La Stella di Betlemme: I. La stella di Betlemme e i Magi nella Sacra Scrittura
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La Stella di Betlemme
Michele Crudele
I. La stella di Betlemme e i Magi nella Sacra Scrittura
Nelle rappresentazioni artistiche tradizionali della Natività di Gesù di Nazaret compare un riferimento di natura astronomica, legato alle apparenze del cielo, comunemente indicato col nome «stella di Betlemme». All’origine di tale richiamo vi è un motivo di carattere biblico, essenzialmente il testo del Vangelo secondo Matteo (cfr. Mt 2,1-11). Il modo più diffuso di riferirsi a questa “stella”, specie nel linguaggio comune, è quello di chiamarla “stella cometa”. È con le apparenze di una cometa, appunto, che la stella di Betlemme viene ritratta nelle opere artistiche più famose e riprodotta nella maggior parte dei presepi, artistici o familiari, conosciuti dalla tradizione cristiana.
Accanto a commenti di natura spirituale e teologica — alcuni fra i quali hanno semplicemente qualificato la stella come un “evento miracoloso” — nel corso della storia non sono mancate domande sulla reale possibilità e sulla natura di un fenomeno celeste come quello descritto dal Vangelo. Quest’ultimo interrogativo possiede, in linea generale, dei riflessi interdisciplinari, in quanto uno studio su cosa abbia dato origine al fenomeno visto dai Magi è in fondo ancora un’indagine sui rapporti tra Rivelazione biblica e mondo naturale. In ambito teologico, una tale indagine riguarderebbe la ricerca di quei significati, allegorici o simbolici, legati alla stella, che l’ermeneutica biblica può scoprire e valutare alla luce della tradizione teologica ed ecclesiale. In ambito scientifico, l’aspetto interdisciplinare concerne invece l’eventualità di ricercare se e come la stella di Betlemme possa venire associata ad un determinato fenomeno astronomico realmente avvenuto: fra le possibili ricadute positive di tale riconoscimento vi sarebbe anche quella di fornire utili elementi — senza dubbio fra i più decisivi — alla datazione storica della nascita di Gesù (cfr. Firpo, 1983). A testimonianza dell’interesse che la stella di Betlemme ha suscitato e continua a suscitare anche fra gli scienziati depone ormai una certa bibliografia, sotto forma di molteplici articoli ed alcune qualificate monografie (cfr. Hughes, 1979; Martin, 1996, Teres, 2000). Minore, ma non trascurabile, l’attenzione rivoltale dalla teologia e dall’esegesi (cfr. Holzmeister, 1942; Rosenberg, 1972; Quéré e Léna, 1996).
I. La stella di Betlemme e i Magi nella Sacra Scrittura
Il Vangelo di Matteo è l’unica fonte del NT che parla di questo oggetto, indicandolo col nome di «stella» (gr. astér). Riportiamo qui il testo completo: «Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella (tòn astéra en têi anatolêi) e siamo venuti per adorarlo”. All’udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele”. Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: “Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo”. Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella (o astér), che avevano visto nel suo sorgere (en têi anatolêi), li precedeva (proêghen autoús), finché giunse e si fermò sopra (estáthe epáno) il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese […]. Erode, accortosi che i Magi si erano presi gioco di lui, si infuriò e mandò ad uccidere tutti i bambini di Betlemme e del suo territorio dai due anni in giù, corrispondenti al tempo su cui era stato informato dai Magi» (Mt 2,1-12.16)
Come è noto, il testo del Vangelo di Matteo a noi trasmesso è quello greco. Su un possibile originale aramaico si fanno solamente supposizioni. Il problema dell’interpretazione del testo va quindi fatto partire dalle espressioni greche. Le parole en têi anatolêi dei vv. 2 e 9 sono state tradotte spesso in passato con la forma «in oriente», facendo sembrare che si riferissero al “luogo” in cui i Magi si trovavano quando videro la stella. La traduzione italiana ufficiale contemporanea riporta più correttamente: «nel suo sorgere». Infatti, l’espressione è usata per indicare un oggetto stellare il quale, seguendo la rotazione della volta celeste dovuta alla rotazione della terra, “sorge”; si tratterebbe, secondo alcuni, precisamente del suo sorgere in opposizione al sole: vorrebbe dire, cioè, che mentre il sole tramonta, quell’oggetto sorge. Vale la pena subito notare che questa prima e più semplice interpretazione porterebbe a considerare la menzione o l’apparizione della stella come un riferimento di natura simbolica, ma non come una vera e propria indicazione di direzione: se i Magi venivano «da oriente», come si dice infatti al v. 1, essi non potevano avere, come guida materiale verso occidente (Gerusalemme), un oggetto che, almeno in quel momento dell’anno, appariva a levante. Non conosciamo quale sia stata la fonte di Matteo riguardo l’episodio dei Magi. Se alla sua base vi fosse una narrazione risalente alla madre di Gesù, sarebbe forse più plausibile non attribuire un eccessivo peso tecnico ai termini utilizzati.
Nell’AT, il Libro dei Numeri riporta la seguente affermazione: «Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele» (Nm 24,17). Sono parole di Balaam, indovino o mago il quale, chiamato dal re moabita Balac a maledire Israele, invece lo benedice e ne profetizza un futuro radioso perché riceve una rivelazione divina al riguardo. Le interpretazioni di questo testo spaziano dall’identificare la stella con il re Davide (trae qui origine il simbolo del popolo di Israele noto come «stella di Davide»), fino a vederne un anticipo della manifestazione della stella di Betlemme. La stella che spunta da Giacobbe potrebbe essere però lo stesso Messia: così era già letto da alcuni commentatori ebrei dei primi secoli avanti Cristo.
La profezia riferita in Mt 2,6 dai sacerdoti interpellati da Erode è quella del Libro di Michea: «E tu, Betlemme di Efrata così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele» (Mi 5,1). Si può notare la differenza con la trascrizione da parte di Matteo che capovolge l’affermazione «così piccola» in «non sei davvero il più piccolo»: ciò non cambia il senso, ma piuttosto lo rafforza. È una delle numerose dimostrazioni dell’uso delle citazioni dell’AT, tanto frequenti in Matteo, alla luce degli eventi accaduti nel NT. Contrariamente al nostro atteggiamento moderno, all’autore sacro non interessava la perfetta corrispondenza testuale, ma il senso e il simbolismo delle profezie. Gli altri evangelisti ( Vangeli) non parlano dei Magi, né della stella. Per Marco e Giovanni non c’è da stupirsi in quanto la loro narrazione inizia con la vita pubblica di Gesù, mentre Luca, molto dettagliato sull’infanzia, curiosamente non cita nulla di questo episodio. Forse Luca conosceva il Vangelo di Matteo e non volle ripetere quanto vi si trovava già scritto. C’è anche chi attribuisce a Luca una certa prudenza nell’evitare di parlar bene dei persiani (popolo di provenienza dei Magi), perché nemici di Roma.
Secondo Erodoto (V sec. a.C.), i Magi (gr. mágoi) sarebbero stati una casta dei Medi, appartenenti alla classe dotta dei sacerdoti, studiosi dei libri sacri e dediti all’osservazione del cielo (cfr. Storie, lib. I, 101), ma la ricerca storiografica più recente ne colloca l’origine più probabilmente a Babilonia e in Persia, piuttosto che nella Media. Nell’Antico e Nuovo Testamento con quel nome si indicano persone dedite alla magia, seppur ampiamente intesa. Matteo non parla di “re”, né sono definiti così dai Padri della Chiesa più antichi; eppure già Tertulliano all’inizio del 200 scrive che i Magi in Oriente erano considerati re. La spiegazione può essere nel desiderio di applicare profezie come quella di Isaia: «Cammineranno i popoli alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere» (Is 60,3), oppure del Salmo 68: «Per il tuo tempio, in Gerusalemme, a te i re porteranno doni» (Sal 68,30). Il fatto che l’evangelista Matteo non citi queste e altre profezie, pur così opportune e applicabili agli eventi narrati, potrebbe essere un indizio della storicità del racconto dei Magi: sapendo che non erano re, non ritiene che queste citazioni siano pertinenti alla loro adorazione del Bambino. Se avesse avuto come obiettivo solamente il compimento di profezie, non avrebbe perso l’occasione di utilizzare anche queste. Presto, però, nella cristianità si cominciò a chiamare Re i Magi, anche per indicare la loro importanza e, con la loro adorazione, la sottomissione dei potenti della terra al Dio fatto Bambino.
I personaggi in questione erano quasi certamente di religione zoroastriana e cultori dell’osservazione del cielo, assai probabilmente astrologi, nel senso che questo termine indicava all’epoca, nella sua accezione assiro-babilonese e non ellenica. Ricordiamo che nell’originale tradizione mesopotamica le apparenze del cielo venivano viste come un “riflesso” e a volte una “anticipazione” di quanto avveniva sulla terra, ma senza implicazioni di carattere causale ed astrolatrico ( Cielo, II.1). Dei Magi non se ne conosce il numero: la tradizione cristiana ne rappresenta due in un affresco del IV secolo nelle catacombe dei santi Marcellino e Pietro a Roma, tre o quattro in altre note rappresentazioni catacombali, ma anche fino a quattordici. Sui loro nomi, a partire dal VII secolo si trovano fonti a favore di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, come riferisce il Venerabile Beda (673-735), che specifica inoltre come il terzo fosse anche negro. I loro presunti resti furono trovati in Persia, portati a Costantinopoli da s. Elena o dall’imperatore Zenone, quindi trasferiti a Milano nel V secolo e poi portati definitivamente a Colonia nel XII secolo, nel cui Duomo esiste tuttora un sepolcro oggetto di grande venerazione. Il discorso rivolto nel 1980 da Giovanni Paolo II a scienziati ed universitari riuniti proprio in quella cattedrale a Colonia ne fa un esplicito riferimento in chiusura (cfr. Insegnamenti, III,2 (1980), p. 1211).
Riuscire a identificare la loro provenienza può aiutare a stimare il tempo di percorrenza dalla loro terra a Gerusalemme. A seconda della localizzazione nel vicino Oriente mesopotamico, le distanze dalla Città Santa variano tra gli 800 e i 2000 km; con una media di 50 km al giorno (un’andatura tranquilla per i cammelli delle carovane che attraversavano il deserto), la durata netta del viaggio potrebbe essere stata di 15-40 giorni. Ma non è escluso che un simile viaggio implicasse un tempo anche più lungo. In merito alla loro provenienza, Tertulliano dirà che essi venivano dall’Arabia, applicando alla lettera uno dei salmi messianici: «i re degli Arabi e di Saba offriranno tributi» (Sal 72,10).
È ragionevole ipotizzare, sempre alla luce dei pochi dati presenti nei Vangeli, che la visita dei Magi non sia avvenuta nel luogo, provvisorio e di fortuna, ove nacque Gesù. Al v. 11 del testo di Matteo è esplicito l’utilizzo del termine «casa» (gr. oikía); la cronologia degli eventi sembra propendere per la collocazione della visita tra la circoncisione, avvenuta otto giorni dopo la nascita (cfr. Lc 2,21), e la successiva presentazione di Gesù al tempio con la purificazione di sua madre al quarantesimo giorno dal parto (cfr. Lc 2,22). Esiste infine un riferimento alla stella di Betlemme nel Protovangelo di Giacomo, un testo apocrifo del II secolo ( Vangeli, III). Come accade di frequente in queste fonti, le descrizioni sono spesso esagerate ed enfatizzate, per cui il riferimento alla stella come “tanto brillante da far scomparire le altre stelle” non può essere utilizzato come un dato attendibile per ricostruire l’eventuale natura fisica del corpo celeste e le modalità della sua comparsa.
Riassumendo quanto fin qui visto a partire dall’analisi del testo evangelico e dalle conseguenze che da esso possono dedursi, è possibile fare alcune considerazioni sulle condizioni minime che una spiegazione naturale della «stella di Betlemme» (cioè come corpo o fenomeno fisico realmente apparso) debba soddisfare. La stella deve essere stata vista da un Paese ad est della Palestina, al momento del suo sorgere. Non deve essere stato un fenomeno tanto eclatante da risultare chiaramente visibile a Gerusalemme, altrimenti non si comprenderebbero la sorpresa ed il turbamento di Erode — e con lui di tutta la città — a quanto i Magi narrarono circa l’apparizione della stella. È possibile anche pensare che a Gerusalemme il fenomeno fosse stato visto, ma non fosse stato associato alla nascita del Messia; in questo modo si spiegherebbe la richiesta fatta ai Magi, da parte di Erode, di conoscere «con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa». Siamo dunque di fronte ad un fenomeno la cui congiuntura è sufficientemente chiara da motivare un viaggio a Gerusalemme, ma al tempo stesso sufficientemente discreto da essere riconosciuto facilmente solo da “professionisti” dell’osservazione del cielo. Il testo evangelico non parla in alcun modo di una stella “che indichi il cammino” dal Paese dei Magi a Gerusalemme, mentre il v. 9, segnalando che la stella «li precedeva», si riferisce solo alla parte finale del tragitto, quella da Gerusalemme a Betlemme. In linea generale va comunque affermato che, sempre secondo il testo, il motivo che spinge i Magi a recarsi in Palestina non consiste in una “indicazione direzionale”, ma va cercato altrove.
Nella narrazione può risultare inusuale il fatto che Erode non abbia seguito o fatto seguire i Magi a Betlemme, pensando che questa si trova a circa 10 km da Gerusalemme. Pur se i Vangeli ce lo descrivono di solito molto sospettoso, è possibile che Erode si fosse fidato di loro, oppure non avesse voluto mancare di riguardo a ospiti così illustri. Meno strano è il fatto che li abbia convocati segretamente: ciò risulta in linea con quanto ci viene detto circa il carattere del re giudeo; si può immaginare che egli non volesse dare adito a chiacchiere sul suo interessamento verso un futuro Messia, il cui ruolo sarebbe stato quello di spodestarlo. Nella visione giudaica dell’epoca, il Messia era atteso infatti come un re ed un liberatore terreno, che avrebbe riscattato il suo popolo dalla dominazione straniera.
Nel partire verso Betlemme i Magi videro nuovamente la stella, che «li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino» (Mt 2,9). Questa descrizione, se interpretata alla lettera, è la più stringente e difficile da associare ad un fenomeno naturale. Si sta dicendo innanzi tutto che la “stella” si vede da Gerusalemme verso sud (cioè nella direzione di Betlemme), mentre non è chiaro il significato dell’espressione «si ferma sopra», che può indicare una posizione sulla verticale, in alto, oppure in basso avanti, traguardando da lontano la casa. Il verbo greco, nella forma passiva, indica semplicemente lo «stare fermo», mentre l’avverbio «sopra» ne individua la posizione. Il testo segnala infine che i Magi provarono una «grandissima gioia» nel rivedere la stella, in quanto la sua chiara ricomparsa viene subito interpretata come una conferma dell’esattezza della loro decisione di andare a Betlemme, un’emozione particolare forse non lontana da quella che prova uno studioso quando riceve la conferma sperimentale di una deduzione teorica o di una previsione scientifica.
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