Quell’«informe» è il prodigio di Dio – Il biblista Mons. Gianfranco Ravasi spiega il salmo 138: «L’unico in cui è esplicitamente nominato l’embrione umano». Un testo in cui «Dio palesa tutta la sua maternità»
http://www.collevalenza.it/Riviste/2006/Riv0106/Riv0106_04.htm
Quell’«informe» è il prodigio di Dio
Il biblista Mons. Gianfranco Ravasi spiega il salmo 138: «L’unico in cui è esplicitamente nominato l’embrione umano». Un testo in cui «Dio palesa tutta la sua maternità»
Di Lucia Bellaspiga ha così raccolto una intervista a Mons. Gianfranco Ravasi.
Un salmo «straordinario», dove – unico esempio in tutta la Bibbia – viene esplicitamente nominato l’embrione umano; dove Dio, anziché nelle altezze, viene cercato nella profondità, nell’intimità, persino nel buio; dove l’utero è la galleria sotterranea che la donna offre come spazio all’azione fecondatrice di Dio; e dove il Creatore è madre, più che padre. «Un testo assolutamente unico, affascinante per i suoi frequenti contatti con le antiche culture dell’Oriente», dice monsignor Gianfranco Ravasi, biblista e prefetto della Biblioteca Ambriosiana.
«Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto… ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi…»: è chiaro il riferimento all’embrione, nonostante la traduzione poco letteraria.
Il termine che è stato tradotto con « informe », cioè la parola ebraica « golmì », in realtà significa « qualcosa di arrotolato su se stesso », ripiegato in posizione fetale. In questa immagine c’è l’idea primordiale dell’essere umano nel suo costituirsi e dello sguardo di Dio che lo vede nell’intimità assoluta del grembo, nella vita al suo minimo.
Il salmo va avanti dicendo che, quando l’essere umano è ancora soltanto un «golmì», un embrione, la sua intera esistenza è però già scritta nel libro di Dio, il suo futuro è stabilito… La Bibbia qui sottolinea che embrione e adulto non sono che «fasi» di una sola persona, dunque. « Tutto era scritto nel tuo libro: i miei giorni erano fissati quando ancora non ne esisteva uno… ». È la seconda grande intuizione del salmo 138: Dio conosce già nell’interno di questa creatura minima tutta la storia dell’uomo che nascerà, guarda già tutto il suo destino, glorioso o infame. L’attenzione qui è posta sul fatto che una vita all’origine è già l’intero arco della sua esistenza.
Contrariamente a quanto si vorrebbe sostenere quando si nega all’embrione il fatto di essere già la persona che verrà al mondo.
Oggi spesso è visto come un brandello di esistenza a compartimenti stagni, invece tutta la realtà è un progetto d’insieme: in questa luce si esalta nell’inizio già la totalità, il seme ha già tutte le potenzialità successive. La creatura è un progetto finalizzato e unitario, non una mera tappa biologica. E il « golmì », l’essere arrotolato su se stesso, è una sequenza che poi si srotolerà.
Come un Dna spirituale… Il commento del Papa, poi, insiste sul simbolismo utilizzato per definire la formazione dell’essere umano nel grembo della madre: l’opera del vasaio, del tessitore… Immagini già diffuse in altri luoghi biblici e non solo.
È proprio questo il terzo motivo che rende suggestivo il salmo in questione. Innanzitutto si dice che l’embrione è « intessuto » nelle profondità della terra, ma la traduzione letterale sarebbe « ricamato », perché la trama della pelle umana ha mille configurazioni, proprio come un pizzo stupefacente. Qui c’è l’idea del corpo come di un abito regale che Dio confeziona…
Nessuna connotazione negativa, dunque? Visto così il corpo sembrerebbe anzi qualcosa di mirabile ed elevato, possibile?
È proprio così: la concezione piuttosto ascetica e ostile al corpo nasce in tarda epoca cristiana e per influsso greco, ma per la Bibbia noi non abbiamo un corpo, noi siamo un corpo, non distinto dall’anima. Non si assegna importanza alla materialità, dunque, ma alla persona intera, la cui spiritualità è custodita nel corpo.
L’altra metafora ricordata dal Papa è quella del vasaio.
Il salmo è stato tradotto « non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto », dove in ebraico si diceva « plasmato ». Un concetto presente in molte culture e religioni orientali. Ad esempio in Egitto nella cella sacrale del tempio di Luxor è rappresentata la moglie del faraone con il ventre incinto e dentro, come ai raggi X, si vede un tornio: è il simbolo del dio Khnum, il dio artigiano, il dio creatore, che plasma corpo e anima del faraone. È interessante vedere come il grembo sia della madre ma in esso è in azione il dio… Lo stesso avviene nel salmo 138, che inizia con la vicenda di un uomo che cerca di scappare da Dio (« Dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza? »), ma non riesce perché Dio è onnipresente e onnisciente (« se salgo in cielo là tu sei, se scendo negli inferi eccoti… nemmeno le tenebre per te sono oscure e la notte è chiara come il giorno… »). È come se l’autore ci dicesse che Dio perlustra anche il grembo della madre, che lì il Creatore opera e ci conosce. Anche nel Libro di Geremia, Dio dice al profeta « prima di formarti nel grembo io ti conoscevo ». E in Isaia dice al suo popolo « voi, portati da me fin dal grembo materno »: qui c’è Dio rappresentato come una donna incinta.
Una sorta di «Dio madre» così lontana dalla nostra concezione «maschile» di Dio…
Si dovrebbe cambiare molto dell’antropologia « maschilista » corrente. Noi usiamo solo metafore maschili, parliamo di « paternità di Dio », invece almeno 60 aggettivi di Dio nella Bibbia sono al femminile: esiste chiara una maternità di Dio e più di 260 volte si parla di « viscere materne » del Signore. Anche nel Corano tutte le sure iniziano con lo stesso attributo, erroneamente tradotto con « il misericordioso »: in realtà Allah è « il viscerale », colui che ama i propri figli come una madre. Cito ancora Isaia: « Può una madre dimenticare un figlio nelle sue viscere? – chiede Dio -. Io non ti dimenticherò mai, Israele ».
Il Papa ha scelto il salmo che nell’«informe» esalta lo sguardo attento di Dio.
È l’esaltazione della fisicità della nascita, dell’architettura complessa all’origine dell’essere umano, visto non solo come fatto biologico ma anche nel suo aspetto estetico. La visione è delicata, poetica: e l’essere in formazione è chiamato « prodigio ». (Av nr 305/XXXVIII – 29/12/2005)
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