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Gloria di Dio Padre dopo il restauro – La chiesa di Santa Maria Nascente è situata all’ingresso del comune di Cardano al Campo

Gloria di Dio Padre dopo il restauro - La chiesa di Santa Maria Nascente è situata all'ingresso del comune di Cardano al Campo  dans immagini sacre Gloria

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MEDITAZIONE DI BENEDETTO XVI SUL SALMO 3

dal sito:

http://www.zenit.org/article-27853?l=italian

MEDITAZIONE DI BENEDETTO XVI SUL SALMO 3

All’Udienza Generale del mercoledì

CASTEL GANDOLFO, mercoledì, 7 settembre 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo della catechesi che Benedetto XVI ha pronunciato questo mercoledì in occasione dell’Udienza generale tenutasi in piazza San Pietro.
Nel discorso in lingua italiana il Papa, continuando il ciclo di catechesi sulla preghiera, ha concentrato la sua meditazione sul Salmo 3.

* * *
Cari fratelli e sorelle,
riprendiamo oggi le Udienze in Piazza San Pietro e, nella « scuola della preghiera » che stiamo vivendo insieme in queste Catechesi del mercoledì, vorrei iniziare a meditare su alcuni Salmi, che, come dicevo nel giugno scorso, formano il « libro di preghiera » per eccellenza. Il primo Salmo su cui mi soffermo è un Salmo di lamento e di supplica pervaso di profonda fiducia, in cui la certezza della presenza di Dio fonda la preghiera che scaturisce da una condizione di estrema difficoltà in cui si trova l’orante. Si tratta del Salmo 3, riferito dalla tradizione ebraica a Davide nel momento in cui fugge dal figlio Assalonne (cfr v. 1): è uno degli episodi più drammatici e sofferti nella vita del re, quando suo figlio usurpa il suo trono regale e lo costringe a lasciare Gerusalemme per salvarsi la vita (cfr 2Sam 15ss). La situazione di pericolo e di angoscia sperimentata da Davide fa dunque da sottofondo a questa preghiera e aiuta a comprenderla, presentandosi come la situazione tipica in cui un tale Salmo può essere recitato. Nel grido del Salmista, ogni uomo può riconoscere quei sentimenti di dolore, di amarezza e insieme di fiducia in Dio che, secondo la narrazione biblica, avevano accompagnato la fuga di Davide dalla sua città.
Il Salmo inizia con un’invocazione al Signore:
«Signore, quanti sono i miei avversari!
Molti contro di me insorgono.
Molti dicono della mia vita:
« Per lui non c’è salvezza in Dio! »» (vv. 2-3).
La descrizione che l’orante fa della sua situazione è quindi segnata da toni fortemente drammatici. Per tre volte si ribadisce l’idea di moltitudine – « numerosi », « molti », « tanti » – che nel testo originale è detta con la stessa radice ebraica, così da sottolineare ancora di più l’enormità del pericolo, in modo ripetitivo, quasi martellante. Questa insistenza sul numero e la grandezza dei nemici serve a esprimere la percezione, da parte del Salmista, dell’assoluta sproporzione esistente tra lui e i suoi persecutori, una sproporzione che giustifica e fonda l’urgenza della sua richiesta di aiuto: gli oppressori sono tanti, prendono il sopravvento, mentre l’orante è solo e inerme, in balìa dei suoi aggressori. Eppure, la prima parola che il Salmista pronuncia è « Signore »; il suo grido inizia con l’invocazione a Dio. Una moltitudine incombe e insorge contro di lui, generando una paura che ingigantisce la minaccia facendola apparire ancora più grande e terrificante; ma l’orante non si lascia vincere da questa visione di morte, mantiene saldo il rapporto con il Dio della vita e a Lui per prima cosa si rivolge, in cerca di aiuto. Però i nemici tentano anche di spezzare questo legame con Dio e di incrinare la fede della loro vittima. Essi insinuano che il Signore non può intervenire, affermano che neppure Dio può salvarlo. L’aggressione quindi non è solo fisica, ma tocca la dimensione spirituale: « il Signore non può salvarlo » – dicono -, il nucleo centrale dell’animo del Salmista va aggredito. È l’estrema tentazione a cui il credente è sottoposto, è la tentazione di perdere la fede, la fiducia nella vicinanza di Dio. Il giusto supera l’ultima prova, resta saldo nella fede e nella certezza della verità e nella piena fiducia in Dio, e proprio così trova la vita e la verità. Mi sembra che qui il Salmo ci tocchi molto personalmente: in tanti problemi siamo tentati di pensare che forse anche Dio non mi salva, non mi conosce, forse non ne ha possibilità; la tentazione contro la fede è l’ultima aggressione del nemico, e a questo dobbiamo resistere così troviamo Dio e troviamo la vita.
L’orante del nostro Salmo è quindi chiamato a rispondere con la fede agli attacchi degli empi: i nemici – come ho detto – negano che Dio possa aiutarlo, egli invece Lo invoca, Lo chiama per nome, « Signore », e poi si rivolge a Lui con un « tu » enfatico, che esprime una rapporto saldo, solido, e racchiude in sé la certezza della risposta divina:
«Ma tu sei mio scudo Signore,
sei la mia gloria e tieni alta la mia testa.
A gran voce grido al Signore
ed egli mi risponde dalla sua santa montagna» (vv. 4-5).
La visione dei nemici ora scompare, non hanno vinto perché chi crede in Dio è sicuro che Dio è il suo amico: resta solo il « Tu » di Dio, ai « molti » si contrappone ora uno solo, ma molto più grande e potente di molti avversari. Il Signore è aiuto, difesa, salvezza; come scudo protegge chi si affida a Lui, e gli fa sollevare la testa, nel gesto di trionfo e di vittoria. L’uomo non è più solo, i nemici non sono imbattibili come sembravano, perché il Signore ascolta il grido dell’oppresso e risponde dal luogo della sua presenza, dal suo monte santo. L’uomo grida, nell’angoscia, nel pericolo, nel dolore; l’uomo chiede aiuto, e Dio risponde. Questo intrecciarsi di grido umano e risposta divina è la dialettica della preghiera e la chiave di lettura di tutta la storia della salvezza. Il grido esprime il bisogno di aiuto e si appella alla fedeltà dell’altro; gridare vuol dire porre un gesto di fede nella vicinanza e nella disponibilità all’ascolto di Dio. La preghiera esprime la certezza di una presenza divina già sperimentata e creduta, che nella risposta salvifica di Dio si manifesta in pienezza. Questo è rilevante: che nella nostra preghiera sia importante, presente, la certezza della presenza di Dio. Così, il Salmista, che si sente assediato dalla morte, confessa la sua fede nel Dio della vita che, come scudo, lo avvolge all’intorno con una protezione invulnerabile; chi pensava di essere ormai perduto può sollevare il capo, perché il Signore lo salva; l’orante, minacciato e schernito, è nella gloria, perché Dio è la sua gloria.
La risposta divina che accoglie la preghiera dona al Salmista una sicurezza totale; è finita anche la paura, e il grido si acquieta nella pace, in una profonda tranquillità interiore:
«Io mi corico, mi addormento e mi risveglio:
il Signore mi sostiene.
Non temo la folla numerosa
che intorno a me si è accampata» (vv. 6-7).
L’orante, pur in mezzo al pericolo e alla battaglia, può addormentarsi tranquillo, in un inequivocabile atteggiamento di abbandono fiducioso. Intorno a lui gli avversari si accampano, lo assediano, sono tanti, si ergono contro di lui, lo deridono e tentano di farlo cadere, ma egli invece si corica e dorme tranquillo e sereno, sicuro della presenza di Dio. E al risveglio, trova Dio ancora accanto a sé, come custode che non dorme (cfr Sal 121,3-4), che lo sostiene, lo tiene per mano, non lo abbandona mai. La paura della morte è vinta dalla presenza di Colui che non muore. E proprio la notte, popolata di timori atavici, la notte dolorosa della solitudine e dell’attesa angosciata, ora si trasforma: ciò che evoca la morte diventa presenza dell’Eterno.
Alla visibilità dell’assalto nemico, massiccio, imponente, si contrappone l’invisibile presenza di Dio, con tutta la sua invincibile potenza. Ed è a Lui che di nuovo il Salmista, dopo le sue espressioni di fiducia, rivolge la preghiera: «Sorgi, Signore! Salvami, Dio mio!» (v. 8a). Gli aggressori « si innalzavano » (cfr v. 2) contro la loro vittima, chi invece « si alzerà » è il Signore, e sarà per abbatterli. Dio lo salverà, rispondendo al suo grido. Perciò il Salmo si chiude con la visione della liberazione dal pericolo che uccide e dalla tentazione che può far perire. Dopo la richiesta rivolta al Signore di alzarsi a salvare, l’orante descrive la vittoria divina: i nemici che, con la loro ingiusta e crudele oppressione, sono simbolo di tutto ciò che si oppone a Dio e al suo piano di salvezza vengono sconfitti. Colpiti alla bocca, non potranno più aggredire con la loro distruttiva violenza e non potranno più insinuare il male del dubbio nella presenza e nell’azione di Dio: il loro parlare insensato e blasfemo è definitivamente smentito e ridotto al silenzio dall’intervento salvifico del Signore (cfr v. 8bc). Così, il Salmista può concludere la sua preghiera con una frase dalle connotazioni liturgiche che celebra, nella gratitudine e nella lode, il Dio della vita: «La salvezza viene dal Signore, sul tuo popolo la tua benedizione» (v. 9).
Cari fratelli e sorelle, il Salmo 3 ci ha presentato una supplica piena di fiducia e di consolazione. Pregando questo Salmo, possiamo fare nostri i sentimenti del Salmista, figura del giusto perseguitato che trova in Gesù il suo compimento. Nel dolore, nel pericolo, nell’amarezza dell’incomprensione e dell’offesa, le parole del Salmo aprono il nostro cuore alla certezza confortante della fede. Dio è sempre vicino – anche nelle difficoltà, nei problemi, nelle oscurità della vita – ascolta, risponde e salva nel suo modo. Ma bisogna saper riconoscere la sua presenza e accettare le sue vie, come Davide nella sua fuga umiliante dal figlio Assalonne, come il giusto perseguitato del Libro della Sapienza e, ultimamente e compiutamente, come il Signore Gesù sul Golgota. E quando, agli occhi degli empi, Dio sembra non intervenire e il Figlio muore, proprio allora si manifesta, per tutti i credenti, la vera gloria e la definitiva realizzazione della salvezza. Che il Signore ci doni fede, venga in aiuto della nostra debolezza e ci renda capaci di credere e di pregare in ogni angoscia, nelle notti dolorose del dubbio e nei lunghi giorni del dolore, abbandonandoci con fiducia a Lui, che è nostro « scudo » e nostra « gloria ». Grazie.

GRANDI ASPETTATIVE PER IL CARDINALE SCOLA A MILANO

dal sito:

http://www.zenit.org/article-27870?l=italian

GRANDI ASPETTATIVE PER IL CARDINALE SCOLA A MILANO

Tornielli racconta in un libro il nuovo Arcivescovo ambrosiano

di Antonio Gaspari

ROMA, giovedì, 8 settembre 2011 (ZENIT.org).- La nomina ad Arcivescovo di Milano del Cardinale Angelo Scola sta suscitando molte speranze nel popolo ambrosiano.
Secondo quanto annunciato dal Vicario generale, monsignor Carlo Redaelli, il Cardinale Scola prenderà possesso della Diocesi venerdì 9 settembre.
Sono già previsti incontri con i mondi della “fragilità” (27 settembre), della cultura (29 settembre), dell’economia e del lavoro (4 ottobre) e della politica (6 ottobre).
Tra il 12 ottobre e l’8 novembre il Cardinale Scola visiterà le Zone pastorali.
Tante sono le domande sul nuovo Arcivescovo e su come intende governare la Diocesi, che è una delle più importanti al mondo.
Per cercare di conoscere la storia e i programmi del nuovo Arcivescovo di Milano, ZENIT ha intervistato il giornalista e scrittore Andrea Tornielli, che ha appena pubblicato una biografia del Cardinale Angelo Scola dal titolo “Il futuro e la speranza” (edizioni Piemme).
Chi è Angelo Scola? Qual è la sua storia e quali le sue rilevanti virtù?
Tornielli: Angelo Scola è un Vescovo che proviene da una famiglia umile: il padre era un camionista, socialista massimalista, e leggeva l’Unità e l’Avanti!. La madre era religiosissima. La mamma lo introdusse alla fede cristiana, il padre volle che studiasse. Il nuovo Arcivescovo di Milano ha ricordato: “La passione per il popolo l’ho presa da lui. Gli devo molto. Compreso il fatto che, essendo un socialista massimalista, mi ha fatto studiare perché ‘l’Unità’ e l’’Avanti!’ raccomandavano di mandare i figli a scuola… Si ammazzò di lavoro, per farci studiare”.
Cosa cambia nella Diocesi di Milano con l’arrivo del Cardinale Scola?
Tornielli: E’ presto per dirlo: ogni nuovo Vescovo, a motivo della sua formazione e del suo temperamento, e soprattutto a motivo delle priorità che individua, porta dei cambiamenti. Si può cercare di intuire qualcosa guardando agli anni – quasi dieci – trascorsi a Venezia. Scola da un lato ha insistito molto sull’evangelizzazione e sull’unità della Chiesa, dall’altro non ha mancato di dialogare con tutti i mondi – da quello della cultura a quello della politica -, puntando in particolare sull’educazione. Il polo Marcianum, che comprende un percorso formativo dalle scuole materne all’università, ne è un esempio.
Negli anni Settanta i seguaci di monsignor Luigi Giussani trovarono difficoltà ad essere pienamente accettati nella Diocesi milanese. Perché?
Tornielli: Erano anni difficili per i nuovi movimenti, vissuti talvolta come un corpo estraneo nella Chiesa « istituzionale ». C’è chi ritiene che la decisa opposizione, soprattutto nei confronti dei chierici vicini a don Giussani, sia stata determinata dal ricordo di quanto accaduto nella Diocesi ambrosiana al tempo del beato Cardinale Andrea Ferrari e protrattosi fino all’episcopato di Achille Ratti, quando a Milano esisteva una sorta di doppio clero, con due seminari, uno di tendenza più “modernista”, l’altro più “tradizionale”. Il Papa aveva mandato l’abate Alfredo Ildefonso Schuster, anche lui oggi beato, a compiere una visita apostolica, e sarebbe stato lo stesso Schuster a diventare, successivamente, Arcivescovo di Milano. Per i preti che si erano formati in quegli anni, lo spettro del clero diviso, del “doppio clero”, doveva ancora aleggiare, e questo potrebbe aver influito in modo significativo nel clima di sospetto che circondava i seminaristi ciellini.
Come è accaduto che l’allora seminarista Angelo Scola dovette andare a Teramo per diventare sacerdote?
Tornielli: I seminaristi ciellini erano mal sopportati. Nel caso di Scola il motivo dell’allontanamento fu legato al servizio militare. L’obbligo della leva decadeva nel momento in cui i seminaristi ricevevano l’ordine del suddiaconato, che veniva amministrato di norma solo all’inizio dell’ultimo anno di teologia. Ma Scola prima di entrare in seminario aveva fatto l’università: chiese che gli venisse anticipato il suddiaconato, in modo da non dover abbandonare il seminario e gli studi teologici per fare il militare, senza alcuna prospettiva certa di poter rientrare a Venegono. I superiori gli comunicarono che non intendevano anticipare il suddiaconato. E così il futuro Arcivescovo di Milano, durante l’estate del 1969, dopo essersi confrontato con don Giussani ed altri sacerdoti ambrosiani, decise di non incominciare il nuovo anno nel seminario ambrosiano. Voleva diventare prete, non indossare la divisa e abbandonare gli studi per diciotto mesi, che avrebbero potuto comportare fino a tre anni di lontananza dagli studi seminaristici. Trovò accoglienza dal Vescovo di Teramo Abele Conigli.
Quali i problemi pastorali della Diocesi di Milano, e in che modo interverrà il Cardinale Scola?
Tornielli: La Diocesi ha molti problemi, innanzitutto il calo delle vocazioni. Immagino che la cura del seminario sarà una priorità. C’è poi il problema delle comunità pastorali, una riforma che si è resa necessaria a motivo della scarsità dei preti, ma che nell’essere attuata non ha mancato di provocare qualche problema. C’è stata anche qualche difficoltà nell’introduzione del nuovo Lezionario. Ma credo che la vera, decisiva questione rimanga quella dell’annuncio del Vangelo in una società sempre più secolarizzata.
Tutti concordano sulle qualità intellettuali e pastorali del Cardinale Scola. Qualcuno però sostiene che il suo modo di parlare non sia sempre facile da comprendere. Lei che ne pensa?
Tornielli: Credo che lo stesso Cardinale se ne sia reso conto, dato che nella lunga intervista di congedo rilasciata al settimanale diocesano Gente Veneta ha affermato: “Questo tempo a Venezia mi ha fatto via via capire quanto ancora di intellettualistico e di astratto c’era nel mio modo di vivere e di proporre l’esperienza cristiana, cosa che poteva non favorire il mio rapporto con il popolo di Dio, che è invece il compito numero uno del pastore. Ho imparato un po’ di più ad abbandonarmi alle circostanze, a non pretendere di dominarle, ad aprirmi di più a tutte le persone che incontravo, a cercare sempre il positivo nel mio interlocutore anche quando vistosamente aveva un’opinione diversa dalla mia. E’ un ridimensionamento che va nella direzione di una domanda di maggiore umiltà. Meno fiducia nelle mie capacità, nelle mie forze; più domanda di aiuto a Dio e alla Vergine Santissima, come dice il mio motto: Basta la Tua grazia”.
Da Patriarca di Venezia il Cardinale Scola ha sviluppato i rapporti con il mondo islamico e con quello ortodosso. Continuerà quest’opera anche a Milano?
Tornielli: Il Cardinale Scola ha avuto una visione realistica del problema e del fatto che, volenti o nolenti, non possiamo pensare di « difenderci » dalle ondate migratorie provenienti in parte da Paesi musulmani alzando muri. Dobbiamo invece cercare di governare il fenomeno e viverlo come stimolo a riscoprire la nostra identità non come una barriera da alzare di fronte all’altro, ma come l’imprescindibile punto di partenza per un dialogo vero e costruttivo. L’esperimento di Oasis, la rivista internazionale che mette in rete le esperienze dei cristiani in particolare nei Paesi a maggioranza musulmana, è un tentativo che va in questo senso. Non penso che a Milano il Cardinale si comporti in modo diverso, ma – come è bene ripetere – stiamo facendo solo delle speculazioni: bisogna aspettare e vedere. Per quanto riguarda il mondo ortodosso, Venezia aveva e ha una speciale vocazione nei confronti dell’Oriente, e anche se a Milano le priorità possono essere altre mi sembra che la strada del dialogo ecumenico sia tracciata dal magistero dei Pontefici e oggi sia portata avanti dall’esempio di Benedetto XVI.

Publié dans:Cardinale Angelo Scola |on 8 septembre, 2011 |Pas de commentaires »

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