Archive pour le 14 septembre, 2011

buona notte

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Red begonia in fiore

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Abraham and the three Angels

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Mimo, funambolo e martire (O.R. 23-24 novembre 2009)

dal sito:

http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/cultura/2009/272q04a1.html

(L’Osservatore Romano 23-24 novembre 2009)

Mimo, funambolo e martire

di Fabrizio Bisconti

È piuttosto rigido l’atteggiamento dei Padri della Chiesa nei confronti dei mestieri che ruotano attorno all’orbita artistica, relativamente al pericolo che alcune professioni, pertinenti all’arte e allo spettacolo, possano far incorrere i fedeli nel peccato di idolatria. Se, poi, dalla teoria, talora asseverativa e rigorosa, si passa alla prassi, dobbiamo constatare che alcuni mestieri, tradizionalmente vietati o, comunque, posti in seria discussione dalle fonti canoniche, appaiono tra quelli esercitati dai primi cristiani, come documenta la produzione epigrafica delle catacombe romane.
I divieti e gli inviti a stare in guardia dei Padri della Chiesa si riferiscono specialmente agli spettacoli, a cominciare da Clemente Alessandrino, che considera teatro e stadio come « cattedre di pestilenza (Pedagogus, iii, 76, 3), per continuare con Tertulliano che ritiene ispiratori di idolatria i giochi atletici e violenti, ed inutili il pugilato e la lotta (De spectaculis, 11-18). Gli apologisti condannano, senza attenuanti, il circo e l’anfiteatro, in quanto vedere uccidere un uomo è come ucciderlo, mentre per Cipriano lo spettacolo in genere può e deve essere identificato con l’idolatria (De spectaculis, 4). Ma è la testimonianza di Agostino a dare un’idea più chiara e complessiva della visione cristiana dello spettacolo e del travaglio che tormenta i Padri della Chiesa a questo proposito:  « Sono i catecumeni – egli rimprovera – a scandalizzarsi per il fatto che i medesimi uomini riempiano le chiese nelle feste cristiane e i teatri in quelle pagane » (De catechizandis rudibus, 25, 48).
Nonostante il tono asseverativo di questi richiami alla vigilanza, molti documenti romani ci parlano di « teatranti cristiani e non solo di aurighi, ginnasti e musici, ma anche di mimi e pantomimi che, come è noto, erano particolarmente invisi ai Padri della Chiesa, specialmente quando, durante la controversia ariana, scelsero come temi preferiti di pantomima i misteri cristiani, parodiando il battesimo e il martirio (Agostino, De baptismo, vii, 53).
Eppure non mancano alcuni celebri mimi romani sicuramente cristiani, fra tutti va ricordato Vitale, sepolto a San Sebastiano nel V secolo e rammentato da un interminabile epitaffio metrico, dove si ricorda, tra l’altro, la sua abilità nell’imitazione delle donne. Vitale, come si desume dal testo epigrafico, era talmente bravo che la sua sola presenza suscitava ilarità ed allegria; qualsiasi ora con lui era lieta; il suo unico rimpianto consisteva nel fatto che tutti coloro che aveva imitato in vita morissero con lui. Ancora a San Sebastiano era sepolto un famoso funambolo (catadromarius) e a San Paolo fuori le Mura un pantomimo che, come è noto, comporta una messa in scena più completa, con mimo, danza e recitazione. Altre testimonianze epigrafiche ricordano ancora un danzatore a San Paolo e un musico a San Sebastiano, mentre, per quanto attiene alle donne di spettacolo, resta il ricordo di una suonatrice di lira da San Lorenzo fuori le Mura e di una cantante, moglie di un ciabattino, dal cimitero Maggiore, sulla via Nomentana.
Queste due ultime testimonianze sembrano rispondere a un giudizio molto severo sulle « donne di teatro » considerate di infima condizione sociale e di dubbia reputazione (Giovanni Crisostomo, Contra ludos et theatra, 2). L’atteggiamento ostile su certi mestieri nasce da un’etica del lavoro, in base alla quale alcune attività non risultano consone alla dottrina cristiana. Il lavoro eseguito da un cristiano, secondo tale teoria, non deve essere disonesto, immorale e idolatrico:  per questo non si accettano alcune attività e si consigliano i cristiani di cambiare mestiere, se prima della conversione avessero esercitato una professione poco consona con la nuova vita che si stava per condurre. Tertulliano, a questo riguardo, si sofferma proprio sui mestieri permessi ai cristiani o, meglio, esorta ogni cristiano a evitare tutte quelle professioni che potevano accostarlo al culto degli dei (De idolatria, 12, 4).
Non si accettano, innanzi tutto, coloro che praticano o gestiscono la prostituzione, gli aurighi, i circensi, i gladiatori, i sacerdoti, i custodi dei templi pagani, i maghi, gli ipnotizzatori, gli indovini, gli interpreti dei sogni, i fabbricanti di amuleti, gli scultori e i pittori (Tradizione apostolica, 11, 2-15). Proprio questi ultimi, invece, appaiono nelle catacombe romane e, segnatamente, nelle incisioni figurate sui marmi di chiusura dei loculi:  una evoca la professione di un defunto intento a comporre una lastra di opus sectile e un’altra riproduce la bottega dello scultore di sarcofagi Eutropos e non mancano allusioni a pittori, scultori di clipei e musivi vari.
Come si diceva, la prassi e la teoria non parlano la stessa lingua e i cristiani di Roma impongono leggi e divieti troppo rigidi.
L’unico timore tenuto presente anche dalla base sociale della comunità è quello di incorrere nel peccato d’idolatria, che il severo Tertulliano paragona a un cancro, le cui metastasi minano il corpo sociale e da cui occorre difendersi con antidoti estremi (De idolatria, 12, 4). L’apologista africano, come sempre, si riferisce a episodi che stavano accadendo in quel tempo sulla sua chiesa, episodi che da Roma ci accompagnano verso la realtà cartaginese dell’epoca severiana, ma che fioriscono nell’idea generale della tormentata conversione al cristianesimo nei primi secoli. Tertulliano ricorda, infatti, un episodio estremo, che dà il senso delle infrazioni alle regole della Chiesa:  « I costruttori di idoli vengono ammessi nell’ordine ecclesiastico. Quale crimine! ».

“LA GLOBALIZZAZIONE HA BISOGNO DI TROVARE UN’ANIMA”

dal sito:

http://www.zenit.org/article-27937?l=italian

“LA GLOBALIZZAZIONE HA BISOGNO DI TROVARE UN’ANIMA”

Si è concluso l’incontro mondiale dei leader religiosi a Monaco

di Chiara Santomiero

MONACO, martedì, 13 settembre 2011 (ZENIT.org).- “La globalizzazione, che è una grande risorsa, ha bisogno di trovare un’anima”: è il messaggio contenuto nell’appello per la pace firmato dai 300 leader religiosi riuniti dall’11 al 13 settembre dalla Comunità di Sant’Egidio e dal card. Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco-Frisinga, nel capoluogo bavarese per incontro mondiale “Bound to Live Together. Religioni e culture in dialogo”.
Un appello per il mondo
“L’egoismo – afferma il messaggio letto nella cerimonia finale dell’incontro svoltasi in Marienplatz davanti alla Frauenkirche, la cattedrale di Nostra Signora – conduce ad una civiltà della morte e provoca anche la morte di tanti. Per questo, occorre guardare in alto, aprirsi al futuro e diventare capaci di globalizzare la giustizia”. “Dobbiamo, con forza, – prosegue il messaggio – riproporre il problema della pace in tutte le sue dimensioni”. Infatti “siamo destinati a vivere insieme e tutti siamo responsabili dell’arte del convivere. Il dialogo si è rivelato oggi l’arma più intelligente e pacifica.Èla risposta ai predicatori del terrore, che addirittura usano le parole delle religioni per diffondere odio e dividere il mondo. Niente è perduto con il dialogo”.
Più forti insieme
“Monaco in questi giorni è divenuta la capitale dello spirito – ha affermato nel suo intervento conclusivo Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio – non si sono sentiti passi pesanti dei soldati sulle sue strade, ma i passi leggeri dei cercatori di Dio e dei pellegrini della pace”.
“Siamo più forti e più pieni di speranza dopo questi giorni assieme” perché “siamo scesi in profondità nelle nostre religioni e questo ci insegna ad essere uomini di pace, come ci ha scritto il nostro amato Benedetto XVI nel suo messaggio”.
“Siamo pieni di speranza – ha proseguito Riccardi -, tanto da dire con forza: che il prossimo decennio sia davvero nuovo! La novità è la pace. La pace in un mondo più giusto verso i poveri, dove i ricchi imparino la sobrietà e la partecipazione vera alla lotta contro la povertà. La pace è un sogno e una speranza, non un’utopia. E’ il sogno che matura nel cuore di una donna e di un uomo spirituali, che non si rassegnano al male, alla mancanza di libertà, di libertà religiosa, di libertà dalla miseria. La pace, in modo concreto, è la nostra visione del futuro. Perché la pace è una visione divina, essendo il nome stesso di Dio“.
“In un’atmosfera di stima reciproca, di rispetto e di amicizia – ha aggiunto il card. Marx – ci siamo accordati su ciò che vogliamo e anche su ciò che possiamo realizzare, perché tutto il mondo, tutta la famiglia umana possa avanzare verso il futuro con coraggio e con molta speranza. Nessun paese vive per se stesso. E anche l’Europa non può e non vuole bastare a se stessa, ma ha una missione per il mondo”.
Fiducia nell’umanità
Un’Europa e un mondo scossi da eventi umani e naturali che mettono alla prova lo spirito e l’umanità dei popoli che li abitano. “Se c’era ancora dell’ingenuità nella nostra pacifica società – ha affermato nella sua testimonianza Ole Christian Maelen Kvarme, vescovo luterano di Oslo (Norvegia) -, con l’attentato è andata perduta. Un norvegese biondo ha aggredito la nostra società aperta e il suo attacco mirava alla presenza dei musulmani tra di noi. Com’è possibile rispondere a un tale estremismo, a un tale male, a questi atteggiamenti e alla retorica dell’odio?”.
“Nel dolore e nella rabbia – ha proseguito Kvarme –, sono stati i giovani a indicarci la direzione del nostro futuro. Nella cattedrale ho incontrato vari dei sopravvissuti al massacro e sono rimasto colpito dalla loro determinazione. Ciò di cui abbiamo bisogno ora non è minor apertura, ma più democrazia e costruire la fiducia con il dialogo. Una giovane mi ha detto: ‘Se una persona sola può causare tanto male, pensa all’amore che possiamo creare insieme’”.
“Da questo fortissimo terremoto – ha detto rivolto alle persone riunite nella Marienplatz Gijun Sugitani, consigliere supremo della scuola buddista Tendai (Giappone) – abbiamo imparato una cosa importante. Che gli esseri umani devono essere più umili di fronte alla natura e, allo stesso tempo, che siamo parte integrante di una grande famiglia e che abbiamo bisogno di vivere insieme, perché destinati a convivere”. “Il nostro futuro – ha proseguito Sugitani – non è la tecnologia. I problemi alla centrale nucleare di Fukushima sono stati causati dall’uomo stesso. Il nostro futuro non consiste nella sicurezza del sistema economico. Il nostro futuro sta nella saggezza di imparare l’arte della convivenza, così come è scritto nelle antiche tradizioni religiose”.
“Si potrebbe dire – ha raccontato Edith Dunia Daliwonga, della Comunità di Sant’Egidio nella Repubblica democratica del Congo – che appartengo ad una generazione che ha conosciuto quasi solo la guerra e la violenza, in altri termini una generazione perduta e senza speranza. Infatti senza la pace non c’è futuro e non c’è speranza. La guerra e la violenza per gli uomini sono come una tempesta e come è facile fare naufragio! Non ci si può salvare se non insieme, senza abbandonare nessuno al suo destino di violenza e di povertà. Non bisogna abbandonare l’Africa”.
L’anno prossimo a Sarajevo
“Guardiamoci con più simpatia – afferma l’appello consegnato da bambini di varie nazionalità ai politici non solo della Baviera ma del governo tedesco e di altri paesi intervenuti alla cerimonia finale di Marienplatz – e molto, tutto, tornerà possibile”. “Ètempo di cambiare – insiste l’appello -. Il mondo ha bisogno di più speranza e di più pace. Possiamo imparare di nuovo a vivere non gli uni contro gli altri, ma gli uni con gli altri. Siamo consapevoli delle responsabilità delle religioni nel mettere in pericolo la pace, quando non hanno guardato verso l’alto. Chi usa il nome di Dio, per odiare l’altro e uccidere, bestemmia il Nome Santo di Dio. Per questo possiamo dire: non c’è futuro nella guerra! Non c’è alternativa al dialogo. Il dialogo è un’arma semplice a disposizione di tutti. Con il dialogo costruiremo un nuovo decennio e un secolo di pace. Diventiamo, tutti, artigiani della pace. Sì, Dio conceda al nostro mondo il dono meraviglioso della pace”.
“L’anno prossimo a Sarajevo!”, hanno invitato insieme il Gran Mufti Ceric e il vescovo ausiliare mons. Pero Sudar. A venti anni dal sanguinoso assedio della città nel corso del conflitto nell’ex Jugoslavia, nel 2012 il prossimo incontro della Comunità di Sant’Egidio secondo lo “spirito di Assisi” si svolgerà nella capitale della Bosnia-Erzegovina. “Sarajevo – ha affermato Ceric – è la prima Gerusalemme di Europa, la seconda del mondo, una città di antica convivenza di ebrei, cristiani e musulmani”.
“Abbiamo sempre vissuto uno accanto all’altro – ha proseguito il Gran Mufti – fino a una guerra assurda come tutte le guerre”. Anche se “sembrava impossibile vivere ancora insieme, siamo qui piu’convinti che questo antico sogno sia ancora possibile”. Qualcuno voleva distruggere Sarajevo “ma noi ci siamo rifiutati” e “a chi pensa che nel 2012 finisca il mondo, io dico che a Sarajevo nel 2012 comincerà il futuro”. “Al mio popolo – ha concluso Ceric – dico: abbiate fiducia in Dio e nell’Europa”.

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