Archive pour le 12 novembre, 2012

Fra Angelico, Coronation of Virgin

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http://www.patheos.com/blogs/kathyschiffer/2012/04/regina-coeli-queen-of-heaven-2/

 

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Un ritratto di Montini oltre i luoghi comuni della tristezza e della sofferenza (del Cardinale Tettamanzi, dal Corriere della Sera, Archivio)

http://archiviostorico.corriere.it/2008/giugno/23/Paolo_Papa_tentato_dalla_gioia_co_9_080623099.shtml

BIOGRAFIE IL CARDINALE TETTAMANZI RIFLETTE SUL SAGGIO DI GISELDA ADORNATO A 30 ANNI DALLA MORTE DEL PONTEFICE

dal: (23 giugno 2008) – Corriere della Sera

Un ritratto di Montini oltre i luoghi comuni della tristezza e della sofferenza

Il cardinale Albino Luciani, in un biglietto del 13 agosto 1978 indirizzato a monsignor Pasquale Macchi, segretario personale di Paolo VI, porge le condoglianze per la morte del Papa – tredici giorni prima di essere eletto suo successore – e scrive: «A Venezia, nel 1972, mi ricordo di averLe detto: « Oggi il Papa non è compreso da tanti; la storia lo metterà in luce, lui e la sua opera »». E aggiunge: «Mi sembra che già la luce su Paolo VI sia cominciata bene». Credo si possa dire oggi, a trent’ anni dalla morte, che quella «luce» intorno alla figura e al magistero del Papa sia andata sempre più ampliandosi perché, in questo periodo, è stato possibile studiare con maggiore documentazione e in una migliore prospettiva storica il suo insegnamento, la sua pastorale e la sua ricchissima spiritualità. Che è poi quanto ha voluto fare Giselda Adornato, offrendoci questa preziosa biografia, sintesi di studi di decenni sulle fonti. In essa, un pontificato che spesso è stato letto per stereotipi e paradossi viene ricostruito nella sua unitarietà e coerenza, senza nasconderne le difficoltà, ma valorizzando il mondo interiore del protagonista e il suo continuo confronto con la storia. In particolare il libro sottolinea che il Papa segue un preciso criterio: quello di verificare le risposte della Chiesa ai bisogni sempre più grandi dell’ umanità sulla misura della sua fedeltà a Cristo. Quello che sembra costituire un aspetto davvero essenziale, dal 1920, anno dell’ ordinazione di Montini, alla morte, è la sua «straordinaria tensione missionaria». L’ ardente volontà di portare Cristo al mondo nelle diverse circostanze in cui Montini viene chiamato nel suo ministero e alle quali spesso si sottomette con umiltà, perché si sentirebbe portato per altro. È quanto emerge in modo limpido e continuo dal libro di Adornato. Battista, come viene chiamato in famiglia, è un ragazzo che, mentre studia privatamente, fa quello che oggi chiameremmo l’ animatore all’ Oratorio della Pace di Brescia e fonda un periodico giovanile; in seguito, prete romano, è educatore degli universitari, e ne verrà allontanato perché vuole costruire un futuro nel rapporto Chiesa-modernità; da diplomatico vaticano – in Segreteria di Stato per trent’ anni! – cerca tutte le strade per esercitare comunque il suo ministero sacerdotale, anche nell’ affanno delle incombenze d’ ufficio; e scrive: «Il debito sempre aperto: amare gli altri». Inviato come arcivescovo nella Milano del «miracolo» economico, è instancabile missionario in tutti gli ambienti e precorre i tempi chiedendo perdono e ascolto ai «fratelli lontani». Eletto Papa, la trasmissione della fede nella sua integrità è la prima preoccupazione che ha e vive con straordinaria passione. Ebbene, la storia di questa vocazione può venire interpretata tutta, come scrive Adornato, con un appunto di pochi giorni successivo l’ elezione a pontefice: «Forse la nostra vita non ha altra più chiara nota che la disciplina dell’ amore al nostro tempo, al nostro mondo, a quante anime abbiamo potuto avvicinare e avvicineremo: ma nella lealtà e nella convinzione che Cristo è necessario e vero» . E per questo avvicinamento agli uomini del suo tempo, Montini sceglie una modalità di evangelizzazione tratta dalla Gaudete in Domino, l’ unico documento ufficiale di un pontefice sulla gioia cristiana. Per Paolo VI la gioia è qualcosa di contagioso, che ha in sé un’ energia di espansione: per questo la gioia diventa per il cristiano un impegno apostolico e missionario nei riguardi degli altri. Già intorno al 1930 don Montini, riflettendo sulla lettera di San Paolo ai Filippesi, scrive: «Il motivo della gioia ritorna frequente, e non per semplice esortazione di formula di convenzionale cortesia, ma piuttosto come indice di un sentimento abituale che tesse anche nelle ore dolorose la psicologia dell’ Apostolo». E trent’ anni più tardi l’ arcivescovo Montini osserva: «Dove Cristo è, c’ è gioia interiore. E la gioia, anche se ci sono mille difficoltà e nemici e pericoli e, se volete, anche sofferenza di fuori, la gioia non viene meno mai». Dalla cattedra di Pietro, durante l’ udienza del 19 maggio 1965, il Papa si rivolge ai fedeli: «Vorremmo che ciascuno di voi, qui e dopo, si sentisse felice. ( ) Un cristiano può mancare di tutto; ma se è il cristiano unito a Dio nella fede e nella carità, non può mancare di gioia». È dunque una gioia dinamica, questa di Montini, che scaturisce dalla scoperta che Dio si piega sui bisogni più veri dell’ uomo. Per elevarla a gaudio, a profonda gioia spirituale, i cristiani devono poi percorrere un percorso inverso: portare gli uomini a Dio. L’ umanità, creata e amata da Dio – spiega Paolo VI – è al centro dell’ interesse della Chiesa, che non è autoreferenziale, interessata solo alla costruzione di se stessa, ma è tutta protesa verso l’ uomo e la sua salvezza: come la natura divina e quella umana di Cristo non si danno l’ una senza l’ altra, così la Chiesa e l’ umanità sono in necessaria correlazione. L’ esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, del 1975, ripete di continuo l’ equivalenza tra gioia cristiana e gioia nello Spirito Santo. Ecco l’ invito e l’ augurio di Paolo VI: «Conserviamo la dolce e confortante gioia d’ evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime. ( ) Sia questa la grande gioia delle nostre vite impegnate. Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell’ angoscia, ora nella speranza, ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradii fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo, e accettino di mettere in gioco la propria vita affinché il Regno sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo». Questo testo risponde alle domande che Montini si pone da sempre, usando ad esempio la metafora della barca, o della nave, sulla quale noi cristiani siamo imbarcati e che ci porta verso la salvezza Si chiede: e gli altri? Devono restare dei poveri naufraghi? La «barca» che il Papa guida incontrerà cavalloni e burrasche; lui personalmente conoscerà tante fatiche, tante delusioni, tante sofferenze. Riporterà tutto ad un esercizio di purificazione della propria fede e di ulteriore impegno per rafforzarla. Nei suoi appunti personali si vede chiaramente come, anche nei momenti più difficili, Paolo VI si propone sì «parole gravi, atteggiamento deciso e forte», ma pur sempre con «animo fiducioso e sereno», e vuole «infondere nei fratelli la certezza profetica, l’ energia, il coraggio, la letizia, la fede e la speranza e la carità in Cristo Signore». * * * GISELDA ADORNATO Paolo VI. Il coraggio della modernità SAN PAOLO PP. 368, 24 * * * L’ intervento Questo testo è una sintesi del discorso che il cardinale Tettamanzi (foto) tiene oggi a Milano (ore 17.30) al Centro Paolo VI, per commemorare Papa Montini Il saggio Nell’ occasione si presenta il libro di Giselda Adornato «Paolo VI». Intervengono F. G. Brambilla, E. Guerriero e A. Torno

Tettamanzi Dionigi

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Sofferenza e promessa (Rom 8,18-25)

http://www.riforma.net/predicazioni/annate/1995/pr950210.htm

Sofferenza e promessa (Rom 8,18-25)

« Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi. La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa – e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sapppiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza » (Ro. 8:18-25).

L’attuale sofferenza degli esseri umani e della natura comporta una causa precisa. Iddio nella sua grazia ha cominciato a rigenerare la realt_. Si vive perci_ nell’attesa fiduciosa della trasformazione della realt_, sopportando il presente e seminando segni di speranza.
I. Le nostre sofferenze e la nostra speranza.
« Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi « (18).
1. Le sofferenze del momento presente (18a). Paolo considera le sofferenze del vivere in questo tipo di mondo. Include le sofferenze di ogni tipo e certamente l’accento _ posto su quelle particolari sofferenze che provengono dal voler vivere coerentemente la propria fede (opposizioni, persecuzioni ecc.).
Esse trovano origine dalle « maledizioni » che sono conseguenza del peccato umano (Ge. 3) ed includono le conseguenze negative dello squilibrio nei rapporti con i propri simili e con la natura, la sofferenza fisica e la morte, come pure le conseguenze « legali » dell’aver infranto il patto che ci legava a Dio.
Particolarmente dure erano allora quelle causate dall’opposizione del mondo verso i cristiani, i quali intendevano vivere secondo il modo di pensare, di parlare e di agire coerente con la volont_ rivelata di Dio.
I cristiani del nostro tempo non riescono neanche ad immaginare quanto dure fossero le sofferenze dei primi cristiani, considerati spazzatura della societ_, discriminati ed emarginati, disprezzati, perseguitati, torturati, uccisi, situazioni vissute ancora in diverse parti del mondo d’oggi e delle quali spesso non siamo consapevoli.
2. La gloria futura (18b). Per quanto pesanti possano essere queste sofferenze, se noi le mettiamo sul piatto della bilancia e le confrontiamo con quanto Dio, nella sua grazia, ha riservato per noi per il futuro, esse appaiono leggere e sopportabili. Queste sofferenze sono poca cosa in confronto a ci_ che ci attende per promessa di Dio: la gloria eterna.
Essa _ il superamento degli attuali limiti, contraddizioni, disfunzioni, una nuova qualit_ di vita e di esperienza, una nuova misura di capacit_ e possibilit_, una nuova consapevolezza della nostra comunione con la Persona e i propositi di Dio.
La gloria che ci sar_ manifestata gi_ esiste nella persona del Cristo glorificato, ma poi anche noi ne saremo coinvolti. Sar_ una gloria che verr_ impartita anche a noi, alla quale parteciperemo e di fronte alla quale non saremo semplici spettatori.
II. Anche il creato condivide sofferenza e speranza.
« La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio » (19). Non siamo solo noi ad essere in questa situazione, anche la creazione nel suo complesso ne condivide la tensione.
1. La sua grande aspettativa. Paolo qui personifica la creazione, proprio come facevano i profeti quando dicevano che i fiumi battono le mani. L’intero mondo viene rappresentato come una persona che con grande ed intensa aspettativa, con mani tese e testa alzata (fervida, ardente attesa, Fl. 1:20), che non vede l’ora del giorno futuro di gloria quando i figli di Dio avranno raggiunto il culmine della loro redenzione e saranno rivelati come tali. La loro gloria per il momento _ nascosta, ma sar_ presto rivelata e manifestata (« E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore » 2Co. 3:18). La creazione aspetta questo perché sar_ ristabilita alla primordiale libert_ e lustro. Allora giungeranno « i tempi della consolazione da parte del Signore » (At. 3:20).
E’ difficile immaginarci questa « simpatia mistica » della natura fisica, descritta qui in modo poetico, con l’opera della grazia ma chi lo possiamo intuire.
2. Le sue attuali sofferenze. « essa infatti è stata sottomessa alla caducità – non per suo volere, ma per volere di colui che l’ha sottomessa » (20a). Bisogna proprio essere ciechi e incoscienti per non accorgerci che viviamo in un mondo che non funziona pi_ come dovrebbe, un mondo squilibrato e malato, sporco e corrotto, un mondo ferito a morte e sull’orlo della distruzione, e questo per causa di chi? Dell’essere umano che non sa vivere come si conviene ed amministrare lo stesso suo habitat.
Il « contagio » del nostro proprio male si _ diffuso oltre i confini della nostra vita, e l’intera creazione sembra esserne stata coinvolta. Il creato _ interdipendente, ci_ che accade in un’area avr_ ripercussioni anche nell’altra.
Se l’arroganza umana ripudia la sua vera condizione, il terreno verr_ pure « maledetto » a causa sua (Ge. 3:17). Non si possono isolare le conseguenze del peccato. L’interdipendenza delle diverse parti del mondo di Dio _ cos_ reale che l’uomo sfrenato nella sua follia fa si che pure la natura ne sia « frustrata ».
La creazione _ stata soggetta a vanit_, _ diventata vuota, ha perduto il suo significato originale, non raggunge il fine a cui essa era destinata quando l’essere umano non assume verso di essa le responsabilit_ che gli erano state affidate.. La sua « caducit_ » non era implicita ad essa o voluta, ma _ causata dall’effetto del peccato umano per volere di Dio. Dio, a causa del peccato umano, ha maledetto la creazione e l’ha soggetta alla vanit_ ed alla corruzione (Ge. 3:17; 4:12; Le. 26:19,20).
Ora la natura « cerca senza trovare ».
Dio ha posto la creazione sotto il dominio dell’uomo, e quando l’uomo _ decaduto, la creazione ha perduto la cura che avrebbe dovuto ricevere. E’ orfana. Ora viene abusata.
3. La sua speranza (20b,21). « …e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio ». Benché sia decaduta, _ rimasta per_ una speranza. All’uomo decaduto _ stata fatta una promessa di redenzione finale e la creazione viene rappresentata nell’atto di condividere questa speranza. C’_ motivo di aspettarsi che la creazione ritorni alla condizione di quando era stata creata, anzi, in una condizione migliore.
La natura stessa possiede, nel sentimento delle sue immeritate sofferenze una sorta di presentimento della sua futura liberazione. Sebbene soggetta a « vanit_ » (corruzione e morte) vi rimane ancora la speranza della liberazione finale. La condizione presente _ « schiavit_ alla corruzione ». La speranza _ liberazione dalla schiavit_. Nel giorno in cui verr_ rivelata una tale gloria, « tutte le cose verranno fatte nuove » (Ap. 21:1). Anche la natura condivider_ quella libert_, che nei figli di Dio verr_ accompagnata da indicibile gioia. Un tempo la creazione era libera dalla vanit_ (frustrazione), schiavit_ e corruzione, cos_ sar_ ancora alla risurrezione generale (At. 3.19,21; 2 Pi. 3:13). Nonostante il peccato di uomini e di angeli, il piano originale di Dio verr_ ristabilito e non sar_ pi_ suscettibile alla corruzione.
4. Una realt_ certa. « Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto » (22). Se prima la creazione era rappresentata come un uomo afflitto da un pesante fardello, ora _ rappresentata da una donna in attesa di partorire. La natura _ qui rappresentata come sofferente dei dolori del parto. Che sia travagliata _ certo, c’_ agitazione e grido di liberazione dovunque. Forse non potr_ comprendere i suoi guai, e forse nemmeno ci_ che desidera, ma il significato _ che _ caduta, e geme anelando ad essere liberata. Si ode dalla creazione ci_ che qualcuno ha definito come « una grande sinfonia di sospiri ».
Sa che essa pure verr_ coinvolta dalla rigenerazione delle creature umane. Questi gemiti e afflizioni non sono vani, sono una profezia del tempo di liberazione in cui « vi saranno nuovi cieli e nuova terra dove abiter_ la giustizia » (Ap. 21:1). Quando la maledizione sar_ completamente rimossa dall’uomo, come lo sar_ quando la condizione di fiogli di Dio verr_ pienamente rivelata, essa verr_ rimossa anche dalla creazione; per questo essa sospira. La speranza _ latente.
III. La caparra della gloria
« essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo » (23).
1. Non una vana illusione. Ci_ che attendiamo non _ una pia ma vana speranza. I cristiani fin da ora possono godere della caparra dello Spirito (2 Co. 1:22; 5:5; Ef. 1:14). Non solo il mondo, ma i cristiani, sebbene abbiano le « primizie dello Spirito » (la giustizia, gioia, pace che i credenti hanno in questa vita), un pregustare del ricco e pieno raccolto, « gemono ». C’_ l’attesa intensa di quella pienezza che dovr_ ancora venire. Essi sono stati gi_ adottati, ma non hanno ancora ricevuto la piena eredit_.
Quando verr_ la pienezza dell’adozione, noi non avremo pi_ questi poveri nostri corpi, deboli, fragili, soggetti al peccato, al decadimento ed alla morte, ma corpi spirituali (2 Co. 5:2) (perfetta liberazione dal peccato e dalla miseria, cf. Lu. 21:28; Ef. 4:30.
Lo Spirito Santo venne nel gran giorno di Pentecoste e le Sue benedizioni perdurano nei doni morali e spirituali concessi ai figli di Dio (1 Co. 12-14; Ga. 15:22). E pi_ grandi ancora dovranno venire. Come la natura anche noi abbiamo i nostri « gemiti ». Verr_ la nostra piena « adozione »: « la redenzione del nostro corpo ». Avremo quindi completa redenzione sia dell’anima che del corpo.
2. Una speranza viva. « Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? » (24). Sebbene noi crediamo con certezza che vi sar_ tale redenzione o salvezza e che essa ci appartiene, secondo le promesse di Dio, per il momento non ne abbiamo ancora pieno possesso. La salvezza che ora abbiamo in speranza. Il nostro _ ancora « il corpo vecchio ».
Noi siamo salvati in speranza, attraverso la speranza, in vista della speranza (della redenzione del nostro corpo). Quando siamo divenuti cristiani siamo stati salvati. Non che abbiamo ricevuto tutti i frutti della salvezza, ma abbiamo ricevuto la promessa di tutti, persino della redenzione del corpo.
3. Un’attesa perseverante. « Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza » (25). Se indubbiamente speriamo la redenzione e la salvezza, che non sono ancora in vista, allora _ convenevole che noi sopportiamo con pazienza i mali e le sofferenze che oggi patiamo; la speranza _ sempre accompagnata dall’attesa paziente delle cose sperate (1 Ts. 1:3; Eb. 4:12; 10:36).
La speranza ha il proprio benedetto ministero. Se speriamo in una ventura piena realizzazione, possiamo lavorarvi su ed aspettarla con pazienza. L’anima senza speranza dispera.
Calvino diceva: « tutte le promesse dell’Evangelo al riguardo della gloria della risurrezione svaniscono, a meno che non passiamo la nostra vita attuale sopportando con pazienza la tribolazione e la croce », ma pure seminando semi di speranza.

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