The crossing of the red sea & the hymn of Myriam

dal sito:
http://documentazione.info/article.php?idsez=13&id=965
Un manuale di biologia senza lo schema scimmia-uomo
di Marco Respinti, Il Foglio 7 novembre 2007
Un pool di scienziati analizza i limiti dell’evoluzionismo usando solo la scienza
I presupposti del darwinismo sono ancora da dimostrare
Lunedì al Festival della Scienza di Palazzo Ducale a Genova, lo ha detto piuttosto decisamente Massimo Piattelli Palmarini, scienziato cognitivo che si divide fra Università San Raffaele e Università dell’Arizona (sul tema annuncia addirittura un libro intero, che sta scrivendo con il collega statunitense, ateo, ateissimo, Jerry Fodor, filosofo della mente). Il neodarwinismo, dice Piattelli Palmarini (cioè il makeup con cui l’evoluzionismo si è rifatto la cera a fronte degli scacchi mossigli dalla genetica), si fonda su ciò che invece è ancora tutto da dimostrare.
Le perplessità scientifiche sulla “selezione naturale”
Il concetto di “selezione naturale” (perno irrinunciabile di darwinismo e neodarwinismo) è piuttosto vago e quando va bene astratto. E le scoperte più recenti contaddicono il dogmatismo tetragono con cui i neodarwinisti difendono in modo trinariciuto i segreti de “L’origine della specie”. Insomma, l’evoluzionismo è una ipotesi che fa acqua da molti pori e i suoi fondamenti si contraddicono l’un l’altro (“selezione naturale” come scelta operata assieme da natura e caso cieco). Altro che scienza. Sul punto il dibattito fiorisce da tempo e la letteratura cresce. In pochi anni i titoli che mettono in crisi questo o quel punto dell’impianto teoretico evoluzionistico (senza per questo essere però automaticamente ascrivibili al “creazionismo” o persino alla più “morbida” idea del “progetto intelligente”) si sono moltiplicati rapidamente; e se fare dell’antidarwinismo resta ancora sempre piuttosto scorretto, politicamente parlando, la cosa appare comunque oggi un tantino meno scriteriata che non solo qualche tempo fa.
La parola agli addetti ai lavori
Il salto vero di qualità è venuto peraltro quando del tema si sono messi a trattare seriamente dei veri addetti ai lavori, scienziati autentici (biochimici, cosmologi, paleontologi, antropologi) i quali sono venuti così ad affiancarsi a divulgatori di buon spirito ma magari di poche conoscenze specifiche e a confortare quei pionieri per lungo tempo lasciati soli a combattere una buona battaglia che però a molti sembrava una carica contro i mulini a vento. Due nomi per tutti, e italiani, Giuseppe Sermonti, genetista, e Roberto Fondi, paleontologo.
Un testo che parla di scienza e solo di scienza
Di libri così ne è appena uscito un altro, che però non è solo un libro in più da archiviare sullo scaffale appropriato. Si tratta di “Evoluzione. Un trattato critico. Certezza dei fatti e diversità delle interpretazioni”. Lo pubblica l’editore Gribaudi di Milano con prefazione di Fernando De Angelis. Ne sono autori un pool di scienziati (chimici, paleontologi, biologi, antropologi, informatici, botanici, embriologi) coordinati dai due curatori dell’opera, scienziati pure loro, Reinhard Junker e Siegfried Scherer, entrambi biologi e quest’ultimo citato da Papa Ratzinger come esempio di scienza non darwinista. Ebbene era il testo che attendevamo, tutti. Il “noi” qui non è maiestatico, ma un soggetto collettivo che comprende sia darwinisti sia antidarwinisti, critici e partigiani, credenti e non, scienziati e profani, possibilisti, dubbiosi e rigoristi. Era il testo che tutti attendevamo perché si tratta di un libro di biologia che anzitutto si occupa della materia in oggetto, la vita organica sul pianeta Terra, lasciando ad altra sede l’approccio polemico e critico. E questo dovrebbe far davvero contenti un po’ tutti. Che i fatti biologici vengano cioè presi in considerazione per quello che sono e che dicono oggettivamente, prima e al di là di ogni considerazione ulteriore, è cosa che di per sé dovrebbe risultare gradita a ogni partito.
Il libro fa luce su alcune teorie infondate
Il libro in questione nasce in Germania nel 1998 e oggi è giunto alla sesta edizione. Su questa è stata condotta la versione italiana, la prima. Tedesco è lo stile del libro, tedesco l’approccio che esso segue, tedesca l’assoluta serietà dell’analisi che propone, rigorosamente tecnica senza mai essere solo tecnicistica. Il suo pregio, enorme, è quello di descrivere (quindi non solo di affermare) cose diverse rispetto a quelle che normalmente si leggono sui testi di genere, consuetamente improntate a un secco determinismo a supporto del quale non esistono però riscontri empirici. La squadra di specialisti coordinata da Junker e Scherer questo infatti anzitutto e soprattutto fa. Ricorda, e mostra, come infondata sia per esempio la pretesa di far derivare la vita organica dalla materia inanimata, di come i fossili non attestino affatto specie viventi in fase di mutazione (a metà insomma, in transizione) ma solo specie in sé conchiuse, di come giocare con le permutazioni genetiche possa pure risultare affascinante ma comunque sia assai poco sfruttabile per desumerne il concetto di speciazione macroevolutivo caro a ogni tipo di darwinisti, e via di questo passo.
Un libro didattico basto sull’onestà scientifica
Il tutto usando la biologia e solo la biologia. Il libro lo mostra raccontando infatti quel che la scienza ha fin qui accertato, quel che la scienza non sa (ancora?) dire, quel che la scienza non può invece (“statutariamente”) dire. Un gran bel libro, insomma, e utile. Ma il suo maggior vantaggio è l’essere un libro pensato appositamente per la didattica. Ha figure (tante, belle, colorate), schemi e schemini a iosa, diagrammi e alberi genealogici in abbondanza, specimen e illustrazioni. E poi riassuntini, esplosi, box e boxini, utili all’insegnamento, all’apprendimento, alla memorizzazione. È cioè un testo nato per le scuole e che nelle scuole di ogni ordine e grado (lo si può infatti leggere e insegnare a più livelli) farebbe un gran bene a tutti, se insuperabili non fossero quelle forche caudine ministeriali che detengono la prima e l’ultima parola sull’adottabilità di un determinato testo in aula. Forse il testo non potrà mai ufficialmente figurare sui banchi delle scuole, ma costituisce una superba lezione di scienza, di metodo scientifico, di ragione intelligente. L’unica sua partigianeria è quella di raccontare le cose esattamente come gli specialisti le conoscono. Il resto è solo letteratura, talvolta di pessima qualità.
dal sito:
http://www.zenit.org/article-28027?l=italian
ORDINARIO MILITARE: “SOBRIETÀ”, PAROLA CHIAVE DI FRONTE ALLA CRISI
Messa nella festa di San Matteo, patrono della Guardia di Finanza
ROMA, mercoledì, 21 settembre 2011 (ZENIT.org).- Nel contesto della difficile crisi economica e finanziaria che si sta attraversando, la parola chiave è “sobrietà”, ha spiegato l’Arcivescovo Vincenzo Pelvi, Ordinario militare per l’Italia, nella Messa che ha presieduto questo mercoledì a Roma nella festa di San Matteo, patrono della Guardia di Finanza.
Nell’omelia della celebrazione, svoltasi presso il Comando Generale della Guardia di Finanza, il presule ha ricordato la prontezza con cui Matteo rispose all’invito di Gesù a seguirlo.
“’Egli si alzò e lo seguì’. La stringatezza della frase mostra chiaramente la prontezza di Matteo nel rispondere alla chiamata – ha indicato –. Ciò significava per lui l’abbandono di ogni cosa, soprattutto di ciò che gli garantiva un guadagno sicuro, anche se spesso ingiusto e disonorevole. Evidentemente Matteo capì che la familiarità con Gesù non gli consentiva di perseverare in attività disapprovate da Dio”.
La vita per Matteo “era diventata, ormai, potere e denaro, timore e rispetto da parte degli altri”, ma “la sua durezza si sbriciola quando vede nello sguardo del Nazareno amore, rispetto, verità”.
“Matteo era abituato agli insulti di chi pagava, attraverso di lui, l’iniqua tassa imposta da Roma imperiale. No, non meritava alcuna compassione. E, invece, ne riceve. E l’inatteso, e l’inaudito amore, con cui il Signore lo guarda, come sempre, scatena la gioia, produce il brivido: Matteo si scioglie, lascia tutto, sa di scommettere sul giusto”.
Anche oggi, ha commentato l’Ordinario militare, “non è ammissibile l’attaccamento a cose incompatibili con la sequela di Gesù, come è il caso delle ricchezze disoneste”.
In un “difficile e non scontato momento storico” in cui “giorno dopo giorno occorre costruire l’edificio della sicurezza economica e della stabilità finanziaria”, “sembra che la responsabilità comune abbia lasciato spazio alla speculazione, al guadagno facile, all’arricchimento fraudolento, molto spesso mascherati da un’efficienza di comodo del mercato”, ha riconosciuto.
“A nessuno sfugge che è stata privilegiata una forma di veduta corta e l’economia mondiale è mossa e governata da logiche contrarie all’etica e alla morale, ai principi di gratuità e di fraternità”.
La crisi in atto “dimostra il fallimento dell’antropologia e del pensiero che ne sta alla base”. Ciò che doveva essere uno strumento – la proprietà, la ricchezza, la finanza – “è divenuto principio e fine degli sforzi, misura unica e indiscussa delle azioni”.
Desiderare di vivere meglio “non è male”, ha sottolineato l’Arcivescovo, “ma è sbagliato lo stile di vita che si presume esser migliore, quando è orientato all’avere e non all’essere e vuole avere di più non per essere di più, ma per consumare l’esistenza in un godimento fine a se stesso”.
Per questo, ha esortato a “riscoprire la sobrietà, stile di vita nei confronti dei beni materiali e del loro uso”.
“Ben più di un semplice accontentarsi di quanto si ha o della capacità di non sprecare, la sobrietà ha una dimensione interiore, abbraccia un modo di vedere la realtà circostante che discerne i bisogni autentici, evita gli eccessi, sa dare il giusto peso alle cose e alle persone”.
“Sobrietà a livello personale significa riconoscimento e accettazione del limite, consapevolezza che non tutto ciò che ho la possibilità di ottenere devo forzatamente tirare in mio possesso”.
La sobrietà, ha proseguito, “è la forza d’animo di chi sa subordinare alcuni desideri per valorizzarne altri, di chi sa riconoscere il valore di ogni cosa e non solo il suo prezzo di chi sa dire con convinzione non tutto, non subito, non sempre di più”; “è la forza interiore di chi sa distogliere lo sguardo dal proprio interesse particolare e allargare il cuore e il respiro a una dimensione più ampia”.
“Solo educando l’uomo alla verità avremo un’economia nuova che guarda al bene comune allargando lo sguardo e passando da una responsabilità limitata a una responsabilità sociale”, ha ricordato l’Arcivescovo Pelvi.
“Senza l’orientamento al bene comune finisce per prevalere consumismo, spreco, povertà e squilibri, fattori negativi per il progresso e lo sviluppo”.
In quest’ottica, bisogna elaborare “piani di rilancio dell’economia, aiutando non solo le banche a spese dei contribuenti, ma anche i piccoli imprenditori, le famiglie”, e “investire sulla crescita integrale dei più poveri”, “per metterli in condizione di partecipare al piano di risanamento globale, senza lasciarli ai margini del benessere”.
“I rischi sarebbero limitati – ha concluso –, perché i poveri danno a garanzia la loro stessa vita”.