Il Te Deum, canto della gratutudine e della speranza (Dionigi Tettamanzi)
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Il Te Deum, canto della gratutudine e della speranza
Omelia del Cardinale – Autore: Dionigi Tettamanzi
«Ti benedica il Signore e ti protegga. Il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio» (Numeri 6,14-25).
Carissimi, è con questa benedizione, rivolta dai sacerdoti al popolo degli Israeliti, che la liturgia della Chiesa conclude questo anno e apre l’anno nuovo.
È una benedizione che dice la vicinanza di Dio non solo al popolo eletto ma all’intera umanità, e dunque anche a ciascuno di noi. Si tratta di una vicinanza del tutto inimmaginabile da noi uomini, ma che Dio nel suo immenso amore ha voluto: vicinanza assolutamente straordinaria, insieme sconcertante e affascinante. È quella del mistero del Natale: Dio si fa uomo e all’uomo viene data l’inaudita possibilità di divenire figlio di Dio: «Dio – ci ricorda l’apostolo Paolo – mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare coloro che erano sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli» (Galati 4,4-5).
Riviviamo, come Chiesa, la gioia e la lode dei pastori di Betlemme
La Chiesa ci invita a prolungare la nostra contemplazione del Natale, a rivivere nel nostro cuore l’esperienza spirituale dei pastori che, in risposta all’annuncio dell’angelo circa la nascita di Gesù, «andarono senz’indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia» (Luca 2,16). Quel bambino è l’Emmanuele, il Dio-con-noi, il Dio che si è fatto uomo. Un’esperienza intessuta di grande gioia e di lode a Dio: «I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro» (2,20).
Gioia grande e lode a Dio sono anche i sentimenti che devono riempire il nostro animo di credenti in questa celebrazione eucaristica di fine d’anno. Siamo chiamati a dire con la voce, il cuore e la vita il nostro “grazie” a Dio per il dono vivo e personale che ci ha elargito: il dono del Figlio, un dono che è fonte e compimento di tutti gli altri doni con i quali l’amore di Dio colma la nostra esistenza quotidiana: quella di ciascuno di noi, delle singole famiglie, delle nostre comunità, della Chiesa e del mondo. Il canto del Te Deum, che oggi risuona nelle Chiese di ogni parte della terra, vuole essere un segno della gratitudine gioiosa che rivolgiamo a Dio per tutti i doni che ci ha offerto in Cristo. Davvero «dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia» (Giovanni 1,16).
Vorrei ora esprimere i motivi di ringraziamento circa la vita della nostra Diocesi, in riferimento all’anno che questa sera si chiude, alla luce di tre parole dal forte contenuto ecclesiale: “comunione”, “missione”, speranza”.
La comunione costituisce l’essenza stessa della Chiesa: essa è costituita da coloro che, accogliendo la parola di Cristo e il suo Spirito vivificante, diventano figli del Padre ed entrano così nella misteriosa comunione d’amore della Trinità beata. Per questo la Chiesa è segno di comunione per tutti: come ci ricorda il Concilio, la Chiesa «è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Lumen gentium, 1).
All’interno della Chiesa particolare, poi, la comunione si realizza pienamente quando giunge a generare al suo interno collaborazione e corresponsabilità. L’agire stesso della Chiesa, cioè la sua missione, scaturisce infatti dalla comunione per allargarsi al cuore del mondo e porta frutto nella misura in cui si attua secondo la triade inscindibile di comunione-collaborazione-corresponsabilità.
La missione poi, specie nel momento presente, consiste nel portare una parola di speranza agli uomini e alle donne di oggi. Lo ha ricordato il Santo Padre nella sua splendida enciclica Spe salvi: «La speranza in senso cristiano è sempre anche speranza per gli altri. Ed è speranza attiva, nella quale lottiamo perché le cose non vadano verso “la fine perversa”. È speranza attiva proprio anche nel senso che teniamo il mondo aperto a Dio. Solo così essa rimane anche speranza veramente umana» (n. 34).
Motivi di rendimento di grazie e prospettive di impegno
Alla luce delle tre parole comunione-missione-speranza vorrei ricordare alcuni avvenimenti per cui sento il dovere e la gioia di ringraziare con voi il Signore e prospettare, insieme, alcuni impegni che ci aspettano per il 2008.
1. Anzitutto la “visita ad limina” che ha riguardato insieme le dieci Diocesi lombarde. È stata un evento di comunione che non ha coinvolto solo i Vescovi, ma anche, attraverso un folto pellegrinaggio, le intere Chiese di Lombardia, raccolte intorno al Papa.
Indimenticabili l’incontro personale dei Vescovi con Benedetto XVI e le sue parole rivolte a tutti i pellegrini lombardi nella basilica di San Pietro. Parole impegnative, ma di grande speranza, che ci hanno richiamato a rilanciare la ricca tradizione cristiana delle nostre terre, annunciando il Vangelo con fiducia e coraggio. Ha detto il Santo Padre: «Ho visto nel colloquio con voi, cari Fratelli nell’Episcopato, come la Chiesa in Lombardia è realmente una Chiesa viva, ricca del dinamismo della fede e anche di spirito missionario, capace e decisa a trasmettere la fiaccola della fede alle future generazioni e al mondo del nostro tempo».
2. Un secondo avvenimento per cui vorrei ringraziare il Signore è il pellegrinaggio diocesano in Terra Santa (12-19 marzo). Occasionato dal ricordo degli ottant’anni del Card. Carlo Maria Martini e dai cinquant’anni della mia ordinazione sacerdotale, è stato un’esperienza molto intensa di comunione tra noi, di profondo contatto con la terra benedetta che custodisce la memoria viva della nascita, della vita e della morte e risurrezione del Signore Gesù. Siamo tornati a casa carichi di speranza e pronti a riprendere con fiducia l’impegno di evangelizzazione. Possiamo ben dire che quello che abbiamo udito, visto, udito, toccato sentiamo di doverlo annunciare agli altri perché entrino nella comunione con il Padre e il Figlio e lo Spirito (cfr. 1Giovanni 1,1-4).
3. Un’esperienza simile ci attende il prossimo mese di giugno 2008, con il pellegrinaggio diocesano a Lourdes nell’anno giubilare dell’apparizione della Vergine a Bernadette (1858) e nel cinquantesimo anniversario del pellegrinaggio promosso dall’Arcivescovo Montini a conclusione della Missione di Milano del 1957. Maria Santissima, che «di speranza è fontana vivace» (cfr. Paradiso, canto XXXIII), ci aiuti ad affrontare con fiducia e coraggio la missione di annunciare il Vangelo agli uomini e alle donne del nostro tempo.
4. Vorrei anche ricordare, per il suo alto significato ecumenico, il pellegrinaggio in Russia previsto per i sacerdoti alla fine del prossimo mese di agosto. Nel mio indimenticato incontro con il Patriarca Alessio II nell’autunno del 2006, era nato il desiderio forte di coinvolgere anche i preti in una intensa esperienza di comunione tra la Chiesa ambrosiana e la Chiesa ortodossa russa.
Sono convinto che il cammino ecumenico, oltre alle iniziative di vertice, deve dar vita in continuità a iniziative locali di reciproca conoscenza e a segni concreti di comunione, che aprano alla speranza della piena unità di tutti i credenti in Cristo e li rendano nel mondo attuale testimoni più credibili del Vangelo. Come scriveva Giovanni Paolo II, “l’unità dei cristiani è un problema essenziale per la testimonianza evangelica nel mondo” (Tertio millennio adveniente, n. 34).
5. Un altro motivo di ringraziamento nasce dal percorso pastorale triennale che la nostra Diocesi sta vivendo: “L’amore di Dio è in mezzo a noi. La missione della famiglia a servizio del Vangelo”. Vorrei in particolare ringraziare il Signore perché le nostre comunità non si sono chiuse in se stesse, ma con disponibilità e capacità inventiva si sono messe in ascolto delle famiglie, anche di chi vive situazioni di fatica negli affetti e nelle relazioni. L’ascolto chiede apertura, sintonia, comunione. Se è vero e profondo, l’ascolto è sempre un’esperienza arricchente, che lega le persone, non le lascia sole nei loro problemi, ma le incoraggia, le apre alla speranza. Solo chi sa ascoltare è capace anche di annunciare e di dare speranza.
Mentre ringrazio il Signore, lo prego intensamente perché ci aiuti a continuare in questo stile di accoglienza e di ascolto “secondo la misura del cuore di Cristo”. È uno stile che si rivela decisivo per la seconda e la terza tappa del percorso pastorale, dedicate alla traditio fidei et amoris nelle famiglie, con una specifica attenzione alla pastorale del battesimo, e alla missione della famiglia “anima del mondo” nelle realtà terrene e temporali, nei diversi ambienti della vita sociale.
6. Un’altra ragione per dire “grazie” a Dio proviene dal rinnovamento pastorale della nostra Chiesa. Pur con le inevitabili difficoltà e fatiche, possiamo constatare che l’impegnativo sforzo per un’articolazione più comunionale e missionaria delle nostre parrocchie, mediante una “pastorale d’insieme” che ha nelle “comunità pastorali” il modello di riferimento, si sta progressivamente realizzando.
Questo ci apre alla speranza per il futuro. Come ho ricordato nell’omelia della solennità di San Carlo, intendiamo affrontare la sfida per il calo numerico dei sacerdoti con un generoso impegno di rinnovamento pastorale, evitando ogni atteggiamento di lamentela o di sconforto, bensì raccogliendo dalle stesse difficoltà l’appello per una vera conversione evangelica all’insegna della fiducia e della speranza nel Signore.
7. Nella stessa linea ringrazio il Signore e imploro la sua grazia per le scelte impegnative che la nostra Diocesi sta assumendo in un triplice campo: in quello della iniziazione cristiana, oggi chiamata a cambiare profondamente per obbedire all’antico principio “Cristiani non si nasce, si diventa” (Tertulliano, Apologetico 18,4); nel campo poi della formazione dei sacerdoti, con l’avvio di una nuova modalità di destinazione dei diaconi e dei presbiteri novelli, pensata in un’ottica di comunione e di missionarietà; nel campo, infine, della presenza dei cristiani nel mondo della scuola e della cultura.
8. Che la nostra Chiesa nella sua vastità e nelle sue articolazioni sia in cammino, lo sto constatando attraverso la visita pastorale decanale, che ha già coinvolto quattordici decanati e che nel prossimo anno – ed è una prospettiva per cui chiedo di pregare – si svolgerà con un ritmo ancora più intenso. Ho cercato di condensare in poche pagine la ricca esperienza che sto vivendo nelle “lettere” conclusive della visita, indirizzate alle comunità nel loro insieme e ai diversi operatori pastorali. In queste lettere, oltre a indicazioni particolari legate alle singole situazioni, ripropongo con forza le fondamentali istanze della comunione e della missione, con l’appello prioritario ad affrontare – da parte di tutti e in particolare dei laici – un intenso cammino di formazione spirituale e culturale.
9. Altro segno di vivacità ecclesiale della nostra Diocesi, di cui vorrei rendere grazie con voi al Signore, è stata la nomina episcopale di ben sei nostri sacerdoti. Anche questo gioioso avvenimento è stato caratterizzato dalla comunione e dalla missione. Comunione: anzitutto con il Santo Padre, che ha così manifestato attenzione e apprezzamento alla nostra Chiesa ambrosiana e ha consacrato due vescovi per il servizio alla Santa Sede; e comunione con due Chiese particolari, a cui abbiamo donato i nuovi pastori. Missione: i due nuovi vescovi ausiliari che ho chiesto per la nostra arcidiocesi sapranno dare nuovo slancio all’impegni pastorale e culturale.
Vorrei leggere queste nomine episcopali come invito a tutti nel proseguire in quella che, nel giorno del mio ingresso in Diocesi, chiamavo “una grande preghiera per le vocazioni”: “preghiera fiduciosa, costante, personale e comunitaria che, come onda benefica, attraversi e coinvolga attivamente i seminari, le comunità parrocchiali, i gruppi, le famiglie, gli anziani, gli ammalati, ogni singola persona”. Anche la nostra Chiesa, non meno delle altre, ha bisogno di vocazioni sacerdotali, diaconali, nelle varie forme di vita consacrata, nella vita matrimoniale e nelle diverse modalità di impegno laicale.
10. Un altro motivo di ringraziamento, in quest’anno che ha visto la celebrazione del cinquantesimo dell’enciclica Fidei donum di Pio XII, è stato il deciso incremento di presenza in diversi Paesi di sacerdoti, diaconi, famiglie e consacrate provenienti dalla nostra Diocesi. In un momento di difficoltà e di crisi per le vocazioni, la nostra Chiesa ha scommesso e scommette in modo convinto sulla missione e sulla comunione con le diverse Chiese presenti nel mondo, ben sapendo che il Signore non si lascia vincere in generosità.
In particolare vorrei richiamare la luminosa testimonianza di P. Giancarlo Bossi del PIME: la sua liberazione e il suo desiderato ritorno nelle Filippine sono per tutti noi motivo di ringraziamento al Signore e di rinnovato impegno missionario.
11. Dovrei ora aprire un nuovo capitolo, le cui pagine sono un invito al rendimento di grazie al Signore e insieme a vivere la speranza operosa nelle situazioni difficili e pesanti della vita. È il capitolo che vede la presenza della comunità cristiana – in particolare dei gruppi, delle famiglie, delle singole persone – che annuncia il Vangelo e lo rende credibile attraverso le numerose e varie opere di carità e giustizia al servizio della società, soprattutto a favore di quanti fanno, spesso quotidianamente, l’esperienza dura della fragilità: i poveri, i malati, i sofferenti, i senza lavoro e senza casa, i disagiati, gli emarginati, i rifiutati, i disperati.
Riprendendo il discorso della vigilia di sant’Ambrogio rivolto alla città, vorrei riaffermare “il (mio) bisogno di ringraziare di cuore quanti si sono impegnati, in questi mesi, pur in mezzo a tante difficoltà e incomprensioni, per creare nuove condizioni di convivenza e di legalità con i Rom che vivono a Milano, sia all’interno delle istituzioni, sia operando nelle varie organizzazioni caritative e umanitarie. Si tratta di una testimonianza cristiana e civile forte in un contesto di contrasto, da un lato, e di disimpegno, dall’altro, di molti che potevano fare di più. Una testimonianza non astratta e fuori della storia, ma in grado di avviare un’inclusione nella legalità, che diventa dono per tutti e risposta non secondaria alla domanda di sicurezza legittimamente posta da una città spaventata e preoccupata anche per i segnali sconfortanti che vengono dalla cronaca quotidiana”.
Sempre quel discorso attirava l’attenzione sulla città “invisibile”, abitata da poveri “invisibili”, per un sussulto di responsabilità sociale verso i più bisognosi. Dicevo: “C’è una città che “appare”, la città dei grandi progetti, delle luci, delle vetrine; ma c’è una città forse un po’ più piccola, un po’ più invisibile, che magari vorremmo nascondere. Non ignoriamola, anzi abbiamo il giusto coraggio di ripartire da qui. Ripartiamo dalla città degli invisibili, ciascuno dei quali è persona…”.
Apriamo dunque il nuovo anno con una più grande speranza, che vogliamo implorare dal Signore, nella convinzione che la sua è una speranza generata dalla fede e destinata a fruttificare sentimenti e opere di amore, e dunque di accoglienza e di solidarietà.
Preghiamo, umili e fiduciosi, con le parole del Te Deum:
Pietà di noi, Signore,
pietà di noi.
Tu sei la nostra speranza,
non saremo confusi in eterno.
+ Dionigi card. Tettamanzi
Arcivescovo di Milano

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