Un ritratto di Montini oltre i luoghi comuni della tristezza e della sofferenza (del Cardinale Tettamanzi, dal Corriere della Sera, Archivio)
BIOGRAFIE IL CARDINALE TETTAMANZI RIFLETTE SUL SAGGIO DI GISELDA ADORNATO A 30 ANNI DALLA MORTE DEL PONTEFICE
dal: (23 giugno 2008) – Corriere della Sera
Un ritratto di Montini oltre i luoghi comuni della tristezza e della sofferenza
Il cardinale Albino Luciani, in un biglietto del 13 agosto 1978 indirizzato a monsignor Pasquale Macchi, segretario personale di Paolo VI, porge le condoglianze per la morte del Papa – tredici giorni prima di essere eletto suo successore – e scrive: «A Venezia, nel 1972, mi ricordo di averLe detto: « Oggi il Papa non è compreso da tanti; la storia lo metterà in luce, lui e la sua opera »». E aggiunge: «Mi sembra che già la luce su Paolo VI sia cominciata bene». Credo si possa dire oggi, a trent’ anni dalla morte, che quella «luce» intorno alla figura e al magistero del Papa sia andata sempre più ampliandosi perché, in questo periodo, è stato possibile studiare con maggiore documentazione e in una migliore prospettiva storica il suo insegnamento, la sua pastorale e la sua ricchissima spiritualità. Che è poi quanto ha voluto fare Giselda Adornato, offrendoci questa preziosa biografia, sintesi di studi di decenni sulle fonti. In essa, un pontificato che spesso è stato letto per stereotipi e paradossi viene ricostruito nella sua unitarietà e coerenza, senza nasconderne le difficoltà, ma valorizzando il mondo interiore del protagonista e il suo continuo confronto con la storia. In particolare il libro sottolinea che il Papa segue un preciso criterio: quello di verificare le risposte della Chiesa ai bisogni sempre più grandi dell’ umanità sulla misura della sua fedeltà a Cristo. Quello che sembra costituire un aspetto davvero essenziale, dal 1920, anno dell’ ordinazione di Montini, alla morte, è la sua «straordinaria tensione missionaria». L’ ardente volontà di portare Cristo al mondo nelle diverse circostanze in cui Montini viene chiamato nel suo ministero e alle quali spesso si sottomette con umiltà, perché si sentirebbe portato per altro. È quanto emerge in modo limpido e continuo dal libro di Adornato. Battista, come viene chiamato in famiglia, è un ragazzo che, mentre studia privatamente, fa quello che oggi chiameremmo l’ animatore all’ Oratorio della Pace di Brescia e fonda un periodico giovanile; in seguito, prete romano, è educatore degli universitari, e ne verrà allontanato perché vuole costruire un futuro nel rapporto Chiesa-modernità; da diplomatico vaticano – in Segreteria di Stato per trent’ anni! – cerca tutte le strade per esercitare comunque il suo ministero sacerdotale, anche nell’ affanno delle incombenze d’ ufficio; e scrive: «Il debito sempre aperto: amare gli altri». Inviato come arcivescovo nella Milano del «miracolo» economico, è instancabile missionario in tutti gli ambienti e precorre i tempi chiedendo perdono e ascolto ai «fratelli lontani». Eletto Papa, la trasmissione della fede nella sua integrità è la prima preoccupazione che ha e vive con straordinaria passione. Ebbene, la storia di questa vocazione può venire interpretata tutta, come scrive Adornato, con un appunto di pochi giorni successivo l’ elezione a pontefice: «Forse la nostra vita non ha altra più chiara nota che la disciplina dell’ amore al nostro tempo, al nostro mondo, a quante anime abbiamo potuto avvicinare e avvicineremo: ma nella lealtà e nella convinzione che Cristo è necessario e vero» . E per questo avvicinamento agli uomini del suo tempo, Montini sceglie una modalità di evangelizzazione tratta dalla Gaudete in Domino, l’ unico documento ufficiale di un pontefice sulla gioia cristiana. Per Paolo VI la gioia è qualcosa di contagioso, che ha in sé un’ energia di espansione: per questo la gioia diventa per il cristiano un impegno apostolico e missionario nei riguardi degli altri. Già intorno al 1930 don Montini, riflettendo sulla lettera di San Paolo ai Filippesi, scrive: «Il motivo della gioia ritorna frequente, e non per semplice esortazione di formula di convenzionale cortesia, ma piuttosto come indice di un sentimento abituale che tesse anche nelle ore dolorose la psicologia dell’ Apostolo». E trent’ anni più tardi l’ arcivescovo Montini osserva: «Dove Cristo è, c’ è gioia interiore. E la gioia, anche se ci sono mille difficoltà e nemici e pericoli e, se volete, anche sofferenza di fuori, la gioia non viene meno mai». Dalla cattedra di Pietro, durante l’ udienza del 19 maggio 1965, il Papa si rivolge ai fedeli: «Vorremmo che ciascuno di voi, qui e dopo, si sentisse felice. ( ) Un cristiano può mancare di tutto; ma se è il cristiano unito a Dio nella fede e nella carità, non può mancare di gioia». È dunque una gioia dinamica, questa di Montini, che scaturisce dalla scoperta che Dio si piega sui bisogni più veri dell’ uomo. Per elevarla a gaudio, a profonda gioia spirituale, i cristiani devono poi percorrere un percorso inverso: portare gli uomini a Dio. L’ umanità, creata e amata da Dio – spiega Paolo VI – è al centro dell’ interesse della Chiesa, che non è autoreferenziale, interessata solo alla costruzione di se stessa, ma è tutta protesa verso l’ uomo e la sua salvezza: come la natura divina e quella umana di Cristo non si danno l’ una senza l’ altra, così la Chiesa e l’ umanità sono in necessaria correlazione. L’ esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, del 1975, ripete di continuo l’ equivalenza tra gioia cristiana e gioia nello Spirito Santo. Ecco l’ invito e l’ augurio di Paolo VI: «Conserviamo la dolce e confortante gioia d’ evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime. ( ) Sia questa la grande gioia delle nostre vite impegnate. Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell’ angoscia, ora nella speranza, ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradii fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo, e accettino di mettere in gioco la propria vita affinché il Regno sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo». Questo testo risponde alle domande che Montini si pone da sempre, usando ad esempio la metafora della barca, o della nave, sulla quale noi cristiani siamo imbarcati e che ci porta verso la salvezza Si chiede: e gli altri? Devono restare dei poveri naufraghi? La «barca» che il Papa guida incontrerà cavalloni e burrasche; lui personalmente conoscerà tante fatiche, tante delusioni, tante sofferenze. Riporterà tutto ad un esercizio di purificazione della propria fede e di ulteriore impegno per rafforzarla. Nei suoi appunti personali si vede chiaramente come, anche nei momenti più difficili, Paolo VI si propone sì «parole gravi, atteggiamento deciso e forte», ma pur sempre con «animo fiducioso e sereno», e vuole «infondere nei fratelli la certezza profetica, l’ energia, il coraggio, la letizia, la fede e la speranza e la carità in Cristo Signore». * * * GISELDA ADORNATO Paolo VI. Il coraggio della modernità SAN PAOLO PP. 368, 24 * * * L’ intervento Questo testo è una sintesi del discorso che il cardinale Tettamanzi (foto) tiene oggi a Milano (ore 17.30) al Centro Paolo VI, per commemorare Papa Montini Il saggio Nell’ occasione si presenta il libro di Giselda Adornato «Paolo VI». Intervengono F. G. Brambilla, E. Guerriero e A. Torno
Tettamanzi Dionigi
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