Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris

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Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris

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Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris è una nota locuzione latina, che tradotta letteralmente significa: « Ricordati uomo, che polvere sei e polvere ritornerai ».

1 Origine
2 Espressione liturgica
3 L’uso nella tradizione medievale
4 Il trasferimento nel linguaggio comune
5 Note
6 Voci correlate

Origine
Le parole quia pulvis es et in pulverem reverteris compaiono nella versione latina della Bibbia (Genesi 3,19) allorché Dio, dopo il peccato originale, scaccia Adamo dal giardino dell’Eden condannandolo alla fatica del lavoro e alla morte: « Con il sudore della fronte mangerai il pane finché non tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere sei e polvere ritornerai! »

Espressione liturgica
La Chiesa pronuncia questa frase nella liturgia del Mercoledì delle Ceneri, mentre sul capo dei fedeli viene sparso un pizzico di cenere.[1] Con l’abbandono del latino in seguito alla riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II, attualmente per il rito dell’imposizione delle ceneri si possono usare due formule diverse: « Convertitevi e credete al Vangelo » o la più tradizionale « Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai ».

L’uso nella tradizione medievale
La fortuna e il persistere di questa espressione, come delle consimili Memento mori (« Ricordati che devi morire ») e Memento novissimorum (« Ricordati dei novissimi », cioè delle ultime cose, compresa appunto la morte), non risalgono solo al rituale e al formulario religioso ma anche a due tipici aspetti della società medievale, il penitenzialismo e l’ossessione, se non addirittura il compiacimento, della morte. Se ne hanno efficaci rappresentazioni, talora cupe ma anche ironiche, nei temi iconografici della danza macabra, dell’Incontro dei tre morti e dei tre vivi e del Trionfo della morte, poi ripresi e diffusi anche dal Cinquecento barocco della Controriforma fino alla metà del Settecento.

Trasferimento nel linguaggio comune
Sintetizzata nella forma memento homo, la massima ecclesiastica viene impiegata anche in contesti non propriamente religiosi con il valore generico di ammonimento o, nello specifico, di invito a riflettere sulla brevità della vita o sulla vanità delle ambizioni umane; più raramente ne vengono accentuati gli aspetti di minaccia alludendo a un’evidente disparità di forze o a una futura e inevitabile resa dei conti. Relativamente a questi precisi ambiti di significato le può essere assimilato il vocabolo memento, che ha tuttavia una gamma di utilizzi ben più ampia.
Ulteriormente abbreviato in mementòmo, il termine ha perso l’originaria funzione di aforisma per assumere l’aspetto e le caratteristiche di un normale sostantivo, mantenendo tuttavia lo stesso significato di avvertimento talora anche minaccioso o comunque di monito severo.[2] In rari casi lo si applica anche alla persona che emette abitualmente tali ammonimenti; più spesso, soprattutto a livello popolare, viene interpretato come un sinonimo di necrologio, orazione funebre pomposa, epitaffio o iscrizione.[3] In Sardegna, invece, la stessa parola serve a indicare i mesti rintocchi delle campane a morto,[4] mentre il linguista sardo Massimo Pittau segnala l’accezione di « individuo emaciato ».[5]

Publié dans : liturgia |le 21 février, 2012 |Pas de Commentaires »

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