IL TABOR NELL’ANTICO TESTAMENTO
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IL TABOR NELL’ANTICO TESTAMENTO
(Teresa Petrozzi)
Il libro di Giosuè pone nel territorio di Issacar sedici città e specifica che il confine toccava il Tabor (Gs 19,17~22). Inoltre dice che le terre assegnate a Zabulon arrivavano fino a Daberat (Gs 19,12), oggi Daburiyeh o Kh. Dabura rispettivamente a ovest e a nord del monte, mentre quelle di Neftali giungevano fino ad Aznot Tabor (Gs 19,34), da ricercarsi probabilmente ad est. Il Tabor veniva a trovarsi nel punto in cui convergevano i confini delle tre tribù.
In molte religioni le montagne hanno carattere sacro. La religione israelitica non faceva eccezione e nell’Antico Testamento troviamo numerosi riferimenti a montagne considerate sacre. Ne citiamo alcuni: Iahve quando ebbe finito di parlare con Mosè sul Monte Sinai, gli diede le due tavole della Testimonianza (Es 31,18); all’Horeb, il monte di Dio, salì Elia (1 Re 19,8); Isaia predisse: Avverrà che, alla fine dei giorni, si ergerà il monte del tempio di Iahve sulla cima dei monti e si innalzerà sui colli (Is 2,2); Daniele invocò: Signore, per tutta la tua misericordia, si allontani, ti preghiamo, la tua ira e il tuo sdegno da Gerusalemme, tua città, tuo santo monte (Dn 9,16).
Il Tabor, che con la sua altera cupola dominava le pianure circostanti, dovette imporsi alla mente degli Israeliti e non è da escludere che essi abbiano in un primo momento tollerato il baal che era adorato là; il monte può aver mantenuto il suo antico carattere sacro nella religiosità israelitica popolare, non sempre aderente alla teologia canonica ortodossa.
Peraltro, nell’episodio di Debora (Gdc 4 e 5), che ruota intorno al Tabor, si vede che il culto iahvistico è già instaurato sul monte. Particolarmente importanti in questo senso sono i vv. 4,6 e 5,8. Nel primo Debora incita Barac a radunare le truppe sul Tabor. Questa mossa non deve esser stata dettata tanto dalla strategia quanto dal desiderio di pregare il vero Dio in vista della lotta contro gli invasori. Nel secondo Debora e Barac ricordano che gli Israeliti si erano scelti dèi stranieri, allora la guerra fu alle porte: gli dèi stranieri appartenevano al passato ed erano stati cancellati dal Dio personale. La benedizione di Mosè può essere allora considerata come riconoscimento di un culto legittimo. Il redattore di Dt 33, 18-19, nello scrivere: Gioisci, Zabulon, nelle tue spedizioni, e tu, Issacar, nelle tue tende! Essi invitano popoli alla montagna; là offrono sacrifici di giustizia, avrebbe avuto in mente il Tabor, unico monte importante al quale le due tribù potevano facilmente salire.
Il Tabor compare quindi nell’episodio di Gdc 8,18: sul monte i capi dei Madianiti uccidono i fratelli di Gedeone.
Seguono due passi controversi. In 1 Sm 10,3 Samuele ordina a Saul, da poco unto re, di andare fino alla Quercia del Tabor nella regione di Betel. Non si può escludere che anche sulla montagna di Efraim esistesse una località detta Tabor; il Monte Tabor sembra peraltro fuori discussione e diverse versioni accreditate leggono Quercia di Debora, rifacendosi a Gdc 4,5 dove è detto che la profetessa sedeva sotto la palma di Debora, fra Rama e Betel. In 1 Cr 6,62 sono elencate le città levitiche: Ai restanti figli di Merari si assegnarono nella tribù di Zabulon: Rimmono con i suoi pascoli, Tabor con i suoi pascoli. Secondo i competenti questo « Tabor » è una lezione improbabile perché una città di tal nome nel territorio di Zabulon non è ricordata in altri passi. Di conseguenza alcuni propongono di leggere Chislot Tabor (Iksal); altri, tenendo presente il brano parallelo di Gs 19,15, ritengono che si tratti di Naalal.
Il Tabor compare quindi in Osea, profeta che svolse il suo ministero nella seconda metà dell’VIII sec. a.C. nel regno di Israele. Dopo il tempo di Debora l’idolo del monte dovette essere riportato in onore perché le tribù del nord continuavano a praticare un culto sincretistico. Tale culto era stato reso ufficiale da Geroboamo I, primo re di Israele (930-910 a.C.), con l’erezione di immagini di tori a Betel e a Dan (o il toro era il simbolo teriomorfico del cananeo Baal Hadad), e da Acab (874-853 a.C.) con la costruzione a Samaria, allora capitale del regno, di un tempio dedicato a Baal Melqart, dio degli Inferi. In seguito Elia aveva scannato i sacerdoti idolatri (1 Re 18,40), Ieu allo sterminio dei falsi profeti aveva aggiunto la distruzione dei tempio di Samaria (2 Re 10,25-27). Peraltro, tali interventi non avevano avuto un effetto duraturo e Osea dichiarò fermamente: Toglierò i nomi dei Baal dalla sua bocca, essi non saranno più menzionati per nome (2,19) e denunciò la responsabilità dei sacerdoti e dei principi: Ascoltate questo, o sacerdoti; state attenti, o casa di Israele; o casa del re, porgete orecchio, perché contro di voi é la sentenza; voi che siete stati un laccio a Mispa, una rete tesa sul Tabor (5,1). Non si conosce la ragione per cui Mispa era diventata occasione di scandalo. Nelle parole rete tesa sul Tabor Lewy vede una conferma alla sua teoria secondo la quale il dio venerato sul monte era Tammuz: nelle lamentazioni sumere per la morte di questo dio si trova generalmente l’epiteto umum safar, il signore della rete. Osea uccise il Baal del Tabor: l’Antico Testamento non accenna più ad esso né direttamente né indirettamente.
Troviamo poi il Tabor in un altro profeta, Geremia, che lo considera, unitamente al Carmelo, un simbolo di preminenza. Nei vaticini contro le nazioni Geremia infatti rimarca la superiorità di Nabucodonosor paragonandolo alle due montagne: Pari al Tabor rispetto ad altri monti e al Carmelo che incombe sul mare, egli verrà (46,18). Il Tabor è nominato l’ultima volta dall’Antico Testamento nel SI 89, che è tutto una celebrazione alla fedeltà di Dio: Il Tabor e Hermon esultano nel tuo nome (v. 13).
L’INCONTRO DI MELCHISEDEC CON ABRAMO
Nel quadro dell’Antico Testamento un posto a sé merita l’incontro di Melchisedec con Abramo, legato al Tabor da una tradizione.
In Gn 14,17-20 viene riferito che: Tornando, Abram dall’aver battuto Chedorlaomer e i re che erano con lui, gli uscì incontro il re di Sodoma, nella valle di Save, ossia la valle del Re. E Melchisedec, re di Salem, fece portare pane e vino: egli infatti era sacerdote di Dio Altissimo. E lo benedì e disse: “Benedetto sia Abram da Dio Altissima, creatore del cielo e della terra, benedetto sia il Dio Altissimo che ti ha dato nelle mani i tuoi nemici”. Abram, gli diede la decima di tutto.
Circa il luogo di questo incontro sono state sviluppate diverse teorie. Basandosi su Sal 76,3 che avvicina Salem al Sion (Ed in Salem è la sua tenda e la sua dimora in Sion), una tradizione giudea collocava il posto a Gerusalemme. Secondo il Targum Onkelos ed il Targum Jonathan i due personaggi si sarebbero incontrati “nella pianura di Mefana, che era il campo di corse del re”; secondo Flavio Giuseppe, nella Valle del Re, cioè presso la piscina di Siloe. In seguito la localizzazione venne trasferita sulla Spianata del Tempio.
L’esistenza di una seconda tradizione giudea fu rivelata da un rotolo scritto in aramaico, scoperto nel 1947 nella grotta n. 1 di Qumran: “E il re di Sodom [ ... ] salì verso di lui e venne a Salem che è Gerusalemme. E Abramo era accampato nella Valle di Shave, che é la Valletta del Re, nella pianura di Beth ha-Kerem”. L’incontro sarebbe quindi avvenuto nei pressi della odierna Ain Karim. Avigad e Yadin ritengono che il rotolo risalga al I sec. a.C. – I sec. d.C.; ciò peraltro non fissa la data originale, in quanto il rotolo può essere sia la traduzione di un testo ebraico che la copia di uno aramaico più antichi. Conseguentemente anche il tempo in cui questa tradizione nacque resta oscuro; è possibile soltanto dire che si tratta di una tradizione parallela alla prima.
Un’altra tradizione, anche essa nata in epoca indeterminabile, è quella dei Samaritani, i quali trasferirono l’incontro in Samaria, ed esattamente sul Garizim, il loro monte santo. I Samaritani erano in un certo senso giustificati poiché in Gn 83,18 si legge: E Giacobbe arrivò a Salem, città di Sichem (versione dei Settanta e Vulgata) e la valle di Salem (Gdt 4,3) è collocata in Samaria.
I Giudeo-Cristiani localizzarono l’incontro nella grotta che si trova sotto il Calvario, grotta da loro ritenuta l’ombelico del mondo, dove si sarebbero svolte tutte le principali azioni dei Patriarchi e da dove, infine, Gesù sarebbe disceso agli inferi (Ef 4,9) attraverso la fenditura della roccia (Mt 27,51). In quella grotta, “luogo dove si compirà la redenzione del mondo”, Sem aveva seppellito Adamo e Melchisedec, come sacerdote, ne custodiva la tomba. A quanto risulta, il primo pellegrino a parlare di questa tradizione fu l’Anonimo di Piacenza nel 570 e la notizia fu ripresa molto saltuariamente dai viaggiatori occidentali.
Nel IV sec. venne poi sostenuta la teoria secondo la quale Salem si sarebbe trovata nella valle del Giordano. Un esponente di tale teoria fu Eusebio ed Eteria vide in quella Salem le rovine del palazzo di Melchisedec. San Girolamo, dopo aver pensato a Gerusalemme, abbracciò la teoria del Giordano (PL 22,680) e infine ritornò alla prima soluzione (PL 22,883).
Nel frattempo i Melchisedechiani, membri di una setta gnostica, avevano portato la tradizione sul Monte Tabor, dove esisteva uno dei loro centri.
Il Tabor fu riconosciuto come luogo dell’incontro anche dalla Chiesa dei Gentili. Sant’Atanasio vescovo di Alessandria (IV sec.) scrisse la Historia de Melchisedech (PG 28, 525-530). Tale storia, che spiega anche fantasiosamente il motivo per cui Melchisedec è chiamato senza genealogia (Eb 7,3), influenzò probabilmente i Copti e visse nella tradizione del monte almeno fino al XIV sec. Per quanto concerne il Tabor, il santo vescovo narra che, dopo tragici avvenimenti familiari, Melchisedec restò sul monte sette anni, nudo come quando era nato. Le unghie divennero lunghe un palmo, i capelli gli arrivarono all’ombelico e la schiena si indurì come il guscio di una tartaruga. Mangiava bacche e beveva rugiada. Dopo sette anni una voce disse ad Abramo: “Prepara la cavalcatura, indossa vesti preziose, sali al Tabor e chiama tre volte ‘Uomo di Dio’ e ti si presenterà un uomo selvaggio. Non temere, ma radilo e tagliagli le unghie, vestilo e accetta la sua benedizione”. Abramo eseguì gli ordini e tutto avvenne come Dio aveva detto. Dopo tre giorni Melchisedec scese dal Tabor e benedisse Abramo. Quando poi Abramo ritornò dall’aver ucciso i re, Melchisedec gli offri un calice di vino in cui aveva messo un pezzetto di pane. e fece la stessa offerta anche ai 318 uomini di Abramo. Questo fu il tipo del sacrificio incruento del Salvatore.
Secondo un testo copto, il Signore ordinò ad Abramo di salire al Tabor con pane, vino ed acqua, di chiamare Melchisedec, di tagliargli i capelli, le unghie e la punta della barba e di mangiare le spuntature prima di porgergli le offerte. Abramo eseguì l’ordine e lo benedì. Il testo, chiamato da Goodenough “La Preghiera del Pane”. termina con una invocazione: “Così ora di nuovo, Signore, sii tu colui che benedice questo pane; dallo al tuo servo come pegno di unione”. La pratica magica del mangiare le spuntature è pre-cristiana o comunque indipendente dal Cristianesimo. Tuttavia la fine della preghiera indica chiaramente che il pane doveva essere mangiato come un sacramento di matrimonio mistico del fedele con Dio. Con ogni probabilità i Copti, e forse prima di loro i Melchisedechiani, avevano cristianizzato un uso e un rito esistenti.
Questo sembra essere il cammino percorso dalla tradizione. Hertzberg, che riteneva Melchisedec un personaggio del Canaan del Nord e probabilmente sacerdote del Baal Sedeq, proponeva il senso inverso: la tradizione del sacerdote-re cananeo, originariamente legata al Tabor, sarebbe stata trasferita dai Giudei, dai Samaritani e dai Cristiani nei luoghi rispettivamente considerati più santi.
Dal canto loro i visitatori, del Tabor videro il luogo dell’incontro a Daburiyeh, il villaggio ai piedi del monte, o sulla cima o sul pendio. Non mancarono quelli che lo trasportarono nei pressi di Endor, a Naim ed ai piedi del Gelboe. Alcune cronache ci sembrano interessanti.
Daniele (1106) dice: A un buon tiro di freccia ad ovest della Trasfigurazione si trova una grotta dalla quale Melchisedec uscì quando Abramo lo chiamò ‘Uomo di Dio’. Daniele riprende il testo di Atanasio: “Abramo tagliò a Melchisedec i capelli e le unghie perché era villoso”. Nella grotta Melchisedec eresse un altare e offrì un sacrificio con il pane e il vino, che Dio portò in cielo. Daniele spiega che questo fu l’inizio della liturgia con il pane e il vino e non con gli azimi. Giovanni di Würzburg (1165) deve aver sentito ancora parlare di una delle antiche credenze che identificavano Melchisedec con Seni, Set, Enoc, Cani, Canaan e Mesraim figli di Cani, Giobbe, e specifica: “Melchisedec che è Seni figlio di Noè”. Teodorico (1172) traduce in termini cristiani quanto restava della tradizione: “Su questo monte è stata eretta una nobile chiesa in onore del Salvatore, nella quale dei monaci servono Dio sotto la guida di un abate. Si dice che là sia stato offerto per la prima volta il sacrificio della Messa”.
Inoltre, Sanuto (1310), pur non riferendosi direttamente all’incontro, ci ha lasciato una indicazione topografica: A due leghe da Nazaret c’é il Monte Tabor e oltre il Monte Tabor, verso est, c’è la valle di Shaveh, che è la valle del Re. Nel 1928 Hertzberg ricordava che una valle della Galilea sudoccidentale si chiamava ancora valle del Re, Uadi el-Melek.
Attualmente la tradizione dell’incontro sopravvive in due posti, entrambi di proprietà greco-ortodossa: Sul Tabor, in una grotta poco a nord di Bab el-Haua, esattamente a un buon tiro di freccia ad ovest della basilica della Trasfigurazione, e nella cappella di Adamo sottostante il Calvario.
Nella prima metà del XVII sec., Roger scrisse: “Fra il Monte Armont [Piccolo Hermon] e le montagne di Gelboe si vede in una valletta il sito dove, così dicono, Melchisedec offri pane e vino in sacrificio e dove non ci sono resti di costruzioni. La pietra su cui offrì tale sacrificio è sotto il Monte Calvario, nella cappella degli Abissini”. Questa notizia spiega la duplicazione del ricordo in una maniera che può riflettere un lato della realtà.
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