TANTI AUGURI DI BUON 2012 A TUTTI

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Omelia (01-01-2009)
padre Antonio Rungi
La Madre di Dio, regina della pace
Nell’ottava di Natale, nel primo giorno del nuovo anno, la Chiesa celebra solennemente Maria Madre di Dio: è una festa che si rifà alla proclamazione del dogma da parte del Concilio di Efeso nel 431 d.C., uno dei primi dogmi proclamati da un concilio ecumenico che lasciò adito a molte critiche da parte di coloro che non compresero esattamente il senso di questa affermazione di carattere teologico, ma soprattutto spirituale e pastorale. Essendo madre di Cristo, ed essendo Cristo Figlio di Dio, Maria è Madre di Cristo e Madre di Dio. E? la Theotokos. Il Concilio, infatti, decretò che Gesù era una persona sola, non due persone distinte, completamente Dio e completamente uomo. La Vergine Maria è la Theotokos perché diede alla luce non un uomo, ma Dio come uomo. L’unione di due nature in Cristo si compì in modo che una non disturbò l’altra.
Una maternità singolare quella della Madonna, che ella esercitò nella pienezza delle sue facoltà e capacità proprio nei confronti di Gesù, dalla sua nascita alla sua ascensione al cielo. Una maternità che Gesù stesso, dalla Croce, estende alla chiesa e all?umanità intera, quando affida alla custodia del discepolo prediletto, Giovanni, la sua Madre, mentre sta morendo sulla croce per la salvezza del genere umano. Missione quella di Maria nei confronti dell?umanità intera espressa nella preghiera dell?assemblea eucaristica all?inizio della celebrazione odierna: ?O Dio, che nella verginità feconda di Maria hai donato agli uomini i beni della salvezza eterna, fa? che sperimentiamo la sua intercessione, poiché per mezzo di lei abbiamo ricevuto l?autore della vita?.
Tale intercessione la sentiamo particolarmente necessaria, urgente ed indispensabile in questo momento storico che stiamo vivendo. Un momento difficile a livello di guerre, cattiverie, ingiustizie, recessione economica, difficoltà di ogni genere nel mondo. Ecco perché all?inizio del nuovo anno la Chiesa affida proprio all?intercessione della Madonna l?intero anno, quello corrente è l?anno del Signore 2009, e celebra contestualmente la giornata mondiale della pace.
E sul tema della pace è prevalentemente imperniata la parola di Dio di oggi, ben sapendo che la Madonna, presente con Gesù Bambino e Giuseppe, dopo la nascita del Redentore nella Grotta di Betlemme, è la Regina della pace e la Madre della Misericordia, la Madre della Grazia e che ottiene e concede le grazie di cui tutti abbiamo bisogno. Il testo del vangelo di Luca che oggi leggiamo ci fa assaporare nelle sua bellezza e tenerezza l?evento della nascita del Redentore dal grembo verginale di Maria e con la vigile protezione di San Giuseppe, padre putativo di Cristo.
Dal Libro dei Numeri apprendiamo il linguaggio della pace e facciamo nostro l?augurio di pace che il testo sacro ci offre nella semplicità del suo dire e nella sostanza del suo contenuto. Vorremmo che questo testo fosse concretamente attuato oggi in Israele e per Israele, impegnato nuovamente in una guerra contro i palestinesi, per la questione della striscia di Gaza e del problema Hamas, gruppo terroristico che guida la rivolta in Palestina. Nella Terra di Gesù due popoli in perenne conflitto, quando dovrebbero fare ogni sforzo per vivere in pace. Gerusalemme stessa indica appunto la città della pace. Ma di pace Gerusalemme ne ha vista ben poca prima e dopo la venuta di Cristo. Per questa città e per il mondo intero invochiamo la pace in questo inizio del nuovo anno e ci affidiamo alla Vergine Santa, Madre di Dio e Madre nostra. Mai più la guerra, ma solo pace e solo serenità nell?umanità.
Ci sia di sostegno in questo universale desiderio di pace un grande apostolo, Paolo di Tarso, una volta persecutore dei cristiani, e poi, convertito, un degno discepolo di Cristo e portavoce nel mondo della sapienza del vangelo. Il testo della lettera ai Gàlati ci immette in questa riflessione teologica sulla pace. Dio nostro Padre e noi suoi figli, eredi per grazia, fratelli tra noi in Cristo Redentore. Sono questi i contenuti essenziali di una verità fondamentale che ci porta ad incontrare i vicini e i lontani con l?animo dell?amore e della tolleranza ed accoglienza e mai con l?odio, il rifiuto e l?emarginazione. In Cristo l?uomo è sostanzialmente fratello al suo simile, perché siamo figli dello stesso Padre che è Dio.
Concludo questa mia riflessione nella giornata mondiale della pace augurando a tutti un felice e sereno anno nuovo, con la bellissima preghiera del Servo di Dio Giovanni Paolo II per la pace. In essa troviamo le nostre più sincere e profonde aspirazioni di pace per questo mondo e per l?anno nuovo: ?Dio dei nostri Padri, grande e misericordioso, Signore della pace e della vita, Padre di tutti. Tu hai progetti di pace e non di afflizione, condanni le guerre e abbatti l’orgoglio dei violenti. Tu hai inviato il tuo Figlio Gesù ad annunziare la pace ai vicini e ai lontani, a riunire gli uomini di ogni razza e di ogni stirpe in una sola famiglia. Ascolta il grido unanime dei tuoi figli, supplica accorata di tutta l’umanità: mai più la guerra, spirale di lutti e di violenza; minaccia per le tue creature in cielo, in terra e in mare. In comunione con Maria, la Madre di Gesù, ancora ti supplichiamo: parla ai cuori dei responsabili delle sorti dei popoli, ferma la logica della ritorsione e della vendetta, suggerisci con il tuo Spirito soluzioni nuove, gesti generosi ed onorevoli, spazi di dialogo e di paziente attesa più fecondi delle affrettate scadenze della guerra. Concedi al nostro tempo giorni di pace. Mai più la guerra?. Amen.
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Presenza di Maria nella Chiesa Ortodossa
Aspetti e significati della presenza di Maria nella Chiesa Ortodossa
Il mistero mariano
Entrando in una Chiesa Ortodossa o assistendo ad una celebrazione liturgica, si rimane colpiti dalle manifestazioni della vivissima pietà mariana. La Theotokos è presente sempre e in ogni luogo e il suo nome scandisce ogni preghiera. Maria è ricordata non soltanto nelle feste a lei dedicate come l’Annunciazione, la Dormizione ed altre, ma anche in ogni Liturgia, nella Preghiera delle ore e nelle grandi tappe della Storia della Salvezza: Natale, Pasqua, Ascensione, Pentecoste. « Per le preghiere della Madre di Dio, Signore salvaci! »: questa è l’invocazione che attraversa tutta la Liturgia ortodossa.
Accanto a questa esuberanza della glorificazione liturgica di Maria, spicca la sobrietà delle enunciazioni dogmatiche che la concernono. Se si prescinde da quanto affermato dal Simbolo Niceno-Costantinopolitano « ….nato per opera dello Spirito Santo…nel seno della Vergine Maria » e dall’appellativo di Theotokos ufficialmente attribuito a Maria dal Concilio di Efeso nel 431, la Chiesa Ortodossa, dopo l’epoca patristica, non ha più fatto affermazioni dogmatiche a proposito di Maria. L’Ortodossia non ha conosciuto, quindi, « sviluppi dogmatici » paragonabili a quelli della Chiesa Cattolica, né conosce una « mariologia sistematica » con tutta la serie di opere connesse a questo sviluppo. Nell’esposizione della fede ortodossa, come ad es. nell’ormai classico libro di Sergij Bulgakov dal titolo « L’Ortodossia », la mariologia occupa uno spazio modesto di alcune pagine, all’inizio di un capitolo sul culto dei Santi.
Nella Chiesa Ortodossa, in contrasto con la domatizzazione della devozione mariana della Chiesa Cattolica, si constata la serena ma ferma persistenza di una pietà mariana tradizionale ancorata alla cristologia e trasmessa essenzialmente attraverso la poesia liturgica.
Ancorata al dogma della Maternità divina, la cui intenzionalità è chiaramente cristologica, la pietà mariana ortodossa, trova la sua pienezza e il suo sbocco naturale nella preghiera liturgica e si esprime sotto forme di simboli poetici proposti ad una meditazione che sia capace di sondarne il senso e scoprirne progressivamente il significato.
La Theotokos
L’attribuzione del titolo Theotokos a Maria, risale molto indietro nel tempo ed ha origini oscure. Il termine è già presente su un papiro del III Secolo: « Sotto la tua protezione ci rifugiamo o Madre di Dio…. » Il termine Theotokos acquista tuttavia il suo autentico significato teologico e spirituale sia nel contesto delle controversie che precedettero il Concilio di Efeso, come nel Concilio stesso, dove viene collegato indissolubilmente « all’Incarnazione del Verbo come salvezza dell’uomo ».
La controversia che precede il Concilio di Efeso del 431, è chiara ed ha la sua espressione nei due massimi protagonisti Nestorio e Cirillo d’Alessandria.
Nestorio afferma che bisogna distinguere nettamente in Cristo ciò che appartiene alla divinità e ciò che appartiene all’umanità. In Cristo c’è una simmetria del divino e dell’umano che sono però giustapposti senza comunione di idiomi. Gesù e, insomma, un’individualità umana assunta dalla Divinità che trova in essa un tempio perfetto e consono a sé. Maria, di conseguenza, non è Theotokos, ma Christotokos, madre, cioè dell’uomo Gesù e non del Verbo di Dio.
Cirillo d’Alessandria ed il Concilio affermano, invece, che la persona del Verbo di Dio assume la natura umana e proprio in questa inscindibile unione sta il segreto della vera redenzione e della vera salvezza dell’uomo. Dio, nascendo realmente come uomo da una donna, « si rende vulnerabile e mortale ed è nella sua morte che Cristo, calpestando la morte, dona la vita a coloro che erano nelle tombe. » Se non avesse realmente assunto la natura umana, Dio non l’avrebbe guarita, poiché può essere salvato solo quello che è unito a Dio.
Maria, madre del Dio fattosi realmente uomo, è perciò la Theotokos, la Madre vera di Dio. Questa realtà le apre, a pieno titolo, le porte della glorificazione nella Chiesa e ne precisa anche il senso e il fondamento: Maria è inseparabile dal suo Figlio e tutta la sua gloria deriva dalla sua maternità fisica e spirituale, ricevuta da Dio per opera dello Spirito Santo.
Maria nella liturgia
Il culto di Maria trova il suo significato nel mistero centrale della salvezza: il Dio con noi, l’Emanuele. Per questo la Chiesa Ortodossa non ha ritenuto necessaria la proclamazione di altri dogmi oltre quello della Theotokos di Efeso. Questo dato fondamentale della Maternità divina, è espresso in maniera costante in un linguaggio simbolico e poetico nella dossologia liturgica. La poesia è, quindi, il tramite di un profondo messaggio teologico, teoantropologico e spirituale. Ecco le principali feste liturgiche mariane della Chiesa Ortodossa.
ANNUNCIAZIONE
É la festa per eccellenza, nello stesso tempo festa del Figlio di Dio che si fa uomo e festa di Colei attraverso la quale si realizza l’umanizzazione del Verbo divino che irrompe nella storia. La festa ha, dunque, un triplice significato: la glorificazione del Verbo di Dio che si fa uomo; la glorificazione di Maria, madre del Verbo di Dio; l’annuncio della salvezza agli uomini.
LA DORMIZIONE DI MARIA
Viene evocata la morte naturale della Madre di Dio su cui non si può nutrire alcun dubbio e si lascia chiaramente intuire che Maria, dopo la morte, è stata misteriosamente glorificata proprio nel suo corpo. Gli uffici della festa recitano: « Aprite, aprite le vostre porte, accogliete la Madre della luce senza tramonto… Perché oggi il cielo apre il suo seno per riceverla…..Gli angeli cantano la SS. Dormizione che noi celebriamo con fede….Sussulti ogni figlio della terra e celebri la venerabile assunzione della Madre di Dio ». Pur non oggetto di una definizione dogmatica, negare l’assunzione di Maria, considerata segno escatologico per la Chiesa perché mostra quale sarà la glorificazione della creatura alla fine dei tempi, per un ortodosso equivale ad una bestemmia.
NATIVITÀ DI MARIA
Questa nascita, ha il significato della vittoria del Dio vivo sulla sterilità umana ed è considerata come la realizzazione delle promesse fatte da Dio ai « giusti » dell’Antico Testamento. La Liturgia celebra Maria come il « fiore di Jesse », il « ramo fiorito della sua radice ». Eva, di cui Maria è figlia come ogni essere umano, esulta di gioia e proclama beata la sua figlia lontana. Pur affermando la santità di Maria sin dalla nascita, la Chiesa Ortodossa non afferma la « Concezione Immacolata », ritenendo che questa esenzione dal peccato sia incompatibile con la piena solidarietà di Maria col genere umano.
PRESENTAZIONE AL TEMPIO DI MARIA
La Chiesa Ortodossa non si pronuncia sulla storicità di questo evento, ma celebra in questa festa la santità di Maria che entra nel « Santo dei Santi ». Maria è la Panaghia « Tutta Santa », « più onorabile dei Cherubini, senza confronto più gloriosa dei Serafini ». La sua santità consiste nell’essere il primo tempio del Salvatore, pieno della grazia dello Spirito Santo che stende su di Lei la sua ombra e la rende capace di dare alla luce il Dio – Uomo. Maria è il tempio vivente di Dio che santifica quello costruito in pietra.
INTERCESSIONE DELLA MADRE DI DIO
Festa molto cara al popolo russo che si ricollega ad un’apparizione di Maria nella Costantinopoli del X secolo. Accompagnata da una schiera di Santi guidati da Giovanni Battista, Maria sarebbe apparsa ad Andrea e al suo compagno Efraim. Sollevato il suo velo Ella lo avrebbe esteso su di loro e sull’intera città di Costantinopoli in segno di perenne protezione.
Maria e la Chiesa, Maria e la nuova umanità
MARIA E LA CHIESA
Anche la Chiesa Ortodossa, come la Cattolica, pone uno stretto legame tra Maria e la Chiesa. Essa, tuttavia esita a proclamare Maria « Madre della Chiesa » perché considerando Maria la personificazione della Chiesa, la vede più madre nella che della Chiesa.
Come Madre nella Chiesa, Maria à la Pneumatofora, madre ed origine dell’umanità nuova. Causa di ciò che l’ha preceduta, Ella presiede al tempo stesso a ciò che è venuto dopo di Lei. E’ per Lei che gli uomini e gli angeli ricevono la grazia. Nessun dono è ricevuto nella Chiesa senza l’assistenza della Madre di Dio, primizia della Chiesa glorificata.
Maria è il volto della Chiesa, sposa di Cristo, è il cuore della Chiesa, il suo centro misterioso, ciò che ne produce il dinamismo e ciò che la orienta al fine ultimo che è Dio in tutto e in tutti.
Nella Chiesa e per la Chiesa Maria è il segno che anticipa questo fine: segno del regno di Dio già avvenuto, della creazione già salvata e, contemporaneamente, in attesa di Colui che viene.
MARIA E LA NUOVA UMANITA’
Maria è, nella visione ortodossa, l’umile ancella nella quale il Signore compie meraviglie e che il Signore stesso associa come persona libera e liberata dalla grazia, all’attuazione del proprio disegno di amore, facendo di Lei, la Madre del Figlio di Dio, la sovrana e al guida del popolo di Dio nella sua marcia verso il regno. Maria è il « segno », in una persona umana totalmente santificata dallo Spirito, della venuta del Regno, della Creazione interamente glorificata nella speranza.
Senza essere né un nume tutelare, né il modello della donna, Maria è il volto della nuova umanità, l’archetipo e la guida di coloro che, uomini o donne, aspirano a far nascere Cristo nel proprio cuore e le chiedono, perciò, di intercedere per loro, di far discendere su di loro i doni dello Spirito.
http://www.santiebeati.it/dettaglio/30600
San Silvestro I Papa
31 dicembre – Memoria Facoltativa
Papa dal 31/01/314 al 31/12/335)
Silvestro è il primo Papa di una Chiesa non più minacciata dalle terribili persecuzioni dei primi secoli. Nell’anno 313, infatti, gli imperatori Costantino e Licinio hanno dato piena libertà di culto ai cristiani, essendo papa l’africano Milziade, che è morto l’anno dopo. Gli succede il prete romano Silvestro. A lui Costantino dona come residenza il palazzo del Laterano, affiancato più tardi dalla basilica di San Giovanni, e costruisce la prima basilica di San Pietro. Il lungo pontificato di Silvestro (21 anni) è però lacerato dalle controversie disciplinari e teologiche, e l’autorità della Chiesa di Roma su tutte le altre Chiese, diffuse ormai intorno all’intero Mediterraneo, non è ancora affermata. Nel Concilio di Arles (314) e di Nicea (325) papa Silvestro non ha alcun modo di intervenire: gli vengono solo comunicate, con solennità e rispetto, le decisioni prese. Fu il primo a ricevere il titolo di «Confessore della fede».
Etimologia: Silvestro = abitatore delle selve, uomo dei boschi, selvaggio, dal latino
Martirologio Romano: San Silvestro I, papa, che per molti anni resse con saggezza la Chiesa, nel tempo in cui l’imperatore Costantino costruì le venerande basiliche e il Concilio di Nicea acclamò Cristo Figlio di Dio. In questo giorno il suo corpo fu deposto a Roma nel cimitero di Priscilla.
È il primo Papa di una Chiesa non più minacciata dalle terribili persecuzioni dei primi secoli. Nell’anno 313, infatti, gli imperatori Costantino e Licinio hanno dato piena libertà di culto ai cristiani, essendo Papa l’africano Milziade, che è morto l’anno dopo. Gli succede il prete romano Silvestro. A lui Costantino dona come residenza il palazzo del Laterano, affiancato più tardi dalla basilica di San Giovanni, e costruisce la prima basilica di San Pietro.
In pace con l’autorità civile, ma non tra di loro: così sono i cristiani del tempo. Il lungo pontificato di Silvestro (ben 21 anni) è infatti tribolato dalle controversie disciplinari e teologiche, e l’autorità ordinaria della Chiesa di Roma su tutte le altre Chiese, diffuse ormai intorno all’intero Mediterraneo, non è ancora compiutamente precisata.
Costantino, poi, interviene nelle controversie religiose (o i vescovi e i fedeli lo fanno intervenire) non tanto per “abbassare” Silvestro, ma piuttosto per dare tranquillità all’Impero. (Tanto più che lui non è cristiano, all’epoca; e infondata è la voce secondo cui l’avrebbe battezzato Silvestro).
Costantino indice nel 314 il Concilio occidentale di Arles, in Gallia, sulla questione donatista (i comportamenti dei cristiani durante le persecuzione di Diocleziano). E sempre lui, nel 325, indice il primo Concilio ecumenico a Nicea, dove si approva il Credo che contro le dottrine di Ario riafferma la divinità di Gesù Cristo («Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre»).
Papa Silvestro non ha alcun modo di intervenire nei dibattiti: gli vengono solo comunicate, con solennità e rispetto, le decisioni prese. E, insomma, ci appare sbiadito, non per colpa sua (e nemmeno tutta di Costantino); è come schiacciato dagli avvenimenti. Ma pure deve aver colpito i suoi contemporanei, meglio informati di noi: tant’è che, appena morto, viene subito onorato pubblicamente come “Confessore”. Anzi, è tra i primi a ricevere questo titolo, attribuito dal IV secolo in poi a chi, pur senza martirio, ha trascorso una vita sacrificata a Cristo.
Silvestro è un Papa anche sfortunato con la storia, e senza sua colpa: per alcuni secoli, infatti, è stato creduto autentico un documento, detto “donazione costantiniana”, con cui l’imperatore donava a Silvestro e ai suoi successori la città di Roma e alcune province italiane; un documento già dubbio nel X secolo e riconosciuto del tutto falso nel XV.
Un anno dopo la sua morte, a papa Silvestro era già dedicata una festa al 31dicembre; mentre in Oriente lo si ricorda il 2 gennaio.
Autore: Domenico Agasso
http://www.stpauls.it/madre/0812md/0812md01.htm
AL PRIMO POSTO
(per la festa della Sacra Famiglia)
Editoriale di Battista Galvagno
Tra famiglia e Natale esiste un legame fortissimo. Nell’esperienza di quasi tutti noi la festa evoca ricordi dell’infanzia felice, dei primi doni, della prima Messa di mezzanotte, degli incontri festosi con i parenti. Ma il legame va ben oltre, al punto che se ci sforziamo di cogliere nella famiglia il mistero del Natale, entriamo nel mistero di Dio.
La famiglia, prima casa di Dio. Quando Dio decide di scendere personalmente sulla terra, sceglie come sua casa una famiglia: non un tempio, una chiesa o altro edificio religioso, non un ambiente naturale suggestivo, non una reggia, ma una semplice abitazione, in cui vivono la loro tranquilla e fondamentalmente anonima esistenza due coniugi, Maria e Giuseppe. Qui Dio si è trovato e si trova a casa sua!
Nella famiglia, Dio si manifesta come amore che dà vita. L’abbiamo letto tante volte nella Genesi (1,27-28). L’uomo è immagine di Dio in quanto uomo-donna, che, in forza dell’amore, sono capaci di dare vita: è questa l’immagine di Dio più alta che si possa vedere su questa terra. Quando Dio ha scelto di farsi uomo ha ribadito questa logica, pensata fin dalla creazione del mondo. Il mistero di Dio si respira in famiglia, soprattutto quando essa celebra il « natale », la nascita di una vita nuova.
Nella famiglia, Dio si manifesta come amore che si fa dialogo. La teologia ha fissato con il dogma trinitario questa verità: in Dio ci sono tre Persone che dialogano eternamente tra loro. Nel Natale, Dio, nella persona del Figlio, si fa uomo all’interno di una famiglia, il luogo per eccellenza del dialogo, dell’incontro d’amore tra persone. Il dialogo è il contrassegno del successo-fallimento dell’amore: in alcune lingue « parlarsi » è sinonimo di amore e quando si arriva a « non parlarsi più » si è davvero a un punto critico! Tenere aperto il dialogo è dare ossigeno all’amore: l’ossigeno, da solo, non basta a dare vita, però è essenziale. Il Natale può essere un momento privilegiato di dialogo e incontro in famiglia per dare ossigeno all’amore.
Nella famiglia è essenziale la fiducia, principio della fede. La decisione che accomuna Maria e Giuseppe, in un passaggio altamente drammatico della loro esistenza, quando lei fu chiamata ad accettare la maternità divina e lui a credere alle parole-spiegazione dell’Angelo circa la gravidanza della fidanzata, è la fede in Dio. Essi non fanno altro che mettere Dio al primo posto, considerando le sue esigenze prioritarie rispetto alle considerazioni umane, alle dicerie della gente e addirittura al buon senso. Ora, una scelta del genere, prima o poi, in contesti diversissimi e certo meno drammatici, si ripropone ad ogni coppia. Sposarsi implica anche la definizione di una scala di valori e priorità. Determinante, per tutti, è la scelta del valore da mettere al primo posto: il denaro, la carriera, l’immagine e il ruolo sociale, i figli, Dio.
La famiglia come rifugio nei tempi di crisi. Maria e Giuseppe vissero l’esperienza della povertà, dell’esilio: vissero la crisi economica nelle sue varie sfaccettature. Noi ci apprestiamo a vivere un Natale di crisi. Forse ci possono aiutare le parole del teologo-martire Bonhoeffer nel Natale del 1943, in una lettera ai genitori dal carcere: «Dovunque ci sarà un Natale molto povero e silenzioso, più tardi i bambini se lo ricorderanno a lungo. Forse proprio per questo qualcuno s’accorgerà di cosa sia veramente il Natale».
BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 28 dicembre 2011
La preghiera e la Santa Famiglia di Nazaret
Cari fratelli e sorelle,
l’odierno incontro si svolge nel clima natalizio, pervaso di intima gioia per la nascita del Salvatore. Abbiamo appena celebrato questo mistero, la cui eco si espande nella liturgia di tutti questi giorni. È un mistero di luce che gli uomini di ogni epoca possono rivivere nella fede e nella preghiera. Proprio attraverso la preghiera noi diventiamo capaci di accostarci a Dio con intimità e profondità. Perciò, tenendo presente il tema della preghiera che sto sviluppando in questo periodo nelle catechesi, oggi vorrei invitarvi a riflettere su come la preghiera faccia parte della vita della Santa Famiglia di Nazaret. La casa di Nazaret, infatti, è una scuola di preghiera, dove si impara ad ascoltare, a meditare, a penetrare il significato profondo della manifestazione del Figlio di Dio, traendo esempio da Maria, Giuseppe e Gesù.
Rimane memorabile il discorso del Servo di Dio Paolo VI nella sua visita a Nazaret. Il Papa disse che alla scuola della Santa Famiglia noi «comprendiamo perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo». E aggiunse: «In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazaret, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri» (Discorso a Nazaret, 5 gennaio 1964).
Possiamo ricavare alcuni spunti sulla preghiera, sul rapporto con Dio, della Santa Famiglia dai racconti evangelici dell’infanzia di Gesù. Possiamo partire dall’episodio della presentazione di Gesù al tempio. San Luca narra che Maria e Giuseppe, «quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme, per presentarlo al Signore» (2,22). Come ogni famiglia ebrea osservante della legge, i genitori di Gesù si recano al tempio per consacrare a Dio il primogenito e per offrire il sacrificio. Mossi dalla fedeltà alle prescrizioni, partono da Betlemme e si recano a Gerusalemme con Gesù che ha appena quaranta giorni; invece di un agnello di un anno presentano l’offerta delle famiglie semplici, cioè due colombi. Quello della Santa Famiglia è il pellegrinaggio della fede, dell’offerta dei doni, simbolo della preghiera, e dell’incontro con il Signore, che Maria e Giuseppe già vedono nel figlio Gesù.
La contemplazione di Cristo ha in Maria il suo modello insuperabile. Il volto del Figlio le appartiene a titolo speciale, poiché è nel suo grembo che si è formato, prendendo da lei anche un’umana somiglianza. Alla contemplazione di Gesù nessuno si è dedicato con altrettanta assiduità di Maria. Lo sguardo del suo cuore si concentra su di Lui già al momento dell’Annunciazione, quando Lo concepisce per opera dello Spirito Santo; nei mesi successivi ne avverte a poco a poco la presenza, fino al giorno della nascita, quando i suoi occhi possono fissare con tenerezza materna il volto del figlio, mentre lo avvolge in fasce e lo depone nella mangiatoia. I ricordi di Gesù, fissati nella sua mente e nel suo cuore, hanno segnato ogni istante dell’esistenza di Maria. Ella vive con gli occhi su Cristo e fa tesoro di ogni sua parola. San Luca dice: «Da parte sua [Maria] custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2, 19), e così descrive l’atteggiamento di Maria davanti al Mistero dell’Incarnazione, atteggiamento che si prolungherà in tutta la sua esistenza: custodire le cose meditandole nel cuore. Luca è l’evangelista che ci fa conoscere il cuore di Maria, la sua fede (cfr 1,45), la sua speranza e obbedienza (cfr 1,38), soprattutto la sua interiorità e preghiera (cfr 1,46-56), la sua libera adesione a Cristo (cfr 1,55). E tutto questo procede dal dono dello Spirito Santo che scende su di lei (cfr 1,35), come scenderà sugli Apostoli secondo la promessa di Cristo (cfr At 1,8). Questa immagine di Maria che ci dona san Luca presenta la Madonna come modello di ogni credente che conserva e confronta le parole e le azioni di Gesù, un confronto che è sempre un progredire nella conoscenza di Gesù. Sulla scia del beato Papa Giovanni Paolo II (cfr Lett. ap. Rosarium Virginis Mariae) possiamo dire che la preghiera del Rosario trae il suo modello proprio da Maria, poiché consiste nel contemplare i misteri di Cristo in unione spirituale con la Madre del Signore. La capacità di Maria di vivere dello sguardo di Dio è, per così dire, contagiosa. Il primo a farne l’esperienza è stato san Giuseppe. Il suo amore umile e sincero per la sua promessa sposa e la decisione di unire la sua vita a quella di Maria ha attirato e introdotto anche lui, che già era un «uomo giusto» (Mt 1,19), in una singolare intimità con Dio. Infatti, con Maria e poi, soprattutto, con Gesù, egli incomincia un nuovo modo di relazionarsi a Dio, di accoglierlo nella propria vita, di entrare nel suo progetto di salvezza, compiendo la sua volontà. Dopo aver seguito con fiducia l’indicazione dell’Angelo – «non temere di prendere con te Maria, tua sposa» (Mt 1,20) – egli ha preso con sé Maria e ha condiviso la sua vita con lei; ha veramente donato tutto se stesso a Maria e a Gesù, e questo l’ha condotto verso la perfezione della risposta alla vocazione ricevuta. Il Vangelo, come sappiamo, non ha conservato alcuna parola di Giuseppe: la sua è una presenza silenziosa, ma fedele, costante, operosa. Possiamo immaginare che anche lui, come la sua sposa e in intima consonanza con lei, abbia vissuto gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza di Gesù gustando, per così dire, la sua presenza nella loro famiglia. Giuseppe ha compiuto pienamente il suo ruolo paterno, sotto ogni aspetto. Sicuramente ha educato Gesù alla preghiera, insieme con Maria. Lui, in particolare, lo avrà portato con sé alla sinagoga, nei riti del sabato, come pure a Gerusalemme, per le grandi feste del popolo d’Israele. Giuseppe, secondo la tradizione ebraica, avrà guidato la preghiera domestica sia nella quotidianità – al mattino, alla sera, ai pasti -, sia nelle principali ricorrenze religiose. Così, nel ritmo delle giornate trascorse a Nazaret, tra la semplice casa e il laboratorio di Giuseppe, Gesù ha imparato ad alternare preghiera e lavoro, e ad offrire a Dio anche la fatica per guadagnare il pane necessario alla famiglia.
E infine, un altro episodio che vede la Santa Famiglia di Nazaret raccolta insieme in un evento di preghiera. Gesù, l’abbiamo sentito, a dodici anni si reca con i suoi al tempio di Gerusalemme. Questo episodio si colloca nel contesto del pellegrinaggio, come sottolinea san Luca: «I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa» (2,41-42). Il pellegrinaggio è un’espressione religiosa che si nutre di preghiera e, al tempo stesso, la alimenta. Qui si tratta di quello pasquale, e l’Evangelista ci fa osservare che la famiglia di Gesù lo vive ogni anno, per partecipare ai riti nella Città santa. La famiglia ebrea, come quella cristiana, prega nell’intimità domestica, ma prega anche insieme alla comunità, riconoscendosi parte del Popolo di Dio in cammino e il pellegrinaggio esprime proprio questo essere in cammino del Popolo di Dio. La Pasqua è il centro e il culmine di tutto questo, e coinvolge la dimensione familiare e quella del culto liturgico e pubblico.
Nell’episodio di Gesù dodicenne, sono registrate anche le prime parole di Gesù: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo essere in ciò che è del Padre mio?» (2,49). Dopo tre giorni di ricerche, i suoi genitori lo ritrovarono nel tempio seduto tra i maestri mentre li ascoltava ed interrogava (cfr 2,46). Alla domanda perché ha fatto questo al padre e alla madre, Egli risponde che ha fatto soltanto quanto deve fare il Figlio, cioè essere presso il Padre. Così Egli indica chi è il vero Padre, chi è la vera casa, che Egli non fatto niente di strano, di disobbediente. E’ rimasto dove deve essere il Figlio, cioè presso il Padre, e ha sottolineato chi è il suo Padre. La parola «Padre» sovrasta quindi l’accento di questa risposta e appare tutto il mistero cristologico. Questa parola apre quindi il mistero, è la chiave al mistero di Cristo, che è il Figlio, e apre anche la chiave al mistero nostro di cristiani, che siamo figli nel Figlio. Nello stesso tempo, Gesù ci insegna come essere figli, proprio nell’essere col Padre nella preghiera. Il mistero cristologico, il mistero dell’esistenza cristiana è intimamente collegato, fondato sulla preghiera. Gesù insegnerà un giorno ai suoi discepoli a pregare, dicendo loro: quando pregate dite «Padre». E, naturalmente, non ditelo solo con una parola, ditelo con la vostra esistenza, imparate sempre più a dire con la vostra esistenza: «Padre»; e così sarete veri figli nel Figlio, veri cristiani.
Qui, quando Gesù è ancora pienamente inserito nella vita della Famiglia di Nazaret, è importante notare la risonanza che può aver avuto nei cuori di Maria e Giuseppe sentire dalla bocca di Gesù quella parola «Padre», e rivelare, sottolineare chi è il Padre, e sentire dalla sua bocca questa parola con la consapevolezza del Figlio Unigenito, che proprio per questo ha voluto rimanere per tre giorni nel tempio, che è la «casa del Padre». Da allora, possiamo immaginare, la vita nella Santa Famiglia fu ancora più ricolma di preghiera, perché dal cuore di Gesù fanciullo – e poi adolescente e giovane – non cesserà più di diffondersi e di riflettersi nei cuori di Maria e di Giuseppe questo senso profondo della relazione con Dio Padre. Questo episodio ci mostra la vera situazione, l’atmosfera dell’essere col Padre. Così la Famiglia di Nazaret è il primo modello della Chiesa in cui, intorno alla presenza di Gesù e grazie alla sua mediazione, si vive tutti la relazione filiale con Dio Padre, che trasforma anche le relazioni interpersonali, umane.
Cari amici, per questi diversi aspetti che, alla luce del Vangelo, ho brevemente tratteggiato, la Santa Famiglia è icona della Chiesa domestica, chiamata a pregare insieme. La famiglia è Chiesa domestica e deve essere la prima scuola di preghiera. Nella famiglia i bambini, fin dalla più tenera età, possono imparare a percepire il senso di Dio, grazie all’insegnamento e all’esempio dei genitori: vivere in un’atmosfera segnata dalla presenza di Dio. Un’educazione autenticamente cristiana non può prescindere dall’esperienza della preghiera. Se non si impara a pregare in famiglia, sarà poi difficile riuscire a colmare questo vuoto. E, pertanto, vorrei rivolgere a voi l’invito a riscoprire la bellezza di pregare assieme come famiglia alla scuola della Santa Famiglia di Nazaret. E così divenire realmente un cuor solo e un’anima sola, una vera famiglia. Grazie.
http://it.custodia.org/default.asp?id=2761&id_n=10530
Omelia di Fra Artemio Vìtores per la Festa degli innocenti a Betlemme
(28 Dicembre 2010)
Fratelli e sorelle:
Siamo accanto al luogo tradizionale di “sepolcri degli Innocenti”. L’origine della festa dei “Bambini Innocenti”, uccisi a causa di Gesù dal cieco furore di Erode (cf. Mt 2,16-17), è molto antica. Compare già nel calendario cartaginese del IVº secolo e cent’anni più tardi a Roma nel Sacramentario Leoniano. Il Lezionario Armenio, composto verso la metà del Vº secolo, cita la celebrazione di questa festa a Betlemme. Nel VIº secolo, l’Anonimo Placentino, parla dei sepolcri degli Innocenti.
A Betlemme è nato il Bambino Gesù
Qui, a Betlemme, nella Notte Santa, gli angeli annunciano esultanti ai pastori che è finita l’attesa. Il tempo si è adempiuto ed è arrivata la salvezza per tutti: “Oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia” (Lc 2, 11-12). Chi è questo Bambino? “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna” (Gal 4,4), nato dalla Vergine Maria. “Il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi…” (Gv 1, 14). La Parola eterna si è “abbreviata”, si è fatta piccola, si è fatta un Bambino, così piccolo che riposa in una mangiatoia. E’ Gesù, il Figlio di Maria, che contempliamo a Betlemme: “Qui, dalla Vergine Maria, è nato Gesù Cristo”. “L’abbiamo udito”, “l’abbiamo veduto con i nostri occhi”, l’abbiamo “contemplato”, “le nostri mani hanno toccato”. “Noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza … e queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta” (1Gv 1,1-4). Dio, diceva San Francesco, “si è fatto piccolo infante, aveva succhiato ad un seno umano” (2Cel 199). Lo chiamava, pieno di amore, “il Bimbo di Bethlem” (2Cel 86).
Oggi, a Betlemme, celebriamo la festa dei Santi Innocenti
La Chiesa li chiama “i Santi Innocenti” e li qualifica come martiri, giacché i bambini (« infantes » o « innocentes ») di Betlemme e dei dintorni, rendono testimonianza a Cristo non con le Parole ma con il sangue, ricevendo così un vero battesimo di sangue. Sono venerati come martiri, nonostante non siano stati battezzati, perché sono stati uccisi “per Cristo”. Diceva San Bonaventura: “Gesù stesso è trucidato in ciascuno di loro” . Sono morti in solidarietà con il Cristo che ha detto: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Le vittime del sospettoso e sanguinario re Erode, strappati dalle braccia materne in tenerissima età, formano parte – insieme a santo Stefano e all’evangelista Giovanni – del corteo del re messiniaco. I “Bambini Innocenti” sono i testimoni, davanti agli uomini, di tutti i tempi, del Dio fatto Bambino, qui, a Betlemme. Quel Dio che – come abbiamo ascoltato nel Vangelo della Messa di Natale – “era nel mondo,… e il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1,10-11). Lungo i secoli, nell’arte, nella poesia, nella pietà popolare sentimenti di tenerezza e di simpatia hanno avvolto questi Bambini. San Prudenzio li ricorda così: “Salute, o fiori dei martiri… Voi foste le prime vittime, il tenero gregge di agnelli immolati, e sullo stesso altare avete ricevuto la palma e la corona” . E la Liturgia Bizantina canta così: “Betlemme, non essere triste, ma sta’ di buon animo per l’uccisione dei santi bambini: poiché essi, come vittime perfette, sono stati offerti al Cristo Sovrano: per lui immolati, con lui regneranno” .
Oggi è anche un giorno di preoccupazione
Ai sentimenti di gioia, in questa festa è sempre unita l’indignazione per la violenza con cui essi furono strappati dalle braccia delle loro madri e consegnati alla morte. Erode sentì che le fondamenta del suo palazzo traballavano, smossi dalla nascita di quel misterioso rivale che veniva a prendere il suo scettro. E reagì con l’ira, volendo distruggere tutto e tutti. In Erode possiamo vedere la figura di Satana, colui che dominava le creature, fin dal peccato originale. Ma, all’improvviso, Dio prende la forma dell’uomo, viene allevato nel grembo di una donna, si nutre dal seni di una donna, si rifugia nel suo grembo. Il seno della donna è il centro della lotta tra Dio e Satana, da quando il Signore dice all’antico serpente: “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la sua stirpe e la sua stirpe, questa ti schiaccerà la testa” (Gen 3,15). Ogni volta che viene concepito un bambino, si attualizza l’alleanza tra Dio e gli uomini; ogni volta che un bambino è concepito traballano le fondamenta del palazzo di Erode. Anche oggi Erode continua a celebrare il Natale combattendo la discendenza della donna, promovendo leggi inique per distruggere il bambino innocente. E questo è molto grave. Ricordiamo le parole del Signore: “Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli” (Mt 18,10).
Ogni bambino ha bisogno del nostro amore
I Bambini Innocenti uccisi dal crudele Erode (Mt 2,13-18) sono stati testimoni di Cristo, martiri di Dio, e per questo li onoriamo. Non basta onorarli. “In queste feste di Natale, della Vita e dell’Amore – diceva Benedetto XVI – vi chiedo un ricordo nella nostra preghiera, il 28 di dicembre di un modo speciale, per i bambini che non hanno potuto adempiere il progetto di Dio che Dio ha pensato per loro, perché gli fu tolto, con violenza, prima della sua nascita”. Oggi, qui, accanto al Sepolcro degli Innocenti, preghiamo per i bambini che l’Erode di ogni parte del mondo non si stanca di eliminare. Pensiamo di un modo speciale a tanti bambini “no-nati”, vittime della piaga dell’aborto. Tutti amati da Dio, perché “il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli” (Mt 18,14). Supplichiamo il Signore per tutti i bambini del mondo: per i bambini che non hanno conosciuto l’amore dei suoi genitori, per coloro dei bambini che non hanno casa, per i bambini che sono usati come strumenti di violenza o di altre malvagità. Chiediamo a Gesù che ci insegni a riconoscerlo nei più piccoli e nei più poveri di questo mondo. Oggi, al vedere il sorriso di questo Bambino di Betlemme comprendiamo più che mai le parole di Gesù: “Chi accoglie questo fanciullo nel mio nome, accoglie me” (Lc 9,48).
Farsi bambino come Gesù Bambino
Come potremmo riuscire nel nostro impegno? Dio per noi si è fatto Bambino. Oggi – ci dice quel Dio che si è fatto Bambino – non potete più aver paura di me, ormai potete soltanto amarmi. E’ quello che diceva, nel sec. III, Origene: “A che mi serve dire soltanto che Gesù è venuto nella carne presa da Maria, se io non mostro che è venuto in questa mia carne?” . E per questo Francesco – come ci racconta un suo biografo – a ogni Natale “si faceva bambino col Bambino” (2Cel 35). Quali sono le caratteristiche di Gesù il Dio-Bambino? E’ molto fragile, protetto soltanto dalle braccia di sua Madre; Gesù è povero: “quando vedi un povero, vedi lo specchio del Signore e della sua Madre”, diceva Francesco, il “Poverello” ai suoi frati. Egli non aveva casa: “Non c’era posto per loro nell’albergo (Lc 2, 7). E’ “il Principe della Pace” (Is 9,5), e annuncia, per mezzo dei suoi angeli “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Dio ama!” (Lc 2,14). Gesù stesso ha detto che soltanto i “piccoli” e i “puri di cuore” possono comprendere le meraviglie di Dio e Dio stesso (Mt 11,25), perché “chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà” (Lc 18,17). Soltanto così potremmo pensare agli umili, ai poveri, ai perseguitati, ai semplici e ai buoni di questo mondo, che sono abbandonati. Un ultimo consiglio: Non conservare per te solo la grazia che hai ricevuto! Comunica agli altri il tuo incontro col Dio Bambino a Natale e sii testimone del suo Amore! Accadrà un grande miracolo, come successe con Francesco: “per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l’avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria” (1Cel 86).