Archive pour le 13 septembre, 2011

« Crucifixion en jaune » 1943, de Marc Chagall

http://paroissecatho.boulay.free.fr/meditation_pour_lexaltation_de_la_sainte_croix_l.html

Publié dans:immagini sacre |on 13 septembre, 2011 |Pas de commentaires »

Omelia per la Festa dell’Esaltazione della Santa Croce : Riscoprire la croce di Cristo, strumento di salvezza (Cantalamessa)

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/13598.html

Omelia (14-09-2008)

padre Raniero Cantalamessa

Riscoprire la croce di Cristo, strumento di salvezza

Oggi la croce non è presentata ai fedeli nel suo aspetto di sofferenza, di dura necessità della vita, o anche di via per cui seguire Cristo, ma nel suo aspetto glorioso, come motivo di vanto, non di pianto. Diciamo anzitutto qualcosa sull’origine della festa. Essa ricorda due avvenimenti distanti tra loro nel tempo. Il primo è l’inaugurazione, da parte dell’imperatore Costantino, di due basiliche, una sul Golgota e una sul sepolcro di Cristo, nel 325. L’altro avvenimento, del secolo VII, è la vittoria cristiana sui persiani che portò al recupero delle reliquie della croce e al loro ritorno trionfale a Gerusalemme. Con il passar del tempo, la festa però ha acquistato un significato autonomo. E’ diventata celebrazione gioiosa del mistero della croce che, da strumento di ignominia e di supplizio, Cristo ha trasformato in strumento di salvezza.
Le letture riflettono questo taglio. La seconda lettura ripropone il celebre inno della Lettera ai Filippesi, dove la croce è vista come il motivo della grande « esaltazione » di Cristo: « Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre ». Anche il Vangelo parla della croce come del momento in cui « il Figlio dell’uomo è stato innalzato perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna ».
Ci sono stati, nella storia, due modi fondamentali di rappresentare la croce e il crocifisso. Li chiamiamo, per comodità, il modo antico e il modo moderno. Il modo antico, che si può ammirare nei mosaici delle antiche basiliche e nei crocifissi dell’arte romanica, è un modo glorioso, festoso, pieno di maestà. La croce, spesso da sola, senza il crocifisso sopra, appare punteggiata di gemme, proiettata contro un cielo stellato, con sotto la scritta: « Salvezza del mondo, salus mundi », come in un celebre mosaico di Ravenna.
Nei crocifissi lignei dell’arte romanica, questo stesso tipo di rappresentazione si esprime nel Cristo che troneggia in vestimenti regali e sacerdotali dalla croce, con gli occhi aperti, lo sguardo frontale, senza ombra di sofferenza, ma irraggiante maestà e vittoria, non più coronato di spine, ma di gemme. E’ la traduzione in pittura del versetto del salmo « Dio ha regnato dal legno » (regnavit a ligno Deus). Gesù parlava della sua croce in questi stessi termini: come del momento della sua « esaltazione »: « Io, quando sarò esaltato da terra, attirerò tutti a me » (Gv 12, 32).
Il modo moderno comincia con l’arte gotica e si accentua sempre di più, fino a diventare il modo ordinario di rappresentare il crocifisso, in epoca moderna. Un esempio estremo è la crocifissione di Matthias Grünewald nell’Altare di Isenheim. Le mani e i piedi si contorcono come sterpi intorno ai chiodi, il capo agonizza sotto un fascio di spine, il corpo tutto piagato. Anche i crocifissi di Velasquez e di Salvador Dalì e di tanti altri appartengono a questo tipo.
Tutti e due questi modi mettono in luce un aspetto vero del mistero. Il modo moderno – drammatico, realistico, straziante – rappresenta la croce vista, per così dire, « davanti », « in faccia », nella sua cruda realtà, nel momento in cui vi si muore sopra. La croce come simbolo del male, della sofferenza del mondo e della tremenda realtà della morte. La croce è rappresentata qui « nelle sue cause », cioè in quello che, di solito, la produce: l’odio, la cattiveria, l’ingiustizia, il peccato.
Il modo antico metteva in luce, non le cause, ma gli effetti della croce; non quello che produce la croce, ma quello che è prodotto dalla croce: riconciliazione, pace, gloria, sicurezza, vita eterna. La croce che Paolo definisce « gloria » o « vanto » del credente. La festa del 14 Settembre si chiama « esaltazione » della croce, perché celebra proprio questo aspetto « esaltante », della croce.
Bisogna unire, al modo moderno di considerare la croce, quello antico: riscoprire la croce gloriosa. Se al momento in cui la prova era in atto, poteva esserci utile pensare a Gesù sulla croce tra dolori e spasimi, perché questo ce lo faceva sentire vicino al nostro dolore, ora bisogna pensare alla croce in altro modo. Mi spiego con un esempio. Abbiamo di recente perso una persona cara, forse dopo mesi di grandi sofferenze. Ebbene, non continuare a pensare a lei come era sul suo letto; in quella circostanza, in quell’altra, come era ridotta alla fine, cosa faceva, cosa diceva, torturandosi magari il cuore e la mente, alimentando inutili sensi di colpa. Tutto questo è finito, non esiste più, è irrealtà; così facendo non facciamo che prolungare la sofferenza e conservarla artificialmente in vita.
Vi sono mamme (non lo dico per giudicarle, ma per aiutarle) che dopo aver accompagnato per anni un figlio nel suo calvario, una volta che il Signore l’ha chiamato a sé, si rifiutano di vivere altrimenti. In casa tutto deve restare com’era al momento della morte del figlio; tutto deve parlare di lui; visite continue al cimitero. Se vi sono altri bambini in famiglia, devono adattarsi a vivere anch’essi in questo clima ovattato di morte, con grave danno psicologico. Ogni manifestazione di gioia in casa sembra loro una profanazione. Queste persone sono quelle che hanno più bisogno di scoprire il senso della festa di domani: l’esaltazione della croce. Non più tu che porti la croce, ma la croce che ormai porta te; la croce che non ti schiaccia, ma ti innalza.
Bisogna pensare la persona cara come è ora che « tutto è finito ». Così facevano con Gesù quegli antichi artisti. Lo contemplavano come è ora: risorto, glorioso, felice, sereno, seduto sullo stesso trono di Dio, con il Padre che ha « asciugato ogni lacrima dai suoi occhi » e gli ha dato « ogni potere nei cieli e sulla terra ». Non più tra gli spasimi dell’agonia e della morte. Non dico che si possa sempre comandare al proprio cuore e impedirgli sanguinare al ricordo di quello che è stato, ma bisogna cercare di far prevalere la considerazione di fede. Se no, a che serve la fede?

INTRODUZIONE ALLA FESTA DELL’ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

dal sito:

http://www.tradizione.oodegr.com/tradizione_index/commentilit/esaltazionecroce.htm

INTRODUZIONE ALLA FESTA DELL’ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE
 
È una delle 12 grandi feste dell’anno liturgico, ha un giorno di vigilia e si conclude il 21 settembre. La data del 14 settembre è comune all’Oriente e all’Occidente dove il papa orientale Sergio I (687-701) ne ordinò la festa.
La festa dell’Esaltazione riassume e richiama alcuni eventi storici legati al santo Legno, principalmente la scoperta della Vera Croce. Una tradizione formatasi abbastanza presto riferisce che sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, aveva ritrovato a Gerusalemme, presso il Golgota, le tre croci usate per Gesù Cristo e i due ladroni; una guarigione miracolosa, avvenuta al contatto con una d’esse, permise il riconoscimento della croce del Salvatore e di mostrarla alla venerazione del popolo. Appena la notizia della scoperta si diffuse nella Città Santa, una vasta folla si radunò per venerare la Croce del Signore. Il Patriarca di Gerusalemme, san Macarios, la portò su di un pulpito: e quando il popolo la vide innalzata verso l’alto, tutti assieme gridarono, decine di volte “Kyrie eleison”, un evento questo ricordato nel servizio di oggi, con la frequente ripetizione dei “Kyrie eleison” alla cerimonia dell’Esaltazione. Da allora una parte del sacro legno venne conservata nella basilica dell’Anàstasis (detta Santo Sepolcro dai latini), altre parti del sacro legno furono portate a Roma dalla stessa sant’Elena, che le custodì nella cappella della sua abitazione romana, divenuta il monastero di Santa Croce in Gerusalemme.
Si commemora anche la seconda grande Esaltazione della Croce, a Costantinopoli nel 629. Il 4 maggio 614, durante il saccheggio di Gerusalemme, la Vera Croce era caduta nelle mani dei Persiani. Nel 628 l’imperatore Eraclio, sconfiggendo il re Persiano Cosroe, recuperò la preziosa reliquia. Lieto della vittoria, Eraclio a cavallo, vestito della porpora e con il diadema, volle riportare il santo Legno della Salvezza attraverso la porta principale di Gerusalemme. Ma il cavallo si fermò ed il patriarca Zaccaria, che era stato liberato dalla prigionia persiana, fece presente, all’imperatore che il Figlio di Dio non aveva portato in forma solenne la Croce per le vie di Gerusalemme. Eraclio, commosso, a piedi e scalzi, dopo aver deposto la porpora ed il diadema, portò sulle sue spalle il legno benedetto sino al Golgota. Perciò, a ricordo del primo e del secondo avvenimento, si cantano stichiri gioiosi e commoventi: “Oggi si esalta la Croce ed il mondo si santifica, giacché Tu che siedi sul trono con il Padre e il Santo Spirito, stendesti le Tue mani su di essa e tutto il mondo fu portato a conoscerti. Tu rendi degni dell’eterna gloria coloro che in Te sperano”. “Ora giunge la Croce del Signore, ed i fedeli l’accolgono con amore e da essa ricevono la guarigione da tutte le malattie dell’anima e del corpo. Baciamola con gioia e timore; con timore, a causa dei nostri peccati, poiché siamo indegni; con gioia, per la salvezza che concede al mondo il Cristo che vi fu crocifisso, pieno di misericordia per noi”. Quindi Eraclio, temendo che la santa Croce non fosse più al sicuro a Gerusalemme la trasferì con sé nella capitale, Costantinopoli, dove fu trionfalmente esaltata nella Grande Chiesa di Agia Sofia. Da allora si celebra «la croce come strumento di salvezza e di vittoria sui nemici della Chiesa e dei cristiani»[1].
Infine, i servizi liturgici per il giorno hanno anche costanti riferimenti alla visione della Croce vista dall’imperatore Costantino nell’anno 312, poco prima della vittoria su Massenzio, e ci sono allusioni ad un evento che è più specificatamente commemorato il 13 settembre: la Dedicazione della Chiesa della Anastasis, costruita da Costantino su luogo del Santo Sepolcro e completata nel 335.
Nei riti liturgici del Venerdì Santo la Chiesa guarda alla Crocifissione nel suo contesto originale, come un evento nella prima Santa Settimana a Gerusalemme. Nella festa dell’Esaltazione, per contrasto, la Croce è contemplata anche per i suoi effetti sulla storia seguente della Chiesa. Nel Venerdì Santo la nota predominante – anche se mai esclusiva – è di dolore e di pianto; il 14 settembre la Croce è commemorata in uno spirito di trionfo, come “arma di pace e inconquistabile insegna di vittoria” (Kontakion della festa). Per il diretto richiamo alla passione del Salvatore, in Oriente, la festa, anche se cade in domenica, è caratterizzata dal digiuno. Il digiuno è anche legato agli eventi del VII secolo, da cui trae l’origine storica. Nel titolo della festa, l’Esaltazione è definita “universale”. Questo è un elemento essenziale nel significato della ricorrenza: il potere della Croce si estende in ogni parte dell’universo, e la salvezza che porta abbraccia l’intera creazione. Ecco perché, nella cerimonia dell’Esaltazione, il sacerdote si volge per benedire verso ogni punto cardinale: “I quattro angoli della terra, o Cristo nostro Dio, sono oggi santificati” (Tropario alla cerimonia dell’Esaltazione)[2].
Al termine della grande Dossologia, mentre il coro canta il trisaghion, il vescovo, indossati gli abiti pontificali, porta la Croce, adorna di fiori, fuori sull’Altare, tenendola sulla testa e la pone su un leggio posto sull’ambone. Prima di deporla, tenendola sempre sulla testa, si china con essa, quasi per indicare il peso delle persecuzioni, e poi si solleva a ricordo della vittoria del Cristianesimo, mentre il coro canta lentamente “Signore pietà”, abbassando il tono mentre il vescovo si china, alzandolo quando si solleva. Così come avvenne, dopo l’invenzione della Croce, quando il patriarca Macario sollevò il Santo Legno perché tutti lo vedessero, ma, a causa della debolezza delle sue braccia, era costretto ad abbassarlo. Ed anche allora il popolo invocava: “Kyrie, Eleison”[3].

[1] G. Garib, Croce e presenza mariana nella liturgia bizantina, p. 188, in La sapienza della Croce, Atti dell’omonimo congresso, Roma 1977, vol. III.
[2] A. N. Muravjoj, da “Pisma o bogosluzenii”, p.175-177. Traduzione Italiana sul numero 8 del “Bollettino della Chiesa russa in Roma”, sett-ott 1972.
[3] M. Mary e P. Kallistos Ware, The festal Menaion, London.

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