Sofferenza e promessa (Rom 8,18-25)
http://www.riforma.net/predicazioni/annate/1995/pr950210.htm
Sofferenza e promessa (Rom 8,18-25)
« Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi. La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa – e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sapppiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza » (Ro. 8:18-25).
L’attuale sofferenza degli esseri umani e della natura comporta una causa precisa. Iddio nella sua grazia ha cominciato a rigenerare la realt_. Si vive perci_ nell’attesa fiduciosa della trasformazione della realt_, sopportando il presente e seminando segni di speranza.
I. Le nostre sofferenze e la nostra speranza.
« Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi « (18).
1. Le sofferenze del momento presente (18a). Paolo considera le sofferenze del vivere in questo tipo di mondo. Include le sofferenze di ogni tipo e certamente l’accento _ posto su quelle particolari sofferenze che provengono dal voler vivere coerentemente la propria fede (opposizioni, persecuzioni ecc.).
Esse trovano origine dalle « maledizioni » che sono conseguenza del peccato umano (Ge. 3) ed includono le conseguenze negative dello squilibrio nei rapporti con i propri simili e con la natura, la sofferenza fisica e la morte, come pure le conseguenze « legali » dell’aver infranto il patto che ci legava a Dio.
Particolarmente dure erano allora quelle causate dall’opposizione del mondo verso i cristiani, i quali intendevano vivere secondo il modo di pensare, di parlare e di agire coerente con la volont_ rivelata di Dio.
I cristiani del nostro tempo non riescono neanche ad immaginare quanto dure fossero le sofferenze dei primi cristiani, considerati spazzatura della societ_, discriminati ed emarginati, disprezzati, perseguitati, torturati, uccisi, situazioni vissute ancora in diverse parti del mondo d’oggi e delle quali spesso non siamo consapevoli.
2. La gloria futura (18b). Per quanto pesanti possano essere queste sofferenze, se noi le mettiamo sul piatto della bilancia e le confrontiamo con quanto Dio, nella sua grazia, ha riservato per noi per il futuro, esse appaiono leggere e sopportabili. Queste sofferenze sono poca cosa in confronto a ci_ che ci attende per promessa di Dio: la gloria eterna.
Essa _ il superamento degli attuali limiti, contraddizioni, disfunzioni, una nuova qualit_ di vita e di esperienza, una nuova misura di capacit_ e possibilit_, una nuova consapevolezza della nostra comunione con la Persona e i propositi di Dio.
La gloria che ci sar_ manifestata gi_ esiste nella persona del Cristo glorificato, ma poi anche noi ne saremo coinvolti. Sar_ una gloria che verr_ impartita anche a noi, alla quale parteciperemo e di fronte alla quale non saremo semplici spettatori.
II. Anche il creato condivide sofferenza e speranza.
« La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio » (19). Non siamo solo noi ad essere in questa situazione, anche la creazione nel suo complesso ne condivide la tensione.
1. La sua grande aspettativa. Paolo qui personifica la creazione, proprio come facevano i profeti quando dicevano che i fiumi battono le mani. L’intero mondo viene rappresentato come una persona che con grande ed intensa aspettativa, con mani tese e testa alzata (fervida, ardente attesa, Fl. 1:20), che non vede l’ora del giorno futuro di gloria quando i figli di Dio avranno raggiunto il culmine della loro redenzione e saranno rivelati come tali. La loro gloria per il momento _ nascosta, ma sar_ presto rivelata e manifestata (« E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore » 2Co. 3:18). La creazione aspetta questo perché sar_ ristabilita alla primordiale libert_ e lustro. Allora giungeranno « i tempi della consolazione da parte del Signore » (At. 3:20).
E’ difficile immaginarci questa « simpatia mistica » della natura fisica, descritta qui in modo poetico, con l’opera della grazia ma chi lo possiamo intuire.
2. Le sue attuali sofferenze. « essa infatti è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa » (20a). Bisogna proprio essere ciechi e incoscienti per non accorgerci che viviamo in un mondo che non funziona pi_ come dovrebbe, un mondo squilibrato e malato, sporco e corrotto, un mondo ferito a morte e sull’orlo della distruzione, e questo per causa di chi? Dell’essere umano che non sa vivere come si conviene ed amministrare lo stesso suo habitat.
Il « contagio » del nostro proprio male si _ diffuso oltre i confini della nostra vita, e l’intera creazione sembra esserne stata coinvolta. Il creato _ interdipendente, ci_ che accade in un’area avr_ ripercussioni anche nell’altra.
Se l’arroganza umana ripudia la sua vera condizione, il terreno verr_ pure « maledetto » a causa sua (Ge. 3:17). Non si possono isolare le conseguenze del peccato. L’interdipendenza delle diverse parti del mondo di Dio _ cos_ reale che l’uomo sfrenato nella sua follia fa si che pure la natura ne sia « frustrata ».
La creazione _ stata soggetta a vanit_, _ diventata vuota, ha perduto il suo significato originale, non raggunge il fine a cui essa era destinata quando l’essere umano non assume verso di essa le responsabilit_ che gli erano state affidate.. La sua « caducit_ » non era implicita ad essa o voluta, ma _ causata dall’effetto del peccato umano per volere di Dio. Dio, a causa del peccato umano, ha maledetto la creazione e l’ha soggetta alla vanit_ ed alla corruzione (Ge. 3:17; 4:12; Le. 26:19,20).
Ora la natura « cerca senza trovare ».
Dio ha posto la creazione sotto il dominio dell’uomo, e quando l’uomo _ decaduto, la creazione ha perduto la cura che avrebbe dovuto ricevere. E’ orfana. Ora viene abusata.
3. La sua speranza (20b,21). « …e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio ». Benché sia decaduta, _ rimasta per_ una speranza. All’uomo decaduto _ stata fatta una promessa di redenzione finale e la creazione viene rappresentata nell’atto di condividere questa speranza. C’_ motivo di aspettarsi che la creazione ritorni alla condizione di quando era stata creata, anzi, in una condizione migliore.
La natura stessa possiede, nel sentimento delle sue immeritate sofferenze una sorta di presentimento della sua futura liberazione. Sebbene soggetta a « vanit_ » (corruzione e morte) vi rimane ancora la speranza della liberazione finale. La condizione presente _ « schiavit_ alla corruzione ». La speranza _ liberazione dalla schiavit_. Nel giorno in cui verr_ rivelata una tale gloria, « tutte le cose verranno fatte nuove » (Ap. 21:1). Anche la natura condivider_ quella libert_, che nei figli di Dio verr_ accompagnata da indicibile gioia. Un tempo la creazione era libera dalla vanit_ (frustrazione), schiavit_ e corruzione, cos_ sar_ ancora alla risurrezione generale (At. 3.19,21; 2 Pi. 3:13). Nonostante il peccato di uomini e di angeli, il piano originale di Dio verr_ ristabilito e non sar_ pi_ suscettibile alla corruzione.
4. Una realt_ certa. « Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto » (22). Se prima la creazione era rappresentata come un uomo afflitto da un pesante fardello, ora _ rappresentata da una donna in attesa di partorire. La natura _ qui rappresentata come sofferente dei dolori del parto. Che sia travagliata _ certo, c’_ agitazione e grido di liberazione dovunque. Forse non potr_ comprendere i suoi guai, e forse nemmeno ci_ che desidera, ma il significato _ che _ caduta, e geme anelando ad essere liberata. Si ode dalla creazione ci_ che qualcuno ha definito come « una grande sinfonia di sospiri ».
Sa che essa pure verr_ coinvolta dalla rigenerazione delle creature umane. Questi gemiti e afflizioni non sono vani, sono una profezia del tempo di liberazione in cui « vi saranno nuovi cieli e nuova terra dove abiter_ la giustizia » (Ap. 21:1). Quando la maledizione sar_ completamente rimossa dall’uomo, come lo sar_ quando la condizione di fiogli di Dio verr_ pienamente rivelata, essa verr_ rimossa anche dalla creazione; per questo essa sospira. La speranza _ latente.
III. La caparra della gloria
« essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo » (23).
1. Non una vana illusione. Ci_ che attendiamo non _ una pia ma vana speranza. I cristiani fin da ora possono godere della caparra dello Spirito (2 Co. 1:22; 5:5; Ef. 1:14). Non solo il mondo, ma i cristiani, sebbene abbiano le « primizie dello Spirito » (la giustizia, gioia, pace che i credenti hanno in questa vita), un pregustare del ricco e pieno raccolto, « gemono ». C’_ l’attesa intensa di quella pienezza che dovr_ ancora venire. Essi sono stati gi_ adottati, ma non hanno ancora ricevuto la piena eredit_.
Quando verr_ la pienezza dell’adozione, noi non avremo pi_ questi poveri nostri corpi, deboli, fragili, soggetti al peccato, al decadimento ed alla morte, ma corpi spirituali (2 Co. 5:2) (perfetta liberazione dal peccato e dalla miseria, cf. Lu. 21:28; Ef. 4:30.
Lo Spirito Santo venne nel gran giorno di Pentecoste e le Sue benedizioni perdurano nei doni morali e spirituali concessi ai figli di Dio (1 Co. 12-14; Ga. 15:22). E pi_ grandi ancora dovranno venire. Come la natura anche noi abbiamo i nostri « gemiti ». Verr_ la nostra piena « adozione »: « la redenzione del nostro corpo ». Avremo quindi completa redenzione sia dell’anima che del corpo.
2. Una speranza viva. « Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? » (24). Sebbene noi crediamo con certezza che vi sar_ tale redenzione o salvezza e che essa ci appartiene, secondo le promesse di Dio, per il momento non ne abbiamo ancora pieno possesso. La salvezza che ora abbiamo in speranza. Il nostro _ ancora « il corpo vecchio ».
Noi siamo salvati in speranza, attraverso la speranza, in vista della speranza (della redenzione del nostro corpo). Quando siamo divenuti cristiani siamo stati salvati. Non che abbiamo ricevuto tutti i frutti della salvezza, ma abbiamo ricevuto la promessa di tutti, persino della redenzione del corpo.
3. Un’attesa perseverante. « Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza » (25). Se indubbiamente speriamo la redenzione e la salvezza, che non sono ancora in vista, allora _ convenevole che noi sopportiamo con pazienza i mali e le sofferenze che oggi patiamo; la speranza _ sempre accompagnata dall’attesa paziente delle cose sperate (1 Ts. 1:3; Eb. 4:12; 10:36).
La speranza ha il proprio benedetto ministero. Se speriamo in una ventura piena realizzazione, possiamo lavorarvi su ed aspettarla con pazienza. L’anima senza speranza dispera.
Calvino diceva: « tutte le promesse dell’Evangelo al riguardo della gloria della risurrezione svaniscono, a meno che non passiamo la nostra vita attuale sopportando con pazienza la tribolazione e la croce », ma pure seminando semi di speranza.