Archive pour le 16 septembre, 2011

Headpiece of St John’s Gospel: St John and the Trinity.

Headpiece of St John's Gospel: St John and the Trinity. dans immagini sacre 14%20JOHN%201%20AND%20TRINITY
http://www.artbible.net/Jesuschrist_fr.html

Publié dans:immagini sacre |on 16 septembre, 2011 |Pas de commentaires »

Che pena si soffre in Purgatorio? L’impossibilita di vedere subito Dio

dal sito:

http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=127651

Che pena si soffre in Purgatorio?

Per prima cosa va chiarito che si parla, appunto, di pena e non di colpa. La chiarificazione e importante perché per colpa s’intende l’offesa fatta a Dio; per pena la conseguenza della colpa; la quale pena resta anche dopo la remissione della colpa. La pena del purgatorio consiste essenzialmente nell’ impossibilita di vedere subito Dio, attraverso lo « splendore della gloria », cioe la Luce della beatitudine .

L’impossibilita di vedere subito Dio

          Per prima cosa va chiarito che si parla, appunto, di pena e non di colpa. La chiarificazione e importante perché, purtroppo, anche in qualche espressione di testi di preghiera si sente ancora implorare che il nostro caro defunto sia liberato da ogni colpa.
          L’espressione, chiaramente, si colloca nel modo di parlare usuale. Ma quando si vuole essere esatti, bisogna ricordare che la teologia della Chiesa e esplicita: per colpa s’intende l’offesa fatta a Dio; per pena la conseguenza della colpa; la quale pena resta anche dopo la remissione della colpa. Per non allargare di troppo il discorso, e limitarci a quanto andiamo dicendo, questa stessa teologia insegna che per colpa, in senso stretto, s’intende solo il peccato mortale. In ogni caso, il peccato veniale viene annullato dalla stessa morte, quando e accettata cristianamente. Per cui, dopo la morte, se ci fosse ancora la colpa, perché non pentiti, non resterebbe che la condanna, cioe l’inferno.
          Precisato questo, ci resta da vedere in che consista questa pena. E avvertiamo, anche qui, come altro preambolo, che una vita virtuosa e il miglior modo di ridurre la pena dovuta alla colpa.
          Comunque, la Chiesa e persuasa che, tolti casi eccezionali (che non e dato a noi di conoscere), qualcosa di questa pena resta sempre, anche dopo la morte. E si sconta in purgatorio.
           Purgatorio deriva da purga, lavaggio, detersione. Per questa purificazione c’e il fuoco?… I nostri antichi lo hanno pensato e predicatori e teologi di altri tempi non trovavano molta difficolta ad ammettere l’esistenza di quelle fiamme. Non si erano domandati se una realta fisica/chimica, cioe naturale, come il fuoco, potesse esistere in un mondo e un in ordine soprannaturale, com’e tutto cio che troveremo al di la delle soglie della morte.
          Molto meno avevano sospettato che quel fuoco fosse da attribuirsi all’immagine del mondo che avevano i nostri primi padri nella Fede, per i quali il tormento piu spaventoso era il fuoco (non conoscevano i supplizi inventati dalla tecnologia moderna, quando e a servizio della violenza e dell’oppressione socio-politica).
          Tutto considerato, resta certo che la pena del purgatorio consiste essenzialmente nell’ impossibilita di vedere subito Dio, attraverso lo « splendore della gloria », cioe la Luce della beatitudine (il Lumen gloriae dei teologi).
          Le anime del purgatorio Dio lo vedono gia, perché sono nella sua grazia e nel suo amore; ma hanno bisogno di quell’ ultima purificazione, prima di raggiungere perfettamente il traguardo. E diciamo subito, per non dimenticarlo, che non e affatto vero quanto si leggeva su qualche libretto di pieta di altri tempi, o che diceva qualche predicatore di novene per defunti: che la pena del purgatorio e uguale a quella dell’inferno; solo che quella e eterna e questa no! Simili espressioni sono di una ingenuita deplorevole.
          A parte che gia fra una pena eterna e una temporanea, la differenza e abissale, il fatto essenziale e un altro: che la pena dell’inferno e un castigo terribile, per chi si e ribellato a Dio; quella del purgatorio e una sofferenza provvidenziale, un atto di amore di Dio,per un figlio suo, che non potrebbe diversamente godere della beatitudine del Suo volto, se non fosse del tutto purificato il suo sguardo.

(Teologo Borel) Giugno 2011 – autore: Padre Bernardino Bordo

Publié dans:Paradiso Purgatorio Inferno |on 16 septembre, 2011 |Pas de commentaires »

DIVENTARE COME DIO (Gianfranco Ravasi, 10 marzo 2011)

dal sito:

http://www.famigliacristiana.it/chiesa/blog/la-bibbia-in-un-frammento_1.aspx?_pn_=2

DIVENTARE COME DIO

(Gianfranco Ravasi, 10 marzo 2011)

« Si apriranno i vostri occhi e diventerete come Dio, conoscitori del bene e del male. »(Genesi 3,5)

Nel giardino dell’Eden c’era un albero che non è registrato nei manuali di botanica. In ebraico si chiama ’es da’at tob wara’, «l’albero della conoscenza del bene e del male», e non è una pianta fisica ma metafisica, simbolica. Forse anche qualche nostro lettore è convinto che si tratti di un melo, ma è vittima di un abbaglio. L’equivoco nasce da una sorta di gioco di parole, possibile però soltanto in latino. In quella lingua, infatti, hanno un suono molto affine questi tre vocaboli: malus (melo), malum (male) e malus (cattivo). Ecco spiegato l’inganno che ha generato la celebre “mela di Eva”, legata appunto al “male” che ne è seguito.
Il discorso, in verità, è serio e tocca il cuore della morale. Cerchiamo, quindi, di illustrare il significato di quell’albero misterioso e comprenderemo appieno anche il passo biblico che abbiamo proposto alla nostra riflessione. Innanzitutto l’immagine vegetale è per la Bibbia segno di sapienza, indica un sistema di vita: il Salmo 1, ad esempio, presenta il giusto come un albero radicato nei pressi di un ruscello, le cui foglie non avvizziscono e i cui frutti sono gustosi e costanti. C’è, poi, la “conoscenza”, la da’at che, nella cultura biblica, non è solo intellettuale, ma è anche un atto globale della coscienza che coinvolge volontà, sentimento e azione. È, pertanto, una scelta radicale di vita. Infine, ecco «il bene e il male» che, com’è ovvio, sono i due perni della morale.
A questo punto siamo tutti in grado di identificare quest’albero simbolico: è l’incarnazione della morale nella sua pienezza, che proviene da Dio, colui che pianta nel cuore di ogni creatura umana questa realtà viva e decisiva. I frutti, quindi, sono solo donati, non possono essere sottratti. L’uomo e la donna sono là, con la loro libertà, sotto l’ombra di quell’albero e compiono una scelta drammatica. Sollecitati dal serpente, emblema del tentatore che scuote la nostra libertà, essi strappano il frutto, ossia – fuor di metafora – vogliono decidere in proprio quale sia il bene o il male, rifiutando di riceverli come codificati da Dio.
Si comprende, allora, il significato profondo dell’invito del tentatore: strappare quel frutto vuol dire diventare arbitri («conoscitori ») del bene e del male, artefici autonomi della morale, creatori di ciò che è giusto e di ciò che è perverso a proprio piacimento. È appunto «diventare come Dio». È, questa, la radice del “peccato originale”, anzi, è l’essenza ultima di ogni peccato. È un po’ quello che i Greci definivano come hybris, ossia la sfida che il ribelle lancia contro la divinità. Con questa scelta si giunge non nel cielo sognato da Adamo ed Eva e fatto balenare loro dal serpente come la grande illusione; si precipita, invece, nel cuore della tenebra, nell’abisso del peccato e della colpa.
Detto in altri termini, l’anima oscura del peccato è la superbia, non per nulla considerata come il primo dei vizi capitali: è la folle aspirazione a sostituirsi a Dio definendo autonomamente il bene e il male. La storia umana è l’amara documentazione dei risultati ottenuti, una volta imboccata questa via. Risuona, allora, il monito di un sapiente biblico del II secolo a.C., il Siracide: «Dio in principio creò l’uomo e lo lasciò in mano al suo proprio volere. Se vuoi, osserverai i comandamenti: l’essere fedele dipende dalla tua buona volontà… Davanti agli uomini stanno la vita e la morte: a ognuno sarà dato ciò che egli sceglierà» (Siracide 15,14-15.17).

Publié dans:CAR. GIANFRANCO RAVASI |on 16 septembre, 2011 |Pas de commentaires »

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