I dieci comandamenti – « E Hashem disse a Moshè: « Voi avete visto che vi ho parlato dal cielo »

dal sito:

http://www.ritornoallatorah.it/public/index.php?option=com_content&view=article&id=413:i-dieci-comandamenti&catid=52:interpretazioni&Itemid=63

Asseret Hadibberot – I Dieci Comandamenti

  »E Hashem disse a Moshè: « Voi avete visto che vi ho parlato dal cielo »
(Esodo 20:22).
 
Le « Dieci Parole » (Asseret Hadibberot), chiamate più comunemente « Dieci Comandamenti », sono i precetti che il Creatore dell’Universo pronunciò sul monte Sinai quando si manifestò in modo grandioso davanti a tutto il popolo Ebraico per stabilire la Sua Alleanza.
Questi Comandamenti sono i principi fondamentali della Torah e rappresentano la base e la sintesi di ogni altro precetto.
Pur essendo espressione di valori morali universalmente validi, i Dieci Comandamenti furono donati soltanto ad Israele e la loro osservanza spetta, come vedremo meglio in seguito, unicamente agli Ebrei. Gli altri popoli sono invece tenuti ad osservare i sette precetti Noachidi, che sono la base legislativa per l’intera umanità.
Per immergersi nel mondo dell’Ebraismo bisogna comprendere le « Dieci Parole » attraverso le riflessioni dei grandi Maestri della Torah, i luminari di quel popolo che vede nella Rivelazione ai piedi del Sinai il proprio atto di nascita come nazione.
In questo modo è possibile contemplare la natura dell’etica biblica e la grande sensibilità rabbinica che segna profondamente il pensiero ebraico.
 
La voce di Hashem
« Hashem disse a Moshè: «Io mi appresto a venire da te nella densa nube, affinchè il popolo senta mentre ti parlo e abbia fede anche in te in eterno » (Esodo 19:9).
« E Dio proferì tutte queste parole dicendo…. » (Esodo 20:1).
L’espressione « tutte queste parole » sembra superflua poichè sarebbe stato sufficiente dire « Dio parlò dicendo…. ». Rashi commenta questa apparente anomalia linguistica spiegando che Dio pronunciò tutti i Dieci Comandamenti istantaneamente con un unico suono, cosa che sarebbe impossibile ad un essere umano. Solo in un secondo momento le parole furono ripetute una alla volta.
Secondo il Talmud (Makkot 24a), dopo aver udito i primi due Comandamenti, il popolo fu grandemente intimorito e temette di non riuscire a resistere ad una manifestazione così eccelsa che era accompagnata da grandi prodigi e sconvolgimenti. Perciò gli Ebrei chiesero a Moshè di fare da intermediario nella Rivelazione. Questo avvenimento è narrato in Esodo 20:18-21, ma i Maestri spiegano che la Torah non segue sempre l’ordine cronologico nel raccontare gli eventi.
 
Suddivisione
A Moshè furono consegnate due tavole di pietra: su una erano scritti i primi cinque Comandamenti, sull’altra gli ultimi cinque.
I Comandamenti scritti sulla prima tavola riguardavano il rapporto tra l’uomo e Dio, mentre sulla seconda c’erano quelli che regolano il rapporto tra le persone.
Nella Mekhilta, come verrà spiegato, vengono messe in luce le corrispondenze tra i Comandamenti della prima tavola e quelli della seconda.
 
1: « Io sono Hashem, il tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dal luogo della schiavitù. »
Il primo Comandamento è espresso come un dato di fatto, e non come un vero e proprio precetto da eseguire.
Una parabola rabbinica paragona Dio ad un re che conquista un nuovo paese e prima di emanare le sue leggi chiede agli abitanti di accettare la sua sovranità.
Allo stesso modo, riconoscere Hashem come proprio Dio è il requisito indispensabile per osservare i Suoi precetti.
« Anochì Hashem Elohecha » (Io sono Hashem, il tuo Dio). In Ebraico il pronome « io » è reso comunemente con il termine anì, ma qui troviamo la forma anochì  che sembra evidenziare l’esclusività e l’autorità del soggetto.
Potrebbe sembrare strano che in questo contesto Dio si sia presentato come Colui che ha liberato il popolo dall’Egitto e non come il Creatore dell’Universo. A questo proposito, alcuni Maestri spiegano che Dio intendeva stabilire una relazione diretta con gli Ebrei facendo riferimento alla loro esperienza personale e indicandoli chiaramente come i destinatari dei Dieci Comandamenti. 
Rashi scrive: « La liberazione di Israele dalla schiavitù dell’Egitto è una ragione sufficiente per sottometterci a Lui », dunque la gratitudine verso Colui che ha operato la Redenzione portò gli Ebrei ad assumersi responsabilità maggiori di quelle degli altri popoli e ad accettare l’elezione Divina.
2: « Non avere divinità altrui al mio cospetto, Non farti sculture o immagini qualsiasi di ciò che è in cielo, in alto, di ciò che è in terra, in basso, in acqua, sotto la terra. Non inchinarti ad esse e non servirle, poichè io sono Hashem il tuo Dio, un Dio geloso che ricorda il peccato dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione per coloro che Mi odiano, ma che agisce con il bene fino alla millesima generazione per coloro che Mi amano e per coloro che osservano i Miei precetti ».
Il secondo Comandamento è il divieto di ogni forma di idolatria.
Non si può credere in alcuna divinità che non sia Hashem, il Dio Unico (vedi Isaia 44:6).
Rashi sottolinea che non bisogna intendere l’espressione elohim acherim come « altre divinità », ma come « divinità degli altri », cioè divinità che altre persone considerano tali ma che in realtà non esistono e non hanno alcun potere.
R. Bachya spiega che è proibito credere che ci siano delle forze spirituali o degli astri dotati di poteri autonomi, poichè Dio è la sorgente di ogni cosa.
Il termine Elohim è usato nella Bibbia per indicare non solo il vero Dio, ma anche gli idoli pagani e gli uomini potenti. Questa parola è sia il plurale di Eloha (giudice/potente) che il suo superlativo indefinito (quindi singolare).
Il concetto di divinità in Ebraico è perciò legato a quello di giudice supremo, autorità somma.
« Al panay » (davanti al mio cospetto), significa in ogni momento e in ogni luogo, poichè non esiste uno spazio che sia privo della Presenza di Dio.
Chi possiede idoli senza adorarli trasgredisce comunque questo precetto.
E’ vietato anche fabbricare idoli sia per se stesso che per altre persone.
Maimonide traccia le fasi della storia dell’idolatria partendo dal principio, quando tutto il mondo sapeva dell’esistenza del Creatore. Ad un certo punto l’umanità iniziò ad onorare anche gli astri e gli elementi naturali considerandoli servitori di Dio. Successivamente, a queste opere del Creatore furono attribuiti poteri divini autonomi. Ad essere adorati furono poi addirittura alcuni uomini e infine gli spiriti.
Non bisogna interpretare male la dichiarazione secondo cui Dio « ricorda il peccato dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione ».
La Torah dichiara: « I padri non moriranno per le colpe dei figli e i figli non periranno a causa delle colpe dei padri; un uomo morirà solo a causa dei suoi stessi peccati » (Deuteronomio 24:16).
Il verbo pachad, qui tradotto con « ricordare », significa più precisamente visitare, considerare, o esaminare, sia in senso negativo che positivo. Il Talmud spiega che Dio punisce le generazioni future solo se i figli ripeteranno i peccati dei loro genitori, accettando così di ereditare la malvagità dei padri.
Quindi, al contrario di come molti pensano, questo versetto enfatizza la pazienza del Creatore che non applica le sue punizioni immediatamente, ma aspetta per dare agli uomini l’opportunità di ravvedersi fino a che il peccato non raggiunge il limite massimo, cioè alla terza o alla quarta generazione.
Per approfondire vai all’articolo: « Le colpe dei padri ricadono sui figli? »
3: « Non pronunciare il Nome di Hashem tuo Dio invano. Poiché Hashem non lascerà impunito chi avrà pronunciato il Suo Nome invano »
L’Ebraismo attribuisce da sempre molta importanza al rispetto verso il Nome di Dio che rappresenta l’identità e l’essenza del Sovrano dell’Universo.
Questo Comandamento proibisce principalmente di pronunciare il Nome Divino in un giuramento falso o anche in un giuramento inutile e banale.
Una traduzione più letterale del Comandamento sarebbe: « Non portare il Nome di Hashem tuo Dio invano »; Maimonide afferma che è quindi proibito menzionare inutilmente o in modo inappropriato il Nome di Dio in qualsiasi contesto.
Hashem significa « Il Nome » ed è l’espressione utilizzata comunemente dagli Ebrei in sostituzione del Tetragramma Sacro che è il Nome di Dio più propriamente detto. 
4: « Ricorda il giorno dello Shabbat per santificarlo. Per sei giorni lavorerai e compirai ogni tua opera, e il settimo giorno sarà Shabbat per Hashem il tuo Dio: non compiere alcuna opera, nè tu, nè tuo figlio, nè tua figlia, nè il tuo servo, nè il tuo bestiame nè lo straniero che vive entro le tue porte. Poichè in sei giorni Hashem fece il cielo e la terra, il mare e tutto ciò che si trova in essi, e al settimo cessò, per questo Hashem benedisse il giorno di Shabbat e lo santificò ».
Shabbat significa cessazione ed è il settimo giorno della settimana, il giorno sacro del riposo.
Al popolo Ebraico è comandato di riconoscere continuamente che Hashem è il Creatore del mondo tramite la consacrazione dello Shabbat, il giorno che Dio stesso benedisse al termine della sua grandiosa opera (vedi Genesi 2:2).
Nel libro dell’Esodo è scritto di « Ricordare lo Shabbat », ma nella ripetizione dei Dieci Comandamenti in Deuteronomio 5:12 si trova scritto: « Osserva lo Shabbat ».
Nel Talmud (Shevuot 20b) i Maestri spiegano che queste due versioni differenti del Comandamento furono pronunciate prodigiosamente da Dio nello stesso momento e con uno stesso suono, come dichiara il Salmista: « Dio ha parlato una volta, due volte io ho udito » (Salmi 62:11). Da ciò si comprende che lo Shabbat deve essere sia ricordato che osservato.
Dal testo biblico non è chiaro cosa si intenda con « ogni tua opera ». Per comprendere quali azioni sono effettivamente proibite durante lo Shabbat è necessario ricorrere alla Tradizione orale che menziona trentanove categorie di opere che esprimono in modo particolare il dominio dell’uomo sulla natura e che furono tutte impiegate nella costruzione del Tabernacolo.
Il riposo settimanale non è solo un privilegio dei ricchi e dei potenti, ma persino dei servi che sono alle loro dipendenze.
Secondo la Mekhilta, con « il tuo servo » la Torah si riferisce ai lavoratori acquistati dalle altre nazioni; i loro padroni non devono assolutamente farli lavorare durante lo Shabbat. « Lo straniero che vive entro le tue porte » è invece il proselita, cioè lo straniero che si è convertito all’Ebraismo e ha quindi deciso di osservare tutta la Torah.
Lo Shabbat è comunque un segno esclusivo dell’Alleanza tra Dio e Israele e perciò non è stato comandato agli altri popoli.
5: « Onora tuo padre e tua madre, affinchè si prolunghino i tuoi giorni sulla terra che Hashem il tuo Dio ti concede. »
Il Comandamento di onorare i genitori era scritto sulla prima tavola, ed è dunque incluso tra i precetti relativi al rapporto tra l’uomo e Dio. Ciò non deve sembrare strano, infatti nel Talmud (Kiddushin 30b) è scritto: « Tre sono i soci nella creazione di un essere umano: Dio, il padre e la madre. Hashem considera colui che onora i suoi genitori come se onorasse Lui stesso » . Dio è perciò il nostro primo genitore. 
Il rispetto verso il padre e la madre non può scaturire semplicemente da un sentimento naturale, ma deve invece essere considerato un vero e proprio precetto Divino (vedi Deuteronomio 5:16).
Nachmanide dichiara che i modi per onorare i propri genitori si ricavano dai Comandamenti precedenti, quelli che si riferiscono direttamente a Dio. Bisogna infatti accettare l’autorità dei genitori, non giurare falsamente nel loro nome e riconoscerli come nostri « creatori ».
« Affinchè si prolunghino i tuoi giorni sulla terra che Hashem il tuo Dio ti concede »; Rav Saadia Gaon interpreta questa promessa spiegando che una lunga vita è il premio che il Creatore dona a coloro che assistono i propri genitori durante la loro vecchiaia.
Maimonide intende invece questo verso nel senso che il rispetto verso il padre e la madre serve a rafforzare la società e quindi a migliorare la vita degli individui.
Secondo Ralbag, l’onore verso i genitori comporta necessariamente l’accettazione dei precetti tramandati dagli avi, e di conseguenza è la garanzia che la Torah verrà osservata anche dalle generazioni successive.
6: « Non uccidere. »
Con il divieto dell’assassinio iniziano i Comandamenti scritti sulla seconda tavola, quelli che riguardano i rapporti tra le persone.
La Mekhilta fa notare la connessione tra questo Comandamento e il primo (« Io sono Hashem il tuo Dio » ); l’essere umano è stato creato a immagine di Dio, e perciò l’omicidio è considerato un atto commesso contro il Creatore stesso:
« Chiunque sparga il sangue dell’uomo, il suo sangue sarà sparso dall’uomo; perchè Dio creò l’uomo a Sua immagine » (Genesi 9:6).
Chi rifiuta Dio non potrà mai comprendere la vera sacralità della vita e la necessità di tutelarla.
« Lo tirzach » significa propriamente « non assassinare » e in questa espressione non rientra la legittima difesa, l’omicidio compiuto dal combattente in guerra e la pena di morte (che veniva applicata raramente e solo in casi estremi). Secondo la Torah questi tre tipi di uccisione sono comunque da evitare per quanto possibile.
I Maestri hanno meditato molto su questo Comandamento, andando oltre il senso letterale e cercando significati più profondi. Nel Talmud (Bava Metzia 58b) è scritto ad esempio che umiliare una persona in pubblico facendole provare vergogna o imbarazzo equivale ad ucciderla. Anche privare qualcuno dei mezzi di sussistenza (Yevarnot 78b), prendere decisioni legali quando non si ha la giusta competenza e rifiutarsi di farlo quando si è adeguatamente qualificati sono tutti atti che i Saggi paragonano all’assassinio.
Con queste riflessioni, i Rabbini hanno voluto soltanto dare insegnamenti morali che riguardano la personalità e la coscienza, e che non valgono nell’ambito legale. E’ chiaro infatti che sul piano giuridico chi umilia pubblicamente il suo prossimo non viene realmente condannato per omicidio.
7: « Non commettere adulterio. »
Secondo la Torah, avere rapporti sessuali con una persona già sposata è una colpa davvero gravissima.
Il settimo Comandamento corrisponde al secondo. Avendo infatti stipulato un Patto con il Creatore, il popolo d’Israele è spesso descritto dai Profeti come la « sposa di Dio », e quindi l’idolatria è paragonabile all’adulterio.
« Ama una donna amata da un amante ed adultera, come Hashem ama i figli di Israele, i quali si volgono anch’essi ad altre divinità » (Osea 3:1);
« Come una donna che tradisce il proprio amato, così voi siete stati infedeli a me, o casa d’Israele » (Geremia 3:20).
Il Targum Yonatan espone così il significato del Comandamento:
« Dio disse ad Israele: «La Mia nazione non deve essere immorale, non unitevi e non entrate in alcuna forma di società con gente immorale e non permettete che i vostri figli siano in loro compagnia per paura che imparino dalle loro azioni malvagie.» »
Anche su questo Comandamento i Saggi hanno fondato molti insegnamenti morali, come il dovere di astenersi da tutti gli atteggiamenti che potrebbero in qualche modo suscitare un desiderio sessuale illecito.
8: « Non rubare. »
Citando una deduzione degli antichi Maestri, Rashi spiega che questo Comandamento si riferisce al rapimento più che al semplice furto.
Il divieto di appropriarsi illecitamente dei beni altrui si trova invece in Levitico 19:11.
Nella Mekhilta l’ottavo Comandamento viene paragonato al terzo, poichè i ladri e i truffatori sono disposti a pronunciare giuramenti falsi. Inoltre, poichè tutte le cose appartengono al Creatore, il furto rappresenta una profanazione del Nome Divino e quindi una bestemmia.
Secondo lo Shulchan Arukh è proibito anche acquistare beni che sono stati rubati.
Nel Talmud viene condannata ogni forma di disonestà, e andando sempre oltre il senso letterale, il Comandamento è applicato anche a coloro che rubano le opinioni e le idee altrui o che cercano di ottenere approvazione e favori con l’inganno. 
9: « Non portare falsa testimonianza contro il tuo prossimo. »
Nessuno è autorizzato a testimoniare in un processo se non ha assistito in prima ersona all’evento.
La Torah comanda di presentare in tribunale almeno due testimoni oculari che devono essere interrogati e risultare concordi nelle loro versioni dei fatti.
Le testimonianze « per sentito dire » non sono attendibili e non vanno prese in considerazione, neppure se la fonte è perfettamente attendibile.
Secondo la Mekhilta questo Comandamento corrisponde al quarto: « Ricorda il giorno dello Shabbat per santificarlo…. Poichè in sei giorni Hashem fece il cielo e la terra, il mare e tutto ciò che si trova in essi, e al settimo cessò ».
Coloro che negano che Dio abbia creato il mondo compiono la falsa testimonianza per eccellenza, e infatti è scritto: « I miei testimoni siete voi, dice Hashem » (Isaia 43:10).
10: « Non desiderare la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie del tuo prossimo né il suo servoe la sua serva né il suo bue né il suo asino né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo »
« Dio disse ad Israele: «Mia nazione, non desiderare ciò che non è tuo. Non associarti e non mescolarti con popoli che desiderano. Evita di stare in loro compagnia per paura di imitare i loro modi malvagi» » (Targum Yonatan).
Il desiderio proibito da questo Comandamento è quello di colui che ambisce ad impossessarsi delle cose altrui meditando su come poter raggiungere il suo scopo.
Nel Talmud (Bava Kama 62a) viene condannato il comportamento di chi sottrae un oggetto da un’altra persona con la forza, anche se poi la rimborsa.
Il Profeta Michea mette la bramosia in stretta relazione con il furto: « Essi desiderano dei campi e poi li rubano » (Michea 2:2).
Secondo Ibn Ezra, l’essere umano può controllare il suo naturale desiderio imparando a distinguere ciò che gli è inaccessibile da ciò che invece può ottenere, come nel caso di un contadino che non ambierebbe mai a sposare una regina.
R. Bachya sottolinea che nella Torah viene proibito soltanto il desiderio delle cose materiali che appartengono agli altri, mentre è concesso invidiare la spiritualità di chi è superiore a noi. Anche il Talmud insegna a questo proposito: « La gelosia tra gli scolari che studiano la Torah aumenta la saggezza ».
Il decimo Comandamento è legato al quinto: « Onora tuo padre e tua madre ». Il desiderio egoistico di chi è troppo legato ai beni materiali comporta proprio la mancanza di amore verso gli esseri umani, e in particolare verso i genitori.
Per esprimere la loro gratitudine nei confronti di Hashem che ha donato la Sua Legge, gli Ebrei pronunciano quotidinamente preghiere come questa:
« Baruch atah Hashem Elohenu Melech haOlam asher bachar micol ‘aamim venatan lanu et torato’. Baruch atah Hashem noten haTorah. »
Benedetto sei tu, Hashem nostro Dio Re del mondo, che ci hai eletti tra tutti i popoli e ci hai dato la tua Torah. Benedetto Hashem che doni la Torah ».
In questo modo, il dono dei Dieci Comandamenti e di tutti i precetti della Torah appare come un evento attuale che si rinnova continuamente.

Publié dans : ebraismo |le 4 octobre, 2011 |Pas de Commentaires »

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