Archive pour le 28 novembre, 2012

Chagall, in honor of her assumption. mary our mother.

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Sofonia (Il profeta)

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Sofonia (Il profeta) 

Venerdì 11 Dicembre 2009 10:19

Introduzione

                Sofonia (che secondo l’etimologia ebraica significa “Dio nasconde” o anche “Dio protegge”) esercitò il suo ministero profetico in Gerusalemme al tempo in cui era re di Giuda un certo Giosia, siamo negli anni 640-609 a.C.. Israele viene da un tempo difficile: il re precedente, Manasse, che aveva a lungo governato, si era macchiato di ogni crimine conducendo il popolo verso l’apostasia favorendo il culto agli idoli dell’Assiria di cui aveva accettato l’alleanza. Durante il suo regno imperversavano violenza e corruzione morale e il popolo di Giuda era dilaniato dalle arroganze dei grandi e dall’oppressione. C’era un clima di malcontento e di tensione tale che anche il figlio di Manasse, Amon, succedutogli nel regno, fu rovesciato dal trono da una congiura di palazzo dopo soli due anni di regno.
                Ad Amon succede Giosia che tenta una riforma sia politica che morale del paese. La riforma religiosa propone un ritorno all’antica alleanza con Javhèh con la riproposizione della Legge e il rinnovo dell’alleanza e la celebrazione della Pasqua. Politicamente commette un grave errore accettando di consultare la falsa profetessa Culda piuttosto che Sofonia e decidendo si schierarsi contro il faraone Necao. Nella battaglia contro l’esercito egiziano Giosia è ferito e poco dopo muore in Gerusalemme.
                La predicazione di Sofonia risente di tutte queste situazioni e, da una parte, è forte denuncia contro tutto ciò che non è secondo il progetto di Dio e, dall’altra, annuncia con toni coraggiosi il “giorno del Signore” come giorno di punizione per il popolo infedele e per quanti vivono di violenza e di arroganza ma, al tempo stesso, giorno che farà emergere la fedeltà del “resto di Israele” e, quindi, anche “giorno di gioia” per quanti hanno saputo rimanere fedele.

Dal libro di Sofonia (3,1-20 passim)
Guai alla città ribelle e contaminata, alla città prepotente! Non ha ascoltato la voce, non ha accettato la correzione. Non ha confidato nel Signore, non si è rivolta al suo Dio.
I suoi capi in mezzo ad essa sono leoni ruggenti, i suoi giudici sono lupi della sera,
che non hanno rosicchiato dal mattino. I suoi profeti sono boriosi, uomini fraudolenti.
I suoi sacerdoti profanano le cose sacre, violano la legge.
In mezzo ad essa il Signore è giusto, non commette iniquità; ogni mattino dá il suo giudizio,
come la luce che non viene mai meno.
Io pensavo: «Almeno ora mi temerà!
Accoglierà la correzione. Non si cancelleranno dai suoi occhi
tutte le punizioni che le ho inflitte».
Ma invece si sono affrettati a pervertire di nuovo ogni loro azione.
Perciò aspettatemi – parola del Signore – quando mi leverò per accusare,
perchè ho decretato di adunare le genti, di convocare i regni,
per riversare su di essi la mia collera, tutta la mia ira ardente:
poichè dal fuoco della mia gelosia sarà consumata tutta la terra.
In quel giorno non avrai vergogna di tutti i misfatti commessi contro di me, perchè allora eliminerò da te tutti i superbi millantatori e tu cesserai di inorgoglirti sopra il mio santo monte.
Farò restare in mezzo a te un popolo umile e povero;
confiderà nel nome del Signore il resto d’Israele.
Non commetteranno più iniquità e non proferiranno menzogna;
non si troverà più nella loro bocca una lingua fraudolenta.
Potranno pascolare e riposare senza che alcuno li molesti.
Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore,
figlia di Gerusalemme! Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico.
Re d’Israele è il Signore in mezzo a te, tu non vedrai più la sventura.
In quel giorno si dirà a Gerusalemme: «Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia!
Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente.
Esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore,
si rallegrerà per te con grida di gioia, come nei giorni di festa».

Parole da sottolineare
                * “ribelle e contaminata”: i termini ebraici usati sembrano prestarsi ad una duplice traduzione: da una parte quella che abbiamo noi, dall’altra “città illustre e riscattata… colomba…”. Ci sembra di leggere la verità di una città là dove è presente ogni male e ogni cattiveria – descritti dettagliatamente nelle righe successive – ma anche il sogno di Dio che, comunque, guarda alla sua città con gli occhi dell’amore e proiettando in essa il suo sogno che non viene mai meno.
                * “Accoglierà la correzione”: tutto il versetto esprime la delusione di Dio di fronte al suo popolo incapace di accogliere le opportunità per una conversione – la riforma del re Giosia è franata nel nulla – e tornato un’altra volta all’idolatria e ad abbassarsi ad ogni forma di violenza e di cattiveria. Sembra non poter esserci futuro per questo popolo…
                * “In quel giorno…” ma c’è un “giorno”! Dentro un giudizio severo verso il popolo si accende un luce di speranza. Sarà certamente un giorno severo, ma sarà anche il giorno che vedrà la nascita di un realtà di popolo “povero ed umile” che accoglierà l’invito alla conversione e alla novità… e si apriranno strade di speranza!
                * “il resto d’Israele”: è su questo “resto!” che si innesta la forza di un futuro nuovo. E’ la piccola radice di quanti sapranno appoggiarsi al Signore piuttosto che sulle proprie forze e ricchezze e sapranno vivere nella fedeltà al progetto di Dio piuttosto che cedere all’inganno e alla falsità degli idoli.
                * “Gioisci, figlia di Sion…”: l’improvviso cambiamento di tono nel testo è causato solo dall’irriducibile amore di Dio per il suo popolo adesso chiamato, con affetto e tenerezza, “figlia”. E’. prima di tutto, la gioia di Dio, la sua voglia grande di continuare ad esprimere fedeltà e misericordia verso la sua città. Lui vuole restare in mezzo al suo popolo e non c’è più spazio per la paura e per l’angoscia.

Per la riflessione
                “Non ha confidato nel Signore”
                La descrizione che il profeta fa della sua città è davvero a tinte fosche. Nessuno sfugge a questo giudizio severo: dai principi ai figli di re, dai trafficanti ai pesatori di argento, dai capi dei giudici agli stessi profeti. Le immagini che vengono utilizzate sono particolarmente espressive “leoni ruggenti, lupi della sera… boriosi e uomini fraudolenti…”. E’ proprio l’immagine ci una città e di un popolo davvero alla deriva, senza punti di riferimento se anche i “grandi”, coloro che dovrebbero garantire la legalità e il rispetto delle regole sono anch’essi corrotti e preoccupati solo dei propri interessi.
                Ma quello che colpisce di più in tutto questo passaggio è la quando il profeta cerca di decifrare la radice di tutta questa situazione e la intravede in quel “non ha confidato nel Signore!”.
Ecco la causa di tutto; si è abbandonato il riferimento alla verità, a Dio come criterio della propria vita, ai suoi progetti di giustizia e… tutto diventa possibile.
                Diventa possibile crearsi una situazione politica che tiene conto solo dei propri comodi.
                Diventa possibile esercitare l’autorità come dominio e sopraffazione dei più deboli e di quanti servono solo a mantenere privilegi e potere.
                Diventa possibile anche creare una religione fasulla dove, in nome di Dio, si continua ad imporre legami oppressivi e prescrizioni “pura invenzione di uomini” – dirà poi Gesù – e si utilizza anche il compito di sacerdote e di profeta per affermare se stessi e barattare la propria volontà come volontà di Dio.
                Diventa possibile giustificare ogni forma di violenza e di arroganza, addirittura si “santifica la guerra” e si presentano come “giusti” ogni gesto che mira soltanto alla difesa di sé e al mantenimento delle proprie garanzie e delle proprie pretese.
                Cosa succede quanto si dimentica l’orizzonte di Dio e si confida solo in se stessi e nelle proprie forze!
                Credo che queste riflessioni siano una pesante denuncia anche delle nostre culture e dei nostri modi di fare. Aver perso criteri di Verità e di Giustizia più grandi di noi rende possibile anche oggi le medesime ingiustizie ed arroganze che il profeta constata nel suo tempo e, forse, anche in maniera più pesante a motivo delle conseguenze “globalizzate” che certe scelte hanno oggi perché interessano una fascia molto più ampia che il piccolo popolo ebraico di allora.
                Oggi c’è un mondo che soffre e patisce le scelte di pochi potenti che, senza scrupoli, impongono sulle spalle degli altri le conseguenze della pretesa di difesa dei propri privilegi e impediscono ai più di accedere ad una dignitosa condotta di vita. E… anche i nostri capi, molto spesso, non ne sono esenti!
                Occorre, credo, ritrovare il senso di Dio e della Sua giustizia se vogliamo, davvero, metterci dentro strade nuove capaci di costruire un futuro che, a tutti, possa offrire concrete possibilità di vita.
                “Il resto di Israele…”
                Dallo scenario di distruzione a cui andranno incontro quanti vivono nell’infedeltà, si stacca questo “resto di Iraele”, questa piccola porzione di popolo rimasto fedele e che sarà l’inizio di una storia nuova. “Umile e povero” questo resto, questa piccola realtà, diventerà fermento e possibilità di novità: il futuro appartiene a loro!
                Sono indicazioni preziose perché raccontano di una logica di Dio che da sempre ha accompagnato la storia: da un uomo semplice e senza futuro, Abramo, è incominciata l’alleanza, su un piccolo popolo senza possibilità, schiavo laggiù in Egitto, si è espressa la scelta di Dio ed è passata la manifestazione del suo sogno di liberazione; da una piccola donna di Nazareth si è riaccesa la speranza; da un piccolo villaggio, Betlem, è iniziata una vicenda che ha illuminato il mondo; da un piccolo gruppo di persone si è formata la comunità di coloro che, in nome di Gesù Cristo, sono chiamati a portare fermento dentro all’umanità.
                Da sempre Dio ha manifestato interesse per le piccole cose, per le realtà semplici, quelle facilmente dimenticate ed emarginate. L’intervento di Gesù sarà la grande conferma di quanto, per Dio, siano importanti le situazioni dimenticate, le persone “perse” per la mentalità comune, i piccoli segni e i piccoli gesti che nessuno nota ma che sono in grado di rivelarsi ricchezze preziose: anche un bicchiere d’acqua, un pezzo di pane, un vestito, una porta aperta… sono per Dio segni grandi di una incontro con il suo infinito.
                E’ l’invito, penso, a recuperare il senso e il valore delle piccole cose che costituiscono la nostra vita, a ritrovare la bellezza dei nostri quotidiani, a riscoprire la “grandezza” di tutto ciò – cose e persone – che sono il tessuto delle nostre vicende,
                Occorre uscire dalla smania di cose eclatanti, dalla pretesa di saperci stupire solo di fronte all’eccezionale, all’evento prodigioso. No corriamo verso tutto ciò che sa di miracolistico e che attira così tanto la nostra curiosità e mobilita masse di persone. Non accontentiamoci di statue che piangono o di apparizione e visioni frequenti e facili… andiamo piuttosto a cercare il senso e il valore delle piccole realtà che ci appartengono, valorizziamo quel “resta” della nostra vita nell’intimità delle nostre case. Nella semplicità dei nostri gesti, nella normalità delle persone che hanno a che fare con noi.
                La novità è sempre lì, in quella capacità che ci è chiesta di vivere fedeli al quotidiano e di sentire dentro lì la presenza del divino. Siamo grandi quando, davvero, sappiamo vivere il “normale” come evento speciale perché lo riempiamo di senso e lo arricchiamo con un cuore ricco di amore e di bontà.
                Così come, credo che questa pagina del profeta ci chiami a prendere le distanze da una Chiesa che si accontenta di misurare la sua forza a partire dai grandi numeri, dalle grandi masse, dalle costruzioni imponenti… e che troppo spesso sono anche sinonimo di superficialità e di poca coerenza, per cercare piuttosto quell’appartenenza alla chiesa che è fatta di scelte radicali e coraggiose che possono cambiare la vita. Si tratta, penso, di cercare di più l’autenticità, nella semplicità e nella povertà, nell’abbandono a Dio e nella fedeltà alla Sua Parola, piuttosto che una chiesa che, senza preoccuparsi della coerenza e senza sottoporre chiaramente cosa voglia dire camminare con il Cristo, accetta di dire “siamo in tanti!”
Gesù, d’altra parte, è stato chiaro: ci ha paragonati al piccolo seme, alla piccola dose di lievito, al pizzico di sale… ma garantendo che tutto ciò può davvero essere fermento e inizio di un mondo destinato a rinnovarsi se… se non si perde la vitalità del seme, il sapore del sale e la forza del lievito.
                “Gioisci, figlia di Sion! Non temere…!”
                Inaspettata, quanto bella, questa ultima pagina del profeta. Dopo la denuncia e la promessa della venuta del “giorno del Signore”, giorno di giustizia e di verità dove, da una parte saranno smascherate tutte le ingiustizia e, dall’altra parte, la promozione del quanti, un piccolo “resto”, hanno saputo rimanere fedeli… ecco questo invito alla gioia “gioisci, figlia di Sion!”
E, molto bello, accanto l’invito alla gioia per il popolo, anche l’annotazione che “Dio stesso si rallegrerà per te ed esulterà di gioia!”
                Al di là di tutto, c’è spazio di gioia: la certezza che Dio abita la stria consolida l’invito ad avere fiducia: dopo tutto non siamo abbandonati e destinati a chissà quale amaro futuro. Dio stesso darà consistenza ad un futuro differente. Può essere grande il dolore, possono essere forti i motivi della tristezza… ma anche alla Gerusalemme – “città ribelle e contaminata” – è annunciato un giorno di gioia!
                Ed è bello leggere la gioia che invade Dio stesso: l’amante tradito, il padre abbandonato… esulta di gioia nel poter dimostrare ancora una volta il suo amore misericordioso e fedele. Così è il nostro Dio!
                Ci sembra di capire che le ragioni della speranza e delle fiducia siano più grandi delle ragioni dell’angoscia e della tristezza. E tutto si appoggia sulla consapevolezza che Dio è con noi!
                In un tempo in cui le cose non vanno bene, tragedie si susseguono ogni giorno, continuamente siamo messi di fronte a gravi fatti di attentati alla vita e alla dignità delle persone, in un tempo in cui ogni giorno ci raccontano di soprusi dei grandi sui piccoli, dei potenti sui deboli, in un tempo in cui la politica ci racconta di attaccamento alle poltrone e occasioni per fare i propri comodi, in un tempo in cui l’intero sistema economica frana e mette in difficoltà popoli interi… la tentazione alla disperazione è facile così come diventa facile piangere e temere di fronte al futuro. Ci viene voglia di affidarci al ricordo nostalgico di “una volta sì che…”, rimpiangendo un passato che non potrà più ritornare.
Chi ha il coraggio di guardare al futuro e, soprattutto, quali garanzie e dove trovarle per sognarlo differente?
                E il profeta continua a gridare: “Gioisci, figlia di Sion! Non temere!”
                Ecco credo che la gioia e la speranza siano oggi davvero una parola profetica che noi cristiani siamo chiamati a dire perché scommettiamo sulla forza di Dio, perché crediamo nei suoi sogni e nei suoi progetti, perché abbiamo la certezza che la morte è stata vinta e che, alla fine, l’ultima parola non ce l’avrà il male, la cattiveria e l’odio ma la bontà, l’amore e la misericordia.
Ed è una speranza che si fa scelta concreta per costruire un futuro così, fedeli – noi per primi – alle logiche dell’amore e della tenerezza, capaci di condivisione e di misericordia.
                Ci piace pensare ai cristiani come a uomini e donne che sanno sorridere, non perché non si rendono conto dei problemi, ma perché oltre ai problemi , sanno dare spazio alla fiducia e alla speranza.
                Ci piacerebbe vedere e partecipare a celebrazioni luminose e piene di gioia in grado di trascinare anche chi è avvolta dal manto del dolore e della tristezza… perché solo così possiamo essere testimoni di speranza e aiutare la nostra storia a guardare con fiducia il domani scommettendo ancora sulla vita, sulle cose belle e su quelle positività che, certamente, l’umanità si porta dentro e che ha solo bisogno di decidersi a farla emergere.

Per la preghiera

Salmo 34

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore,
ascoltino gli umili e si rallegrino.
Celebrate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore e mi ha risposto
e da ogni timore mi ha liberato.
Guardate a lui e sarete raggianti,
non saranno confusi i vostri volti.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo libera da tutte le sue angosce.
L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono e li salva.
Gustate e vedete quanto è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia.
Temete il Signore, suoi santi,
nulla manca a coloro che lo temono.
I ricchi impoveriscono e hanno fame,
ma chi cerca il Signore non manca di nulla.
Gli occhi del Signore sui giusti,
i suoi orecchi al loro grido di aiuto.
Il volto del Signore contro i malfattori,
per cancellarne dalla terra il ricordo.
Gridano e il Signore li ascolta,
li salva da tutte le loro angosce.
Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito,
egli salva gli spiriti affranti.
Molte sono le sventure del giusto,
ma lo libera da tutte il Signore.
Preserva tutte le sue ossa,
neppure uno sarà spezzato.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi,
chi in lui si rifugia non sarà condannato

Per la riflessione personale
                * Quanto, anche nelle mie piccole scelte quotidiane, riesco ad appoggiarmi sul Signore e tenere conto della sua volontà e dei suoi progetti?
                * So dare valore anche alle piccole della mia vita, alle opportunità di ogni giorno? So leggere la presenza di Dio dentro la mia piccola storia, nelle cose, nelle persone e negli eventi?
                * Anche di fronte alle delusioni, alle amarezze, alla tentazione del pessimismo… so rispondere con fiducia e speranza?

PAPA BENEDETTO: « UN DIO CHE SI INTERESSA DI NOI »

http://www.zenit.org/article-34166?l=italian

« UN DIO CHE SI INTERESSA DI NOI »

La catechesi di Benedetto XVI durante l’Udienza Generale di oggi

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 28 novembre 2012 (ZENIT.org).- Riprendiamo di seguito il testo della catechesi tenuta da papa Benedetto XVI durante la consueta Udienza Generale del mercoledì, svoltasi questa mattina nell’Aula Paolo VI.
***
Cari fratelli e sorelle,
La domanda centrale che oggi ci poniamo la seguente: come parlare di Dio nel nostro tempo? Come comunicare il Vangelo, per aprire strade alla sua verità salvifica nei cuori spesso chiusi dei nostri contemporanei e nelle loro menti talvolta distratte dai tanti bagliori della società? Gesù stesso, ci dicono gli Evangelisti, nell’annunciare il Regno di Dio si è interrogato su questo: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo?» (Mc 4,30). Come parlare di Dio oggi? La prima risposta è che noi possiamo parlare di Dio, perché Egli ha parlato con noi. La prima condizione del parlare di Dio è quindi l’ascolto di quanto ha detto Dio stesso. Dio ha parlato con noi! Dio non è quindi una ipotesi lontana sull’origine del mondo; non è una intelligenza matematica molto lontana da noi. Dio si interessa a noi, ci ama, è entrato personalmente nella realtà della nostra storia, si è autocomunicato fino ad incarnarsi. Quindi, Dio è una realtà della nostra vita, è così grande che ha anche tempo per noi, si occupa di noi. In Gesù di Nazaret noi incontriamo il volto di Dio, che è sceso dal suo Cielo per immergersi nel mondo degli uomini, nel nostro mondo, ed insegnare l’«arte di vivere», la strada della felicità; per liberarci dal peccato e renderci figli di Dio (cfr Ef 1,5; Rm 8,14). Gesù è venuto per salvarci e mostrarci la vita buona del Vangelo.
Parlare di Dio vuol dire anzitutto avere ben chiaro ciò che dobbiamo portare agli uomini e alle donne del nostro tempo: non un Dio astratto, una ipotesi, ma un Dio concreto, un Dio che esiste, che è entrato nella storia ed è presente nella storia; il Dio di Gesù Cristo come risposta alla domanda fondamentale del perché e del come vivere. Per questo, parlare di Dio richiede una familiarità con Gesù e il suo Vangelo, suppone una nostra personale e reale conoscenza di Dio e una forte passione per il suo progetto di salvezza, senza cedere alla tentazione del successo, ma seguendo il metodo di Dio stesso. Il metodo di Dio è quello dell’umiltà – Dio si fa uno di noi – è il metodo realizzato nell’Incarnazione nella semplice casa di Nazaret e nella grotta di Betlemme, quello della parabola del granellino di senape. Occorre non temere l’umiltà dei piccoli passi e confidare nel lievito che penetra nella pasta e lentamente la fa crescere (cfr Mt 13,33). Nel parlare di Dio, nell’opera di evangelizzazione, sotto la guida dello Spirito Santo, è necessario un recupero di semplicità, un ritornare all’essenziale dell’annuncio: la Buona Notizia di un Dio che è reale e concreto, un Dio che si interessa di noi, un Dio-Amore che si fa vicino a noi in Gesù Cristo fino alla Croce e che nella Risurrezione ci dona la speranza e ci apre ad una vita che non ha fine, la vita eterna, la vita vera. Quell’eccezionale comunicatore che fu l’apostolo Paolo ci offre una lezione che va proprio al centro della fede del problema « come parlare di Dio » con grande semplicità. Nella Prima Lettera ai Corinzi scrive: «Quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso» (2,1-2). Quindi la prima realtà è che Paolo non parla di una filosofia che lui ha sviluppato, non parla di idee che ha trovato altrove o inventato, ma parla di una realtà della sua vita, parla del Dio che è entrato nella sua vita, parla di un Dio reale che vive, ha parlato con lui e parlerà con noi, parla del Cristo crocifisso e risorto. La seconda realtà è che Paolo non cerca se stesso, non vuole crearsi una squadra di ammiratori, non vuole entrare nella storia come capo di una scuola di grandi conoscenze, non cerca se stesso, ma San Paolo annuncia Cristo e vuole guadagnare le persone per il Dio vero e reale. Paolo parla solo con il desiderio di voler predicare quello che è entrato nella sua vita e che è la vera vita, che lo ha conquistato sulla via di Damasco. Quindi, parlare di Dio vuol dire dare spazio a Colui che ce lo fa conoscere, che ci rivela il suo volto di amore; vuol dire espropriare il proprio io offrendolo a Cristo, nella consapevolezza che non siamo noi a poter guadagnare gli altri a Dio, ma dobbiamo attenderli da Dio stesso, invocarli da Lui. Il parlare di Dio nasce quindi dall’ascolto, dalla nostra conoscenza di Dio che si realizza nella familiarità con Lui, nella vita della preghiera e secondo i Comandamenti.
Comunicare la fede, per san Paolo, non significa portare se stesso, ma dire apertamente e pubblicamente quello che ha visto e sentito nell’incontro con Cristo, quanto ha sperimentato nella sua esistenza ormai trasformata da quell’incontro: è portare quel Gesù che sente presente in sé ed è diventato il vero orientamento della sua vita, per far capire a tutti che Egli è necessario per il mondo ed è decisivo per la libertà di ogni uomo. L’Apostolo non si accontenta di proclamare delle parole, ma coinvolge tutta la propria esistenza nella grande opera della fede. Per parlare di Dio, bisogna fargli spazio, nella fiducia che è Lui che agisce nella nostra debolezza: fargli spazio senza paura, con semplicità e gioia, nella convinzione profonda che quanto più mettiamo al centro Lui e non noi, tanto più la nostra comunicazione sarà fruttuosa. E questo vale anche per le comunità cristiane: esse sono chiamate a mostrare l’azione trasformante della grazia di Dio, superando individualismi, chiusure, egoismi, indifferenza e vivendo nei rapporti quotidiani l’amore di Dio. Domandiamoci se sono veramente così le nostre comunità. Dobbiamo metterci in moto per divenire sempre e realmente così, annunciatori di Cristo e non di noi stessi.
A questo punto dobbiamo domandarci come comunicava Gesù stesso. Gesù nella sua unicità parla del suo Padre – Abbà – e del Regno di Dio, con lo sguardo pieno di compassione per i disagi e le difficoltà dell’esistenza umana. Parla con grande realismo e, direi, l’essenziale dell’annuncio di Gesù è che rende trasparente il mondo e la nostra vita vale per Dio. Gesù mostra che nel mondo e nella creazione traspare il volto di Dio e ci mostra come nelle storie quotidiane della nostra vita Dio è presente. Sia nelle parabole della natura, il grano di senapa, il campo con diversi semi, o nella vita nostra, pensiamo alla parabola del figlio prodigo, di Lazzaro e ad altre parabole di Gesù. Dai Vangeli noi vediamo come Gesù si interessa di ogni situazione umana che incontra, si immerge nella realtà degli uomini e delle donne del suo tempo, con una fiducia piena nell’aiuto del Padre. E che realmente in questa storia, nascostamente, Dio è presente e se siamo attenti possiamo incontrarlo. E i discepoli, che vivono con Gesù, le folle che lo incontrano, vedono la sua reazione ai problemi più disparati, vedono come parla, come si comporta; vedono in Lui l’azione dello Spirito Santo, l’azione di Dio. In Lui annuncio e vita si intrecciano: Gesù agisce e insegna, partendo sempre da un intimo rapporto con Dio Padre. Questo stile diventa un’indicazione essenziale per noi cristiani: il nostro modo di vivere nella fede e nella carità diventa un parlare di Dio nell’oggi, perché mostra con un’esistenza vissuta in Cristo la credibilità, il realismo di quello che diciamo con le parole, che non sono solo parole, ma mostrano la realtà, la vera realtà. E in questo dobbiamo essere attenti a cogliere i segni dei tempi nella nostra epoca, ad individuare cioè le potenzialità, i desideri, gli ostacoli che si incontrano nella cultura attuale, in particolare il desiderio di autenticità, l’anelito alla trascendenza, la sensibilità per la salvaguardia del creato, e comunicare senza timore la risposta che offre la fede in Dio. L’Anno della fede è occasione per scoprire, con la fantasia animata dallo Spirito Santo, nuovi percorsi a livello personale e comunitario, affinché in ogni luogo la forza del Vangelo sia sapienza di vita e orientamento dell’esistenza.
Anche nel nostro tempo, un luogo privilegiato per parlare di Dio è la famiglia, la prima scuola per comunicare la fede alle nuove generazioni. Il Concilio Vaticano II parla dei genitori come dei primi messaggeri di Dio (cfr Cost. dogm.Lumen gentium, 11; Decr. Apostolicam actuositatem, 11), chiamati a riscoprire questa loro missione, assumendosi la responsabilità nell’educare, nell’aprire le coscienze dei piccoli all’amore di Dio come un servizio fondamentale alla loro vita, nell’essere i primi catechisti e maestri della fede per i loro figli. E in questo compito è importante anzitutto la vigilanza, che significa saper cogliere le occasioni favorevoli per introdurre in famiglia il discorso di fede e per far maturare una riflessione critica rispetto ai numerosi condizionamenti a cui sono sottoposti i figli. Questa attenzione dei genitori è anche sensibilità nel recepire le possibili domande religiose presenti nell’animo dei figli, a volte evidenti, a volte nascoste. Poi, la gioia: la comunicazione della fede deve sempre avere una tonalità di gioia. E’ la gioia pasquale, che non tace o nasconde le realtà del dolore, della sofferenza, della fatica, della difficoltà, dell’incomprensione e della stessa morte, ma sa offrire i criteri per interpretare tutto nella prospettiva della speranza cristiana. La vita buona del Vangelo è proprio questo sguardo nuovo, questa capacità di vedere con gli occhi stessi di Dio ogni situazione. È importante aiutare tutti i membri della famiglia a comprendere che la fede non è un peso, ma una fonte di gioia profonda, è percepire l’azione di Dio, riconoscere la presenza del bene, che non fa rumore; ed offre orientamenti preziosi per vivere bene la propria esistenza. Infine, la capacità di ascolto e di dialogo: la famiglia deve essere un ambiente in cui si impara a stare insieme, a ricomporre i contrasti nel dialogo reciproco, che è fatto di ascolto e di parola, a comprendersi e ad amarsi, per essere un segno, l’uno per l’altro, dell’amore misericordioso di Dio.
Parlare di Dio, quindi, vuol dire far comprendere con la parola e con la vita che Dio non è il concorrente della nostra esistenza, ma piuttosto ne è il vero garante, il garante della grandezza della persona umana. Così ritorniamo all’inizio: parlare di Dio è comunicare, con forza e semplicità, con la parola e con la vita, ciò che è essenziale: il Dio di Gesù Cristo, quel Dio che ci ha mostrato un amore così grande da incarnarsi, morire e risorgere per noi; quel Dio che chiede di seguirlo e lasciarsi trasformare dal suo immenso amore per rinnovare la nostra vita e le nostre relazioni; quel Dio che ci ha donato la Chiesa, per camminare insieme e, attraverso la Parola e i Sacramenti, rinnovare l’intera Città degli uomini, affinché possa diventare Città di Dio.
[Dopo la catechesi, il Papa si è rivolto ai fedeli provenienti dai vari paesi salutandoli nelle diverse lingue. Ai pellegrini italiani ha detto:]
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto i sacerdoti, religiosi e seminaristi della Diocesi di Macerata – grazie! – accompagnati dal Vescovo, Mons. Claudio Giuliodori e i Frati Minori della Provincia Siciliana: la visita alle Tombe degli Apostoli sia occasione per un nuovo slancio di fede nelle iniziative pastorali. Sono lieto di accogliere i membri della Corte dei Conti della Repubblica Italiana, nel 150° anniversario di fondazione, e auguro a questa Istituzione un proficuo servizio per il bene comune. Saluto inoltre la delegazione di Cervia per la tradizionale consegna del sale e gli appartenenti all’Associazione Civicrazia.
Rivolgo infine un affettuoso pensiero ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Il tempo di Avvento che sta per iniziare sia di stimolo per voi, cari giovani, a riscoprire l’importanza della fede in Cristo; aiuti voi, cari ammalati, ad affrontare le vostre sofferenze con lo sguardo rivolto al Bambino Gesù; accresca in voi, cari sposi novelli, il senso della presenza di Dio nella vostra nuova famiglia.

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