Cappadocia Nativity Detail

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/16723.html
Omelia (29-11-2009)
Eremo San Biagio
Commento su Ger 33,15-16
Dalla Parola del giorno
In quei giorni farò germogliare un germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra
Come vivere questa Parola?
Per riscoprire il Natale e riapprendere vitalmente in una gioia profonda che non è il mercantilismo dei regali, l’Avvento che oggi inizia è un periodo prezioso.
La prima lettura di oggi, tratta dal profeta Geremia, prospetta il realizzarsi in pienezza delle promesse di Dio. Esse convergono su un « germoglio giusto che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra ». E chi è questo Germoglio se non il Messia promesso da secoli a Israele: quel Gesù di Nazareth che ha rivoluzionato i criteri della vita vera e felice col suo vangelo?
Ecco: Natale è il fare memoria del suo essere nato in terra dalla Vergine Maria. Ma è anche un proiettarsi nel futuro, quando non parzialmente ma in pienezza si realizzerà il trionfo di quella giustizia senza la quale non esiste la pace, e la carità è menzogna.
Avvento significa « venuta ». In attesa dunque di questa pienezza di giustizia che colmerà la storia e la farà straripare di veri beni, noi siamo chiamati a praticare anzitutto la giustizia. Non si può dirsi cattolici praticanti solo perché si va a Messa alla domenica e si ottempera a certe pratiche religiose, ma ci si appiattisce sulla mentalità affarista del tornaconto, del compromesso e dell’accumulo di beni per il benessere proprio e dei figli.
Devo vivere in casa e fuori la giustizia. Nella relazionalità con le persone e con le cose. Solo testimoniando coerenza con le parole e le azioni di Gesù che ho scelto come mio Signore, io potrò vivere un Avvento di luce e gioia nel cuore.
Tu, Signore Gesù, « Germoglio giusto » per eccellenza, aprimi a vie di rettitudine nel pensiero, nella volontà, nelle parole, e nelle azioni.
La voce di un arcivescovo
Siamo in attesa di una liberazione. Ed essa verrà. Già viene, nelle nostre stesse prove, perché passa attraverso le nostre sofferenze e le nostre prove… Ecco il Messia che aspettiamo. Anche l’Avvento, come ogni realtà cristiana, per condurre alla vera gioia del Natale deve passare per il venerdì santo
H. Teissier
http://www.zenit.org/article-34242?l=italian
« LA PIENA COMUNIONE ALLA QUALE ASPIRIAMO, È UN DONO CHE VIENE DA DIO »
Messaggio del Papa al patriarca ecumenico di Costantinopoli in occasione della festa di Sant’Andrea Apostolo
CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 30 novembre 2012 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito in traduzione italiana il testo del messaggio di papa Benedetto XVI al patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, per l’odierna festa di Sant’Andrea apostolo.
***
A Sua Santità Bartolomeo i
Arcivescovo di Costantinopoli
Patriarca Ecumenico
«Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori» (Ef 3, 17)
Animato da sentimenti di gioia profonda e di vicinanza fraterna, vorrei oggi fare mio questo auspicio, che san Paolo rivolge alla comunità cristiana di Efeso, per formularlo a lei, Santità, ai membri del Santo Sinodo, al clero e a tutti i fedeli, riuniti in questo giorno di festa per celebrare la grande solennità di sant’Andrea. Seguendo l’esempio dell’Apostolo, anche io, in quanto vostro fratello nella fede, «piego le ginocchia davanti al Padre» (Ef 3, 14), per chiedere che vi conceda «di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito» (Ef 3, 16) e di «conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza» (Ef 3, 19).
Lo scambio di Delegazioni tra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli, che si rinnova ogni anno in occasione delle rispettive feste patronali di sant’Andrea al Fanar e dei santi Pietro e Paolo a Roma, testimonia in modo concreto il legame di vicinanza fraterna che ci unisce. È una comunione profonda e reale, sebbene ancora imperfetta, che si fonda non su ragioni umane di cortesia e di convenienza, ma sulla fede comune nel Signore Gesù Cristo, il cui Vangelo di salvezza ci è pervenuto grazie alla predicazione e alla testimonianza degli apostoli, suggellato dal sangue del martirio. Potendo contare su questo solido fondamento, possiamo procedere insieme con fiducia nel cammino che conduce verso il ripristino della piena comunione. In questo cammino, grazie anche al sostegno assiduo e attivo di Vostra Santità, abbiamo compiuto tanti progressi, per i quali le sono molto riconoscente. Anche se la strada da percorrere può sembrare ancora lunga e difficile, la nostra intenzione di proseguire in questa direzione resta immutata, confortati dalla preghiera che nostro Signore Gesù Cristo ha rivolto al Padre: «siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda» (Gv 17, 21).
Santità, in questo momento desidero rinnovarle l’espressione della mia viva riconoscenza per le parole pronunciate al termine della celebrazione per il cinquantesimo anniversario dell’apertura del concilio Vaticano II e per l’apertura dell’Anno della fede, che si è tenuta a Roma a ottobre, parole mediante le quali lei ha saputo farsi interprete dei sentimenti di tutti i presenti. Conservo vivi ricordi della sua visita a Roma in quella circostanza, durante la quale abbiamo avuto l’opportunità di rinnovare i vincoli della nostra sincera e autentica amicizia. Questa amicizia sincera che è nata tra di noi, con una grande visione comune delle responsabilità alle quali siamo chiamati come cristiani e come pastori del gregge che Dio ci ha affidato, è motivo di grande speranza affinché si sviluppi una collaborazione sempre più intensa, nel compito urgente di rendere, con rinnovato vigore, testimonianza del messaggio evangelico al mondo contemporaneo. Ringrazio inoltre di tutto cuore lei, Santità, e il Santo Sinodo del Patriarcato Ecumenico per aver voluto inviare un delegato fraterno affinché partecipasse all’Assemblea ordinaria generale del Sinodo de vescovi sul tema: «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana». La sfida più urgente, sulla quale ci siamo sempre trovati in totale accordo con Vostra Santità, è oggi quella di come far giungere l’annuncio dell’amore misericordioso di Dio all’uomo del nostro tempo, così spesso distratto, più o meno incapace di una riflessione profonda sul senso stesso della sua esistenza, preso come tale a partire da progetti e da utopie che non possono che deluderlo. La Chiesa non ha altro messaggio oltre al «Vangelo di Dio» (Rm 1, 1) e non ha altro metodo oltre all’annuncio apostolico, sostenuto e garantito dalla testimonianza di santità della vita dei pastori e del popolo di Dio. Il Signore Gesù ci ha detto che «la messe è molta» (Lc 10, 2), e non possiamo accettare che vada perduta a causa delle nostre debolezze e delle nostre divisioni.
Santità, nella Divina liturgia odierna che avete celebrato in onore di sant’Andrea, patrono del Patriarcato ecumenico, avete pregato «per la pace nel mondo intero, per la prosperità delle sante Chiese di Dio e per l’unione di tutti». Con tutti i fratelli e le sorelle cattolici, mi unisco alla vostra preghiera. La piena comunione alla quale aspiriamo, è un dono che viene da Dio. A Lui, «che in tutto ha potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che già opera in noi» (Ef 3, 20), rivolgiamo con fiducia la nostra supplica, per intercessione di sant’Andrea e di san Pietro, suo fratello.
Con questi sentimenti di sincero affetto in Cristo Signore, rinnovo i miei cordiali auguri e scambio con lei, Santità, un abbraccio fraterno.
Dal Vaticano, 23 novembre 2012
http://www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=16743
Alzatevi e levate il capo
mons. Gianfranco Poma
I Domenica di Avvento (Anno C)
Vangelo: Lc 21,25-28.34-36
Iniziamo il nuovo anno liturgico nel quale la Chiesa ci invita a leggere il Vangelo di Luca, il Vangelo dell’evangelizzatore, cioè del discepolo di Gesù che, affascinato da Lui, non può non partire immediatamente per portare agli altri la gioia che ha cambiato la sua vita. L’opera di Luca è più che mai un « lieto annuncio » che riempie di gioia chi lo ascolta e il Gesù di Luca è così « bello » che non può non suscitare stupore e fascino in chi lo incontra. La tradizione fa di San Luca un artista e se pure la tradizione non corrisponde alla verità storica, interpreta molto bene la realtà: il Cristo di Luca è bello. Questa bellezza dipende dallo stile di Luca: dal racconto dell’annuncio a Maria, alle parabole del buon samaritano, del figlio prodigo, alla pagina finale dei discepoli di Emmaus, è tutto un susseguirsi di pagine che fanno vibrare in noi le corde della bellezza.
Lungo il corso dei secoli gli artisti si sono impegnati ad interpretare in modo sempre nuovo i racconti della nascita di Gesù, la figura della donna ai suoi piedi, del Padre che accoglie il figlio che ritorna a lui, dei discepoli che riconoscono Gesù nello spezzare il pane e lo pregano: « Rimani con noi perché scende la sera ». Certo, la bellezza del libro di Luca dipende anche dal posto occupato dalle donne: Maria, Elisabetta, Maria di Magdala, Marta e Maria, il gruppo delle donne che accompagnano Gesù e i discepoli. Una grande attenzione Luca riserva pure ai poveri e ai peccatori. Ma non è a causa del modo di scrivere di Luca che Gesù è bello: per Luca Gesù è bello, e per questo ne scrive in modo bello. Eppure neppure una riga è dedicata da Luca alla descrizione della figura fisica di Gesù: egli ci testimonia che uomini e donne erano conquistati da Lui, dalla sua persona emanava una luce e una forza interiore che doveva generare relazioni perfettamente realizzanti. In realtà, la bellezza di Gesù è lo splendore del suo amore: Gesù è l’incarnazione dell’amore del Padre, per questo è lo specchio della bellezza di Dio. Gesù è il volto umano di Dio che si piega sui piccoli, come su Maria, che si invita presso Zaccheo, che perdona ai peccatori e alle peccatrici. La sua non è una bellezza fredda che allontana, ma è piena di un calore che attrae, per questo risplende anche sulla croce: Padre, perdona loro…In verità, oggi tu sarai con me, nel Paradiso. La bellezza di Gesù è lo splendore della sua comunione continua con il Padre: Luca ce lo mostra frequentemente in preghiera, animato dallo Spirito, solo, con il Padre.
La Liturgia, in questo anno liturgico, ci invita, rileggendo il vangelo di Luca, ad avere il coraggio, prima di tutto tra di noi, nella Chiesa, di comunicarci quanto siamo stati affascinati dalla bellezza di Colui nel quale crediamo. Forse il nostro mondo aspetta proprio di sentirsi annunciare il Vangelo in termini di bellezza.
E l’anno liturgico inizia con il tempo dell’ « Avvento », momento densissimo di significati e di valori che danno senso alla nostra esistenza: l’Avvento è tutta la nostra vita o, meglio, la nostra vita è tutta Avvento. Che cos’è la nostra vita, se non desiderio di qualcosa o di qualcuno che ci manca, che ci doni la gioia, la pace, la felicità? Che cos’è la nostra vita se non l’attesa che venga chi ci porti il supplemento di qualcosa che, mancandoci, ci inquieta e ci tormenta? Che cos’è la nostra vita se non il continuo interrogarci, aspettando che venga una risposta alle inesauribili domande che salgono dal profondo del nostro cuore? Che cos’è la nostra vita se non l’attesa di un Dio che « squarci i cieli e discenda ». L’Avvento è il coraggio di scendere nel profondo di noi stessi e di percepire che il desiderio, la domanda, l’attesa, costituiscono la nostra umanità più vera: la lettura dell’Antico Testamento, con la sua tensione profetica, è la compagnia più adeguata per l’uomo che ha il coraggio di non porre limiti alla propria ricerca.
Ma la nostra vita sarebbe l’esperienza più assurda e disperante se alla nostra attesa non venisse una risposta, al nostro desiderio di amore non rispondesse un incontro: l’Avvento è l’esperienza che nel profondo della nostra ricerca c’è sempre una luce misteriosa che ci illumina e pure ci spinge verso orizzonti sempre più vasti. Il nostro non è un cammino nel buio, ma in un cono di luce che diventa sempre grande quanto più vi entriamo, in un amore che quanto più lo sperimentiamo, tanto più lo desideriamo. Il nostro Avvento è l’esperienza che la nostra vita è un dialogo, un incontro con Colui che viene, quando non siamo ripiegati su noi stessi, quando « siamo svegli », attenti alla ricchezza interiore della nostra umanità, alla densità del mondo e della storia, quando trasformiamo le nostre domande, inquietudini, in una preghiera, un dialogo orante con Colui che ci parla, ci ama, e, suscitando la nostra libertà, rende la nostra vita affascinante pur nella sua complessa fragilità. Il nostro Avvento è l’incontro con Cristo, Gesù di Nazareth, Colui che è venuto, per percorrere tutto il cammino umano, condividere tutta la domanda, il desiderio, l’angoscia, il dramma, la morte, e per mostrare che proprio questa è la via per arrivare alla pienezza di ciò a cui l’uomo aspira, perché nessun uomo si senta solo, abbia paura della propria umanità, ma la viva fino in fondo sentendo che essa è il luogo dove si può cominciare a percepire l’inesauribilità di Colui che la storia non può contenere.
Così l’Avvento è la percezione che la nostra esperienza è solo l’inizio di un compimento che deve venire, il « già » di un « non ancora », è il vivere nel tempo il frammento che ci fa pregustare e ci dà la nostalgia di una eternità che deve venire.
Il brano del Vangelo di Luca che oggi leggiamo (Lc.21,25-36), a questo nostro tempo stanco e rassegnato, così potente per le sue scoperte scientifiche e così incapace di gustarne la ricchezza, che rischia di non avere più la forza di porsi domande, di desiderare, di attendere, che si lascia avvolgere dalla paura liquida che lo paralizza, rivolge le sue splendide parole: costruisce una scenario terribile, parla di uomini che muoiono « per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra », ma con la forza che gli viene dal suo incontro con Cristo che con il suo Amore ha vinto il male del mondo, afferma che il momento della grande paura e della morte può diventare quello della rinascita e della grande speranza. E’ il momento del « lieto annuncio », della gioia, perché è ora che l’Amore di Cristo vince: al nostro mondo Luca chiede di non lasciare che « i cuori si appesantiscano in dissipazioni, ubriacature, affanni della vita »; rivolge l’invito ad « alzarsi levare lo sguardo, perché è vicina la liberazione »; indica l’atteggiamento vigilante e la preghiera continua come via per entrare in una nuova esperienza di libertà che solo l’incontro con Colui che ha fatto proprie le grandi attese dell’uomo, può offrire
http://www.santiebeati.it/dettaglio/22000
Sant’ Andrea Apostolo
30 novembre
Bethsaida di Galilea – Patrasso (Grecia), ca. 60 dopo Cristo
All’apostolo Andrea spetta il titolo di ‘Primo chiamato’. Ed è commovente il fatto che, nel Vangelo, sia perfino annotata l’ora («le quattro del pomeriggio») del suo primo incontro e primo appuntamento con Gesù. Fu poi Andrea a comunicare al fratello Pietro la scoperta del Messia e a condurlo in fretta da Lui.
La sua presenza è sottolineata in modo particolare nell’episodio della moltiplicazione dei pani. Sappiamo inoltre che, proprio ad Andrea, si rivolsero dei greci che volevano conoscere Gesù, ed egli li condusse al Divino Maestro. Su di lui non abbiamo altre notizie certe, anche se, nei secoli successivi, vennero divulgati degli Atti che lo riguardano, ma che hanno scarsa attendibilità. Secondo gli antichi scrittori cristiani, l’apostolo Andrea avrebbe evangelizzato l’Asia minore e le regioni lungo il mar Nero, giungendo fino al Volga. È perciò onorato come patrono in Romania, Ucraina e Russia.
Commovente è la ‘passione’ – anch’essa tardiva – che racconta la morte dell’apostolo, che sarebbe avvenuta a Patrasso, in Acaia: condannato al supplizio della croce, egli stesso avrebbe chiesto d’essere appeso a una croce particolare fatta ad X (croce che da allora porta il suo nome) e che evoca, nella sua stessa forma, l’iniziale greca del nome di Cristo. La Legenda aurea riferisce che Andrea andò incontro alla sua croce con questa splendida invocazione sulle labbra: «Salve Croce, santificata dal corpo di Gesù e impreziosita dalle gemme del suo sangue… Vengo a te pieno di sicurezza e di gioia, affinché tu riceva il discepolo di Colui che su di te è morto. Croce buona, a lungo desiderata, che le membra del Signore hanno rivestito di tanta bellezza! Da sempre io ti ho amata e ho desiderato di abbracciarti… Accoglimi e portami dal mio Maestro».
Patronato: Pescatori
Etimologia: Andrea = virile, gagliardo, dal greco
Emblema: Croce decussata, Rete da pescatore
Martirologio Romano: Festa di sant’Andrea, Apostolo: nato a Betsaida, fratello di Simon Pietro e pescatore insieme a lui, fu il primo tra i discepoli di Giovanni Battista ad essere chiamato dal Signore Gesù presso il Giordano, lo seguì e condusse da lui anche suo fratello. Dopo la Pentecoste si dice abbia predicato il Vangelo nella regione dell’Acaia in Grecia e subíto la crocifissione a Patrasso. La Chiesa di Costantinopoli lo venera come suo insigne patrono.
Tra gli apostoli è il primo che incontriamo nei Vangeli: il pescatore Andrea, nato a Bethsaida di Galilea, fratello di Simon Pietro. Il Vangelo di Giovanni (cap. 1) ce lo mostra con un amico mentre segue la predicazione del Battista; il quale, vedendo passare Gesù da lui battezzato il giorno prima, esclama: « Ecco l’agnello di Dio! ». Parole che immediatamente spingono Andrea e il suo amico verso Gesù: lo raggiungono, gli parlano e Andrea corre poi a informare il fratello: « Abbiamo trovato il Messia! ». Poco dopo, ecco pure Simone davanti a Gesù; il quale « fissando lo sguardo su di lui, disse: “Tu sei Simone, figlio di Giovanni: ti chiamerai Cefa” ». Questa è la presentazione. Poi viene la chiamata. I due fratelli sono tornati al loro lavoro di pescatori sul “mare di Galilea”: ma lasciano tutto di colpo quando arriva Gesù e dice: « Seguitemi, vi farò pescatori di uomini » (Matteo 4,18-20).
Troviamo poi Andrea nel gruppetto – con Pietro, Giacomo e Giovanni – che sul monte degli Ulivi, “in disparte”, interroga Gesù sui segni degli ultimi tempi: e la risposta è nota come il “discorso escatologico” del Signore, che insegna come ci si deve preparare alla venuta del Figlio dell’Uomo « con grande potenza e gloria » (Marco 13). Infine, il nome di Andrea compare nel primo capitolo degli Atti con quelli degli altri apostoli diretti a Gerusalemme dopo l’Ascensione.
E poi la Scrittura non dice altro di lui, mentre ne parlano alcuni testi apocrifi, ossia non canonici. Uno di questi, del II secolo, pubblicato nel 1740 da L.A. Muratori, afferma che Andrea ha incoraggiato Giovanni a scrivere il suo Vangelo. E un testo copto contiene questa benedizione di Gesù ad Andrea: « Tu sarai una colonna di luce nel mio regno, in Gerusalemme, la mia città prediletta. Amen ». Lo storico Eusebio di Cesarea (ca. 265-340) scrive che Andrea predica il Vangelo in Asia Minore e nella Russia meridionale. Poi, passato in Grecia, guida i cristiani di Patrasso. E qui subisce il martirio per crocifissione: appeso con funi a testa in giù, secondo una tradizione, a una croce in forma di X; quella detta poi “croce di Sant’Andrea”. Questo accade intorno all’anno 60, un 30 novembre.
Nel 357 i suoi resti vengono portati a Costantinopoli; ma il capo, tranne un frammento, resta a Patrasso. Nel 1206, durante l’occupazione di Costantinopoli (quarta crociata) il legato pontificio cardinale Capuano, di Amalfi, trasferisce quelle reliquie in Italia. E nel 1208 gli amalfitani le accolgono solennemente nella cripta del loro Duomo. Quando nel 1460 i Turchi invadono la Grecia, il capo dell’Apostolo viene portato da Patrasso a Roma, dove sarà custodito in San Pietro per cinque secoli. Ossia fino a quando il papa Paolo VI, nel 1964, farà restituire la reliquia alla Chiesa di Patrasso.
Autore: Domenico Agasso
http://www.zenit.org/article-34209?l=italian
IL CARD. SCOLA STANZIA 1 MILIONE DI EURO DELL’8XMILLE PER IL FONDO FAMIGLIA LAVORO
L’Arcivescovo di Milano ha messo all’asta i suoi presepi e altri oggetti preziosi per aiutare chi ha perso l’occupazione
MILANO, giovedì, 28 novembre 2012 (ZENIT.org) – «Il Fondo Famiglia Lavoro è il segno della grande capacità dell’avvenimento cristiano di fare futuro. E’ anche un tentativo umile ma concerto di dare una risposta a ciò che sta sotto la crisi economica che è il travaglio dell’uomo nel nuovo millennio. Solo l’io in relazione ci poterà fuori dalla crisi. E questa iniziativa mettendo in relazione la famiglia e il lavoro, cioè due aspetti fondamentali della vita, è un primo passo. Un segno vivo per la Milano Nuova, per le terre lombarde e non solo».
Con queste parole l’Arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola ha lanciato la seconda fase del Fondo Famiglia Lavoro questa mattina davanti ai rappresentati autorevoli del panorama finanziario nazionale: Alessandro Profumo (presidente di Banca Monte dei Paschi di Siena), Enrico Cucchiani, (ceo di Intesa San Paolo), Victor Massiah (Ubi Banca), Luciano Camagni (condirettore generale del Credito Valtellinese), Paola Pessina (cda Fondazione Cariplo). Presenti anche i volontari del Fondo Famiglia Lavoro, gli operatori e gli esponenti del Terzo Settore che sostengono l’iniziativa: Acli, Compagnia della Opere, Confcooperative, Movimento dei Focolari.
«Non riusciremo a dare risposta alla crisi economica fino a quando non riconosceremo che è in atto una mutazione della società e dell’uomo di fonte alla quale siamo come pugili suonati su un ring», ha aggiunto il Cardinale Scola nel suo intervento. La visione dominante riduce l’uomo al solo frutto del suo esperimento, mettendo in secondo piano dignità e diritti, ha spiegato il Cardinale. Invece «proprio l’esperienza della perdita del lavoro» dice che si può affrontare la crisi, «solo se l’io si concepisce in relazione con l’altro». In questo senso il Fondo Famiglia Lavoro coglie al cuore il problema.
Proprio sul grande lavoro di relazioni costruite per rilanciare la seconda fase del fondo si era soffermato prima dell’intervento del Cardinale, mons. Luca Bressan, vicario episcopale per la Carità, la Cultura, la Missione e l’Azione sociale: «Questa seconda fase non è solo una nuova edizione, ma uno sviluppo e potenziamento della precedente, resa possibile grazie alla fitta rete di rapporti tra impresa, credito bancario e società civile, avviata dal mio predecessore monsignor Luigi Testore».
Riqualificazione professionale, auto-imprenditorialità, capacità di fare impresa saranno le linee guida della seconda fase del Fondo Famiglia Lavoro. Un salto di qualità rispetto alla precedente iniziativa, perché ha l’ambizione di aiutare le famiglie non solo a fronteggiare la crisi, ma a trovare il mondo per uscirne, mettendole nelle condizioni di avere un reddito continuo.
Per questa ragione il Fondo Famiglia Lavoro, in questa seconda fase, si avvarrà anche della collaborazione di nuovi soggetti: Compagnia della Opere e Economia di Comunione – Movimento dei Focolari, Confcooperative e Acli, già coinvolta nella prima fase, ma ora con un ruolo più significativo.
«Fino ad oggi noi ci siamo concentrati sulle famiglie – ha spiegato il vicedirettore di Caritas Ambrosiana, Luciano Gualzetti – Ma ora bisogna affrontare più affondo l’altro grande tema: il lavoro. I nuovi soggetti portano la conoscenza del mondo dell’impresa che è il loro valore aggiunto. L’allargamento a questi soggetti e a tutti coloro che vorranno partecipare ci consentirà di dare risposte più efficaci in questo difficile momento».
Erano presenti a rappresentare i nuovi protagonisti della seconda fase del Fondo Famiglia Lavoro: Paolo Petracca (presidente di Acli Milano e Brianza), Guido Bardelli (presidente Compagnia delle Opere Milano), Alberto Cazzulani (presidente Confcooperative Milano), Andrea Penazzi (Economia di Comunione – Movimento dei Focolari). A rappresentare il mondo della formazione esponenti di Fondazione San Carlo, Enaip, Galdus, Fondazione Clerici, Irecoop-Confcooperative.
In tre anni (dal 23 gennaio 2009 al 31 dicembre 2011) il Fondo Famiglia Lavoro (FFL) ha aiutato circa 7 mila famiglie ad affrontare la crisi. Oggi, la sfida è più alta: occorre riattivare i percorsi che portano a riavere un posto di lavoro. Con la seconda fase del Fondo si aiuterà chi ha perso il lavoro a riqualificarsi, ad aprire una piccola attività imprenditoriale e a farla crescere.
Per finanziare questa seconda fase l’Arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola ha deciso di destinare alle iniziative del Fondo un milione di euro dell’8 xmille. Queste risorse si aggiungono ad un altro milione di euro, che è il risultato delle offerte dei tanti piccoli donatori che hanno continuato a contribuire nel corso del 2012 nonostante non fossero attive particolari iniziative di raccolta fondi. Questo dice della credibilità che il Fondo Famiglia Lavoro ha guadagnato tra la gente.
E’ necessario però che questa dotazione di base di complessivi 2 milioni di euro sia ulteriormente arricchita. Per questa ragione è stata lanciata un nuova campagna di raccolta fondi che ha come slogan “Ripartire si può”. E per contribuire direttamente a questa campagna, il Cardinale Scola ha deciso di regalare al Fondo Famiglia Lavoro presepi e oggetti d’arte ricevuti in dono lungo il suo ministero episcopale, in particolare a Venezia. Un’idea regalo preziosa originale e dalla finalità benefica. A curare questa operazione (il cui ricavato sarà devoluto interamente al Fondo) sono i club Rotary della Brianza Nord coordinati da Angelo Novara.
E’ possibile consultare il catalogo dei presepi e degli oggetti d’arte del Cardinale Scola sul sito www.fondofamiglialavoro.it
Per acquistare un oggetto 338.1200880
Maggiori informazioni su www.fondofamiglialavoro.it
http://www.collevalenza.it/Riviste/2006/Riv0106/Riv0106_04.htm
Quell’«informe» è il prodigio di Dio
Il biblista Mons. Gianfranco Ravasi spiega il salmo 138: «L’unico in cui è esplicitamente nominato l’embrione umano». Un testo in cui «Dio palesa tutta la sua maternità»
Di Lucia Bellaspiga ha così raccolto una intervista a Mons. Gianfranco Ravasi.
Un salmo «straordinario», dove – unico esempio in tutta la Bibbia – viene esplicitamente nominato l’embrione umano; dove Dio, anziché nelle altezze, viene cercato nella profondità, nell’intimità, persino nel buio; dove l’utero è la galleria sotterranea che la donna offre come spazio all’azione fecondatrice di Dio; e dove il Creatore è madre, più che padre. «Un testo assolutamente unico, affascinante per i suoi frequenti contatti con le antiche culture dell’Oriente», dice monsignor Gianfranco Ravasi, biblista e prefetto della Biblioteca Ambriosiana.
«Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto… ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi…»: è chiaro il riferimento all’embrione, nonostante la traduzione poco letteraria.
Il termine che è stato tradotto con « informe », cioè la parola ebraica « golmì », in realtà significa « qualcosa di arrotolato su se stesso », ripiegato in posizione fetale. In questa immagine c’è l’idea primordiale dell’essere umano nel suo costituirsi e dello sguardo di Dio che lo vede nell’intimità assoluta del grembo, nella vita al suo minimo.
Il salmo va avanti dicendo che, quando l’essere umano è ancora soltanto un «golmì», un embrione, la sua intera esistenza è però già scritta nel libro di Dio, il suo futuro è stabilito… La Bibbia qui sottolinea che embrione e adulto non sono che «fasi» di una sola persona, dunque. « Tutto era scritto nel tuo libro: i miei giorni erano fissati quando ancora non ne esisteva uno… ». È la seconda grande intuizione del salmo 138: Dio conosce già nell’interno di questa creatura minima tutta la storia dell’uomo che nascerà, guarda già tutto il suo destino, glorioso o infame. L’attenzione qui è posta sul fatto che una vita all’origine è già l’intero arco della sua esistenza.
Contrariamente a quanto si vorrebbe sostenere quando si nega all’embrione il fatto di essere già la persona che verrà al mondo.
Oggi spesso è visto come un brandello di esistenza a compartimenti stagni, invece tutta la realtà è un progetto d’insieme: in questa luce si esalta nell’inizio già la totalità, il seme ha già tutte le potenzialità successive. La creatura è un progetto finalizzato e unitario, non una mera tappa biologica. E il « golmì », l’essere arrotolato su se stesso, è una sequenza che poi si srotolerà.
Come un Dna spirituale… Il commento del Papa, poi, insiste sul simbolismo utilizzato per definire la formazione dell’essere umano nel grembo della madre: l’opera del vasaio, del tessitore… Immagini già diffuse in altri luoghi biblici e non solo.
È proprio questo il terzo motivo che rende suggestivo il salmo in questione. Innanzitutto si dice che l’embrione è « intessuto » nelle profondità della terra, ma la traduzione letterale sarebbe « ricamato », perché la trama della pelle umana ha mille configurazioni, proprio come un pizzo stupefacente. Qui c’è l’idea del corpo come di un abito regale che Dio confeziona…
Nessuna connotazione negativa, dunque? Visto così il corpo sembrerebbe anzi qualcosa di mirabile ed elevato, possibile?
È proprio così: la concezione piuttosto ascetica e ostile al corpo nasce in tarda epoca cristiana e per influsso greco, ma per la Bibbia noi non abbiamo un corpo, noi siamo un corpo, non distinto dall’anima. Non si assegna importanza alla materialità, dunque, ma alla persona intera, la cui spiritualità è custodita nel corpo.
L’altra metafora ricordata dal Papa è quella del vasaio.
Il salmo è stato tradotto « non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto », dove in ebraico si diceva « plasmato ». Un concetto presente in molte culture e religioni orientali. Ad esempio in Egitto nella cella sacrale del tempio di Luxor è rappresentata la moglie del faraone con il ventre incinto e dentro, come ai raggi X, si vede un tornio: è il simbolo del dio Khnum, il dio artigiano, il dio creatore, che plasma corpo e anima del faraone. È interessante vedere come il grembo sia della madre ma in esso è in azione il dio… Lo stesso avviene nel salmo 138, che inizia con la vicenda di un uomo che cerca di scappare da Dio (« Dove andare lontano dal tuo spirito, dove fuggire dalla tua presenza? »), ma non riesce perché Dio è onnipresente e onnisciente (« se salgo in cielo là tu sei, se scendo negli inferi eccoti… nemmeno le tenebre per te sono oscure e la notte è chiara come il giorno… »). È come se l’autore ci dicesse che Dio perlustra anche il grembo della madre, che lì il Creatore opera e ci conosce. Anche nel Libro di Geremia, Dio dice al profeta « prima di formarti nel grembo io ti conoscevo ». E in Isaia dice al suo popolo « voi, portati da me fin dal grembo materno »: qui c’è Dio rappresentato come una donna incinta.
Una sorta di «Dio madre» così lontana dalla nostra concezione «maschile» di Dio…
Si dovrebbe cambiare molto dell’antropologia « maschilista » corrente. Noi usiamo solo metafore maschili, parliamo di « paternità di Dio », invece almeno 60 aggettivi di Dio nella Bibbia sono al femminile: esiste chiara una maternità di Dio e più di 260 volte si parla di « viscere materne » del Signore. Anche nel Corano tutte le sure iniziano con lo stesso attributo, erroneamente tradotto con « il misericordioso »: in realtà Allah è « il viscerale », colui che ama i propri figli come una madre. Cito ancora Isaia: « Può una madre dimenticare un figlio nelle sue viscere? – chiede Dio -. Io non ti dimenticherò mai, Israele ».
Il Papa ha scelto il salmo che nell’«informe» esalta lo sguardo attento di Dio.
È l’esaltazione della fisicità della nascita, dell’architettura complessa all’origine dell’essere umano, visto non solo come fatto biologico ma anche nel suo aspetto estetico. La visione è delicata, poetica: e l’essere in formazione è chiamato « prodigio ». (Av nr 305/XXXVIII – 29/12/2005)
Sofonia (Il profeta)
Venerdì 11 Dicembre 2009 10:19
Introduzione
Sofonia (che secondo l’etimologia ebraica significa “Dio nasconde” o anche “Dio protegge”) esercitò il suo ministero profetico in Gerusalemme al tempo in cui era re di Giuda un certo Giosia, siamo negli anni 640-609 a.C.. Israele viene da un tempo difficile: il re precedente, Manasse, che aveva a lungo governato, si era macchiato di ogni crimine conducendo il popolo verso l’apostasia favorendo il culto agli idoli dell’Assiria di cui aveva accettato l’alleanza. Durante il suo regno imperversavano violenza e corruzione morale e il popolo di Giuda era dilaniato dalle arroganze dei grandi e dall’oppressione. C’era un clima di malcontento e di tensione tale che anche il figlio di Manasse, Amon, succedutogli nel regno, fu rovesciato dal trono da una congiura di palazzo dopo soli due anni di regno.
Ad Amon succede Giosia che tenta una riforma sia politica che morale del paese. La riforma religiosa propone un ritorno all’antica alleanza con Javhèh con la riproposizione della Legge e il rinnovo dell’alleanza e la celebrazione della Pasqua. Politicamente commette un grave errore accettando di consultare la falsa profetessa Culda piuttosto che Sofonia e decidendo si schierarsi contro il faraone Necao. Nella battaglia contro l’esercito egiziano Giosia è ferito e poco dopo muore in Gerusalemme.
La predicazione di Sofonia risente di tutte queste situazioni e, da una parte, è forte denuncia contro tutto ciò che non è secondo il progetto di Dio e, dall’altra, annuncia con toni coraggiosi il “giorno del Signore” come giorno di punizione per il popolo infedele e per quanti vivono di violenza e di arroganza ma, al tempo stesso, giorno che farà emergere la fedeltà del “resto di Israele” e, quindi, anche “giorno di gioia” per quanti hanno saputo rimanere fedele.
Dal libro di Sofonia (3,1-20 passim)
Guai alla città ribelle e contaminata, alla città prepotente! Non ha ascoltato la voce, non ha accettato la correzione. Non ha confidato nel Signore, non si è rivolta al suo Dio.
I suoi capi in mezzo ad essa sono leoni ruggenti, i suoi giudici sono lupi della sera,
che non hanno rosicchiato dal mattino. I suoi profeti sono boriosi, uomini fraudolenti.
I suoi sacerdoti profanano le cose sacre, violano la legge.
In mezzo ad essa il Signore è giusto, non commette iniquità; ogni mattino dá il suo giudizio,
come la luce che non viene mai meno.
Io pensavo: «Almeno ora mi temerà!
Accoglierà la correzione. Non si cancelleranno dai suoi occhi
tutte le punizioni che le ho inflitte».
Ma invece si sono affrettati a pervertire di nuovo ogni loro azione.
Perciò aspettatemi – parola del Signore – quando mi leverò per accusare,
perchè ho decretato di adunare le genti, di convocare i regni,
per riversare su di essi la mia collera, tutta la mia ira ardente:
poichè dal fuoco della mia gelosia sarà consumata tutta la terra.
In quel giorno non avrai vergogna di tutti i misfatti commessi contro di me, perchè allora eliminerò da te tutti i superbi millantatori e tu cesserai di inorgoglirti sopra il mio santo monte.
Farò restare in mezzo a te un popolo umile e povero;
confiderà nel nome del Signore il resto d’Israele.
Non commetteranno più iniquità e non proferiranno menzogna;
non si troverà più nella loro bocca una lingua fraudolenta.
Potranno pascolare e riposare senza che alcuno li molesti.
Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore,
figlia di Gerusalemme! Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico.
Re d’Israele è il Signore in mezzo a te, tu non vedrai più la sventura.
In quel giorno si dirà a Gerusalemme: «Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia!
Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente.
Esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore,
si rallegrerà per te con grida di gioia, come nei giorni di festa».
Parole da sottolineare
* “ribelle e contaminata”: i termini ebraici usati sembrano prestarsi ad una duplice traduzione: da una parte quella che abbiamo noi, dall’altra “città illustre e riscattata… colomba…”. Ci sembra di leggere la verità di una città là dove è presente ogni male e ogni cattiveria – descritti dettagliatamente nelle righe successive – ma anche il sogno di Dio che, comunque, guarda alla sua città con gli occhi dell’amore e proiettando in essa il suo sogno che non viene mai meno.
* “Accoglierà la correzione”: tutto il versetto esprime la delusione di Dio di fronte al suo popolo incapace di accogliere le opportunità per una conversione – la riforma del re Giosia è franata nel nulla – e tornato un’altra volta all’idolatria e ad abbassarsi ad ogni forma di violenza e di cattiveria. Sembra non poter esserci futuro per questo popolo…
* “In quel giorno…” ma c’è un “giorno”! Dentro un giudizio severo verso il popolo si accende un luce di speranza. Sarà certamente un giorno severo, ma sarà anche il giorno che vedrà la nascita di un realtà di popolo “povero ed umile” che accoglierà l’invito alla conversione e alla novità… e si apriranno strade di speranza!
* “il resto d’Israele”: è su questo “resto!” che si innesta la forza di un futuro nuovo. E’ la piccola radice di quanti sapranno appoggiarsi al Signore piuttosto che sulle proprie forze e ricchezze e sapranno vivere nella fedeltà al progetto di Dio piuttosto che cedere all’inganno e alla falsità degli idoli.
* “Gioisci, figlia di Sion…”: l’improvviso cambiamento di tono nel testo è causato solo dall’irriducibile amore di Dio per il suo popolo adesso chiamato, con affetto e tenerezza, “figlia”. E’. prima di tutto, la gioia di Dio, la sua voglia grande di continuare ad esprimere fedeltà e misericordia verso la sua città. Lui vuole restare in mezzo al suo popolo e non c’è più spazio per la paura e per l’angoscia.
Per la riflessione
“Non ha confidato nel Signore”
La descrizione che il profeta fa della sua città è davvero a tinte fosche. Nessuno sfugge a questo giudizio severo: dai principi ai figli di re, dai trafficanti ai pesatori di argento, dai capi dei giudici agli stessi profeti. Le immagini che vengono utilizzate sono particolarmente espressive “leoni ruggenti, lupi della sera… boriosi e uomini fraudolenti…”. E’ proprio l’immagine ci una città e di un popolo davvero alla deriva, senza punti di riferimento se anche i “grandi”, coloro che dovrebbero garantire la legalità e il rispetto delle regole sono anch’essi corrotti e preoccupati solo dei propri interessi.
Ma quello che colpisce di più in tutto questo passaggio è la quando il profeta cerca di decifrare la radice di tutta questa situazione e la intravede in quel “non ha confidato nel Signore!”.
Ecco la causa di tutto; si è abbandonato il riferimento alla verità, a Dio come criterio della propria vita, ai suoi progetti di giustizia e… tutto diventa possibile.
Diventa possibile crearsi una situazione politica che tiene conto solo dei propri comodi.
Diventa possibile esercitare l’autorità come dominio e sopraffazione dei più deboli e di quanti servono solo a mantenere privilegi e potere.
Diventa possibile anche creare una religione fasulla dove, in nome di Dio, si continua ad imporre legami oppressivi e prescrizioni “pura invenzione di uomini” – dirà poi Gesù – e si utilizza anche il compito di sacerdote e di profeta per affermare se stessi e barattare la propria volontà come volontà di Dio.
Diventa possibile giustificare ogni forma di violenza e di arroganza, addirittura si “santifica la guerra” e si presentano come “giusti” ogni gesto che mira soltanto alla difesa di sé e al mantenimento delle proprie garanzie e delle proprie pretese.
Cosa succede quanto si dimentica l’orizzonte di Dio e si confida solo in se stessi e nelle proprie forze!
Credo che queste riflessioni siano una pesante denuncia anche delle nostre culture e dei nostri modi di fare. Aver perso criteri di Verità e di Giustizia più grandi di noi rende possibile anche oggi le medesime ingiustizie ed arroganze che il profeta constata nel suo tempo e, forse, anche in maniera più pesante a motivo delle conseguenze “globalizzate” che certe scelte hanno oggi perché interessano una fascia molto più ampia che il piccolo popolo ebraico di allora.
Oggi c’è un mondo che soffre e patisce le scelte di pochi potenti che, senza scrupoli, impongono sulle spalle degli altri le conseguenze della pretesa di difesa dei propri privilegi e impediscono ai più di accedere ad una dignitosa condotta di vita. E… anche i nostri capi, molto spesso, non ne sono esenti!
Occorre, credo, ritrovare il senso di Dio e della Sua giustizia se vogliamo, davvero, metterci dentro strade nuove capaci di costruire un futuro che, a tutti, possa offrire concrete possibilità di vita.
“Il resto di Israele…”
Dallo scenario di distruzione a cui andranno incontro quanti vivono nell’infedeltà, si stacca questo “resto di Iraele”, questa piccola porzione di popolo rimasto fedele e che sarà l’inizio di una storia nuova. “Umile e povero” questo resto, questa piccola realtà, diventerà fermento e possibilità di novità: il futuro appartiene a loro!
Sono indicazioni preziose perché raccontano di una logica di Dio che da sempre ha accompagnato la storia: da un uomo semplice e senza futuro, Abramo, è incominciata l’alleanza, su un piccolo popolo senza possibilità, schiavo laggiù in Egitto, si è espressa la scelta di Dio ed è passata la manifestazione del suo sogno di liberazione; da una piccola donna di Nazareth si è riaccesa la speranza; da un piccolo villaggio, Betlem, è iniziata una vicenda che ha illuminato il mondo; da un piccolo gruppo di persone si è formata la comunità di coloro che, in nome di Gesù Cristo, sono chiamati a portare fermento dentro all’umanità.
Da sempre Dio ha manifestato interesse per le piccole cose, per le realtà semplici, quelle facilmente dimenticate ed emarginate. L’intervento di Gesù sarà la grande conferma di quanto, per Dio, siano importanti le situazioni dimenticate, le persone “perse” per la mentalità comune, i piccoli segni e i piccoli gesti che nessuno nota ma che sono in grado di rivelarsi ricchezze preziose: anche un bicchiere d’acqua, un pezzo di pane, un vestito, una porta aperta… sono per Dio segni grandi di una incontro con il suo infinito.
E’ l’invito, penso, a recuperare il senso e il valore delle piccole cose che costituiscono la nostra vita, a ritrovare la bellezza dei nostri quotidiani, a riscoprire la “grandezza” di tutto ciò – cose e persone – che sono il tessuto delle nostre vicende,
Occorre uscire dalla smania di cose eclatanti, dalla pretesa di saperci stupire solo di fronte all’eccezionale, all’evento prodigioso. No corriamo verso tutto ciò che sa di miracolistico e che attira così tanto la nostra curiosità e mobilita masse di persone. Non accontentiamoci di statue che piangono o di apparizione e visioni frequenti e facili… andiamo piuttosto a cercare il senso e il valore delle piccole realtà che ci appartengono, valorizziamo quel “resta” della nostra vita nell’intimità delle nostre case. Nella semplicità dei nostri gesti, nella normalità delle persone che hanno a che fare con noi.
La novità è sempre lì, in quella capacità che ci è chiesta di vivere fedeli al quotidiano e di sentire dentro lì la presenza del divino. Siamo grandi quando, davvero, sappiamo vivere il “normale” come evento speciale perché lo riempiamo di senso e lo arricchiamo con un cuore ricco di amore e di bontà.
Così come, credo che questa pagina del profeta ci chiami a prendere le distanze da una Chiesa che si accontenta di misurare la sua forza a partire dai grandi numeri, dalle grandi masse, dalle costruzioni imponenti… e che troppo spesso sono anche sinonimo di superficialità e di poca coerenza, per cercare piuttosto quell’appartenenza alla chiesa che è fatta di scelte radicali e coraggiose che possono cambiare la vita. Si tratta, penso, di cercare di più l’autenticità, nella semplicità e nella povertà, nell’abbandono a Dio e nella fedeltà alla Sua Parola, piuttosto che una chiesa che, senza preoccuparsi della coerenza e senza sottoporre chiaramente cosa voglia dire camminare con il Cristo, accetta di dire “siamo in tanti!”
Gesù, d’altra parte, è stato chiaro: ci ha paragonati al piccolo seme, alla piccola dose di lievito, al pizzico di sale… ma garantendo che tutto ciò può davvero essere fermento e inizio di un mondo destinato a rinnovarsi se… se non si perde la vitalità del seme, il sapore del sale e la forza del lievito.
“Gioisci, figlia di Sion! Non temere…!”
Inaspettata, quanto bella, questa ultima pagina del profeta. Dopo la denuncia e la promessa della venuta del “giorno del Signore”, giorno di giustizia e di verità dove, da una parte saranno smascherate tutte le ingiustizia e, dall’altra parte, la promozione del quanti, un piccolo “resto”, hanno saputo rimanere fedeli… ecco questo invito alla gioia “gioisci, figlia di Sion!”
E, molto bello, accanto l’invito alla gioia per il popolo, anche l’annotazione che “Dio stesso si rallegrerà per te ed esulterà di gioia!”
Al di là di tutto, c’è spazio di gioia: la certezza che Dio abita la stria consolida l’invito ad avere fiducia: dopo tutto non siamo abbandonati e destinati a chissà quale amaro futuro. Dio stesso darà consistenza ad un futuro differente. Può essere grande il dolore, possono essere forti i motivi della tristezza… ma anche alla Gerusalemme – “città ribelle e contaminata” – è annunciato un giorno di gioia!
Ed è bello leggere la gioia che invade Dio stesso: l’amante tradito, il padre abbandonato… esulta di gioia nel poter dimostrare ancora una volta il suo amore misericordioso e fedele. Così è il nostro Dio!
Ci sembra di capire che le ragioni della speranza e delle fiducia siano più grandi delle ragioni dell’angoscia e della tristezza. E tutto si appoggia sulla consapevolezza che Dio è con noi!
In un tempo in cui le cose non vanno bene, tragedie si susseguono ogni giorno, continuamente siamo messi di fronte a gravi fatti di attentati alla vita e alla dignità delle persone, in un tempo in cui ogni giorno ci raccontano di soprusi dei grandi sui piccoli, dei potenti sui deboli, in un tempo in cui la politica ci racconta di attaccamento alle poltrone e occasioni per fare i propri comodi, in un tempo in cui l’intero sistema economica frana e mette in difficoltà popoli interi… la tentazione alla disperazione è facile così come diventa facile piangere e temere di fronte al futuro. Ci viene voglia di affidarci al ricordo nostalgico di “una volta sì che…”, rimpiangendo un passato che non potrà più ritornare.
Chi ha il coraggio di guardare al futuro e, soprattutto, quali garanzie e dove trovarle per sognarlo differente?
E il profeta continua a gridare: “Gioisci, figlia di Sion! Non temere!”
Ecco credo che la gioia e la speranza siano oggi davvero una parola profetica che noi cristiani siamo chiamati a dire perché scommettiamo sulla forza di Dio, perché crediamo nei suoi sogni e nei suoi progetti, perché abbiamo la certezza che la morte è stata vinta e che, alla fine, l’ultima parola non ce l’avrà il male, la cattiveria e l’odio ma la bontà, l’amore e la misericordia.
Ed è una speranza che si fa scelta concreta per costruire un futuro così, fedeli – noi per primi – alle logiche dell’amore e della tenerezza, capaci di condivisione e di misericordia.
Ci piace pensare ai cristiani come a uomini e donne che sanno sorridere, non perché non si rendono conto dei problemi, ma perché oltre ai problemi , sanno dare spazio alla fiducia e alla speranza.
Ci piacerebbe vedere e partecipare a celebrazioni luminose e piene di gioia in grado di trascinare anche chi è avvolta dal manto del dolore e della tristezza… perché solo così possiamo essere testimoni di speranza e aiutare la nostra storia a guardare con fiducia il domani scommettendo ancora sulla vita, sulle cose belle e su quelle positività che, certamente, l’umanità si porta dentro e che ha solo bisogno di decidersi a farla emergere.
Per la preghiera
Salmo 34
Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore,
ascoltino gli umili e si rallegrino.
Celebrate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore e mi ha risposto
e da ogni timore mi ha liberato.
Guardate a lui e sarete raggianti,
non saranno confusi i vostri volti.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo libera da tutte le sue angosce.
L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono e li salva.
Gustate e vedete quanto è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia.
Temete il Signore, suoi santi,
nulla manca a coloro che lo temono.
I ricchi impoveriscono e hanno fame,
ma chi cerca il Signore non manca di nulla.
Gli occhi del Signore sui giusti,
i suoi orecchi al loro grido di aiuto.
Il volto del Signore contro i malfattori,
per cancellarne dalla terra il ricordo.
Gridano e il Signore li ascolta,
li salva da tutte le loro angosce.
Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito,
egli salva gli spiriti affranti.
Molte sono le sventure del giusto,
ma lo libera da tutte il Signore.
Preserva tutte le sue ossa,
neppure uno sarà spezzato.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi,
chi in lui si rifugia non sarà condannato
Per la riflessione personale
* Quanto, anche nelle mie piccole scelte quotidiane, riesco ad appoggiarmi sul Signore e tenere conto della sua volontà e dei suoi progetti?
* So dare valore anche alle piccole della mia vita, alle opportunità di ogni giorno? So leggere la presenza di Dio dentro la mia piccola storia, nelle cose, nelle persone e negli eventi?
* Anche di fronte alle delusioni, alle amarezze, alla tentazione del pessimismo… so rispondere con fiducia e speranza?