Digiuno e penitenza: meditazioni di S. Massimiliano Maria Kolbe
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Digiuno e penitenza: meditazioni di S. Massimiliano Maria Kolbe
“…Ai nostri giorni molti desidererebbero abolire qualsiasi mortificazione, poiché il degradato mondo d’oggi cerca la felicità nei piaceri passeggeri, sensuali e spesso anche peccaminosi. Nondimeno la penitenza non è soltanto un privilegio esclusivo di san Paolo (1 Cor 9,27), né un “errore” del medioevo, ma un dovere, un preciso dovere di tutti, poiché nessuno è senza peccato. E non hanno incominciato a sbagliare soltanto i secoli del medioevo, poiché fin dai primi secoli della Chiesa i fedeli, obbedienti ai comandi di Cristo, tenevano a freno il proprio corpo. Lo stesso Gesù Cristo nel deserto ha digiunato per quaranta giorni e ha raccomandato di far penitenza sotto la minaccia della perdizione: “Se non farete penitenza perirete tutti insieme” (Lc 13, 5). E san Pietro nel tempio insegnava: “Fate penitenza e convertitevi, affinché siano cancellati i vostri peccati” (Atti 3, 19). Già i primi cristiani facevano delle opere penitenziali, anzi tra di essi era già conosciuto anche il digiuno quaresimale. Lo testimoniano s. Agostino (+ 430), s. Giovanni Crisostomo (+ 407), Origene (+ 253) e s. Ireneo (+ 202). Essi esortavano i fedeli ad osservare fervorosamente il digiuno quaresimale ed ammonivano coloro che non lo osservavano secondo l’austerità del tempo; eppure non si era ancora nei secoli del medioevo. Chiunque vuol salvarsi, perciò, deve far penitenza. La santa Chiesa, benché non possa sopprimere completamente la penitenza, tuttavia, in virtù del potere ricevuto da Cristo, determina il modo di far penitenza a seconda dei tempi e dei luoghi. Uno di tali mezzi di penitenza è anche il digiuno quaresimale che stiamo ora percorrendo. Nei primi secoli esso era più breve, ma in compenso era notevolmente più austero. I Didascalia Apostolorum (del III secolo) prescrivono il digiuno, vale a dire la completa astensione dal cibo e dalle bevande, nel venerdì e nel sabato della settimana santa, e nei quattro giorni precedenti un digiuno a pane, acqua e sale. Agli inizi del IV secolo si digiunava per 40 giorni, sul modello del digiuno di Gesù, mentre il sinodo di Nicea chiama già questo digiuno (nel canone n. 5) con il nome di “Quadragesima”, quaresima. In occidente si digiunava per sei settimane eccetto le domeniche, in oriente invece (ad Antiochia, a Costantinopoli) invalse l’usanza di dispensare dal digiuno anche nei sabati, perciò il digiuno iniziava sette settimane prima di Pasqua. In pratica, dunque, si digiunava 30 giorni. Solo nel secolo VII a Roma il numero dei giorni di digiuno fu arrotondato a 40, poiché il digiuno iniziava con il mercoledì delle ceneri. Agli inizi del medioevo tutto il mondo cattolico aveva accolto questa usanza. Nel sinodo di Benevento Papa Urbano II comandò pure di osservare in tutta la Chiesa l’usanza, già allora antica, di cospargere il capo di cenere, all’inizio del digiuno. Contemporaneamente ebbero origine anche i nomi delle domeniche di quinquagesima, sessagesima, settuagesima. Fin dai tempi di Innocenzo IV (1243-1254) in Polonia l’austero digiuno iniziava dalla settuagesima. Questo digiuno era rigido, poiché non erano escluse né le domeniche né i sabati, ed era permesso mangiare soltanto una volta al giorno, per di più escludendo la carne, le uova e i latticini. Nel secolo XV la Sede Apostolica attenuò i digiuni per i paesi settentrionali, tuttavia i polacchi, nonostante la decisione del sinodo di W oc awek (1248) di iniziare il digiuno dal mercoledì delle ceneri, continuarono a digiunare come in passato. Nell’anno 1505 Erasmo Cio ek, vescovo di Plock, ottenne, dietro richiesta del re Alessandro, la dispensa dal digiuno nei mercoledì di tutto l’anno; ma neppure questo fu accettato. Successivamente Pio X permise (in data 5 aprile 1903) per le diocesi del Regno di Polonia l’uso delle carni in tutti i sabati dell’anno, nelle domeniche di quaresima e di fare uso della carne una volta al giorno nei lunedì, martedì e giovedì (escluso il giovedì santo) di quaresima. Inoltre, l’astensione dai latticini era limitata al venerdì santo. Il recentissimo codice di legislazione ecclesiastica distingue accuratamente digiuno e astinenza dalla carne. Digiuna colui il quale mangia fino a saziarsi una sola volta al giorno, mentre al mattino e alla sera fa uno spuntino leggero, adattandosi alle usanze locali per quel che riguarda la quantità e la qualità (can. 1251), anche se fa uso di carne. L’astinenza dalla carne, invece, comporta l’astensione dagli alimenti e dal brodo di carne; non, però, dalle uova e dai latticini. È permesso, inoltre, condire i cibi con il grasso e mangiare più volte fino a sazietà. In quaresima il digiuno e l’astinenza sono obbligatori il mercoledì delle ceneri, nei venerdì e nei sabati; il digiuno solo, invece, negli altri giorni della quaresima. All’astinenza dalla carne sono tenuti tutti coloro che hanno compiuto il settimo anno di vita, mentre al digiuno sono obbligati solamente coloro che hanno compiuto il ventunesimo anno e non hanno ancora iniziato il sessantesimo. La legge, inoltre, dispensa dal digiuno i malati, i convalescenti e coloro che svolgono un duro lavoro fisico o intellettuale. Ragioni più gravi sono richieste, invece, per la dispensa dall’astinenza dalla carne. Solamente un lavoro molto pesante o l’impossibilità, come ad esempio la vita militare, dispensano da quest’obbligo. Noi, membri della Milizia dell’Immacolata, per quanto ci è possibile dobbiamo osservare questo santo digiuno con un fervore maggiore, poiché la mortificazione è una potenza, la quale, insieme con la preghiera, ottiene le grazie divine, purifica l’anima, la infiamma d’amore verso Dio e verso il prossimo e sottomette amorosamente le anime a Dio attraverso l’Immacolata. »
“Godere, godere, godere”: grida il mondo. Per procurarsi i massimi godimenti possibili si commettono furti, frodi, corruzioni, tradimenti e perfino assassini. E quando non si riesce a godere, oppure quando il cuore, sazio fino alla nausea di sudiciume morale, vede tutto il vuoto e l’inconsistenza di una illusoria felicità dietro alla quale stava correndo, allora, se manca l’umiltà, che lo indirizza verso Dio lungo la strada della penitenza, la vita si abbrutisce e talvolta si conclude con un vile suicidio. Il giorno 11 del mese in corso noi festeggiamo l’anniversario dell’apparizione dell’Immacolata a Lourdes, famosa in tutto il mondo. Che cosa ci raccomanda, Ella? Ecco ciò che la fortunata creatura scelta dall’Immacolata, Bernardetta, raccontò al suo parroco, che aveva chiesto alla Signora dell’apparizione, quale segno della sua provenienza celeste, di far fiorire un roseto in inverno. “Ho visto – ella disse – quella creatura meravigliosa e le ho detto: Il signor parroco esige qualche prova, ad esempio che lei, Signora, faccia sbocciare il roseto che sta sotto i suoi piedi, poiché i sacerdoti non si accontentano della mia parola e non vogliono parlare con me di quella cosa (della costruzione della cappella). In risposta Ella ha sorriso, ma non ha pronunciato alcuna parola; poi mi ha detto di pregare per i peccatori ed ha esclamato per tre volte: Penitenza! penitenza! penitenza!”. La fioritura di un roseto in pieno inverno è una bazzecola, anche se l’Immacolata l’avesse fatto, in confronto alla conversione dei peccatori ottenuta con l’aiuto della penitenza. In questo mese la s. Chiesa ci invita in modo tutto particolare alla penitenza, cospargendo di cenere il nostro capo e dicendoci: “Ricordati, o uomo, che sei polvere e in polvere tornerai” [cf. Gen 3, 19].

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