Archive pour le 5 septembre, 2011

Saint Paul preaching to Athens

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In cammino con Gesù: Atti, il tempo dell’uomo e il tempo di Dio

dal sito:

http://www.romasette.it/modules/news/article.php?storyid=3253

In cammino con Gesù: Atti, il tempo dell’uomo e il tempo di Dio

di Andrea Lonardo

«Quel giorno si unirono a loro circa tremila persone» (At 2,41). Negli Atti degli Apostoli, l’evangelista Luca continua ad esaltare l’importanza dell’ “oggi”, del “tempo”. E con il tempo, la dignità dell’uomo, l’unica creatura, che, come insegnava Agostino, poteva porsi il problema della memoria e della speranza, avendo coscienza del passato, del futuro e dell’oggi vivo che ricorda ed attende.
Il tempo dell’uomo è stato redento da Cristo. Al di fuori di lui il tempo poteva sembrare solo un correre verso il nulla, un cammino insensato. Lo sguardo disincantato e nihilista di F. Nietzsche, in uno dei suoi scritti giovanili, denunciava: «In un qualche angolo remoto dell’universo [...] c’era una volta un corpo celeste sul quale alcuni animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e menzognero della “storia universale: e tuttavia non si trattò che di un minuto. Dopo pochi sussulti della natura, quel corpo celeste si irrigidì, e gli animali intelligenti dovettero morire. Ecco una favola che qualcuno potrebbe inventare, senza aver però ancora illustrato adeguatamente in che modo penoso, umbratile, fugace, in che modo insensato e arbitrario si sia atteggiato l’intelletto umano nella natura: ci sono state delle eternità, in cui esso non era; e quando nuovamente non sarà più, non sarà successo niente» (Su verità e menzogna in senso extramorale).
Ecco, invece, il Vangelo che annuncia la pienezza del tempo: l’incarnazione del Figlio ha reso presente nel fluire dei giorni l’eterno. Proprio il terzo evangelo sottolinea ad ogni passaggio quest’ “oggi” di Dio: «Oggi nella città di Davide vi è nato un Salvatore», «Oggi si è adempiuta questa parola nelle vostre orecchie», «Oggi abbiamo visto cose prodigiose», «Oggi devo fermarmi in casa tua», «Oggi la salvezza è entrata in questa casa”, “Oggi sarai con me in Paradiso», ecc. ecc. L’Incarnazione del Cristo ha reso temporale l’eterno. Ogni incontro con il Gesù eterno e insieme temporale è stato, per i suoi “contemporanei”, comunione nel tempo con la gloria eterna di Dio.
Gli Atti spingono lo sguardo più lontano, raccontandoci che quell’«oggi» non si è arrestato con la croce del Signore. Anzi la resurrezione e l’ascensione, hanno fatto sì che quell’ “oggi” divenisse un dono del risorto per chiunque incontra la sua chiesa: At 2, 46 «Ogni giorno il Signore aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati», At 3, 24 «Tutti i profeti hanno annunziato questi giorni», At 4, 9 «Visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato ad un uomo infermo», At 28, 28 «Sia dunque noto a voi che questa salvezza di Dio viene ora rivolta ai pagani ed essi l’ascolteranno».
La chiesa è frutto della Pasqua ed in essa ogni vivente ha comunione con il Cristo risorto. Tutta la testimonianza degli Atti è così cristologica, ma insieme, pneumatologica, ecclesiologica e sacramentale.
Luca, scrivendo il suo secondo volume a Teofilo, mostra come la storia della chiesa non sia una realtà diversa da quella del Cristo. Il vangelo sarebbe incompiuto senza la storia della chiesa che ne è la perenne attualità. L’evangelista dopo aver parlato del Cristo non può arrestarsi senza prima aver narrato la storia della Sua Chiesa. Poiché non solo Gesù, nella sua vita terrena, ha amato, voluto ed istituito i Dodici, ma ha poi anche effuso il suo Spirito perché l’incontro con quei Dodici, con la loro compagnia, con la loro predicazione, con i loro sacramenti, divenisse reale incontro con la sua vita di risorto.
Lo Spirito non dà così origine ad una nuova tappa della storia, come se fosse possibile, al di là del Cristo un tempo dello Spirito che potesse superarlo (come hanno proposto nel corso dei secoli le correnti che si rifanno a Gioacchino da Fiore e tutti i millenarismi e gli spiritualismi). Lo Spirito sospinge tutti, invece, all’unico tempo di Cristo – perché nel cristianesimo ciò che è “spirituale” è identico con ciò che è “semplicemente cristiano” – che diviene presente nell’ “oggi” della chiesa.
L’opera dello Spirito è così un’opera ecclesiale, senza per questo perdere i suoi connotati di personalità. L’opera della salvezza è sempre opera “personale” , perché nasce dalla tripersonalità della Trinità e si incontra con la “persona” di ogni uomo.
Gli Atti raccontano la storia di Pietro e di Paolo come la storia dei sette diaconi, la storia di Stefano come la storia di Barnaba e Giovanni-Marco, la storia di Filippo come quella dell’evangelista presente in quel “noi” di coloro che camminano con Paolo verso Roma – sono le famose “sezioni-noi” nelle quali chi scrive gli Atti, a partire da At 16,8, cammina insieme a Paolo verso Roma.
Von Balthasar ha una volta così espresso questo straordinario modo divino di suscitare nuovi testimoni del Vangelo: «Ai problemi scottanti di un dato periodo storico lo Spirito risponde con una definizione e una soluzione. Ciò avviene [...] quasi sempre nella forma di una missione nuova, concreta, soprannaturale, col suscitare un Santo che rappresenti per la sua epoca il messaggio del Cielo, la spiegazione del Vangelo adeguata ai tempi, la via d’accesso elargita a questo tempo per giungere alla verità onnitemporale di Cristo. Come potrebbe la vita essere interpretata altrimenti che mediante la vita? I Santi sono la tradizione più viva, proprio quella Tradizione cui allude sempre la Scrittura, quando parla del dispiegarsi delle ricchezze di Cristo, e dell’applicazione alla storia della norma di Cristo».
Ma subito aggiungeva come questa assoluta unicità e novità di ogni testimone di Cristo donato da Dio al mondo, non fosse disgiunta dalla comunione con la chiesa tutta, poiché «lo Spirito di Dio è Spirito è Spirito Ecclesiatico ».
È anche per questo che la liturgia del tempo di Pasqua chiede a tutta la chiesa di leggere il libro degli Atti quando, nel resto dell’anno, legge l’Antico Testamento.
Ma l’antica storia di salvezza non è dimenticata e non scompare, poiché tutto l’annuncio degli Atti si presenta come compimento, come realizzazione di ciò che era stato annunciato e promesso: At2, 16 «Accade quello che predisse il profeta Gioele», At 2,25 «Dice Davide a suo riguardo», At2,31 «Previde la resurrezione di Cristo e ne parlò».

1 aprile 2008

Publié dans:Bibbia - Nuovo Testamento, biblica |on 5 septembre, 2011 |Pas de commentaires »

Riflessione su celibato e matrimonio : Un unico amore

dal sito:

http://www.vatican.va/news_services/or/or_quo/commenti/2011/143q01b1.html

OSSERVATORE ROMANO

22 giugno 2011

Riflessione su celibato e matrimonio

Un unico amore

di GIUSEPPE VERSALDI
La vocazione al celibato per il Regno dei cieli e la chiamata al matrimonio sovente vengono percepite, se non proprio in opposizione, almeno di difficile composizione. Da una parte, infatti, la rinuncia del celibe all’amore coniugale è vista come una rinuncia all’amore tout court e, dall’altra, la scelta di unirsi in matrimonio a volte appare come una diminuzione della purezza dell’amore. San Paolo, scrivendo ai cristiani di Efeso, usa un’espressione che offre una visione risolutiva dell’apparente antinomia tra amore verginale e amore sponsale. Parlando del dovere dell’amore reciproco tra marito e moglie, l’apostolo esalta l’originale vocazione dell’uomo a lasciare il padre e la madre per unirsi a sua moglie così che  » i due diventeranno una sola carne » (Genesi, 2, 24), ma subito aggiunge: « Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! » (Efesini, 5, 32). Tale repentino rovesciamento dei termini di paragone rivela una nuova prospettiva: la grandezza dell’amore coniugale viene sì riaffermata nella sua pienezza, ma è messa in relazione di dipendenza con l’amore di Cristo per la Chiesa.
Qui sorgono alcuni interrogativi ricorrenti anche nei confronti del magistero della Chiesa: « Come può Cristo celibe essere modello degli sposi? Come potete voi celibi insegnare e dare regole circa il matrimonio di cui non avete esperienza? ». Ebbene, proprio le parole di san Paolo Indicano la risposta. L’amore di Cristo per la Chiesa è certamente insieme amore verginale e sponsale perché è amore che, per citare le parole di Benedetto XVI, « può essere qualificato senz’altro come èros, che tuttavia è anche totalmente agàpe » (Deus caritas est, 9). Un amore che è gratuito e preveniente (« non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi »: 1 Giovanni, 4, 10); incondizionato e misericordioso (« mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi »: Romani, 5, 8); sacrificato (« Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia »: 1 Pietro, 1, 18-19). Caratteristiche, queste, che apparentemente non sembrano connotare l’amore coniugale comunemente inteso che è sì dono di sé, ma in una reciprocità che comporta un mutuo aiuto e una vicendevole gratificazione.
Eppure, proprio perché l’amore coniugale possa realizzarsi non come esperienza esaltante, ma temporanea, bensì perseverare come progetto per tutta la vita, è necessario che anche i coniugi siano capaci di un amore preveniente e gratuito così che, almeno uno, sia capace di amare anche quando l’altro non lo ama; di un amore incondizionato e misericordioso perché, almeno uno, sia capace di perdono quando il coniuge, vinta la sua debolezza, si pente; di un amore sacrificato perché, almeno uno, sappia sopportare le sofferenze dell’attesa senza rassegnarsi alla sconfitta. E in tutto questo il modello è proprio Cristo che così ha amato la sua Chiesa come sposa e « ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata » (Efesini, 5, 25-27).
Ha ragione, dunque, Benedetto XVI quando afferma che « in fondo l’amore è un’unica realtà, seppure con diverse dimensioni » (Deus caritas est, 8). Nel suo pieno significato l’amore è amore agapico, cioè amore capace di integrare la passione (èros) e la donazione (agàpe) così da poter soddisfare il cuore umano qualunque sia la sua vocazione. In questo senso, l’amore verginale e l’amore coniugale non possono che attingere a un’unica fonte e avere un unico modello che è Cristo.
Certo esiste una diversa modalità nelle due vocazioni, ma proprio la comune sorgente ne garantisce la complementarietà. Il carisma del celibato per il Regno può aiutare gli sposi a non assolutizzare l’amore umano e, in attesa della definitiva comunione con Dio-Amore, a sopportare il peso e il prezzo del dono di sé nonostante le debolezze dell’esperienza coniugale. Anche chi, già qui in terra, è chiamato a consacrarsi all’amore indiviso di Dio può imparare dagli sposi la concretezza e l’attualità dell’amore che non può rivolgersi solo a Dio che non vede, ma deve manifestarsi come effetto anche verso il prossimo che vede. In tal modo non si cade nell’illusione che per amare Dio sia necessario non amare nessuno di quell’amore con cui Cristo ci ha amati. La reciproca illuminazione arricchisce entrambe le vocazioni e abbellisce l’intera Chiesa nella sua missione di testimoniare nel mondo l’amore di Dio.

Publié dans:carismi (i), cultura della vita |on 5 septembre, 2011 |Pas de commentaires »

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