Marco, 7, 1-8: Gesù e i Farisei

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Omelia sulla lettura di Giacomo
Eremo San Biagio
Dalla Parola del giorno
Ciascuno è tentato dalla propria concupiscienza che lo attrae e lo seduce; poi la concupiscienza concepisce e genera il peccato, e il peccato, quand’è consumato, partorisce la morte.
Come vivere questa parola?
Concepire, generare, partorire: utilizzando i tre verbi tipici del parto l’apostolo Giacomo descrive l’azione della concupiscienza che assoggetta l’uomo al suo potere ‘conducendolo fuori strada’. La sua dinamica è subdola: prima lo attrae e lo seduce, come una meretrice, poi concepisce e genera il peccato fino a partorire la morte.
A rendere ulteriormente drammatica questa sequenza è proprio l’uso dei verbi relativi alla vita. Quasi a dire: vigilate sui moti dell’animo perché c’è un amore sregolato di sé che si consuma nelle tenebre dell’effimero godimento e conduce all’autodistruzione senza trasmettere la vita. Si propone come legittima e gratificante affermazione personale ma è sterile e carpisce la gioia pura dell’amore che discende come dono perfetto dal Padre della luce. Non a caso, l’etimologia della parola concupiscienza (in greco epithymia) significa proprio ‘l’animo posto sopra’, nel senso della passione smodata che soggioga l’integrità dell’essere riducendolo in schiavitù.
C’è invece un amore ordinato di sé che è pregno di vita. Concepito nelle profondità del cuore per opera dello Spirito, ci rende dimora della Parola di verità e continuamente ci rigenera per fare di noi una « primizia » gradita a Dio, ossia ‘la prima offerta’ tra le creature e insieme ‘il pegno’ di tutte le creature.
Come credenti, in virtù dell’amore che è stato riversato nei nostri cuori, siamo dunque primizia e pegno dei beni futuri, frutto primaticcio che anticipa la fecondità dell’intero raccolto e insieme garanzia del raccolto stesso a cui il Divino Vignaiuolo ha già messo mano. In Cristo, dentro la storia.
Oggi nella mia pausa contemplativa scandirò nel silenzio i tre verbi della vita: concepire, generare, partorire, collegandoli all’azione dello Spirito che in Cristo parola di verità feconda la mia vita, rendendomi figlio della luce. Questa la mia preghiera:
Il tuo amore, Signore, sia in me primizia di ‘vita nuova’. Donami fin da subito, nel tempo, di concepire generare e dare alla luce il Figlio tuo, compiendo in tutto la tua volontà. Come Maria, in umile amore, possa magnificarti ogni giorno della vita offrendo a Te tutto di me.
La voce di un mistico tedesco
E’ libero chi non dipende da alcunché e non è attaccato a nulla. E’ completamente libera l’anima che si è elevata al di sopra di tutto ciò che non è Dio, non attaccandosi con la sua avidità né alla creatura né a se stessa.
(Meister Eckhart)
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Omelia per la XXII domenica del T.O.
don Marco Pratesi
Custodia fedele
Il primo dei tre discorsi di Mosè in cui è strutturato il Deuteronomio (1,6-4,40) si articola in due parti: la prima (cc. 1-3) è una rievocazione storica di alcuni fatti dell’Esodo, dalla teofania del Sinai all’arrivo sul monte Pisga, alle porte della terra promessa, dove Mosè morirà; la seconda (c. 4) ne trae alcune conclusioni ed esorta alla fedeltà.
L’invito fondamentale del brano proposto è: ascolta e metti in pratica la legge di Dio, quale essa ti è consegnata nella tradizione di Israele. Nei confronti della legge devi mantenere un atteggiamento di cura scrupolosa, sia nel senso di osservarla, sia nel senso di lasciarla inalterata così come essa è stata tramandata, per tramandarla a tua volta alle generazioni successive (cf. 4,9-10). La cura della tradizione è così fondamentale in quanto essa è espressione della vicinanza unica che Dio ha voluto avere nei confronti di Israele. In essa risuona ancora la parola di Dio rivolta al popolo sull’Oreb (4,10.12.33.36). La custodia fedele è dunque la condizione per un possesso stabile della terra, ed è anche la condizione indispensabile perché il popolo possa salvarsi in periodi difficili, come quello dell’esilio (4,30-31).
Il brano ha tono sapienziale. C’è un insegnamento da apprendere e trasmettere (4,1.5.10.14), Mosè appare come maestro di sapienza, i capi del popolo sono guide sagge (1,13.15; 34,9) alle quali dare ascolto.
E’ probabilmente il messaggio fondamentale del Deuteronomio, che troverà la sua più importante espressione nel celebre « Ascolta, Israele » (6,4-9). Il rapporto con Dio è totalizzante e comporta l’essere permanentemente protesi verso il Signore nell’ascolto obbediente e nella attenta custodia della sua Parola, concretizzata nelle sue « leggi e norme » (4,5). Il Giudaismo accentuerà questo aspetto, ritenendo assolutamente inseparabili i valori ispiratori della Torah dalle sue prescrizioni particolari. L’accentuazione posta sui comportamenti esteriori e la loro regolamentazione comporta innegabilmente il rischio del formalismo, denunziato già dai profeti. Il Cristianesimo prenderà la strada opposta, cogliere il centro, l’essenziale della volontà di Dio, così come è stata colta nell’esperienza di Gesù dalla prima chiesa che, non dimentichiamolo, era interamente formata da ebrei: l’amore per Dio e il prossimo (cf. Mt 22,38-39; Mc 12,30-31; Lc 10,27; Rm 13,9-10). Attorno a questo nucleo è nata una nuova Scrittura e una nuova tradizione, che si vuole non abolizione ma completezza dell’antica (cf. Mt 5,17), che richiede da parte nostra custodia attenta e costituisce la nostra identità davanti agli altri. Divenire cristiano significa entrare in questo grande movimento di tradizione che supera le generazioni e che realizza la stessa e unica fede nelle varie generazioni, richiedendo a un tempo fedeltà e creatività: fedeltà, perché la fede è una; creatività, perché essa domanda di essere incarnata nel mutare dei tempi e delle situazioni. Ortodossia e ortoprassi non sono mai da separare, tanto meno da contrapporre: si richiamano e si richiedono reciprocamente.
I commenti di don Marco sono pubblicati dal Centro Editoriale Dehoniano – EDB nel libro Stabile come il cielo.
http://www.atma-o-jibon.org/italiano4/rit_muolo37.htm
Il vero volto di Francesco è nell’amore di Cristo
Il Papa: «La sua conversione lo rende così attuale dopo 8 secoli».
Il richiamo: «Quando se ne fa un ambientalista o un pacifista
o l’uomo del dialogo interreligioso, egli subisce una sorta di mutilazione».
Dal nostro inviato ad Assisi, Mimmo Muolo
(« Avvenire », 19/6/’07)
L’ »infiorata » che accoglie il Papa sul sagrato della Cattedrale collega, con motivi tratti dal « Cantico dei Cantici », il volto del San Francesco di Cimabue a quello di Cristo tratto dal Crocifisso di San Damiano. Immagini che « parlano », entrambe, di una straordinaria storia lunga otto secoli. Benedetto XVI vi giunge a metà pomeriggio, per incontrare il clero e i religiosi. E prima di entrare in San Rufino si ferma a guardare per qualche istante quel variopinto tappeto di fiori. In fondo, il medesimo disegno sta tracciando egli stesso con i suoi discorsi e con l’itinerario di questa domenica dedicata all’VIII centenario della conversione del Poverello di Assisi. Il volto di Francesco, legato indissolubilmente a quello di Cristo. Al di là delle « incrostazioni » e delle indebite sovrapposizioni operate nel corso dei secoli.
Già in mattinata, celebrando la Messa nella piazza inferiore della Basilica, Papa Ratzinger aveva dato un primo assaggio di quest’opera di « restauro » di quell’autentico « capolavoro » della fede che fu la vita di Francesco. «È la sua conversione a Cristo – aveva detto – che spiega quel suo tipico vissuto in virtù del quale egli ci appare così attuale anche rispetto a grandi temi del nostro tempo, quali la ricerca della pace, la salvaguardia della natura, la promozione del dialogo tra tutti gli uomini». Ora, giunto in Cattedrale, riprende e sviluppa quel concetto. E vi unisce un accorato appello alla nuova evangelizzazione. «Francesco – ricorda, infatti, il Papa – è un uomo per gli altri perché è fino in fondo un uomo di Dio. Voler separare, nel suo messaggio, la dimensione « orizzontale » da quella « verticale » significa renderlo irriconoscibile».
Così, tappa dopo tappa, la visita del Pontefice assomiglia sempre di più al « miracolo » operato qualche anno fa dai restauratori della Basilica superiore di San Francesco. Come quegli esperti ricostruirono pazientemente gli affreschi seriamente danneggiati dal terremoto del 1997, così il Papa rimette a posto le « tessere » della vera identità di Francesco, in qualche modo confuse da quella specie di « sisma spirituale » che è l’odierno relativismo. A dire il vero, un analogo pericolo corre anche la figura di Cristo, per cui «i cristiani del nostro tempo» devono «fronteggiare la tendenza ad accettare un Cristo diminuito, ammirato nella sua umanità straordinaria, ma respinto nel mistero profondo della sua divinità». Così «lo stesso Francesco – avverte il Papa – subisce una sorta di mutilazione», quando se ne fa semplicemente un ambientalista, un pacifista o l’uomo del dialogo interreligioso e si dimentica che era soprattutto un «innamorato di Cristo».
La visita del Papa, dunque, si svolge soprattutto sulle orme di « questo » Francesco. Visita caratterizzata dall’accoglienza calorosa della gente e scandita dalla sosta in preghiera su tutti i principali luoghi francescani, nei quali Bendetto XVI è sempre accompagnato dal vescovo, monsignor Domenico Sorrentino. Si comincia dal Santuario del Sacro Tugurio, luogo dell’incontro del Santo con i lebbrosi, da San Damiano, dove il Crocifisso gli parlò, e da Santa Chiara; si prosegue quindi, dopo la Messa mattutina, sulla Tomba nella cripta della Basilica Inferiore, dove il Pontefice si inginocchia a lungo in preghiera. E si conclude toccando la Cattedrale e, naturalmente, la Porziuncola. A ogni gruppo incontrato il Papa affida l’autentico Francesco. Ai sacerdoti e ai religiosi dice: «Ad Assisi, c’è bisogno più che mai di una linea pastorale di alto profilo», una «proposta spirituale robusta, che aiuti anche ad affrontare le tante seduzioni del relativismo che caratterizza la cultura del nostro tempo». Ai francescani, incontrati nel Sacro Convento, e all’intera diocesi ricorda che il « Motu Proprio » in virtù del quale le grandi basiliche assisane sono entrate «nella giurisdizione del Vescovo»: era necessario «per diverse ragioni», ad esempio per il «bisogno di un’azione pastorale più coordinata ed efficace».
Ma è soprattutto ai giovani che Papa Ratzinger afferma esplicitamente di voler «riconsegnare il messaggio, la vita e la testimonianza» del Santo. L’incontro con gli oltre diecimila ragazzi giunti da tutte le diocesi umbre avviene nell’ampio sagrato di Santa Maria degli Angeli «quasi come culmine della giornata», dice il Pontefice. E all’entusiasmo, ai canti, alle coreografie studiate appositamente per lui dai giovani rimasti per ore ad attenderlo sotto il sole, il Papa risponde con un discorso tutto incentrato sulla vita di Francesco prima della conversione. Egli era «il re delle feste», ricorda il Papa. E «anche oggi le iniziative di svago durante i « weekend » raccolgono tanti ragazzi». Inoltre «si può girovagare anche virtualmente navigando in Internet» o perdendosi «nei paradisi artificiali della droga». La gioia vera, però, è un’altra e Francesco la trovò in Cristo. Allo stesso modo, lui che era vanitoso («oggi si suol parlare di cura dell’immagine», annota il Papa) imparò che «centrare la vita su se stessi è una trappola mortale». Infine, Benedetto XVI fa notare che la grande ambizione del giovane di Assisi fu mutata da Dio in «una ambizione santa, proiettata sull’infinito». Così, prendendo spunto dai difetti di questo venticinquenne (tale era l’età di Francesco all’epoca della conversione) di otto secoli fa, simili ai problemi dei giovani di oggi, il Papa mostra che anche nel terzo millennio convertirsi è possibile. Il suo invito conclusivo è quello di Giovanni Paolo II. «Aprite le porte a Cristo. Apritele come fece Francesco, senza paura, senza calcoli, senza misura». E proprio come fu per Francesco l’amore per la pace, per la natura, il rispetto per le altre religioni verranno di conseguenza.
http://www.zenit.org/article-32292?l=italian
« UN SILENZIOSO MA ANCHE POTENTE SEGNO E MEZZO DI EVANGELIZZAZIONE »
Intervista con monsignor Athanasius Schneider, vescovo ausiliare della diocesi di Karaganda (Kazakistan)
di Paul De Maeyer
ROMA, mercoledì, 29 agosto 2012 (ZENIT.org).- Domenica 9 settembre 2012, verrà consacrata la Cattedrale della Diocesi di Karaganda in Kazakistan, in una solenne concelebrazione presieduta dal card. Angelo Sodano, Decano del Collegio Cardinalizio e Legato Pontificio per la consacrazione.
Il programma delle celebrazioni prevede:
- Sabato 8 settembre:
15.00 Santa Messa del Cardinale Legato Angelo Sodano con i pellegrini nella vecchia cattedrale.
18.00 concerto del Requiem di Mozart in onore delle vittime del Karlag (“Karaganda-Lager” o Campo di Concentramento di Karaganda).
- Domenica 9 settembre:
11.00 Santa della dedicazione della nuova Cattedrale, celebrata dal Cardinale Legato Angelo Sodano.
18.00 Concerto di musica d’organo nella Nuova Cattedrale.
- Lunedi 10 settembre: visita del Karlag.
La cattedrale è stata pensata e voluta dall’allora arcivescovo-vescovo di Karagangda, mons. Jan Pawel Lenga, e dal vescovo ausiliare, mons. Athanasius Schneider, il quale ha commissionato all’artista prof. Rodolfo Papa un ciclo pittorico di 14 tele dedicate alla Eucaristia, per la cripta. Mons. Schneider ha dedicato alla Eucaristia il libro Dominus est. Riflessioni di un vescovo dell’Asia centrale sulla Sacra Comunione, Libreria Editrice Vaticana 2008 (con prefazione di mons. Malcolm Ranjith).
Nell’intervista che segue, mons. Schneider spiega le ragioni storiche e spirituali sottese alla costruzione della Cattedrale ed alla commissione del ciclo pittorico.
Quale è il significato storico e spirituale della costruzione di questa cattedrale a Karaganda?
Mons. Schneider: La prima ragione era questa: avere una cattedrale in un luogo più degno e visibile. Poiché la diocesi di Karaganda usava finora un edificio costruito ancora durante il tempo della persecuzione, e questo edificio si trova nella periferia della città ed è esteriormente non riconoscibile come chiesa.
Una cattedrale in un posto più centrale, costruita in uno stile di tradizione inconfondibilmente cattolica, cioè nello stile neogotico, sarà un silenzioso ma anche potente segno e mezzo di evangelizzazione in un mondo dove i cattolici sono circa 1% o 2% della popolazione, dove la maggioranza degli abitanti sono musulmani e dove c’è una forte minoranza degli ortodossi. Inoltre, una considerevole parte della popolazione non appartiene a nessuna religione, sono persone che cercano Dio.
L’architettura della cattedrale e anche gli oggetti nell’interno sono stati fatti con la cura più grande possibile, perché rappresentino una vera bellezza artistica e allo stesso tempo la sacralità e il senso del soprannaturale. Tutto questo è adatto sia per incitare il senso religioso e il senso della fede nei fedeli e nei visitatori, sia per esprimere l’atto di adorazione della Santissima Trinità. Tutto ciò è quindi adatto per facilitare l’esecuzione del primo comandamento e l’ultima finalità di tutta la creazione: l’adorazione e la glorificazione di Dio.
Il significato storico e spirituale ha anche questa dimensione: la nuova Cattedrale è un luogo sacro per la memoria delle innumerevoli vittime del regime comunista, giacché intorno a Karaganda c’era uno dei più grandi e terribili campi di concentramento -detti Gulag-, nel quale hanno sofferto persone appartenenti a più di 100 diverse etnie. Nello stesso tempo la nuova Cattedrale sarà anche un santuario per la preghiera d’espiazione per i crimini del regime ateista e comunista.
La bellezza architettonica, le opere d’arte, l’organo nella nuova cattedrale sono anche un mezzo di promozione della cultura.
Come è stata accolta questa iniziativa cattolica dalle autorità politiche e dalla comunità islamica?
Mons. Schneider: È stata accolta con senso di rispetto verso la chiesa cattolica. Le autorità civili e la popolazione si sentono onorati di poter aver nella loro città un tale edificio di straordinaria bellezza architettonica e di alto significato culturale. Le autorità civili considerano la nuova Cattedrale come un gesto da parte della Chiesa cattolica per la promozione della cultura.
Una piccola comunità cattolica è in grado di costruire una cattedrale in terra di missione, potremmo dire che questo sia un modello in grado di spronare la rinascita della fede nella vecchia Europa?
Mons. Schneider: La piccola comunità cattolica era in grado di dare soprattutto un contributo spirituale per la costruzione. Però, il maggior contributo materiale è provenuto dai nostri fratelli e sorelle dalla vecchia Europa. E questo è bello, poiché manifesta la solidarietà fraterna, manifesta un fraterno scambio di doni, simile ai primi tempi della Chiesa, quando le comunità più ricche aiutavano le comunità più bisognose.
La fede rinascerà anche nella vecchia Europa quando si darà sempre più il primo posto in tutte le cose a Gesù, quando la vita della fede tornerà sempre più concreta, visibile e più “incarnata”.
Quali sono i problemi che quotidianamente la comunità cattolica affronta in Kazakistan?
Mons. Schneider: I problemi quotidiani sono l’insufficienza dei sacerdoti, le distanze enormi tra le comunità parrocchiali, gli insufficienti mezzi materiali per le opere di costruzione delle chiese e per le opere sociali ed educative, l’emigrazione dei giovani per l’estero, alcuni impedimenti di carattere burocratico.
Quali i rapporti con le altre confessioni cristiane?
Mons. Schneider: I rapporti con le altre confessioni cristiani sono buoni. Ci sono alle volte incontri con vescovi e sacerdoti della Chiesa russa-ortodossa e con rappresentanti delle comunità protestanti. Abbiamo, per così dire, un ecumenismo di vita, dove i rapporti umani sono più importanti delle discussioni teoriche o dottrinali. Abbiamo opere comuni con i fratelli ortodossi e protestanti nell’ambito della difesa della vita.
Quali sono gli sviluppi e le prospettive?
Mons. Schneider: Vogliamo conservare i rapporti di rispetto reciproco, di rapporti personali di amicizia e continuare a fare opere comuni per la difesa della vita e dei valori morali.
L’arte è sicuramente uno strumento di evangelizzazione efficace, come il Magistero ci ricorda, ed il Santo Padre ci sprona ed incoraggia ad utilizzarla. Può raccontare la sua esperienza di committente, che ha voluto tanta arte e tanta bellezza nella sua diocesi, come segno della testimonianza della fede cattolica?
Mons. Schneider: La costruzione di una nuova cattedrale con una vera estetica sacrale e opere d’arte è anche una proclamazione del primo dovere della Chiesa: dare a Dio, a Dio Incarnato, il primo posto, un posto visibile, poiché Dio si è fatto visibile nell’Incarnazione e nell’Eucaristia; dare a Dio il primo posto anche nel senso di offrire a Suo onore una bellezza artistica, poiché Dio è l’autore di tutta la bellezza e merita di ricevere in Suo onore dalla parte dei credenti opere veramente belle.
Inoltre, una tale cattedrale può essere una concreta manifestazione dell’amore tenero della comunità credente, la sposa di Cristo, verso il Corpo di Cristo, offrendo in onore di questo Corpo di Cristo in un certo senso la santa prodigalità della donna peccatrice, la quale ha offerto in onore di Cristo il vaso di profumo prezioso di prezzo straordinariamente grande (“più che trecento denari”, cf. Mc 14, 4). Per ungere il corpo di Cristo, la donna peccatrice ha speso una somma con la quale si poteva sostenere una famiglia per un anno intero. Le persone presenti si sono sdegnate per un tale spreco. Gesù però ha lodato questa santo spreco dicendo: “Ha compiuto verso di Me un’opera buona” (Mc 14, 6). Si deve fare ancora il “santo spreco” per Gesù.
Molte persone già hanno visitato la nuova Cattedrale. La maggioranza sono state persone non cattoliche, e persino non cristiane. Queste sono state attratte dalla bellezza. Hanno espresso visibilmente la loro ammirazione. Alcune donne non cristiane hanno persino pianto di commozione in mia presenza. Una volta durante una mezz’ora ho mostrato e spiegato ad una giovane coppia non cristiana la Cattedrale con tutti i dettagli dell’arte e delle cose sacre. Quando ho finito e siamo usciti dalla Cattedrale, la donna non cristiana mi ha detto: “In questa mezz’ora ho purificato la mia anima. Posso venire ancora una volta da sola? poiché voglio nel silenzio ammirare queste belle cose”. Ho risposto: “Certamente, può venire tante volte quante vuole”. In quella mezz’ora ho fatto, per mezzo della spiegazione di una arte sacra e bella, una lezione sulle verità della fede cattolica. La reazione di quasi tutte le persone che hanno finora visitato la Cattedrale, specialmente persone non cristiane, è stata così spontanea: ammirazione, silenzio, apertura per il soprannaturale. Ho costatato in questi casi la verità che l’anima umana è naturalmente cristiana, come ha detto Tertulliano, cioè nell’anima umana Dio ha iscritto la capacità di conoscerLo, di venerarLo. Il dovere dei cattolici è di condurre queste anime aperte verso la fede e l’adorazione soprannaturale, alla fede ed all’adorazione di Cristo, della Santissima Trinità, di condurre le anime al cielo. Nelle grandi porte di bronzo all’entrata della cattedrale ci sono scritte queste parole della Sacra Scrittura: “Qui è la casa di Dio, qui è la porta del cielo” (Domus Dei – porta caeli). Perciò, queste parole sacre sono un motto molto adatto per questa Cattedrale, cioè per questa visibile opera dell’evangelizzazione, come anche per tutta l’opera dell’evangelizzazione.
Potrebbe indicarci il significato spirituale e teologico dei dipinti che ha fatto realizzare per la Cripta?
Mons. Schneider: Volevo esprime nella cattedrale in modo più profondo il mistero della Santissima Eucaristia, poiché l’Eucaristia costruisce spiritualmente la Chiesa, l’Eucaristia fa vivere la Chiesa continuamente fino alla fine dei tempi. Il vero fondamento della Chiesa è l’Eucaristia. Perciò ho posto nella cripta, quasi nelle fondamenta della Cattedrale, un ciclo di 14 immagini sull’Eucaristia, in analogia con le 14 stazioni della via Crucis nella navata principale. Tutta la Sacra Scrittura ci annuncia Cristo fatto carne, fatto uomo. Ma Cristo si è fatto Eucaristia, ci ha lasciato Sua carne realmente, veramente e sostanzialmente presente nel mistero eucaristico. In un certo senso possiamo dire: tutta la Sacra Scrittura ci annuncia Cristo nel mistero dell’Eucaristia. Ho scelto le immagini eucaristiche più conosciute della Sacra Scrittura ossia la simbologia eucaristica più conosciuta: il sacrificio di Abele, il sacrificio di Melchisedec, il sacrificio di Abramo, l’agnello pasquale, la manna nel deserto, il cibo del profeta Elia nel cammino verso il monte di Dio, il tempio di Gerusalemme, Betlemme come “casa del pane”, il miracolo delle nozze di Cana, la moltiplicazione dei pani, il discorso eucaristico nel vangelo di Giovanni, l’Ultima Cena, Emmaus, l’Agnello nella Gerusalemme Celeste.
I rapporti tra un vescovo ed un artista sono forse il segreto della riuscita di una opera così importante. Potrebbe raccontarci della sua esperienza di committente che ha commissionato queste 14 tele all’artista e teorico dell’arte Rodolfo Papa? Come è nata la vostra collaborazione e come si è sviluppato il rapporto di fiducia necessario perché nascano dei capolavori?
Mons. Schneider: Il “ciclo eucaristico” è stato l’ultimo mio sogno per la cattedrale. Sapevo che qualcosa sarebbe mancato senza il “ciclo eucaristico”. Ho pregato il Signore che mi mandasse un artista anzitutto profondamente credente, un artista che ami l’Eucaristia, un artista che sappia dipingere in modo veramente sacro ed edificante per i fedeli. Tramite un signore conosciuto, ho incontrato il prof. Rodolfo Papa. Quando ho visto alcune delle sue opere religiose, e parlato con lui sulla fede e sull’Eucaristia, ho capito che questo artista è quello che il Signore mi ha mandato. La mia convinzione si è ancora consolidata quando ho letto il suo libro sulla teologia dell’arte sacra Discorsi sull’arte sacra (con introduzione del card. Cañizares, Cantagalli, Siena 2012).
http://www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=13419
Omelia
Commento Marco 6,17-29 a cura dei Carmelitani
Vangelo: Mc 6,17-29
1) Preghiera
O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli,
concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi
e desiderare ciò che prometti,
perché fra le vicende del mondo
là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…
2) Lettura del Vangelo
Dal Vangelo secondo Marco 6,17-29
In quel tempo, Erode aveva fatto arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodiade, moglie di suo fratello Filippo, che egli aveva sposata. Giovanni diceva a Erode: « Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello ». Per questo Erodiade gli portava rancore e avrebbe voluto farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo giusto e santo, e vigilava su di lui; e anche se nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
Venne però il giorno propizio, quando Erode per il suo compleanno fece un banchetto per i grandi della sua corte, gli ufficiali e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodiade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla ragazza: « Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò ». E le fece questo giuramento: « Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno ».
La ragazza uscì e disse alla madre: « Che cosa devo chiedere? ». Quella rispose: « La testa di Giovanni il Battista ». Ed entrata di corsa dal re fece la richiesta dicendo: « Voglio che tu mi dia subito su un vassoio la testa di Giovanni il Battista ». Il re ne fu rattristato; tuttavia, a motivo del giuramento e dei commensali, non volle opporle un rifiuto.
E subito mandò una guardia con l’ordine che gli fosse portata la testa [di Giovanni]. La guardia andò, lo decapitò in prigione e portò la testa su un vassoio, la diede alla ragazza e la ragazza la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputa la cosa, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.
3) Riflessione
• Oggi commemoriamo il martirio di San Giovanni Battista. Il vangelo riporta la descrizione di come Giovanni Battista fu ucciso, senza processo, durante un banchetto, vittima della corruzione e della prepotenza di Erode e della sua corte.
• Marco 6,17-20. A causa della prigione e dell’assassinio di Giovanni. Erode era un impiegato dell’Impero Romano. Chi comandava in Palestina, fin dal 63 prima di Cristo, era Cesare, l’imperatore di Roma. Insisteva soprattutto su un’amministrazione efficiente che proporzionasse reddito all’Impero e a lui. La preoccupazione di Erode era la sua propria promozione e la sua sicurezza. Per questo, reprimeva qualsiasi tipo di corruzione. A lui piaceva essere chiamato benefattore del popolo, ma in realtà era un tiranno (cf. Lc 22,25). Flavio Giuseppe, uno scrittore di quell’epoca, informa che il motivo della prigione di Giovanni Battista, era la paura che Erode aveva di una sommossa popolare. La denuncia di Giovanni Battista contro la morale depravata di Erode (Mc 6,18), fu la goccia che fece straboccare il bicchiere, e Giovanni fu messo in carcere.
• Marco 6,21-29: La trama dell’assassinio. Anniversario e banchetto di festa, con danze ed orge. Era un ambiente in cui i potenti del regno si riuniscono e in cui si formavano le alleanze. La festa contava con la presenza « dei grandi della corte, due ufficiali e due persone importanti della Galilea ». E’ questo l’ambiente in cui si trama l’assassinio di Giovanni Battista. Giovanni, il profeta, era una denuncia viva di questo sistema corrotto. Per questo, lui fu eliminato con il pretesto di una vendetta personale. Tutto questo rivela la debolezza morale di Erode. Tanto potere accumulato in mano di un uomo senza controllo di sé! Nell’entusiasmo della festa e del vino, Erode fa un giuramento leggero a una giovane ballerina. Superstizioso come era, pensava che doveva mantenere il giuramento. Per Erode, la vita dei sudditi non valeva nulla. Marco racconta il fatto dell’assassinio di Giovanni così come è, e lascia alle comunità il compito di trarne le conclusioni.
• Tra le linee, il vangelo di oggi dà molte informazioni sul tempo in cui Gesù viveva e sul modo in cui era svolto il potere da parte dei potenti dell’epoca. Galilea, la terra di Gesù, fu governata da Erode Antipa, figlio del re Erode, il Grande, dal 4 prima di Cristo fino al 39 dopo Cristo. In tutto, 43 anni! Durante tutto il tempo in cui Gesù visse, non ci fu cambiamento di governo in Galilea! Erode era signore assoluto di tutto, non rendeva conto a nessuno, faceva come gli pareva. Prepotenza, mancanza di etica, potere assoluto, senza controllo da parte della gente!
• Erode costruì una nuova capitale, chiamata Tiberiade. Seffori, l’antica capitale, era stata distrutta dai romani in rappresaglia contro una sommossa popolare. Ciò avvenne quando Gesù aveva circa sette anni. Tiberiade, la nuova capitale, fu inaugurata tredici anni dopo, quando Gesù aveva circa 20 anni. Era chiamata così per far piacere a Tiberio, l’imperatore di Roma. Tiberiade era un luogo strano in Galilea. Era lì dove vivevano i re « i grandi della sua corte, gli ufficiali, i notabili della Galilea » (Mc 6,21). Era lì che vivevano i padrone delle terre, i soldati, la polizia, i giudici molte volte insensibili (Lc 18,1-4). Verso di lì erano canalizzate le imposte e il prodotto della gente. Era lì che Erode faceva le sue orge di morte (Mc 6,21-29). Non risulta nei vangeli che Gesù fosse entrato nella città.
Durante quei 43 anni di governo di Erode, si creò una classe di funzionari fedeli al progetto del re: scribi, commercianti, padroni di terre, fiscali del mercato, pubblicani ed esattori, militari, polizia, giudici, promotori, capi locali. La maggior parte di questo personale viveva nella capitale, godendo dei privilegi che Erode offriva, per esempio l’esenzione dalle imposte. Un’altra parte viveva nei villaggi. In ogni villaggio o città c’era un gruppo di persone che appoggiava il governo. Vari scribi e farisei erano legati al sistema e alla politica del governo. Nei vangeli, i farisei appaiono con gli erodiani (Mc 3,6; 8,15; 12,13), e ciò rispecchia l’alleanza esistente tra il potere religioso e il potere civile. La vita della gente nei villaggi della Galilea era molto controllata, sia dal governo che dalla religione. Era necessario molto coraggio per iniziare qualcosa di nuovo, come fecero Giovanni e Gesù! Era lo stesso che attrarre su di sé la rabbia dei privilegiati, sia del potere religioso come del potere civile, sia a livello locale che statale.
4) Per un confronto personale
• Conosci casi di persone che sono morte vittime della corruzione e del dominio dei potenti? E qui tra di noi, nella nostra comunità e nella Chiesa, ci sono vittime di autoritarismo e di eccesso di potere? Dà un esempio.
• Superstizione, corruzione, viltà, marcavano l’esercizio del potere di Erode. Paragonalo con l’esercizio del potere religioso e civile oggi, sia nei vari livelli sia della società che della Chiesa.
5) Preghiera finale
In te mi rifugio, Signore,
ch’io non resti confuso in eterno.
Liberami, difendimi per la tua giustizia,
porgimi ascolto e salvami. (Sal 70)
http://www.zenit.org/article-32287?l=italian
« LA VERITÀ È VERITÀ, NON CI SONO COMPROMESSI »
La catechesi di Benedetto XVI durante l’Udienza Generale di questa mattina
CASTEL GANDOLFO, mercoledì, 29 agosto 2012 (ZENIT.org).- Riprendiamo di seguito il testo della catechesi tenuta da Papa Benedetto XVI durante l’Udienza Generale, che si è svolta questa mattina a Castel Gandolfo.
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Cari fratelli e sorelle,
in quest’ultimo mercoledì del mese di agosto, ricorre la memoria liturgica del martirio di san Giovanni Battista, il precursore di Gesù. Nel Calendario Romano, è l’unico Santo del quale si celebra sia la nascita, il 24 giugno, sia la morte avvenuta attraverso il martirio. Quella odierna è una memoria che risale alla dedicazione di una cripta di Sebaste, in Samaria, dove, già a metà del secolo IV, si venerava il suo capo. Il culto si estese poi a Gerusalemme, nelle Chiese d’Oriente e a Roma, col titolo di Decollazione di san Giovanni Battista. Nel Martirologio Romano, si fa riferimento ad un secondo ritrovamento della preziosa reliquia, trasportata, per l’occasione, nella chiesa di S. Silvestro a Campo Marzio, in Roma.
Questi piccoli riferimenti storici ci aiutano a capire quanto antica e profonda sia la venerazione di san Giovanni Battista. Nei Vangeli risalta molto bene il suo ruolo in riferimento a Gesù. In particolare, san Luca ne racconta la nascita, la vita nel deserto, la predicazione, e san Marco ci parla della sua drammatica morte nel Vangelo di oggi. Giovanni Battista inizia la sua predicazione sotto l’imperatore Tiberio, nel 27-28 d.C., e il chiaro invito che rivolge alla gente accorsa per ascoltarlo, è quello a preparare la via per accogliere il Signore, a raddrizzare le strade storte della propria vita attraverso una radicale conversione del cuore (cfr Lc 3, 4). Però il Battista non si limita a predicare la penitenza, la conversione, ma, riconoscendo Gesù come «l’Agnello di Dio» venuto a togliere il peccato del mondo (Gv 1, 29), ha la profonda umiltà di mostrare in Gesù il vero Inviato di Dio, facendosi da parte perché Cristo possa crescere, essere ascoltato e seguito. Come ultimo atto, Il Battista testimonia con il sangue la sua fedeltà ai comandamenti di Dio, senza cedere o indietreggiare, compiendo fino in fondo la sua missione. San Beda, monaco del IX secolo, nelle sue Omelie dice così San Giovanni Per [Cristo] diede la sua vita, anche se non gli fu ingiunto di rinnegare Gesù Cristo, gli fu ingiunto solo di tacere la verità.(cfr Om. 23:CCL 122, 354). E non taceva la verità e così morì per Cristo che è la Verità. Proprio per l’amore alla verità, non scese a compromessi e non ebbe timore di rivolgere parole forti a chi aveva smarrito la strada di Dio.
Noi vediamo questa grande figura, questa forza nella passione, nella resistenza contro i potenti. Domandiamo: da dove nasce questa vita, questa interiorità così forte, così retta, così coerente, spesa in modo così totale per Dio e preparare la strada a Gesù? La risposta è semplice: dal rapporto con Dio, dalla preghiera, che è il filo conduttore di tutta la sua esistenza. Giovanni è il dono divino lungamente invocato dai suoi genitori, Zaccaria ed Elisabetta (cfr Lc 1,13); un dono grande, umanamente insperabile, perché entrambi erano avanti negli anni ed Elisabetta era sterile (cfr Lc 1,7); ma nulla è impossibile a Dio (cfr Lc 1,36). L’annuncio di questa nascita avviene proprio nel luogo della preghiera, al tempio di Gerusalemme, anzi avviene quando a Zaccaria tocca il grande privilegio di entrare nel luogo più sacro del tempio per fare l’offerta dell’incenso al Signore (cfr Lc 1,8-20). Anche la nascita del Battista è segnata dalla preghiera: il canto di gioia, di lode e di ringraziamento che Zaccaria eleva al Signore e che recitiamo ogni mattina nelle Lodi, il «Benedictus», esalta l’azione di Dio nella storia e indica profeticamente la missione del figlio Giovanni: precedere il Figlio di Dio fattosi carne per preparargli le strade (cfr Lc 1,67-79). L’esistenza intera del Precursore di Gesù è alimentata dal rapporto con Dio, in particolare il periodo trascorso in regioni deserte (cfr Lc 1,80); le regioni deserte che sono luogo della tentazione, ma anche luogo in cui l’uomo sente la propria povertà perché privo di appoggi e sicurezze materiali, e comprende come l’unico punto di riferimento solido rimane Dio stesso. Ma Giovanni Battista non è solo uomo di preghiera, del contatto permanente con Dio, ma anche una guida a questo rapporto. L’Evangelista Luca riportando la preghiera che Gesù insegna ai discepoli, il «Padre nostro», annota che la richiesta viene formulata dai discepoli con queste parole: «Signore insegnaci a pregare, come Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli» (cfr Lc 11,1).
Cari fratelli e sorelle, celebrare il martirio di san Giovanni Battista ricorda anche a noi, cristiani di questo nostro tempo, che non si può scendere a compromessi con l’amore a Cristo, alla sua Parola, alla Verità. La Verità è Verità, non ci sono compromessi. La vita cristiana esige, per così dire, il «martirio» della fedeltà quotidiana al Vangelo, il coraggio cioè di lasciare che Cristo cresca in noi e sia Cristo ad orientare il nostro pensiero e le nostre azioni. Ma questo può avvenire nella nostra vita solo se è solido il rapporto con Dio. La preghiera non è tempo perso, non è rubare spazio alle attività, anche a quelle apostoliche, ma è esattamente il contrario: solo se se siamo capaci di avere una vita di preghiera fedele, costante, fiduciosa, sarà Dio stesso a darci capacità e forza per vivere in modo felice e sereno, superare le difficoltà e testimoniarlo con coraggio. San Giovanni Battista interceda per noi, affinché sappiamo conservare sempre il primato di Dio nella nostra vita. Grazie.
[Dopo la catechesi, il Papa si è rivolto ai fedeli provenienti dai vari paesi salutandoli nelle diverse lingue. Ai pellegrini italiani ha detto:]
E rivolgo un cordiale benvenuto a tutti i pellegrini di lingua italiana. Saluto i Vescovi amici della Comunità di Sant’Egidio, convenuti a Roma per un periodo di preghiera e di riflessione, e le Suore Domenicane Missionarie di San Sisto che celebrano il Capitolo Generale. Accolgo con gioia i gruppi parrocchiali, le associazioni e i seminaristi del Seminario San Pio X di Messina, ai quali auguro di continuare la formazione teologica nutrendosi costantemente della Parola di Dio e del Pane di Vita.
Un pensiero infine per i giovani, gli ammalati e gli sposi novelli. La radicalità della fede e della vita di San Giovanni Battista ispiri il vostro essere credenti: cari giovani, manifestate apertamente in tutti i contesti la vostra appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa; cari ammalati, attingete alla forza della preghiera per lenire le vostre sofferenze; e voi, cari sposi novelli, ponete sempre il Signore Gesù al centro della vostra vita familiare. Grazie a voi tutti. Una buona giornata. Grazie.