Archive pour novembre, 2012

Sofferenza e promessa (Rom 8,18-25)

http://www.riforma.net/predicazioni/annate/1995/pr950210.htm

Sofferenza e promessa (Rom 8,18-25)

« Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi. La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa – e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sapppiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza » (Ro. 8:18-25).

L’attuale sofferenza degli esseri umani e della natura comporta una causa precisa. Iddio nella sua grazia ha cominciato a rigenerare la realt_. Si vive perci_ nell’attesa fiduciosa della trasformazione della realt_, sopportando il presente e seminando segni di speranza.
I. Le nostre sofferenze e la nostra speranza.
« Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi « (18).
1. Le sofferenze del momento presente (18a). Paolo considera le sofferenze del vivere in questo tipo di mondo. Include le sofferenze di ogni tipo e certamente l’accento _ posto su quelle particolari sofferenze che provengono dal voler vivere coerentemente la propria fede (opposizioni, persecuzioni ecc.).
Esse trovano origine dalle « maledizioni » che sono conseguenza del peccato umano (Ge. 3) ed includono le conseguenze negative dello squilibrio nei rapporti con i propri simili e con la natura, la sofferenza fisica e la morte, come pure le conseguenze « legali » dell’aver infranto il patto che ci legava a Dio.
Particolarmente dure erano allora quelle causate dall’opposizione del mondo verso i cristiani, i quali intendevano vivere secondo il modo di pensare, di parlare e di agire coerente con la volont_ rivelata di Dio.
I cristiani del nostro tempo non riescono neanche ad immaginare quanto dure fossero le sofferenze dei primi cristiani, considerati spazzatura della societ_, discriminati ed emarginati, disprezzati, perseguitati, torturati, uccisi, situazioni vissute ancora in diverse parti del mondo d’oggi e delle quali spesso non siamo consapevoli.
2. La gloria futura (18b). Per quanto pesanti possano essere queste sofferenze, se noi le mettiamo sul piatto della bilancia e le confrontiamo con quanto Dio, nella sua grazia, ha riservato per noi per il futuro, esse appaiono leggere e sopportabili. Queste sofferenze sono poca cosa in confronto a ci_ che ci attende per promessa di Dio: la gloria eterna.
Essa _ il superamento degli attuali limiti, contraddizioni, disfunzioni, una nuova qualit_ di vita e di esperienza, una nuova misura di capacit_ e possibilit_, una nuova consapevolezza della nostra comunione con la Persona e i propositi di Dio.
La gloria che ci sar_ manifestata gi_ esiste nella persona del Cristo glorificato, ma poi anche noi ne saremo coinvolti. Sar_ una gloria che verr_ impartita anche a noi, alla quale parteciperemo e di fronte alla quale non saremo semplici spettatori.
II. Anche il creato condivide sofferenza e speranza.
« La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio » (19). Non siamo solo noi ad essere in questa situazione, anche la creazione nel suo complesso ne condivide la tensione.
1. La sua grande aspettativa. Paolo qui personifica la creazione, proprio come facevano i profeti quando dicevano che i fiumi battono le mani. L’intero mondo viene rappresentato come una persona che con grande ed intensa aspettativa, con mani tese e testa alzata (fervida, ardente attesa, Fl. 1:20), che non vede l’ora del giorno futuro di gloria quando i figli di Dio avranno raggiunto il culmine della loro redenzione e saranno rivelati come tali. La loro gloria per il momento _ nascosta, ma sar_ presto rivelata e manifestata (« E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore » 2Co. 3:18). La creazione aspetta questo perché sar_ ristabilita alla primordiale libert_ e lustro. Allora giungeranno « i tempi della consolazione da parte del Signore » (At. 3:20).
E’ difficile immaginarci questa « simpatia mistica » della natura fisica, descritta qui in modo poetico, con l’opera della grazia ma chi lo possiamo intuire.
2. Le sue attuali sofferenze. « essa infatti è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa » (20a). Bisogna proprio essere ciechi e incoscienti per non accorgerci che viviamo in un mondo che non funziona pi_ come dovrebbe, un mondo squilibrato e malato, sporco e corrotto, un mondo ferito a morte e sull’orlo della distruzione, e questo per causa di chi? Dell’essere umano che non sa vivere come si conviene ed amministrare lo stesso suo habitat.
Il « contagio » del nostro proprio male si _ diffuso oltre i confini della nostra vita, e l’intera creazione sembra esserne stata coinvolta. Il creato _ interdipendente, ci_ che accade in un’area avr_ ripercussioni anche nell’altra.
Se l’arroganza umana ripudia la sua vera condizione, il terreno verr_ pure « maledetto » a causa sua (Ge. 3:17). Non si possono isolare le conseguenze del peccato. L’interdipendenza delle diverse parti del mondo di Dio _ cos_ reale che l’uomo sfrenato nella sua follia fa si che pure la natura ne sia « frustrata ».
La creazione _ stata soggetta a vanit_, _ diventata vuota, ha perduto il suo significato originale, non raggunge il fine a cui essa era destinata quando l’essere umano non assume verso di essa le responsabilit_ che gli erano state affidate.. La sua « caducit_ » non era implicita ad essa o voluta, ma _ causata dall’effetto del peccato umano per volere di Dio. Dio, a causa del peccato umano, ha maledetto la creazione e l’ha soggetta alla vanit_ ed alla corruzione (Ge. 3:17; 4:12; Le. 26:19,20).
Ora la natura « cerca senza trovare ».
Dio ha posto la creazione sotto il dominio dell’uomo, e quando l’uomo _ decaduto, la creazione ha perduto la cura che avrebbe dovuto ricevere. E’ orfana. Ora viene abusata.
3. La sua speranza (20b,21). « …e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio ». Benché sia decaduta, _ rimasta per_ una speranza. All’uomo decaduto _ stata fatta una promessa di redenzione finale e la creazione viene rappresentata nell’atto di condividere questa speranza. C’_ motivo di aspettarsi che la creazione ritorni alla condizione di quando era stata creata, anzi, in una condizione migliore.
La natura stessa possiede, nel sentimento delle sue immeritate sofferenze una sorta di presentimento della sua futura liberazione. Sebbene soggetta a « vanit_ » (corruzione e morte) vi rimane ancora la speranza della liberazione finale. La condizione presente _ « schiavit_ alla corruzione ». La speranza _ liberazione dalla schiavit_. Nel giorno in cui verr_ rivelata una tale gloria, « tutte le cose verranno fatte nuove » (Ap. 21:1). Anche la natura condivider_ quella libert_, che nei figli di Dio verr_ accompagnata da indicibile gioia. Un tempo la creazione era libera dalla vanit_ (frustrazione), schiavit_ e corruzione, cos_ sar_ ancora alla risurrezione generale (At. 3.19,21; 2 Pi. 3:13). Nonostante il peccato di uomini e di angeli, il piano originale di Dio verr_ ristabilito e non sar_ pi_ suscettibile alla corruzione.
4. Una realt_ certa. « Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto » (22). Se prima la creazione era rappresentata come un uomo afflitto da un pesante fardello, ora _ rappresentata da una donna in attesa di partorire. La natura _ qui rappresentata come sofferente dei dolori del parto. Che sia travagliata _ certo, c’_ agitazione e grido di liberazione dovunque. Forse non potr_ comprendere i suoi guai, e forse nemmeno ci_ che desidera, ma il significato _ che _ caduta, e geme anelando ad essere liberata. Si ode dalla creazione ci_ che qualcuno ha definito come « una grande sinfonia di sospiri ».
Sa che essa pure verr_ coinvolta dalla rigenerazione delle creature umane. Questi gemiti e afflizioni non sono vani, sono una profezia del tempo di liberazione in cui « vi saranno nuovi cieli e nuova terra dove abiter_ la giustizia » (Ap. 21:1). Quando la maledizione sar_ completamente rimossa dall’uomo, come lo sar_ quando la condizione di fiogli di Dio verr_ pienamente rivelata, essa verr_ rimossa anche dalla creazione; per questo essa sospira. La speranza _ latente.
III. La caparra della gloria
« essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo » (23).
1. Non una vana illusione. Ci_ che attendiamo non _ una pia ma vana speranza. I cristiani fin da ora possono godere della caparra dello Spirito (2 Co. 1:22; 5:5; Ef. 1:14). Non solo il mondo, ma i cristiani, sebbene abbiano le « primizie dello Spirito » (la giustizia, gioia, pace che i credenti hanno in questa vita), un pregustare del ricco e pieno raccolto, « gemono ». C’_ l’attesa intensa di quella pienezza che dovr_ ancora venire. Essi sono stati gi_ adottati, ma non hanno ancora ricevuto la piena eredit_.
Quando verr_ la pienezza dell’adozione, noi non avremo pi_ questi poveri nostri corpi, deboli, fragili, soggetti al peccato, al decadimento ed alla morte, ma corpi spirituali (2 Co. 5:2) (perfetta liberazione dal peccato e dalla miseria, cf. Lu. 21:28; Ef. 4:30.
Lo Spirito Santo venne nel gran giorno di Pentecoste e le Sue benedizioni perdurano nei doni morali e spirituali concessi ai figli di Dio (1 Co. 12-14; Ga. 15:22). E pi_ grandi ancora dovranno venire. Come la natura anche noi abbiamo i nostri « gemiti ». Verr_ la nostra piena « adozione »: « la redenzione del nostro corpo ». Avremo quindi completa redenzione sia dell’anima che del corpo.
2. Una speranza viva. « Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? » (24). Sebbene noi crediamo con certezza che vi sar_ tale redenzione o salvezza e che essa ci appartiene, secondo le promesse di Dio, per il momento non ne abbiamo ancora pieno possesso. La salvezza che ora abbiamo in speranza. Il nostro _ ancora « il corpo vecchio ».
Noi siamo salvati in speranza, attraverso la speranza, in vista della speranza (della redenzione del nostro corpo). Quando siamo divenuti cristiani siamo stati salvati. Non che abbiamo ricevuto tutti i frutti della salvezza, ma abbiamo ricevuto la promessa di tutti, persino della redenzione del corpo.
3. Un’attesa perseverante. « Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza » (25). Se indubbiamente speriamo la redenzione e la salvezza, che non sono ancora in vista, allora _ convenevole che noi sopportiamo con pazienza i mali e le sofferenze che oggi patiamo; la speranza _ sempre accompagnata dall’attesa paziente delle cose sperate (1 Ts. 1:3; Eb. 4:12; 10:36).
La speranza ha il proprio benedetto ministero. Se speriamo in una ventura piena realizzazione, possiamo lavorarvi su ed aspettarla con pazienza. L’anima senza speranza dispera.
Calvino diceva: « tutte le promesse dell’Evangelo al riguardo della gloria della risurrezione svaniscono, a meno che non passiamo la nostra vita attuale sopportando con pazienza la tribolazione e la croce », ma pure seminando semi di speranza.

Elijah and the poor widow

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http://www.artbible.net/1T/1Ki1708_Elijah_and_the_widow/index_2.htm

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L’ORTODOSSIA DI LEONE MAGNO

http://www.zenit.org/article-33782?l=italian

L’ORTODOSSIA DI LEONE MAGNO

Ricordo del pontefice nel 1551mo anniversario della sua morte

di Paolo Lorizzo*

ROMA, sabato, 10 novembre 2012 (ZENIT.org).- Disquisire sull’importanza di una figura storica come quella di Leone da Volterra (anche se la città di origine non è una certezza) rappresenta un’impresa ardua. Spesso al centro di dibattiti storico-religiosi (non sempre accettati da chi considera gli avvenimenti storici come unico dogma da seguire) e legato a notizie spesso tra loro contrastanti, tranne per il suo zelo riguardante l’ortodossia, papa Leone I detto Magno, rappresenta indubbiamente una delle figure più importanti della Chiesa Cattolica, un cardine su cui è stato fondato più di un millennio e mezzo fa l’impero dottrinale  cristiano.
L’anniversario del 10 novembre, oltre a ricordare la sua Santità, pone all’attenzione dei Fedeli l’importanza del ruolo che egli ha ricoperto per la crescita della Chiesa Romana in un’epoca segnata dal crollo dell’Impero Romano d’Occidente e dalla forte crisi dogmatica che investiva quello d’Oriente, in un susseguirsi di ribellioni ai dettami della chiesa di Pietro, soprattutto derivanti dall’azione di Presbiteri, Diaconi e Chierici. Egli testimoniò con parole ed azioni il suo rifiuto al Manicheismo, considerandola un’eresia a tutti gli effetti e combattendola con inchieste e ‘sollevazioni’ popolari incitando i fedeli alle denunce di adepti e simpatizzanti.
I manichei ebbero a Roma vita breve. In oriente riuscirono a trovare terreno fertile fino al XIV secolo mentre a Roma scomparvero già nel corso del V secolo, non solo grazie all’azione ‘di eliminazione’ di papa Leone I ma anche per un decreto emanato dall’imperatore Valentiniano III che stabiliva sette punizioni per tutti quei manichei che non abiuravano la loro fede.
L’8 luglio del 445 lo stesso imperatore emise un editto, caldeggiato ed anzi probabilmente suggerito dallo stesso pontefice, in cui si prevedeva la supremazia di Roma, riconoscendo il primato del Vescovo di Roma su tutta la Chiesa. Tutte le decisioni pontificie erano considerate legge e chi le contravveniva era considerato perseguibile, in quanto ritenuto traditore. Questo mise fine alle intemperanze e alla ribellione di alcune chiese provinciali (in particolare quella della Gallia con Ilario di Poitiers) che si riconoscevano l’autorità della Chiesa Romana ma pretendevano di ritagliarsi uno spazio altrettanto rilevante, mettendo in pericolo, di fatto, l’unità della Chiesa metropolita.
La grande azione conservatrice di Leone I, sia in termini del controllo organizzativo che della disciplina morale, ha portato ad ottenere il controllo della Chiesa in un periodo in cui le invasioni barbariche imperversavano ovunque portando distruzioni e confusione. La grande energia profusa da questo pontefice ha impedito una disgregazione dei valori ecclesiastici, prendendo una posizione decisa sul problema riguardante la confusione Cristologica, impedendo alla Chiesa Occidentale di entrare in un vortice fatto di dubbi ed incertezze cosi come invece accaduto a quella Orientale.
Grande fu la sua azione conservatrice del territorio romano. Incontrò personalmente Attila re degli Unni nel 452, riuscendo a convincerlo a non marciare su Roma. L’incontro si svolse nei pressi di Mantova, avviando importanti negoziati col re unno, che la tradizione vuole colpito dalla grande personalità del pontefice a tal punto da accettare le sue condizioni e ritirarsi. E’ però probabile che Attila, oltre ad essere colpito dalla personalità di Leone I, si convinse di accettare il pagamento di un forte tributo, soluzione gradita da entrambe le parti. Sfortunatamente, quanto era riuscito contro gli Unni non avvenne contro i Vandali di Genserico. Nel 455 infatti, nonostante ebbe la promessa da parte degli invasori che avrebbero risparmiato vite umane, Roma fu saccheggiata e depredata per due settimane.
Sono noti numerosi interventi atti al restauro e alla ristrutturazione dei monumenti allora presenti. Leone Magno fece costruire una basilica al di sopra della tomba di papa Cornelio lungo la via Appia, restaurò la basilica di San Pietro e realizzò importanti restauri presso la Basilica di San Paolo fuori le Mura (in particolare restaurò il tetto danneggiato da un fulmine) e sotto di lui, ad opera di Galla Placidia, venne realizzato lo splendido mosaico dell’Arco di Trionfo della Basilica.
La sua morte, avvenuta il 10 novembre del 461 rappresenta la fine di un ciclo per la conservazione unitaria della Chiesa ma al tempo stesso una sua crescita in termini dottrinali. Il suo insegnamento ha dato il via al mantenimento di alcuni principi che ancora oggi fungono da fondamenta per la gestione dell’unitarietà di pensiero ecclesiastico.
Venne inizialmente sepolto nel vestibolo di San Pietro sul Vaticano, ma nel 688 papa Sergio I decise di traslarne il corpo spostandolo all’interno della basilica, erigendovi sopra altare. Attualmente Leone Magno riposa sotto l’altare della cappella della Madonna della Colonna, qui definitivamente traslati nel 1715, pur restando all’interno della Basilica.
* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.

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Saint Leo the Great Pope

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Publié dans:immagini sacre |on 9 novembre, 2012 |Pas de commentaires »

10 novembre: San Leone Magno

Una volta per semprehttp://liturgia.silvestrini.org/santo/334.html

10 novembre: San Leone Magno

Papa e Dottore della Chiesa

BIOGRAFIA
Nato in Toscana e salito sulla cattedra di Pietro nel 440, fu vero pastore e autentico padre di anime. Cercò in ogni modo di mantenere salda e integra la fede, difese strenuamente l’unità della chiesa, arrestò, per quanto gli fu possibile, le incursioni dei barbari, e meritò a buon diritto di essere detto Leone “il Grande”. Morì nel 461.

MARTIROLOGIO
Memoria di san Leone I, papa e dottore della Chiesa: nato in Toscana, fu dapprima a Roma solerte diacono e poi, elevato alla cattedra di Pietro, meritò a buon diritto l’appellativo di Magno sia per aver nutrito il gregge a lui affidato con la sua parola raffinata e saggia, sia per aver sostenuto strenuamente attraverso i suoi legati nel Concilio Ecumenico di Calcedonia la retta dottrina sull’incarnazione di Dio. Riposò nel Signore a Roma, dove in questo giorno fu deposto presso san Pietro.

DAGLI SCRITTI…
Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa
Il servizio specifico del nostro ministero. Tutta la Chiesa di Dio é ordinata in gradi gerarchici distinti, in modo che l’intero sacro corpo sia formato da membra diverse. Ma, come dice l’Apostolo, tutti noi siamo uno in Cristo (cfr. Gal 3, 28). La divisione degli uffici non é tale da impedire che ogni parte, per quanto piccola, sia collegata con il capo. Per l’unità della fede e del battesimo c’é dunque fra noi, o carissimi, una comunione indissolubile sulla base di una comune dignità. Lo afferma l’apostolo Pietro: «Anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo» (1 Pt 2, 5), e più avanti: «Ma voi siete la stirpe eletta, il sacerdote regale, la nazione santa, il popolo che Dio si é acquistato» (1 Pt 2, 9).
Tutti quelli che sono rinati in Cristo conseguono dignità regale per il segno della croce. Con l’unzione dello Spirito Santo poi sono consacrati sacerdoti. Non c’é quindi solo quel servizio specifico proprio del nostro ministero, perché tutti i cristiani sono rivestiti di un carisma spirituale e soprannaturale, che li rende partecipi della stirpe regale e dell’ufficio sacerdotale. Non é forse funzione regale il fatto che un’anima, sottomessa a Dio, governi il suo corpo? Non é forse funzione sacerdotale consacrare al Signore una coscienza pura e offrirgli sull’altare del cuore i sacrifici immacolati del nostro culto? Per grazia di Dio queste funzioni sono comuni a tutti.
Ma da parte vostra é cosa santa e lodevole che vi rallegriate per il giorno della nostra elezione come di un vostro onore personale. Così tutto il corpo della Chiesa riconosce che il carattere sacro della dignità pontificia é unico. Mediante l’unzione santificatrice, esso rifluisce certamente con maggiore abbondanza nei gradi più alti della gerarchia, ma discende anche in considerevole misura in quelli più bassi. La comunione di tutti con questa nostra Sede é, quindi, o carissimi, il grande motivo della letizia. Ma gioia più genuina e più alta sarà per noi se non vi fermerete a considerare la nostr povera persona, ma piuttosto la gloria del beato Pietro apostolo.
Si celebri dunque in questo giorno venerando soprattutto colui che si trovò vicino alla sorgente stessa dei carismi e da essa ne fu riempito e come sommerso. Ecco perché molte prerogative erano esclusive della sua persona e, d’altro canto, niente é stato trasmesso ai successori che non si trovasse già in lui. Allora il Verbo fatto uomo abitava già in mezzo a noi. Cristo aveva già dato tutto se stesso per la redenzione del genere umano. (Disc. 4, 1-2; PL 54, 148-149)

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XXXII Domenica del Tempo Ordinario: Una volta per sempre

http://www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=16701

Una volta per sempre

don Daniele Muraro 

XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (08/11/2009)

Vangelo: Mc 12,38-44  

Il Vangelo riferisce di Gesù a Gerusalemme che insegna dentro il cortile del tempio. Sedutosi davanti al luogo dove in tanti lasciano la loro offerta poi, unico fra tutti, Egli nota e loda il gesto di una povera vedova.
La seconda lettura propone invece un’istruzione sull’offerta di se medesimo da parte dello stesso Gesù. Essa fu perfetta e perciò unica. Senza dover entrare in un santuario umano, Gesù presentò il suo sacrificio direttamente al cospetto di Dio e continua ad intercedere a nostro favore.
Possiamo stabilire un paragone tra l’elemosina della vedova e la morte in croce di Gesù. Entrambe queste azioni portano a compimento una donazione totale, per la vedova delle sue misere risorse e quindi delle ultime speranze di sopravvivenza, della sua vita terrena nel caso di Gesù.
Gesù invita i suoi discepoli a stare alla larga dal modo di fare degli scribi. Dall’abbigliamento e dall’atteggiamento di questi tali traspare solo vanità, trasformano le uscite in pubblico in altrettante occasioni per accrescere prestigio sociale, nel loro intimo però sono avidi di soldi. Arrivano a sfidare il giudizio di Dio non esitando ad impadronirsi del patrimonio dei più sfortunati e nonostante questo pregano a lungo, come se l’Altissimo non conoscesse le loro malefatte o non fosse capace di intervenire.
Il quadro che esce dalle parole del Vangelo indurrebbe a giudizi poco benevoli sulla malvagità che regna nel mondo, se non fosse per l’apparizione del tutto inosservata ai più di una povera vedova riconoscibile come tale per il suo vestito logoro e per il suo aspetto deperito. Essa si dirige con fare dimesso verso il tesoro, ossia il luogo delle elemosine, dove i sacerdoti incaricati stavano ad aspettare.
Uno di loro controllava il valore delle monete e nel caso di oblazioni consistenti dichiarava, ad alta voce, l’entità e l’intenzione dell’offerta, gettandola nella cassa corrispondente. Le casse erano dodici. Nella tredicesima si gettavano le elemosine spontanee e di poco conto, quelle senza intenzione.
Presso quest’ultima si porta la donna, non può pretendere di più con il suo modesto gruzzoletto. Si tratta di due spiccioli, le più piccole monete aventi allora corso legale, pochi euro diremmo noi.
Mentre la povera vedova si allontana, le parole di Gesù arrivano come una sentenza inaspettata e sconcertante. « Questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere! » È il verdetto di Dio che si esprime sulle labbra di Gesù!
Non sappiamo come andò avanti la vicenda di quella donna sola. Nel caso raccontato nella prima lettura della vedova di Zarepta interviene la Provvidenza di Dio. Lei e suo figlio erano veramente allo stremo, ma viene premia la fiducia dimostrata verso il Dio di Elìa e la generosità nei confronti del profeta.
Considerata sotto il punto di vista di queste due ultime scene la vita dell’uomo appare fatta di stenti, o almeno di continue necessità.
Anche pregando spesso uno si accontenta della richiesta di tirare avanti, di poter ottenere quel che serve nell’immediato, ma nulla più, con in testa quella parola per cui ad ogni giorno basta la sua pena.
La possibilità di « una buona volta per tutte » non appartiene al deposito delle speranze ordinarie. Eppure il desiderio di una risoluzione « una volta per sempre » di ogni problema ritorna come istinto del cuore umano.
La lettera agli Ebrei incoraggia questa aspirazione, non come il risultato di uno sforzo personale, bensì come un dono proveniente da Gesù e che riceviamo da Lui: « Una volta sola, nella pienezza dei tempi, Cristo è apparso per annullare il peccato (e quindi il male) mediante il sacrificio di se stesso. »
Il senso della storia è già deciso: il bene ha vinto. Il senso pieno di ogni cosa è già a disposizione nel frammento di tempo che di volta in volta viviamo. Niente andrà perduto di quello che si è fatto per amore di Dio.
Noi siamo già fin d’ora in contatto con l’eternità e, se lo affidiamo nelle mani del Signore, ogni nostro atto può essere garantito contro la sparizione nell’oblìo del passato che non ritorna.
Il sacrificio di Cristo è stato sufficiente per realizzare la salvezza del mondo. Se per riparare il male dell’umanità avessimo dovuto presentare offerte tratte dal mondo materiale non sarebbe bastata l’intera creazione e questo vale per Gesù stesso. Gesù invece ha offerto se stesso.
La sua morte in croce è stata così piena di amore da colmare tutta l’eternità. Perciò essa rimane sempre valida e attuale. Questo dono di sé Gesù lo porta dopo la resurrezione nel cielo e tramite il ministero della Chiesa nel mondo.
Soprattutto con la celebrazione dell’Eucaristia Gesù continua a ripresentare a noi che ne abbiamo tanto bisogno la sua offerta per la nostra salvezza e guarigione spirituale.
Davanti al dono del Signore in questa Messa raccogliamo, per così dire, anche noi tutte le nostre forze. Domandiamo al Signore di confermare e rafforzare quello che c’è di buono nel nostro cuore non senza aver lasciato che Egli annulli ciò che vi può trovare di sbagliato e di cattivo.

La Basilica Lateranense, esterno, interno « Catino »

La Basilica Lateranense, esterno, interno

 dans immagini sacre

http://www.santiebeati.it/

 

Publié dans:immagini sacre |on 8 novembre, 2012 |Pas de commentaires »

Dedicazione della Basilica Lateranense, Giovanni Paolo II (Angelus, 1986)

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/angelus/1986/documents/hf_jp-ii_ang_19861109_it.html

GIOVANNI PAOLO II

ANGELUS

Domenica, 9 novembre 1986

1. Oggi la Chiesa celebra la festa della Dedicazione della basilica Lateranense, “omnium urbis et orbis ecclesiarum mater et caput” (“madre e capo di tutte le chiese dell’Urbe e dell’Orbe”), la cattedrale di Roma, fatta costruire dall’imperatore Costantino e inizialmente dedicata al santissimo Salvatore, e poi, sotto il pontificato di san Gregorio Magno, intitolata anche ai santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, a ciascuno dei quali era consacrato un oratorio annesso al battistero.
La Basilica del Laterano, coi palazzi adiacenti, fu per molti secoli sede abituale del Vescovo di Roma. In essa si tennero cinque Concili ecumenici, tra i quali nel 1215, sotto il papa Innocenzo III, il Lateranense IV, considerato dagli storici il Concilio più importante del medioevo. Per mille anni la storia di Roma cristiana gravitò intorno a tale basilica, che papi, imperatori, re e fedeli adornarono via via di preziosi donativi e di splendide opere d’arte, segno della loro intensa fede in Cristo.
2. Nel ricordo della iniziale dedicazione della cattedrale di Roma a Gesù Salvatore del mondo, la festività liturgica odierna ci invita a meditare su uno dei misteri fondamentali della rivelazione cristiana: Gesù di Nazaret, Messia, Signore, Figlio di Dio, è colui che ha portato la salvezza totale e definitiva agli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi! Nella sua vita pubblica Gesù si rivela come salvatore anzitutto mediante i miracoli operati a favore degli infermi, lebbrosi, ciechi, muti, storpi e perfino di morti, che egli richiama alla vita. Gesù tuttavia fa comprendere che questi suoi prodigi, questi gesti di misericordia verso i malati devono essere intesi come atti che rimandano al di là della semplice salvezza corporale. Gesù porta agli uomini una salvezza ben più profonda e radicale: egli afferma di essere venuto per “salvare ciò che era perduto” a causa del peccato; per “salvare il mondo e non per condannarlo” (cf. Lc 9, 56; 19, 10; Gv 3, 17; 12, 47).
3. Dinanzi a Cristo Salvatore, l’uomo è chiamato a una scelta decisiva, da cui dipende la sua sorte eterna. Alla scelta di fede da parte dell’uomo corrisponde, da parte di Dio, il dono della redenzione e della vita eterna.
A Cristo, Uomo–Dio, Redentore dell’uomo e della storia, va oggi la nostra umile adorazione e la nostra ardente preghiera perché l’umanità intera accolga la salvezza, che egli offre, la liberazione, che egli promette. E chiediamo anche, per noi e per tutti, l’intercessione della sua santissima Madre, mentre recitiamo la preghiera che ci ricorda l’Incarnazione del Verbo.

9 Novembre, Dedicazione della Basilica Lateranense – Omelia

http://www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=23827

Ma egli parlava del tempio del suo corpo

Movimento Apostolico – rito romano 

Dedicazione della Basilica Lateranense (09/11/2011)

Vangelo: Gv 2, 13-22  

Una religione è fatta insieme di invisibilità e di visibilità. La via per entrare nell’invisibile è sempre il visibile. Dal visibile si misura la fede che uno ha nell’invisibile. Per cui la visibilità diviene il vero metro che ci consente di quantificare la grandezza o piccolezza di ogni nostra relazione con la verità invisibile. Se diciamo che Dio è carità, affermiamo la verità invisibile del nostro Dio. Se poi questa verità invisibile non diviene verità visibile allora la nostra fede è veramente poca, scarsa, inesistente. La purezza di una religione è la perfetta conformazione dell’invisibile al visibile e del visibile all’invisibile. Il visibile abbraccia ogni cosa che in qualche modo entra in relazione con l’invisibile. Nella vera religione tutto il visibile entra in relazione con l’invisibile e per questo ogni cosa deve essere manifestazione della realtà invisibile che noi confessiamo nella fede.
Questo vale anche per il nostro corpo. Essendo esso nella realtà invisibile tempio santo del nostro Dio, dimora dello Spirito del Signore, corpo mistico di Cristo Gesù, in ogni suo più piccolo gesto, dal mangiare, vestirsi, relazionarsi alla parola, ad uno sguardo, ad un’azione anche minima di un nostro senso, deve sempre manifestare la verità invisibile nella quale noi crediamo. Gesù oggi entra in Gerusalemme e vede che la casa del Padre suo era divenuta una spelonca di ladri, un luogo di mercato. Questo visibile peccaminoso attesta che vi è una fede non santa, non buona, non pura nel cuore di chi questo tempio frequenta. La purificazione che egli opera è attestazione della necessità di purificare la verità e la fede che regnavano nel cuore di tutti. Se il visibile non viene purificato, l’invisibile rimane in noi secondo una visione falsa e menzognera, bugiarda e deleteria, perché non dona alla nostra vita la verità che professiamo e la fede che diciamo di possedere.
Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
I Giudei sanno che Gesù ha compiuto un vero gesto profetico. Si è rivelato profeta del Dio vivente in mezzo a loro. La purificazione del tempio e del culto era opera puramente profetica. Gli chiedono su quale fondamento di verità e di missione Lui ha potuto fare questo. Gesù gli risponde semplicemente che la sua autorità, o potestà è una sola: quella di ricostruire il suo tempio – cioè il suo corpo – una volta che esso fosse stato distrutto da loro. Loro lo avrebbero distrutto e Lui in tre giorni lo avrebbe nuovamente riportato in vita. È sicuramente un linguaggio oscuro quello di Gesù. Anche questo è però il linguaggio dei profeti, la cui parola si comprende solo dopo che si realizzata, quasi mai prima, essendo questa carica di tutto il mistero dell’onnipotenza divina che continua a creare contro ogni modello delle antiche creazioni, già operate dal nostro Dio e Signore. Dopo la risurrezione dal sepolcro, i discepoli si ricordarono di questa Parola e si aprirono alla retta fede nella verità del mistero del loro Maestro.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli e Santi, fate vera ogni nostra visibilità.

The ark of Noah and the cosmic covenant, stavo cercando qualche testo geologico-cristiano suldiluvio, ma non ho trovato niente che mi convincesse

The ark of Noah and the cosmic covenant, stavo cercando qualche testo geologico-cristiano suldiluvio, ma non ho trovato niente che mi convincesse dans immagini sacre 13%20BNF%20PSAUTIER%20L%20ARCHE%20DE%20NOE

http://www.artbible.net/1T/Gen0601_Noah_flood/index_3.htm

Publié dans:immagini sacre |on 7 novembre, 2012 |Pas de commentaires »
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