IL VINO E L’OLIO NELLA SACRA SCRITTURA
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IL VINO E L’OLIO NELLA SACRA SCRITTURA
Non esordiamo citando un sacerdote, ma l’indimenticabile Gino Veronelli che una volta definì il vino « il canto della Terra verso il Cielo ». Difficile trovare un’immagine più suggestiva se non nella Bibbia. Anzi, proprio in questa ne troviamo la più alta conferma.
Come altre attività umane che danno un senso alla vita, il bere vino è anch’esso un atto con cui l’uomo può cercare di conoscere la Divinità. Ecco perché la coltura della vite, diffusa in tutta l’area siro-palestinese, divenne quindi metafora esistenziale e religiosa.
Proviamo allora con il vino e anche con l’olio, compagni sin dalla notte dei tempi, a rendere più avvincente e stimolante il viaggio nelle Scritture.
E IL VINO FU
In principio, fu l’ubriachezza di Noé. È lui che dopo il diluvio diventa coltivatore della terra e per primo pianta la vite:
« Ora Noé, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna. Avendo bevuto il vino, si ubriacò e giacque scoperto all’interno della sua tenda. » (Genesi 9,20-24)
Anche l’archeologia ha confermato il racconto biblico grazie ai recenti scavi nella regione di Hebron.
Considerato che il patriarca visse novecentocinquant’anni, abbiamo sin dalla Genesi una prova inconfutabile delle virtù salutari del vino!
Sempre nella Genesi le figlie di Lot (nipote di Abramo), che lo avevano seguito nella fuga da Sodoma, lo costringeranno proprio col vino a un rapporto incestuoso. Lungi però dall’essere presentate come impudiche, vogliono prima di tutto perpetuarne la razza: « . .. facciamo bere del vino a nostro padre e poi corichiamoci con lui, così faremo sussistere una discendenza da nostro padre (..) così le due figlie di Lot concepirono dal loro padre. » (Genesi 19,32).
Nei sacrifici ebraici e pagani venivano sparse sulle vittime libagioni di vino, di acqua, di olio « … offrirai un decimo di efa di fior di farina impastata con un quarto di hin di olio vergine e una libazione di un quarto di hin di vino » (Esodo 29,40).
Lo stesso avverrà come segno di misericordia, nel Nuovo Testamento, nella celebre parabola del buon samaritano dove a un’altra vittima, in questo caso dei briganti, il samaritano « fasciò le ferite, versandovi olio e vino » (Luca 10,34).
Superbo il Canto della Vigna di Isaia, forse ispirato a una canzone di vendemmia, in cui Israele è simboleggiato dalla vigna sulla quale Dio veglia con amore:
« Il mio diletto possedeva una vigna sopra un fertile colle. Egli l’aveva vangata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato scelte viti; vi aveva costruito in mezzo una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica. Ebbene, la vigna del Signore degli eserciti è la casa di Israele… ». (Isaia 5)
La vigna deliziosa! Cantate di lei! Io il Signore ne sono il guardiano, a ogni istante la irrigo; per timore che venga danneggiata, io ne ho cura notte e giorno » (Isaia 27,2)
Gesù userà lo stesso tema in modo analogo nella parabola dei vignaioli omicidi:
« C’era un padrone che piantò una vigna e la circondò con una siepe, vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l’affidò a dei vignaioli, e se ne andò » (Matteo 21,33).
Ma sarà solo il Vangelo di Giovanni che rivelerà il mistero della « vera » vigna, cioè l’identificazione con Gesù stesso:
« Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto ». (Giovanni 15,1-2)
IL VINO E LA FESTA
Il vino più volte sinonimo di festa, qui è assente nel grido del profeta: « nelle vigne non si levano più lieti clamori, né si grida più allegramente. Il vino nei tini nessuno lo ammosta, l’evviva di gioia è cessato » (Is 16,10).
Fa pensare a noi, oggi, a tante vendemmie difficili…
Il banchetto prefigurato da Isaia è una delle immagini più forti e consolatorie della divina misericordia: « Un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati… » (Isaia 25,6)
Il Siracide, nei libri cosiddetti Sapienziali, dedica poi un bel capitoletto tutto al vino
« … il vino è come la vita per gli uomini, purché tu lo beva con misura. Che vita è quella di chi non ha vino? Questo fu creato per la gioia degli uomini… Allegria del cuore, gioia dell’anima è il vino bevuto a tempo e a misura ». (Sir 31,27-38)
Poiché l’acqua scarseggiava in Palestina, era consuetudine bere vino ai pasti principali, specialmente ai banchetti nuziali. Il « segno » per eccellenza che Gesù compì, il primo in ordine cronologico, fu proprio quello di Cana, paradigmatico della Sua missione, quella di « trasformare », a seguito del quale (grazie a Maria) « i Suoi discepoli credettero in Lui » (Giovanni 2,11).
Molti hanno favoleggiato sulla bontà di quel vino, e dei probabili cépages… Di certo era rosso, perché in epoca biblica l’uva più diffusa era sicuramente nera, piuttosto forte, vigorosa e resistente alla siccità, molto simile alla vite selvatica. Il vino che ne risultava era corposo, ricco di alcol e tannino.
Nella tradizione giudaica il vino viene chiamato « sangue d’uva ». Dà una certa emozione sapere che Gesù ne bevesse, quando Egli accusa:
« È venuto infatti Giovanni il Battista che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: Ha un demonio. È venuto il Figlio dell’uomo che mangia e beve, e voi dite: ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori » (Luca 7,33).
VINO-SIMBOLO
Il segno del vino si riferisce ovviamente al Sangue di Cristo. Il collegamento vino-sangue è presente nell’Antico Testamento « lava nel vino la veste e nel sangue dell’uva il manto » (Genesi 49,11) e nel Nuovo in Giovanni « perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda » (Gv 6,55).
L’immagine del vino è assai spesso accostata al tema della Sapienza. La Sapienza Incarnata (Gesù) invita a partecipare al Suo banchetto e a bere il Suo vino, cioè il Suo insegnamento.
Il vino diventerà così, secondo l’interpretazione giudaica, uno dei simboli prediletti della Torah e dell’insegnamento del Messia.
QUALE VINO?
Assai celebre è la parabola del vino e degli otri nel Vangelo di Luca.
« Nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spacca gli otri, si versa fuori e gli otri vanno perduti. Il vino nuovo bisogna metterlo in otri nuovi. Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: il vecchio è buono! »
Elogio della maturità! Anche se Cristo si riferiva qui all’Antica e alla Nuova Alleanza. Il vino nuovo che offre Gesù non è gradito da quelli che hanno bevuto il « vecchio vino » della Legge. Lo spaccarsi degli otri alludeva forse ad altra destinazione riguardo agli stessi, non già quella di far maturare il vino, quanto di farlo fermentare. Infatti, le pelli di cui erano costituiti gli otri, ormai diventate vecchie e rigide, scoppiavano non appena vi era posto il vino nuovo.
« Ecco, dentro di me c’è come vino senza sfogo, come vino che squarcia
gli otri nuovi » (Giobbe 32,19).
Ciò andrebbe a sostegno di alcune tesi moderne secondo le quali il vino di cui parla la Bibbia sia ora una bevanda alcolica, frutto quindi della fermentazione, o semplice succo d’uva. C’è chi confuta tali affermazioni, argomentando che quest’ultimo è soggetto per sua natura a un rapido deterioramento, soprattutto nelle condizioni climatiche della Terra Santa.
Il « frutto della vite e del lavoro dell’uomo » doveva essere fermentato, quindi vino a tutti gli effetti, proprio per garantirne la longevità. Tutt’al più, allo stesso scopo, il succo d’uva veniva fatto bollire per ricavarne un denso sciroppo. Altri studiosi sostengono addirittura che la Bibbia alluda, a seconda dei contesti, ad entrambi i tipi di bevanda. Difficile credere che il Cantico dei Cantici alluda a qualcosa di diverso da una bevanda inebriante!
« Sì, le tue tenerezze son più dolci del vino » Ct 1,2
« Mi ha introdotto nella cella del vino e il suo vessillo su di me è amore » Ct 2,4
« Quanto sono soavi le tue carezze, sorella mia, sposa, quanto più deliziose del vino le tue carezze » Ct 4,10
Altra cosa è il problema della traduzione dei testi sacri, o meglio del momento storico in cui questa è avvenuta. Secoli fa, il traduttore poteva intendere con il termine « vino » – dal greco « oinos » (a partire dalla traduzione della Bibbia in greco) e dall’ebraico « yayin »- entrambe le tipologie, mentre le traduzioni moderne dovrebbero indicare chiaramente se ci si riferisce o meno al prodotto della fermentazione. Ciò spiegherebbe, forse, perché le Scritture approvino decisamente il vino e insieme lo stigmatizzino. L’equilibrio sta nel mezzo: nella Bibbia non è mai in sé simbolo di peccato, ma lo è l’eccesso che conduce all’ubriachezza. « Guai a coloro che sono gagliardi nel bere vino, valorosi nel mescere bevande inebrianti ». (Isaia 5,22). E qui entrano in gioco i sommelier….
IN VINO SALUS.
In pieno Anno Paolino ci piace soffermarci sul monito di San Paolo: « Perciò è bene non mangiare carne, né bere vino, né altra cosa per la quale il tuo fratello possa scandalizzarsi » (Rom 14,21) anche se, a fini terapeutici, suggerisce: « Smetti di bere soltanto acqua, ma fa uso di un po’ di vino a causa dello stomaco e delle tue frequenti indisposizioni » (1Timoteo 5,23). Si alludeva forse al pericolo di contaminazione batterica delle acque, reale a quel tempo? Neppure i sacerdoti erano esenti dai suoi strali! « … bisogna che il vescovo sia irreprensibile… sobrio… non dedito al vino » (1Tim 3,2-3), fino al lapidario: « non illudetevi… né avari né ubriaconi. .. erediteranno il Regno di Dio » (1Cor 6,9-10).
L’uso del vino trova ancora la sua legittimazione come medicamento più volte nell’Antico Testamento: « Date bevande inebrianti a chi sta per perire e il vino a chi ha l’amarezza nel cuore ». (Prov. 31,6)
ATTENZIONE, PERICOLO!
« Il vino è rissoso, il liquore è tumultuoso; chiunque se ne inebria non è saggio » (Proverbi 20,1). Il libro dei Proverbi continua con una vera e propria arringa! « Non guardare il vino quando rosseggia, quando scintilla nella coppa e scende giù piano piano; finirà con il morderti come un serpente e pungerti come una vipera. Allora i tuoi occhi vedranno cose strane e la tua mente dirà cose sconnesse ». (Prov 23,31-33). L’autore sacro non pensava certo al semplice succo d’uva! Non è da meno San Pietro, che esorta all’abbandono del paganesimo, reo di vivere « … nelle crapule, nei bagordi, nelle ubriachezze » (1 Pt 4,3).
VINO E OLIO: UN LEGAME INSCINDIBILE
L’uomo non ha voluto mai rinunciare al frutto della vite e dell’ulivo, da millenni preziosi e insostituibili alleati anche della sua salute. Già quel ramoscello di olivo nel becco della colomba indicava rinascita e salvezza per Noé e la sua discendenza.
Varie sono state le dispute teologiche a proposito del vino e dell’olio nei secoli passati. La Chiesa stessa ha avuto un ruolo chiave, se pensiamo che nell’Alto Medioevo furono proprio i monaci – Benedettini e Cistercensi – a tramandare la coltivazione della vite e dell’olivo, custodendo all’interno dei monasteri e degli orti conventuali semi, piante e conoscenze delle tecniche di olivicoltura necessarie alla pratica del culto cristiano. Da sempre, sono la natura e l’ambiente a plasmare le abitudini dei popoli e forse anche dei riti religiosi.
Alimento, luce, religione: queste furono nel tempo le tre funzioni principali dell’olio.
Una celebre massima ai tempi della Roma gaudente e sfarzosa appaiava addirittura i due liquidi, entrambi necessari al benessere e alla lunga vita: « Vino dentro e olio fuori », sentenziavano gli Antichi Romani. Nella Bibbia viene nominato 100 volte l’olivo e 140 volte l’olio. Spesso vino e olio nella Bibbia compaiono in¬sieme. « Hai cosparso di olio il mio capo, il mio calice trabocca » (Salmo 22). « … i tini traboccheranno di mosto e d’olio » (Gioele 2,24), « Olio e vino non siano sprecati », ammonisce l’Apocalisse. - »… così accadrà nel centro della terra, in mezzo ai popoli, come quando si bacchiano le ulive, come quando si racimola, finita la vendemmia » (Isaia 24,13).
« Quando bacchierai i tuoi ulivi, non tornerai indietro a ripassare i rami: saranno per il forestiero, per l’orfano e perla vedova. Quando vendemmierai la tua vigna, non tornerai indietro a racimolare: sarà per il forestiero, per l’orfano e per la vedova » (Deut 24,20).
Sempre più cupe le previsioni del profeta in Michea « Seminerai, ma non mieterai, frangerai le olive, ma non ti ungerai d’olio; produrrai mosto, ma non berrai il vino ». (Mic 6,15) e in Abacuc « Nessun prodotto daranno le viti, cesserà il raccolto dell’olivo… »
L’OLIO DEI RE
« Javeh si rivolse a Mosé: ordina ai figli di Israele che ti portino olio puro di olive spremute per il candelabro, per farvi salire una fiamma perenne ». (Lev). È proprio qui che avviene il passaggio dalle lucerne del Tempio alla lampada perenne che ancora oggi arde davanti ai tabernacoli delle chiese cattoliche. Olio simbolo di luce e strumento di unzione divina. « Cristo », dal greco Christòs, significa proprio « unto ». « Lo spirito del Signore è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione » (Is 61,1).
Nel Primo Libro di Samuele, Dio sceglie Davide come nuovo re consacrandolo appunto con l’unzione. « E il Signore disse a Samuele: riempi di olio il tuo corno e parti (…). Disse il Signore: Alzati e ungilo: è lui! » Samuele prese il corno dell’olio e lo consacrò con l’unzione in mezzo ai suoi fratelli » (1 Sam 1G,1-13).
Sempre nell’AT è suggestivo l’apologo in cui si fanno parlare piante e animali. Gli alberi cercano un re da eleggere tra di loro (« …dissero all’ulivo: regna su di noi. Rispose loro l’ulivo: rinuncerò al mio olio, grazie al quale si onorano dèi e uomini… ? Dissero gli alberi alla vite: vieni tu, regna su di noi. Rispose loro la vite: rinuncerò al mio mosto che allieta dèi e uomini? »). (Giudici 9,8).
Molto forte invece la visione di Zaccaria del candelabro d’oro e dei due olivi che gli stanno vicino, uno a destra e uno a sinistra. Imperscrutabile a mente umana, poté essere spiegata solo dall’angelo: « Questi sono i due consacrati che assistono il dominatore di tutta la terra » (Zac 4,1-14). I due consacrati o « unti » (alla lettera « figli dell’olio ») sono Giosué, che rappresenta il potere spirituale, e Zorobabele, il potere temporale, ovvero i restauratori del tempio di Gerusalemme dopo l’esilio. Ritroviamo i due olivi nell’Apocalisse, paragonati ai due Testimoni del Signore, descritti con le caratteristiche dei profeti Mosé ed Elia, anche se alcuni ritengono siano Pietro e Paolo. (Ap 11,4).
Nei Vangeli, numerosi sono i riferimenti all’olio. Nella parabola delle dieci vergini (Matteo 25), le cinque sagge vanno incontro allo sposo con olio e lampade, contrariamente alle stolte che dimenticano l’olio in attesa del Cristo.
È ancora l’olio prezioso che, a Betania, Maria, sorella di Lazzaro (Matteo 26), verserà sul capo del Signore mentre Egli siede a mensa. « Versando questo olio sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura », risponderà a chi gridava allo spreco. Senza dimenticare che la preghiera di Gesù avviene ai piedi del monte degli Ulivi, nel Getsémani (che significa « frantoio per l’olio ») dove si ritirava spesso con i suoi discepoli (Luca 22,39). Ma è ancora in San Paolo che troviamo un’illuminante dissertazione a proposito dell’oleastro contrapposto all’olivo buono: « Se tu infatti sei stato reciso dall’oleastro che eri secondo la tua natura e contro natura sei stato innestato su un olivo buono, quanto più essi che sono della medesima natura, potranno venire di nuovo innestati sul proprio olivo! » (Romani 11,24), dove per oleastro Paolo intende il pagano convertito.
UN KNOW-HOW… D’ALTRI TEMPI
Già mille anni prima di Cristo, contemporaneamente all’espansione greco e fenicia nel Mediterraneo, troviamo testimonianze di tecniche produttive affini alle nostre. Nel Medio Oriente la raccolta delle uve da vino avveniva alla fine dell’estate. Le uve venivano stese a terra per poco tempo prima della pigiatura. La Festa delle Capanne o Festa dei Tabernacoli (Sukkot) – ricordo dell’esodo dall’Egitto verso la Terra Promessa – avveniva all’inizio dell’autunno. Proprio in questo periodo le uve venivano raccolte e ammassate. Nel terreno roccioso si scavavano pozzi o tini che poi venivano appaiati, cosicché quando le uve venivano pigiate nel pozzo superiore, il loro succo ricadeva in quello sottostante. Il succo d’uva veniva poi raccolto dal pozzo inferiore e posto in anfore di argilla o in orci fatti di pelli animali. Tali recipienti dovevano prevedere un’apertura per far uscire il gas cui dava inizio il processo di fermentazione.
Ma è l’Antico Testamento ad essere un’autentica miniera di informazioni sulla viticoltura palestinese. Il profeta Gioele paragona il giudizio divino sugli empi alla pigiatura delle uve, come sarà poi nell’Apocalisse: « vendemmia i grappoli della vigna della terra, perché le sue uve sono mature. L’angelo (..) vendemmiò la vigna della terra e gettò l’uva nel grande tino dell’ira di Dio. »
Il termine ebraico « yayin » vi compare ben 141 volte per indicare il succo fermentato della vite, « vecchio » se superiore a un anno di maturazione, « stravecchio » oltre i tre. Frequente era il suo utilizzo con spezie, miele e pepe. Il precursore del novello era detto « tirosh » e, se mescolato a mosto, « ashishah » (etimo curioso, induce ad altre e più pervicaci ebbrezze). Secondo le Scritture, il Primo Libro di Samuele identifica due tipi di contenitori, giare o otri, il « nepel » e il « nod », di pelle di capra o di pecora. Il nettare di Bacco si beveva invece in scodelle chiamate « mizrak » e nel « kos » (coppa), di origine greca.
Prescindendo dalle locuste e dal miele selvatico di cui si nutriva il Battista, tentiamo di fornire un piccolo elenco di alimenti del tempo.
I legumi occupavano un posto di primissimo piano: fave, lenticchie (le prime a essere menzionate nella Bibbia, resero celebre Esaù), ma anche insalate, cetrioli, cipolle. Scarso il consumo di carne, alimento di lusso riservato alle feste e alle mense dei ricchi. Il vitello grasso (vedi parabola del Buon Samaritano) era per le grandi occasioni, l’agnello per le feste religiose, mentre per i pasti ordinari si consumava carne di capra, piccione, ma anche gazzella, quaglia e pernice. Ma era soprattutto il pesce ad alimentare la popolazione, consumato spesso alla griglia (Gesù dopo la Resurrezione) o fatto seccare. Pane e pesce era considerato il menu abituale, tale da essere poi « moltiplicato » da Gesù.
Grande l’uso delle spezie: cumino, coriandolo, zafferano, ma anche capperi e il famoso sale del Mar Morto. Il burro era per lo più sconosciuto, vista la preponderanza dell’olio d’oliva, anche come farmaco. Poi, moltissima frutta: meloni, melograni, datteri, fichi, uva, ma anche frutta secca grigliata: mandorle, noci, pistacchi. I più poveri si nutrivano di pane d’orzo, olive e frutta.
FONTI BIBLIOGRAFICHE
La Bibbia di Gerusalemme EdB
International Standard Bible Encyclopedia (ISBE)
Personaggi della Bibbia Mondadori Editore
Daniel Rops « La vie quotidienne en Palestine au temps de Jésus »

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