I compagni di Padre Kolbe raccontano (Con il santo di Auschwitz)
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(3 marzo 2001)
I compagni di Padre Kolbe raccontano
Con il santo di Auschwitz
di François Vayne
Molti confratelli del frate polacco martirizzato ad Auschwitz vivono ancora a Niepokalanow, la « Città dell’Immacolata », la comunità francescana da lui fondata alla fine degli anni Venti. La loro testimonianza restituisce vitalità al messaggio di padre Massimiliano Kolbe: conquistare tutto il mondo all’Immacolata.
La « Città dell’Immacolata » sorge non lontano da Varsavia. Il suo nome in polacco è « Niepokalanow », e accoglieva più di 700 religiosi quando era ancora in vita il fondatore, padre Massimiliano Kolbe, l’apostolo della stampa che diffuse dall’Europa all’Asia il suo messaggio di santità. Arrestato una prima volta dai tedeschi nel 1939, simpatizzò con il comandante del campo, Hans Mulzer, arrivando al punto di fargli scivolare tra le mani una medaglia della Vergine Maria… Molti anni dopo, un figlio dell’ufficiale verrà a Niepokalanow, testimone fedele di quel rapporto spirituale intessuto in circostanze terribili.
Il secondo arresto di padre Kolbe, da parte della Gestapo nel febbraio del 1941, lo porterà al Lager di Auschwitz, dove offrirà la sua vita per salvare quella di un padre di famiglia, Francesco Gajowniczek. Quest’ultimo sarà presente, quarant’anni dopo, alla canonizzazione del «martire della carità», e il suo corpo riposa oggi nel cimitero di Niepokalanow, tra i fratelli che si sono trasferiti dalla terra al cielo…
Quando, il 16 ottobre del 1917, in piena rivoluzione bolscevica e alla luce delle apparizioni di Fatima, il giovane Massimiliano Kolbe fondava a Roma la Militia Immaculatae, la « Milizia dell’Immacolata », aveva già la ferma intenzione di diventare un santo, un grande santo. «Dobbiamo conquistare il mondo intero a questo amore», diceva. «Fino a quando l’Immacolata amerà il Signore Gesù in ogni anima e attraverso ogni anima. Questo è il programma del nostro lavoro, questo è il nostro ideale».
Paolo VI lo beatificò nel 1971 e Giovanni Paolo II lo canonizzò il 10 ottobre 1982, indicandolo all’umanità come modello di santità per tutti attraverso la consacrazione totale di sé stesso all’Immacolata. Lo Spirito Santo, con la grazia «forma le anime nell’Immacolata e attraverso l’Immacolata, a somiglianza del primogenito, l’Uomo Dio»: per tutta la vita padre Kolbe cercherà di mettere in pratica quest’intuizione profonda, soprattutto nel contatto quotidiano con i religiosi che lavoravano con lui all’edizione del Cavaliere dell’Immacolata, giornale di evangelizzazione che nel 1939 raggiungerà la tiratura di 750.000 copie.
Oggi, sul marciapiede della stazione di Teresin-Niepokalanow, una statua dell’Immacolata accoglie i visitatori. «I ferrovieri innaffiavano spesso i fiori ai piedi della statua con l’acqua delle locomotive», diceva fra Constantin Brodzik, che entrò nel convento di padre Kolbe nel 1932, all’età di 15 anni. «Quando i tedeschi, alla fine della guerra, fecero saltare in aria la stazione, la statua rimase intatta…».
Sulla strada che porta al convento si leva un’altra statua dell’Immacolata, posta simbolicamente sopra sacchi di cemento. «Essa ricorda a tutti il bisogno di costruire i nostri progetti con l’Immacolata», osserva ancora fra Constantin, con voce esile e il suo sguardo gioioso. Al centro della « Città dell’Immacolata », tra due betulle, una statua della Vergine Maria manifesta ancora l’onnipresenza della Madre di Dio in questi luoghi, non lontano dalla caserma dei vigili del fuoco, animata e diretta dai frati francescani.
Molto anziani, ma dotati di grande memoria per tutto ciò che riguarda l’esperienza vissuta accanto al « folle di Nostra Signora », i compagni di Massimiliano Kolbe ancora vivi conoscono i due grandi alberi che contornano la statua del convento da quando furono piantati… «Padre Kolbe resta spiritualmente con noi. Ci sembra di sentirlo ripetere: « Abbiate fiducia nell’Immacolata, lasciatevi guidare da lei »», mormora fra Constantin, che era incaricato di rispondere alla posta dei lettori del Cavaliere. «Padre Kolbe pregava spesso, preghiere brevi davanti all’Eucaristia, per le intenzioni dei nostri lettori e donatori. L’intensità del suo raccoglimento ci impressionava. Ci siamo resi conto della grandezza dell’uomo solo gradualmente: era un mistico dell’Immacolata. Attingeva la sua energia in lei, e la sua fragile salute – aveva un solo polmone – non diminuiva affatto la sua capacità di lavoro».
Padre Yves Achtelik, entrato in convento nel 1936, quando padre Kolbe tornò dal Giappone, ricorda che un giorno c’erano sette frati seduti in cortile e discutevano dell’Immacolata, facendosi domande sul vero posto che aveva nella loro vita. «Padre Kolbe venne a sedersi in mezzo a noi alla maniera giapponese e ci disse: « Figlioli cari, l’Immacolata è dentro di noi, il Cielo è dentro di noi »».
«Poteva chiamarci suoi figli perché in realtà ci ha generati nell’Immacolata», commenta fra Cyrion Sobiech, entrato a Niepokalanow nel lontano 1927, nei primi tempi della fondazione del convento. «Vivevamo spartanamente, in baracche di tavole, allegri e poveri come i primi discepoli di san Francesco». La maggior parte di quei vecchi frati, dall’età media di novant’anni, scoprirono la loro vocazione leggendo il Cavaliere, al quale erano abbonati i genitori.
Quando i giovani frati, arrivando a Niepokalanow, scoprivano la personalità di padre Kolbe, erano immediatamente colpiti dalla sua umanità. Molto aperto alle esigenze dei giovani, aveva incoraggiato la creazione di un’orchestra nella comunità. «Uomo tra uomini, era allegro, gli piaceva raccontare barzellette, far ridere i malati in infermeria per sollevarli», racconta fra Felissime Sztyk, che ha dipinto i ritratti più celebri di padre Kolbe, avendo vissuto con lui soprattutto in Giappone. «Giovanissimo, seguivo san Massimiliano come un vitello segue sua madre, anche in bicicletta», osserva sorridendo, accarezzandosi la lunga barba bianca. «Ci diceva che un polacco non va all’inferno perché grida istintivamente « Gesù, Maria » quando è spaventato, e allora il diavolo lo respinge…». Durante le ricreazioni a padre Kolbe piaceva parlare della natura, con gli accenti di Francesco d’Assisi. «Dalla sua persona emanava una grande bontà; in ogni persona, chiunque fosse, vedeva un fratello in Dio. Sapeva essere per noi un padre e una madre, disponibile a tutte le ore del giorno o della notte», sottolinea ancora fra Felissime.
Fra Gregorio Siry, 98 anni, recentemente rientrato dal Giappone, dove esiste ancora Il Cavaliere dell’Immacolata, giocava spesso a scacchi con padre Kolbe. «Non gli piaceva perdere, e perdeva raramente… Era un temibile stratega, che aveva messo tutte le sue qualità organizzative, in grado di anticipare il futuro, al servizio dell’evangelizzazione… Se fosse vissuto oggi, avrebbe fondato una televisione via satellite», osserva fra Gregorio, che non dimentica il grande desiderio che aveva padre Kolbe di creare opere cinematografiche. «Non condannava mai niente, ma cercava in ogni cosa l’elemento positivo, utilizzando i progressi tecnici per diffondere il Regno di Dio sulla terra».
Padre Kolbe andava ogni giorno nella tipografia di Niepokalanow, indicando le correzioni che riteneva necessarie prima della chiusura del Cavaliere. «Un giorno mi chiese di rettificare un’immagine della Madonna che secondo lui assomigliava troppo a una dama parigina…», ricorda fra Felissime. Riteneva l’infermeria uno dei « laboratori » essenziali del convento, per la centralità della preghiera nella nostra opera apostolica. «Voi che soffrite, siete un gruppo di lavoro, uno dei più importanti».
Fra Zenobio Gacek, entrato a Niepokalanow nel 1936 all’età di 17 anni, ricorda anche le riunioni di preghiera di ogni mattina, alle 6: «Recitava il rosario con noi, ma non come noi. Sentivamo che lui aveva con l’Immacolata un rapporto privilegiato, che traspariva nel lavoro della giornata». La domenica, durante la conversazione settimanale, dava consigli di vita partendo dalle cose viste durante la settimana, «ma non si arrabbiava mai sul momento con nessuno di noi», confida fra Zenobio. «La sua priorità era sempre l’annuncio del Vangelo nei media, e voleva che niente frenasse quello slancio missionario».
Il progetto di una grande chiesa per il convento gli sembrava quindi meno urgente che investire nella stampa. «Se la Chiesa, in Spagna, invece di costruire edifici di culto, avesse investito nell’insegnamento e nella comunicazione, non ci sarebbe stata la rivoluzione», affermò un giorno nel 1936. «La stampa, la stampa, la stampa: per trasmettere a tutti la buona novella di Cristo».
Fra Cyrion Sobieck osserva che alla fine la chiesa fu costruita, ma venne consacrata solo nel 1954, durante la prigionia del primate di Polonia, molto dopo la morte di padre Kolbe. «Quando i comunisti impedirono la larga diffusione del Cavaliere, i soldi raccolti furono impiegati per la costruzione della chiesa. Ogni cosa ha il suo momento. San Massimiliano aveva ragione, vedeva lontano e aveva fiducia nell’operato della Provvidenza attraverso gli avvenimenti. La sua opera immensa testimonia la forza della sua anima».
In Giappone, nonostante i suoi problemi di salute, preferiva muoversi a piedi piuttosto che prendere il tram. «Il biglietto del tram corrispondeva al prezzo di un numero del Cavaliere», spiega fra Gregorio, che aveva raggiunto san Massimiliano a Nagasaki, via Siberia. «Era coraggioso, audace, semplice, con lui si respirava sempre l’aria pura delle vette!».
Quando la Gestapo venne ad arrestare padre Kolbe, il 17 febbraio 1941, molti religiosi avevano già lasciato il convento su sua richiesta. Solo alcuni erano rimasti, perché non avevano dove andare. «Non volevamo partire, sapevamo che sarebbe accaduto qualcosa di grave. Ci aveva detto che non sarebbe sopravvissuto alla guerra, e noi avremmo voluto morire con lui», confessa fra Constantin senza poter trattenere le lacrime.
Fra Felissime servì l’ultima messa di padre Kolbe, a Niepokalanow: «Celebrava l’Eucaristia come ogni sacerdote, né troppo in fretta né troppo lentamente». Il giovane religioso quel giorno assistette dalla finestra all’ultimo arresto. «Portano via nostro padre!», aveva gridato sconvolto. «Sapemmo della sua morte da un testimone oculare che ha redatto una testimonianza scritta». Anche altri frati sono morti laggiù, come padre Pius Bartosik e padre Antoni Bajewski. «Avevamo accolto più di un migliaio di ebrei tra le mura del convento e questo era imperdonabile agli occhi delle SS», commenta fra Constantin.
I frati sopravvissuti hanno conosciuto il periodo comunista, e finalmente hanno visto sorgere l’alba sull’Europa dell’Est. «È difficile non fare accostamenti tra l’ultima apparizione di Fatima, avvenuta il 13 ottobre 1917, la rivoluzione russa dello stesso periodo, la fondazione della « Milizia dell’Immacolata », il 16 ottobre 1917, e l’elezione pontificia di Giovanni Paolo II, il 16 ottobre 1978, primo Papa slavo della storia e « figlio spirituale » di san Massimiliano», conclude fra Constantin. Ora conserva tutti questi avvenimenti nel cuore e medita giorno dopo giorno, pregando l’Immacolata affinché padre Kolbe venga proclamato « Dottore della Chiesa ». «Abbiamo vissuto con il santo patrono di questo secolo difficile. Saprà certamente proteggere dall’alto tutti i figli del nuovo secolo».
François Vayne
(traduzione di Bruno Pistocchi)
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