storia del mondo. Per questo Luca usa il termine divino di Augusto per creare un contrasto con i titoli che userà per Gesù: Signore, Cristo, Salvatore. Qui è il signore della terra e quello del cielo che si oppongono.
Dal testo appare chiaro che Gesù è nato nel tempo di Cesare Augusto. Ma quando si tratta di precisare bene il tempo si cade in un’enorme confusione. È certo che è nato prima dell’anno 4 a.C, anno della morte di Erode, ma di più non si può dire. C’è poi un’altra serie di nomi e di notizie. È impossibile stabilirne la cronologia. Luca sembra colmo di difficoltà, ma forse a lui interessava soprattutto collocare la nascita di Gesù sullo sfondo della storia universale e presentare Maria e Giuseppe in un concreto ambiente storico non solo sottomessi alle leggi ebraiche ma anche a quelle dell’impero. Ed è per ubbidire a queste ultime che si recano a Betlemme.

La nascita di Gesù (vv. 6-7)
“Mentre si trovavano a Betlemme si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia perché non c’era posto per loro altrove”. I commenti in genere accentuano la sofferenza di Maria in cerca di un luogo adatto e solitario per lei necessario. Sentiva che non c’era posto per lei altrove, un’espressione che non significa rifiuto. E trovò in una grotta un posto adatto per partorire.
Oggi si soavizza molto questo aspetto. Benedetto Prete dice che l’accenno alla mangiatoia non indica che il locale era abitualmente adibito ad accogliere animali. In ogni abitazione c’era sempre un locale in cui a volte ci poteva essere un animale. Giuseppe e Maria hanno accolto volentieri questa ospitalità offerta loro da parenti e conoscenti. Trovarono per loro una certa riservatezza. La mangiatoia d’altronde, debitamente preparata, si prestava a fare da culla al neonato.
È lì che diede alla luce il figlio concepito nella verginità; è lì che apparve per la prima volta il Figlio di Dio nella sua umanità e che si realizzò: “Il Verbo di Dio si fece carne e abitò in mezzo a noi”.
“Lo avvolse in fasce”: un gesto tanto abituale, ma qui dal significato profondo. Il Figlio dell’Altissimo (1,32), ora divenuto Figlio di Maria, assume la condizione umana, quella comune a noi tutti: una condizione segnata dal limite e dall’incompiutezza, una condizione che ha bisogno delle cure di mamma e papà per crescere e svilupparsi; una condizione infine destinata a concludersi con la morte. In una parola: la Gloria del Signore, che compete al Figlio di Dio, si nasconde nella povertà delle fasce; lì e non altrove bisogna riconoscerlo.

Le fasce: un segno
Maria è lì sola con Giuseppe e il bambino. Sa che è il Messia, ma vede anche la povertà in cui è nato. A Nazaret aveva certo preparato tante cose per accoglierlo. Ora non può non essere triste e farsi tanti “perché” a cui non riesce a rispondere. Ebbene in sincronia con questa situazione di Maria, avviene qualcosa di meraviglioso, da cui si capisce che solo la rivelazione può spiegare il senso dell’evento, e questa viene fatta non a Maria ma a dei pastori.
“Essi di notte stavano facendo la guardia al loro gregge, quando si presentò loro l’angelo del Signore e la gloria del Signore li avvolse di luce”.
Dopo Zaccaria (1,11), dopo Maria (1,26) l’angelo ora appare a umile gente.
La novità è che ora l’angelo non si presenta da solo perché “la gloria del Signore avvolse i pastori” i quali subito percepirono la presenza tangibile del Signore e furono colti come una volta i profeti e i veggenti da quel sacro timore che il mistero di Dio ispira a un mortale, ma che è sempre colmo di grazia e di salvezza. Si tratta però ora di una rivelazione che non butta in faccia la realtà, ma che va a piccoli passi. Inizia dicendo che è una bella notizia che è fonte di una grande gioia per voi e poi per tutto il popolo. E poi con parole ben dosate rivela loro il mistero di un neonato “Oggi nella città di Davide è nato per voi il Salvatore che è Cristo Signore”. È un testo carico di storia e di significato. È probabile che i pastori abbiano capito la parola “Salvatore” e ora sentono dire che sarà per loro fonte di gioia. Presto approfondiremo.

Per ora ascoltiamo il resto:
“Questo è per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce adagiato in una mangiatoia”.
Ed essi andarono, ma che cosa trovarono? Trovarono Maria e Giuseppe e il bambino adagiato in una mangiatoia. Colui che è stato loro rivelato come il Salvatore è nato come si nasce tra i pastori.
Forse è per questo che l’angelo ha loro detto: “Una gioia per voi”, ma vi è una novità nell’ultimo versetto citato (v. 16): le fasce non sono più ricordate, al loro posto si menzionano Maria e Giuseppe. Perché? Forse come si ricava da testi dell’Antico Testamento (Es 16,4) si vuole indicare che un bambino avvolto in fasce fin dalla nascita non è un trovatello, un abbandonato, ma è una creatura custodita con tenerezza da persone intime, prima fra tutte la mamma.
Lo Pseudo-Salomone dice: “Anch’io appena nato fui allevato in fasce e circondato da cure”. Un neonato avvolto in fasce è l’espressione della sollecitudine prestata dalle persone più care sin dalla culla, qui da Maria e Giuseppe. Le loro cure in quanto genitori erano tutte per Gesù, lo custodivano in modo che potesse crescere in sapienza e grazia.
L’ultima riflessione sulle fasce viene dalla predicazione apostolica che ha abbinato due testi: 2,7 e 23,53: Maria diede alla luce il figlio lo avvolse in fasce e lo depose nella mangiatoia. Giuseppe di Arimatea calò il corpo di Gesù dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in un sepolcro. La lezione che ne deriva è ineccepibile: il Messia di Dio, una volta che ha rivestito la condizione umana, assume di noi anche quella della morte. Venendo tra i suoi (1,11) viene nel nostro mondo per morire.

Torniamo ai pastori
Dopo aver visto il bambino riferirono tutto ciò che del bambino era stato detto loro, cioè furono loro ad annunziare a Maria quanto il Signore aveva rivelato loro, cioè il senso della nascita di suo figlio. E quello che ora si dice di Maria è molto importante: “Maria custodiva tutti questi fatti meditandoli nel suo cuore”. Qui c’è molto da riflettere, ma prima parliamo dell’allontanamento dei pastori, che pure è importante: “Se ne tornarono glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto com’era stato detto loro”. Sono in atteggiamento di annuncio, un annuncio che risuona sulle montagne di Giuda, ma che poi si è diffuso per la Palestina, ha attraversato i mari, gli oceani e i secoli ed è giunto fino a noi. Ora tocca a noi trasmetterlo alle generazioni future sino alla fine dei secoli.

Maria meditava per la comunità
Del v. 19 ciò che innanzitutto interessa è la traduzione. Le versioni sono molto varie: “Maria conservava tutti questi fatti”; custodiva tutte queste cose… o queste parole. Nessuno traduce bene la parola greca “remata” che può essere resa esattamente solo se si usano due parole: “parole-fatti” o “parole-eventi”. Tutto ciò che capita o si dice è “remata”. Per esempio Maria ha ascoltato questi “eventi” ha ascoltato le “parole” che l’angelo ha detto ai pastori.
Si è sentita dire: “È nato nella città di Davide il Salvatore che è Cristo Signore”. Maria guarda il piccolo avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia. Tanta povertà e piccolezza unite alle parole dell’angelo esigono da lei un atto di fede. Le conserva nel suo cuore e cerca di capire. Ma il cammino per capire qualcosa sarà lungo e si concluderà quando con la comunità del Risorto, chiamerà suo figlio che conosce come discendente di Davide, Messia e Signore. Ma forse quello che più l’ha impressionata è che Dio ha fatto nascere suo Figlio nell’estrema povertà, indicando una delle sue scelte: “tra i poveri”, preannuncio delle scelte che Gesù farà nel suo apostolato.
Luca quando dice che Maria “conservava-ricordava” forse vuole presentare una delle sue fonti sui racconti dell’Infanzia. Una cosa però è certa: Quest’immagine di Maria è per Luca il vero Modello del discepolo non solo degli eventi avvenuti all’inizio ma anche durante la vita terrena di Gesù. Maria è il modello di un vero e continuo cammino di fede e Luca 2,19 e poi 2,51 che chiude i racconti dell’infanzia, dipingono quell’immagine di Maria che ogni discepolo deve avere sempre presente nella comunità.
Luca vuole che si ricordi in continuità tra i cristiani Maria che conserva, ricorda e confronta le “parole-eventi” che essa ha udito e vissuto per farli incidere nella propria vita in modo da capire sempre di più il mistero del Figlio. È quel cammino che gli Apostoli e la comunità hanno fatto sin dall’inizio quando “assiduamente ascoltavano l’insegnamento degli Apostoli”.

Maria meditava con la comunità
Ma c’è una cosa tanto bella in questo inizio di un cammino di fede compiuto da Maria e dalla comunità. Ricordando l’annuncio dei pastori già si intravede quello che sarà l’interpretazione dell’intera vicenda di Gesù. L’esegesi cristiana primitiva parte dal fatto che Gesù è il perfetto compitore di tutte le promesse, colui che porta a compimento la Legge e i Profeti. Ebbene questa linea di interpretazione ha inizio, se possiamo dirlo, con il ricordo-confronto dell’annuncio dell’Angelo la notte di Natale. Solo a poco a poco si andava approfondendo e lo si comprendeva sempre meglio. Presentiamone il cammino. “Oggi è nato per voi un Salvatore nella città di Davide”. È un oggi vero spartiacque della storia. Il tempo dell’attesa è finito.
Il Salvatore promesso, discendente da Davide, è nato oggi non a Gerusalemme, perché la vera città di Davide è Betlemme, perché Dio ritorna alle sorgenti per dare definitivamente compimento alla storia della salvezza e perché così aveva promesso: “Da Betlemme uscirà colui che sarà il dominatore in Israele, le cui origini risalgono ai tempi antichi, ai giorni eterni” (Mi 5,1). La salvezza non può venire da Gerusalemme, la città che uccide i profeti (Lc 13,34), ma da Betlemme dove solo può spuntare “il germoglio dalla radice di Jesse” (Is 11,11). E chi non vede questo germoglio nel neonato da Maria avvolto in fasce? È lui il germoglio che ridà la vita a un tronco inaridito, a una radice secca. È in lui che si realizza la profezia di Isaia 9,5: “Un bambino ci è nato; ci è stato dato un figlio. Il dominio riposerà sulle sue spalle”.
Si può aggiungere: “e si chiamerà Gesù”. Egli è per noi un Salvatore. Per i cristiani era bello proclamare di fronte agli imperatori romani che si fregiavano di questo titolo, che solo Gesù è il Salvatore. L’annuncio dell’angelo la notte di Natale si conclude dicendo: “che è Cristo-Signore”. Nessuna difficoltà per Maria e la prima comunità a chiamarlo “Cristo, Messia”. Ma quando è arrivata la prima comunità a dire che Gesù è il Signore, “il Figlio di Dio” in senso pieno? Che cosa è successo a Maria quando a forza di ascoltare e meditare le “parole-evento” ha capito che il volto umano di Gesù era il volto dello stesso Dio?
La Scrittura dice che “nessuno può vedere Dio e continuare a vivere”. Ebbene noi pensiamo che quando Maria ha capito questo, la sua materialità ha ceduto ed è stata assunta in cielo.
Ebbene, è su questa linea di interpretazione che si è sempre mossa l’interpretazione primitiva delle prima comunità con lo scopo di conoscere sempre di più il mistero di Cristo figlio di Maria. E Maria ha fatto parte di quella comunità e continua ancora oggi a essere parte della comunità cristiana.

Preghiamo
Maria, quando la notte di Natale hai udito l’annuncio dei pastori hai subito sentito di essere di fronte a un grande mistero e hai immediatamente fatto una scelta: “conservare nel cuore e confrontare le parole-evento che hai udito e visto. Hai iniziato, anche con la comunità, un lungo cammino e a poco a poco hai capito. Maria, sei un vero modello per noi. Aiutaci, mediante lo Spirito a approfondire sempre di più la Parola-evento. Abbiamo bisogno di conoscere sempre di più il Figlio tuo, perché la vita cristiana è imitazione di Lui. Aiutaci, Maria, ad ascoltare assiduamente la Parola che deve trasformare la nostra vita e renderci simili al figlio e sempre di più figli tuoi. Amen!

Mario Galizzi SDB

PAPA BENEDETTO: « MODELLO E MADRE DI TUTTI I CREDENTI »

http://www.zenit.org/article-34618?l=italian

« MODELLO E MADRE DI TUTTI I CREDENTI »

La catechesi di Benedetto XVI durante l’Udienza Generale di oggi

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 19 dicembre 2012 (ZENIT.org).- Riprendiamo di seguito la catechesi tenuta da papa Benedetto XVI durante la tradizionale Udienza Generale del mercoledì, svoltasi questa mattina nell’Aula Paolo VI.
***
Cari fratelli e sorelle,
nel cammino dell’Avvento la Vergine Maria occupa un posto particolare come colei che in modo unico ha atteso la realizzazione delle promesse di Dio, accogliendo nella fede e nella carne Gesù, il Figlio di Dio, in piena obbedienza alla volontà divina. Oggi vorrei riflettere brevemente con voi sulla fede di Maria a partire dal grande mistero dell’Annunciazione.
«Chaîre kecharitomene, ho Kyrios meta sou», «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te» (Lc 1,28). Sono queste le parole – riportate dall’evangelista Luca – con cui l’arcangelo Gabriele si rivolge a Maria. A prima vista il termine chaîre, “rallegrati”, sembra un normale saluto, usuale nell’ambito greco, ma questa parola, se letta sullo sfondo della tradizione biblica, acquista un significato molto più profondo. Questo stesso termine è presente quattro volte nella versione greca dell’Antico Testamento e sempre come annuncio di gioia per la venuta del Messia (cfr Sof 3,14; Gl 2,21; Zc 9,9; Lam 4,21). Il saluto dell’angelo a Maria è quindi un invito alla gioia, ad una gioia profonda, annuncia la fine della tristezza che c’è nel mondo di fronte al limite della vita, alla sofferenza, alla morte, alla cattiveria, al buio del male che sembra oscurare la luce della bontà divina. E’ un saluto che segna l’inizio del Vangelo, della Buona Novella.
Ma perché Maria viene invitata a rallegrarsi in questo modo? La risposta si trova nella seconda parte del saluto: “il Signore è con te”. Anche qui per comprendere bene il senso dell’espressione dobbiamo rivolgerci all’Antico Testamento. Nel Libro di Sofonia troviamo questa espressione «Rallégrati, figlia di Sion,… Re d’Israele è il Signore in mezzo a te… Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente» (3,14-17). In queste parole c’è una duplice promessa fatta ad Israele, alla figlia di Sion: Dio verrà come salvatore e prenderà dimora proprio in mezzo al suo popolo, nel grembo della figlia di Sion. Nel dialogo tra l’angelo e Maria si realizza esattamente questa promessa: Maria è identificata con il popolo sposato da Dio, è veramente la Figlia di Sion in persona; in lei si compie l’attesa della venuta definitiva di Dio, in lei prende dimora il Dio vivente.
Nel saluto dell’angelo, Maria viene chiamata “piena di grazia”; in greco il termine “grazia”, charis, ha la stessa radice linguistica della parola “gioia”. Anche in questa espressione si chiarisce ulteriormente la sorgente del rallegrarsi di Maria: la gioia proviene dalla grazia, proviene cioè dalla comunione con Dio, dall’avere una connessione così vitale con Lui, dall’essere dimora dello Spirito Santo, totalmente plasmata dall’azione di Dio. Maria è la creatura che in modo unico ha spalancato la porta al suo Creatore, si è messa nelle sue mani, senza limiti. Ella vive interamente della e nella relazione con il Signore; è in atteggiamento di ascolto, attenta a cogliere i segni di Dio nel cammino del suo popolo; è inserita in una storia di fede e di speranza nelle promesse di Dio, che costituisce il tessuto della sua esistenza. E si sottomette liberamente alla parola ricevuta, alla volontà divina nell’obbedienza della fede.
L’Evangelista Luca narra la vicenda di Maria attraverso un fine parallelismo con la vicenda di Abramo. Come il grande Patriarca è il padre dei credenti, che ha risposto alla chiamata di Dio ad uscire dalla terra in cui viveva, dalle sue sicurezze, per iniziare il cammino verso una terra sconosciuta e posseduta solo nella promessa divina, così Maria si affida con piena fiducia alla parola che le annuncia il messaggero di Dio e diventa modello e madre di tutti i credenti.
Vorrei sottolineare un altro aspetto importante: l’apertura dell’anima a Dio e alla sua azione nella fede include anche l’elemento dell’oscurità. La relazione dell’essere umano con Dio non cancella la distanza tra Creatore e creatura, non elimina quanto afferma l’apostolo Paolo davanti alle profondità della sapienza di Dio: «Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!» (Rm 11,33). Ma proprio colui che – come Maria – è aperto in modo totale a Dio, giunge ad accettare il volere divino, anche se è misterioso, anche se spesso non corrisponde al proprio volere ed è una spada che trafigge l’anima, come profeticamente dirà il vecchio Simeone a Maria, al momento in cui Gesù viene presentato al Tempio (cfr Lc 2,35). Il cammino di fede di Abramo comprende il momento di gioia per il dono del figlio Isacco, ma anche il momento dell’oscurità, quando deve salire sul monte Moria per compiere un gesto paradossale: Dio gli chiede di sacrificare il figlio che gli ha appena donato. Sul monte l’angelo gli ordina: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito» (Gen 22,12); la piena fiducia di Abramo nel Dio fedele alle promesse non viene meno anche quando la sua parola è misteriosa ed è difficile, quasi impossibile, da accogliere. Così è per Maria, la sua fede vive la gioia dell’Annunciazione, ma passa anche attraverso il buio della crocifissione del Figlio, per poter giungere fino alla luce della Risurrezione.
Non è diverso anche per il cammino di fede di ognuno di noi: incontriamo momenti di luce, ma incontriamo anche passaggi in cui Dio sembra assente, il suo silenzio pesa nel nostro cuore e la sua volontà non corrisponde alla nostra, a quello che noi vorremmo. Ma quanto più ci apriamo a Dio, accogliamo il dono della fede, poniamo totalmente in Lui la nostra fiducia – come Abramo e come Maria – tanto più Egli ci rende capaci, con la sua presenza, di vivere ogni situazione della vita nella pace e nella certezza della sua fedeltà e del suo amore. Questo però significa uscire da sé stessi e dai propri progetti, perché la Parola di Dio sia la lampada che guida i nostri pensieri e le nostre azioni.
Vorrei soffermarmi ancora su un aspetto che emerge nei racconti sull’Infanzia di Gesù narrati da san Luca. Maria e Giuseppe portano il figlio a Gerusalemme, al Tempio, per presentarlo e consacrarlo al Signore come prescrive la legge di Mosé: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» (cfr Lc 2,22-24). Questo gesto della Santa Famiglia acquista un senso ancora più profondo se lo leggiamo alla luce della scienza evangelica di Gesù dodicenne che, dopo tre giorni di ricerca, viene ritrovato nel Tempio a discutere tra i maestri. Alle parole piene di preoccupazione di Maria e Giuseppe: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo», corrisponde la misteriosa risposta di Gesù: «Perché mi cercavate? Non sapevate che devo essere nelle cose del Padre mio?» (Lc 2,48-49). Cioè nella proprietà del Padre, nella casa del Padre, come lo è un figlio. Maria deve rinnovare la fede profonda con cui ha detto «sì» nell’Annunciazione; deve accettare che la precedenza l’abbia il Padre vero e proprio di Gesù; deve saper lasciare libero quel Figlio che ha generato perché segua la sua missione. E il «sì» di Maria alla volontà di Dio, nell’obbedienza della fede, si ripete lungo tutta la sua vita, fino al momento più difficile, quello della Croce.
Davanti a tutto ciò, possiamo chiederci: come ha potuto vivere Maria questo cammino accanto al Figlio con una fede così salda, anche nelle oscurità, senza perdere la piena fiducia nell’azione di Dio? C’è un atteggiamento di fondo che Maria assume di fronte a ciò che avviene nella sua vita. Nell’Annunciazione Ella rimane turbata ascoltando le parole dell’angelo – è il timore che l’uomo prova quando viene toccato dalla vicinanza di Dio –, ma non è l’atteggiamento di chi ha paura davanti a ciò che Dio può chiedere. Maria riflette, si interroga sul significato di tale saluto (cfr Lc 1,29). Il termine greco usato nel Vangelo per definire questo “riflettere”, “dielogizeto”, richiama la radice della parola “dialogo”. Questo significa che Maria entra in intimo dialogo con la Parola di Dio che le è stata annunciata, non la considera superficialmente, ma si sofferma, la lascia penetrare nella sua mente e nel suo cuore per comprendere ciò che il Signore vuole da lei, il senso dell’annuncio. Un altro cenno all’atteggiamento interiore di Maria di fronte all’azione di Dio lo troviamo, sempre nel Vangelo di san Luca, al momento della nascita di Gesù, dopo l’adorazione dei pastori. Si afferma che Maria «custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19); in greco il termine è symballon, potremmo dire che Ella “teneva insieme”, “poneva insieme” nel suo cuore tutti gli avvenimenti che le stavano accadendo; collocava ogni singolo elemento, ogni parola, ogni fatto all’interno del tutto e lo confrontava, lo conservava, riconoscendo che tutto proviene dalla volontà di Dio. Maria non si ferma ad una prima comprensione superficiale di ciò che avviene nella sua vita, ma sa guardare in profondità, si lascia interpellare dagli eventi, li elabora, li discerne, e acquisita quella comprensione che solo la fede può garantire. E’ l’umiltà profonda della fede obbediente di Maria, che accoglie in sé anche ciò che non comprende dell’agire di Dio, lasciando che sia Dio ad aprirle la mente e il cuore. «Beata colei che ha creduto nell’adempimento della parola del Signore» (Lc 1,45), esclama la parente Elisabetta. E’ proprio per la sua fede che tutte le generazioni la chiameranno beata.
Cari amici, la solennità del Natale del Signore che tra poco celebreremo, ci invita a vivere questa stessa umiltà e obbedienza di fede. La gloria di Dio non si manifesta nel trionfo e nel potere di un re, non risplende in una città famosa, in un sontuoso palazzo, ma prende dimora nel grembo di una vergine, si rivela nella povertà di un bambino. L’onnipotenza di Dio, anche nella nostra vita, agisce con la forza, spesso silenziosa, della verità e dell’amore. La fede ci dice, allora, che l’indifesa potenza di quel Bambino alla fine vince il rumore delle potenze del mondo.
[Dopo la catechesi, il Papa si è rivolto ai fedeli provenienti dai vari paesi salutandoli nelle diverse lingue. Ai pellegrini italiani ha detto:]
Nel clima di serena attesa, caratteristico di questi giorni prossimi alla festa che celebra la venuta di Dio fra gli uomini, mi è gradito salutare con affetto i fedeli di lingua italiana. In particolare, saluto la Comunità dei Legionari di Cristo con i sacerdoti novelli; l’Associazione «Città del Crocifisso», di Gravina in Puglia; la delegazione del Comune di Bolsena; e gli Zampognari del Matese, di Boiano, accompagnati dall’Arcivescovo di Campobasso Mons. Giancarlo Bregantini. Tutti esorto a rendere più intenso in questi giorni l’impegno di preghiera e di opere buone, affinché il Natale riempia i cuori della gioia che solo Cristo può dare.
Un saluto speciale rivolgo ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Cari giovani, specialmente voi alunni dell’Istituto Capriotti di San Benedetto del Tronto, accostatevi al mistero di Betlemme con gli stessi sentimenti di fede e di umiltà che furono di Maria. Voi, cari ammalati, attingete dal presepe quella gioia e quell’intima pace che Gesù viene a portare nel mondo. E voi, cari sposi novelli, contemplate l’esempio della santa Famiglia di Nazaret, per improntare alle virtù in essa praticate il vostro cammino di vita familiare.

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