Raffaello : la creazione degli animali
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dal sito:
http://www.zenit.org/article-18324?l=italian
LODIAMO DIO CREATORE PER I DONI CHE FA ALL’UMANITÀ
Messaggio per la 4ª Giornata per la salvaguardia del creato
di Antonio Gaspari
ROMA, lunedì, 18 maggio 2009 (ZENIT.org).- “Laudato si’, mi’ Signore…per frate Vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento”.
E’ con queste parole di San Francesco, riprese dal “Cantico delle Creature”, che si apre il Messaggio per la 4ª Giornata per la salvaguardia del creato istituito e promosso dalle Commissioni Episcopali per i problemi sociali, il lavoro, la giustizia e la pace e per l’ecumenismo e il dialogo.
Nel messaggio le due commissioni della Conferenza Episcopale Italiana invitano a lodare “Dio Creatore per gli innumerevoli doni del suo amore” sull’esempio di San Francesco patrono d’Italia, nella ricorrenza centenaria della presentazione della Regola a papa Innocenzo III, avvenuta nel 1209.
Il tema scelto per la 4ª Giornata per la salvaguardia del creato, che si svolge come ogni anno il primo di settembre, è “l’aria”.
Il messaggio sottolinea che “l’aria che respiriamo è collegata con la vita. Soltanto quando respiriamo siamo in vita. Il libro della Genesi (2,7) afferma: ‘il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente’”.
“Riflettiamo – continua il Messaggio – pure sull’eventualità che gli elementi naturali possono dar luogo a catastrofi, ma soprattutto guardiamo ad essi con il cuore colmo di lode a Dio”.
“Riscopriamo, anzi, in essi le sue stesse orme, secondo l’indicazione dell’episodio biblico di Elia sull’Oreb: egli incontra Dio non nel vento impetuoso e gagliardo, né nel terremoto né nel fuoco, ma nel vento leggero (1Re 19,11-12)”.
“Guardiamo alle realtà del creato con quella purezza di cuore, invocata da Gesù nelle beatitudini (cfr. Mt 5,8), che giunge a vedere i doni di Dio in ogni luogo, anche nei gigli del campo e negli uccelli dell’aria (cfr. Lc 12,22-31)”.
Il Messaggio sollecita una riflessione su “lo spirito di Dio” inteso come “alito del Signore” e cita Gesù Cristo, che nella sua morte “gridò a gran voce ed emise lo spirito” (Mt 27,50) e “consegnò lo spirito” (Gv 19,30), apparve dopo la sua risurrezione ai discepoli e alitò su di loro, donando il suo Spirito in vista della remissione dei peccati e della riconciliazione con tutto il creato.
“Nel giorno della Pentecoste – rileva il Messaggio -, questo Spirito venne su tutti come vento impetuoso, per trasformare i cuori, per infondere coraggio e per creare comunione e solidarietà”.
La seconda parte del Messaggio denuncia la “crisi ecologica” come “conseguenza del peccato” se “la rete delle relazioni con il creato appare lacerata”.
Se, però, prendiamo coscienza del peccato – sottolineano i Vescovi italiani – che nasce da un rapporto sbagliato con il creato, siamo chiamati alla “conversione ecologica”, secondo l’espressione di Giovanni Paolo II.
Il Messaggio cita poi l’appello di Benedetto XVI a uno stile di vita più essenziale, come espressione di “una disciplina fatta anche di rinunce, una disciplina del riconoscimento degli altri, ai quali il creato appartiene tanto quanto a noi che più facilmente possiamo disporne; una disciplina della responsabilità nei riguardi del futuro degli altri e del nostro stesso futuro” (Incontro con il clero di Bressanone, 6 agosto 2008).
Nella terza parte dedicata a “Giustizia e sostenibilità” il Messaggio fa riferimento alla conferenza internazionale che si svolgerà nel mese di dicembre a Copenaghen ed invita la comunità internazionale e l’Europa in particolare ad una “collaborazione lungimirante” per “verificare la disponibilità della famiglia umana ad abitare la terra secondo giustizia”.
“In quanto credenti – conclude il Messaggio – siamo chiamati a un particolare impegno di custodia del creato, perché l’essere cristiani implica sempre e comunque una precisa responsabilità nei riguardi della creazione”.
“Il creato geme – lo percepiamo, quasi lo sentiamo – e attende persone umane che lo guardino a partire da Dio” (Benedetto XVI, Incontro con il clero di Bressanone)”.
Tra le iniziative proposte i Vescovi delle due Commissioni segnalano:
- incontri di preghiera, da organizzare, laddove possibile, coinvolgendo esponenti delle confessioni cristiane presenti nel territorio. Il tema dell’aria potrà essere richiamato nelle letture, nei canti o anche mediante segni opportuni;
- incontri biblico-teologici, per riflettere sull’importanza del tema della creazione in un tempo di crisi ecologica e sulla sua declinazione in termini etici;
- incontri di approfondimento su tematiche ambientali, sia a carattere generale, sia in particolare sul tema dell’aria. L’argomento potrà essere affrontato sia nella sua dimensione globale, come pure nella sua incidenza sulla realtà locale.
È anche possibile indire feste all’aperto, coinvolgendo soprattutto i giovani, particolarmente sensibili a questo tema. La scelta potrebbe vertere su un sito caratterizzato per la sua bellezza naturale o per il legame con figure e istituzioni sensibili al rapporto con la creazione, come i luoghi della tradizione francescana o numerosi monasteri.
dal sito:
http://www.zenit.org/article-27780?l=italian
MEDITAZIONE DEL PAPA SUL RAPPORTO TRA ARTE E PREGHIERA
All’Udienza Generale del mercoledì
CASTEL GANDOLFO, mercoledì, 31 agosto 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo della catechesi che Benedetto XVI ha pronunciato questo mercoledì in occasione dell’Udienza generale tenutasi a Castel Gandolfo.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa – nell’ambito del ciclo di catechesi sulla preghiera – si è soffermato sul rapporto tra arte e preghiera.
* * *
Cari fratelli e sorelle,
più volte ho richiamato, in questo periodo, la necessità per ogni cristiano di trovare tempo per Dio, per la preghiera, in mezzo alle tante occupazioni delle nostre giornate. Il Signore stesso ci offre molte occasioni perché ci ricordiamo di Lui. Oggi vorrei soffermarmi brevemente su uno di questi canali che possono condurci a Dio ed essere anche di aiuto nell’incontro con Lui: è la via delle espressioni artistiche, parte di quella « via pulchritudinis » – « via della bellezza » – di cui ho parlato più volte e che l’uomo d’oggi dovrebbe recuperare nel suo significato più profondo. Forse vi è capitato qualche volta davanti ad una scultura, ad un quadro, ad alcuni versi di una poesia, o ad un brano musicale, di provare un’intima emozione, un senso di gioia, di percepire, cioè, chiaramente che di fronte a voi non c’era soltanto materia, un pezzo di marmo o di bronzo, una tela dipinta, un insieme di lettere o un cumulo di suoni, ma qualcosa di più grande, qualcosa che « parla », capace di toccare il cuore, di comunicare un messaggio, di elevare l’animo. Un’opera d’arte è frutto della capacità creativa dell’essere umano, che si interroga davanti alla realtà visibile, cerca di scoprirne il senso profondo e di comunicarlo attraverso il linguaggio delle forme, dei colori, dei suoni. L’arte è capace di esprimere e rendere visibile il bisogno dell’uomo di andare oltre ciò che si vede, manifesta la sete e la ricerca dell’infinito. Anzi, è come una porta aperta verso l’infinito, verso una bellezza e una verità che vanno al di là del quotidiano. E un’opera d’arte può aprire gli occhi della mente e del cuore, sospingendoci verso l’alto.
Ma ci sono espressioni artistiche che sono vere strade verso Dio, la Bellezza suprema, anzi sono un aiuto a crescere nel rapporto con Lui, nella preghiera. Si tratta delle opere che nascono dalla fede e che esprimono la fede. Un esempio lo possiamo avere quando visitiamo una cattedrale gotica: siamo rapiti dalle linee verticali che si stagliano verso il cielo ed attirano in alto il nostro sguardo e il nostro spirito, mentre, in pari tempo, ci sentiamo piccoli, eppure desiderosi di pienezza… O quando entriamo in una chiesa romanica: siamo invitati in modo spontaneo al raccoglimento e alla preghiera. Percepiamo che in questi splendidi edifici è come racchiusa la fede di generazioni. Oppure, quando ascoltiamo un brano di musica sacra che fa vibrare le corde del nostro cuore, il nostro animo viene come dilatato ed è aiutato a rivolgersi a Dio. Mi torna in mente un concerto di musiche di Johann Sebastian Bach, a Monaco di Baviera, diretto da Leonard Bernstein. Al termine dell’ultimo brano, una delle Cantate, sentii, non per ragionamento, ma nel profondo del cuore, che ciò che avevo ascoltato mi aveva trasmesso verità, verità del sommo compositore, e mi spingeva a ringraziare Dio. Accanto a me c’era il vescovo luterano di Monaco e spontaneamente gli dissi: « Sentendo questo si capisce: è vero; è vera la fede così forte, e la bellezza che esprime irresistibilmente la presenza della verità di Dio. Ma quante volte quadri o affreschi, frutto della fede dell’artista, nelle loro forme, nei loro colori, nella loro luce, ci spingono a rivolgere il pensiero a Dio e fanno crescere in noi il desiderio di attingere alla sorgente di ogni bellezza. Rimane profondamente vero quanto ha scritto un grande artista, Marc Chagall, che i pittori per secoli hanno intinto il loro pennello in quell’alfabeto colorato che è la Bibbia. Quante volte allora le espressioni artistiche possono essere occasioni per ricordarci di Dio, per aiutare la nostra preghiera o anche la conversione del cuore! Paul Claudel, famoso poeta, drammaturgo e diplomatico francese, nella Basilica di Notre Dame a Parigi, nel 1886, proprio ascoltando il canto del Magnificat durante la Messa di Natale, avvertì la presenza di Dio. Non era entrato in chiesa per motivi di fede, era entrato proprio per cercare argomenti contro i cristiani, e invece la grazia di Dio operò nel suo cuore.
Cari amici, vi invito a riscoprire l’importanza di questa via anche per la preghiera, per la nostra relazione viva con Dio. Le città e i paesi in tutto il mondo racchiudono tesori d’arte che esprimono la fede e ci richiamano al rapporto con Dio. La visita ai luoghi d’arte, allora, non sia solo occasione di arricchimento culturale – anche questo – ma soprattutto possa diventare un momento di grazia, di stimolo per rafforzare il nostro legame e il nostro dialogo con il Signore, per fermarsi a contemplare – nel passaggio dalla semplice realtà esteriore alla realtà più profonda che esprime – il raggio di bellezza che ci colpisce, che quasi ci « ferisce » nell’intimo e ci invita a salire verso Dio. Finisco con una preghiera di un Salmo, il Salmo 27: « Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per contemplare la bellezza del Signore e ammirare il suo santuario » (v. 4). Speriamo che il Signore ci aiuti a contemplare la sua bellezza, sia nella natura che nelle opere d’arte, così da essere toccati dalla luce del suo volto, perché anche noi possiamo essere luci per il nostro prossimo. Grazie.
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RIMANERE SALDI NELLA FEDE SIGNIFICA FIDARSI DI LUI
ROMA, lunedì, 29 agosto 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo della catechesi tenuta il 17 agosto in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid dal Rettore della Pontificia Università Lateranense, mons. Enrico dal Covolo.
* * *
C’è una parola di Maria, che vale più di molti discorsi sulla fede.
Con questa parola la Madre di Gesù ci invita – quasi ci ordina – a rimanere saldi nella fede.
E anche oggi, a duemila anni di distanza, Maria ci ripete la medesima parola, che disse a Cana ai discepoli di Gesù: Fate quello che Lui vi dirà.
Questa è la fede vera: fidarsi di Lui…
Attorno a questa parola di Maria vi propongo una vera e propria lectio: insieme, saliremo i quattro gradini di quella scala antica e veneranda, che si chiama lectio divina.
1. Lettura
Ecco la lettura del testo. E’ il primo gradino: bisogna salirlo adagio, con il cuore in ascolto.
«Il terzo giorno», scrive Giovanni: cioè l’ultimo giorno della prima settimana pubblica di Gesù, dopo il battesimo nel Giordano e dopo la chiamata dei primi discepoli; «il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea, e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: « Non hanno vino ». E Gesù le rispose: « Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora ». Sua madre disse ai servitori: « Fate quello che Lui vi dirà ». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: « Riempite d’acqua le anfore »; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: « Ora prendetene, e portatene a colui che dirige il banchetto ». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: « Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora ».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui» (Giovanni 2,1-11).
2. Meditazione
Adesso saliamo il secondo gradino della lectio, meditando la pagina che abbiamo appena ascoltato.
a. Osserviamo anzitutto il contesto del brano.
Siamo nella prima settimana della vita pubblica di Gesù: una settimana che anticipa robustamente la rivelazione del suo mistero profondo. Gesù manifesta la sua gloria, quella che gli viene dal Padre: egli infatti non è un uomo come tutti gli altri, ma è il Figlio di Dio.
Proprio questo è il suo mistero, che interpella la nostra fede.
Certamente la prima settimana di Gesù richiama le altre due, a cui Giovanni allude esplicitamente nel gran finale del suo Vangelo: la settimana della passione, e poi la settimana della gloria, dopo la risurrezione. Al centro di esse si erge la croce di Gesù. La croce, per Giovanni, è la suprema manifestazione della gloria del Figlio di Dio: «Io», dichiara solennemente Gesù, ormai alla vigilia della sua passione, «quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (12,32).
Ma la croce è anche l’ora nella quale si condensano le tenebre di questo mondo. Vediamo così il movimento caratteristico del Vangelo di Giovanni. A mano a mano che Gesù si manifesta qual è, cioè il Figlio di Dio, il mondo si chiude a lui. E’ il dramma della luce e della tenebre. E’ la provocazione della fede.
Questo contesto, così ricco di spunti per la meditazione, ci fa capire che il brano delle nozze di Cana va letto come un’anticipazione della «grande ora» di Gesù, quella della sua morte e risurrezione.
b. Cerchiamo adesso di ricostruire il fatto, così come dovette capire.
Gesù si trova ancora in Galilea, nel nord della Palestina, dove ha raccolto il manipolo dei suoi apostoli. In un villaggio della regione, a Cana, si svolge una festa di nozze, a cui egli è invitato con i suoi discepoli. Una festa di nozze poteva durare diversi giorni, anche una settimana. E’ probabile che gli sposi novelli avessero fatto male i loro calcoli: forse si erano lasciati prendere la mano, e avevano invitato troppi ospiti, rispetto alle loro possibilità. Fatto sta che sul più bello della festa essi rimangono del tutto senza vino. La situazione è tragica, anche perché il vino era come il simbolo dell’alleanza nuziale. Senza vino, il matrimonio nasce sotto una cattiva stella. Maria, una delle persone invitate alle nozze, da brava donna di casa si accorge dell’imbarazzo generale, e chiede a Gesù di intervenire. Così Gesù – quasi «costretto» da sua madre – compie il primo dei miracoli. Notate: non un miracolo qualsiasi. E’ piuttosto il prototipo, il modello di tutti gli altri «segni» miracolosi.
Quali sono questi segni?
Sono i segni della rivelazione di Gesù come Figlio di Dio; sono i segni del suo mistero, della sua gloria, e dovrebbero condurre alla fede. Qui, infatti, i discepoli credono in Lui (cioè credono che egli è il Figlio di Dio). Altrove (per esempio di fronte al «segno» di Lazzaro) Giovanni allude anche alla reazione del mondo ostile, dei sommi sacerdoti e dei farisei, che proprio a seguito di questi segni decidono di uccidere Gesù.
Ieri come oggi, il dramma della luce e delle tenebre avanza nella storia.
c. Finalmente sottolineiamo alcune parole, alcune espressioni più significative.
Anzitutto, il tema dell’ora. «Non è ancora giunta la mia ora», risponde Gesù a sua madre. Quasi a dire: Non è ancora giunto il momento della mia rivelazione.
Ma qual è l’ora di Gesù? L’abbiamo già accennato. E’ il suo innalzamento, la sua morte-risurrezione. Iniziando il racconto dell’ultima cena, l’evangelista scrive: «Prima della festa di pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (13,1).
Ecco l’ora di Gesù: è l’ora dell’innalzamento sulla croce. Solo in quest’ora si manifestano pienamente il suo mistero e la sua gloria. Così appare chiarissimo che il «segno di Cana» rappresenta un anticipo dell’ora suprema. Gesù ne è ben consapevole, e questo spiega la sua resistenza iniziale di fronte alla richiesta di Maria.
Di fatto, molti elementi del racconto creano tutta una serie di corrispondenze con l’ora della croce (19,25-37). In particolare, incontriamo Maria: è presente a Cana, ed è presente nell’ora di Gesù, ai piedi della sua croce. Là, come qui, è chiamata «donna». Per Giovanni, Maria è la figura del discepolo fedele e il modello del credente. E attraverso i secoli risuona il suo invito, che diventa la «parola d’ordine» consegnata al discepolo di ogni tempo: «Fate quello che Lui vi dirà».
3. Per la preghiera e per la vita
E che cosa ci dice oggi Gesù, a duemila anni di distanza?
Ce lo chiediamo con una certa impazienza, mentre saliamo gli ultimi due gradini della lectio tradizionale, che riguardano la preghiera e la conversione della vita.
Anzitutto Gesù ci invita a conoscerlo di più, ad amarlo, a imitarlo. Ci invita a essere saldi nella fede, radicati in Lui, suoi testimoni nel mondo.
Ci dice di mettere Lui e il suo progetto di vita a fondamento della nostra esistenza; di buttare la vita, di donarla per gli altri fino allo scandalo della croce, perché questa è la gloria, questa è l’unica via di risurrezione. Le altre strade non portano proprio alla risurrezione. Ed è inutile poi lamentarsi. I falsi valori ci ingannano sempre.
Così la parola appassionata di Maria (Fate quello che Lui vi dirà) ci fa puntare decisamente a Gesù come risposta ultima alle nostre attese e ai nostri problemi, ieri, oggi, sempre. E questo non da un punto di vista teorico, astratto, bensì dal punto di vista di un preciso impegno pratico, esistenziale.
Il traguardo a cui puntare è l’esperienza di una vita intesa come amore senza limiti, che si dona fino a perdere tutto, e che – nell’ora precisa del dono supremo – rivela il suo senso più pieno. La vita donata lascia vuota la tomba, vince la morte e vive per sempre. Chi spreca la sua vita per gli altri, la ritrova in pieno…
Non c’è nessun masochismo in tutto questo. Neppure c’è amore della croce, o del dolore, o del sacrificio per se stesso. C’è soltanto l’adesione di fede alla vita di Gesù – l’Uomo che indica all’uomo il vero volto dell’uomo, proprio perché non è soltanto un uomo –.
Talvolta la croce ci fa paura, perché sembra essere la negazione della vita.
In realtà è proprio vero il contrario! La croce è il supremo sì di Dio all’uomo; è l’espressione massima del suo amore per noi; è la cattedra dell’amore; è la sorgente della vita che vince la morte.
E subito mi torna alla memoria Sabatino, un ragazzo di vent’anni, che ho incontrato molti anni fa, da giovane prete.
Sabatino era un ragazzo come tanti altri. Faccio un po’ di fatica a ricordarne il volto. Eppure, era un ragazzo santo. Aveva lasciato la sua casa, per andare a vivere con i barboni, i poveracci, gli emarginati che si danno ritrovo vicino alla Stazione Centrale di Milano. Qui un frate camilliano, fratel Ettore, aveva requisito per loro uno stanzone, una specie di tunnel dentro alla stazione. Sabatino aveva deciso di vivere con loro, per servirli. Gli fu fatale un acquazzone d’agosto, quando, sotto la pioggia, andava a cercare i suoi barboni. Poco prima che la polmonite lo uccidesse, alla Clinica del Lavoro di Milano, un biglietto: «Se esco di qui, vi racconto tutto… Come si muore, e poi ci si trova risorti. Saluto tutti. Sabatino».
E ancora ricordo…
Sabatino mi raccontò quella prima volta, in cui s’era messo a lavare i piedi purulenti di un barbone, ed era proprio un venerdì santo. Mi disse che aveva provato la mistica certezza di stringere tra le proprie mani i piedi feriti di Gesù. «E’ stata un’esperienza unica», confessava, «e rimarrà per sempre indimenticabile».
Al funerale, dove nessun barbone volle mancare, l’Arcivescovo Martini spiegò finalmente il segreto di Sabatino. «Sabatino viveva dell’Eucaristia», disse; «aveva fatto suo il progetto di vita di Gesù, cioè il pane spezzato e il vino versato. Sabatino portava impresso nel suo cuore Cristo crocifisso».
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Ma che cosa significa per me portare «impresso nel cuore» il segno della croce? Che cosa significa questo nel concreto della mia vita?
Che cosa significa per me rimanere saldo nella fede?
Vuol dire precisamente questo: Fate quello che Lui vi dirà…
Alla fine di tutto, la celebrazione di queste parole nella nostra preghiera e nella nostra vita impone il discernimento e la conversione, e ci invita – come faremo in questi giorni – a passare attraverso i segni sacramentali della Chiesa: la Confessione, l’Eucaristia…
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“FRAGILE CREATURA, DONNA DEL PARADISO”
Due scritti inediti, per il compleanno della beata Madre Teresa di Calcutta
di Renzo Allegri
ROMA, giovedì, 25 agosto 2011 (ZENIT.org).-Il 26 agosto ricorre il compleanno della beata madre Teresa di Calcutta. Quest’anno non ci sono ragioni speciali per festeggiarlo, come lo scorso anno che si celebrava il centenario della nascita. Ma è una ricorrenza da non dimenticare mai, perché quella piccola donna, insieme a Giovanni Paolo II e a padre Pio ha segnato profondamente la storia religiosa del nostro tempo. Ci ha lasciato insegnamenti preziosissimi, di una forza e di una attualità sconcertante, ha tracciato sentieri che guardano al futuro. E’ un esempio e una guida solidi come la roccia.
La mia professione di giornalista mi ha offerto molte occasioni di interessarmi di madre Teresa quando era in questo mondo. Ho avuto la fortuna di conoscerla bene, di portarla in giro in macchina, di ascoltare i suoi racconti, di vederla pregare, di sentire i suoi consigli. Ho parlato di lei con tante persone: giornalisti, artisti, professionisti, politici, industriali, poveri e ricchi, credenti e atei, e tutti avevano per lei un profondo rispetto, una grande e sentita ammirazione. Avvertivano istintivamente che era una persona vera, limpida, trasparente e buona.
Nel 1992, pubblicai un libro dal titolo “Teresa dei poveri”. Al posto della solita prefazione, volli mettere dei brevi ricordi scritti da personaggi famosi. Pensavo di trovare difficoltà ad avere dei contributi “scritti” da persone in genere impegnatissime, per le quali il tempo è tiranno. Invece, tutti quelli da me interpellati si sono dichiarati felici di aderire alla mia richiesta.
Voglio ricordare Madre Teresa, in questo anniversario dalla sua nascita, proponendo, a chi ama ed ammira questa donna, le riflessioni di due grandi artisti italiani che, in quell’occasione, tra tanti altri, mi hanno mandato il loro pensiero: lo scrittore Giovanni Testori e il pittore Aligi Sassu. Testori era già ammalato quando gli chiesi di scrivermi qualche cosa su madre Teresa, ma volle egualmente impegnarsi. Mi mandò una paginetta breve, come avevo chiesto, ma appassionata, scolpita, come era nel suo stile. Un piccolo inedito testoriano, che non deve andare perduto.
Magra, minuta, solcata dalle rughe della fatica e della partecipazione a tutti i bisogni dell’uomo, proprio come un terreno pronto per la semina, Madre Teresa è l’immagine prima e ultima che appare nella nostra mente e nel nostro cuore quando pensiamo a ciò che è, oggi, ripetere l’esperienza di Cristo. Nel suo operare non esiste pausa alcuna, così come non esiste alcuna divergenza fra fede e intelligenza, fra fede e azione; in lei, il credere s’è formulato, e ha continuamente dimostrato se stesso, all’interno della quotidianità più dimessa e feriale; giorno per giorno, ora per ora, minuto per minuto. Così, se è vero che la vergogna del nostro tempo e, in esso, d’ognuno di noi, è l’aver permesso che la sofferenza e la fame devastassero talmente la terra, è altrettanto vero che madre Teresa ha pagato anche per noi il prezzo di tale peccato e, insieme, ci ha insegnato come si possano ricucire i lembi d’una ferita così totale e disastrosa. Donna della terra e, insieme, come dice Jacopone, “donna del Paradiso”.
Anche lo scritto di Aligi Sassu è un prezioso inedito. Abituato a esprimere i suoi pensieri e le sue emozioni con i pennelli e i colori, Sassu amava, di tanto in tanto, ricorrere anche alla penna e alle parole. Ma solo per se stesso. Carattere chiuso, riservato, scriveva brani succinti, concentrati, dei flash. Che erano come lampi e illuminavano, per un istante, la notte di temporale della sua anima.
La paginetta che mi diede per Madre Teresa, parte dal ricordo delle dolorose esperienze da lui vissute negli anni Trenta del secolo scorso, quando, per i suoi giovanili entusiasmi sociali, finì in galera. Esperienze drammatiche, non prive di torture fisiche, che segnarono per sempre la sua vita, trasformando la sua sensibilità espansiva in pessimismo e amara sfiducia nei suoi simili.
Solo l’incontro con Madre Teresa, come lui confessa in questo breve scritto, riuscì a sanare quelle ferite e a riaccendere nel suo animo la speranza e a dagli la forza di riprendere “a camminare verso la luce”. Ecco lo scritto di Aligi Sassu:
Che la luce della verità, della bontà e dell’amore per il prossimo sia consustanziata all’animo umano, sia innata nell’uomo, ho sempre avuto dei dubbi. Con l’esperienza e l’aumentare degli anni, le illusioni della giovinezza si cancellano. Ma in realtà, da quando i miei occhi hanno incontrato l’immagine di una donna, le mie orecchie hanno sentito un nome, il nome di una piccola, umile, donna fragile, ogni dubbio è scomparso. E’ come se una rivelazione, una luce, una comunicazione, una realtà che non appare trascendente ma lo è, un muro innaturale, una forza intangibile che si oppone al male, mi cancellassero dall’anima tutte le atrocità che la natura impone alla carne, alla storia dell’umanità, a me stesso. E’ un niente, quel niente che è Madre Teresa. Ma quella fragile creatura è l’immagine stessa del Cristo sceso sulla terra, è l’acciaio temprato della bontà che si fa forza creativa dell’anima, delle anime, di amore, un amore fatto di tutto e di niente, la carità solida e forte come l’universo. Allora alzo la testa e cammino verso la luce.
MARTIRIO DI SAN GIOVANNI BATTISTA
MESSA:
PREFAZIO
La missione del Precursore.
È veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza,
rendere grazie sempre e in ogni luogo
a te, Signore, Padre santo,
Dio onnipotente ed eterno.
Noi ti lodiamo per le meraviglie
operate in san Giovanni Battista,
che fra tutti i nati di donna
hai eletto e consacrato
a preparare la via a Cristo Signore.
Fin dal grembo materno
esultò per la venuta del redentore;
nella sua nascita
preannunziò i prodigi dei tempi messianici
e, solo fra tutti i profeti,
indicò al mondo l’Agnello del nostro riscatto.
Egli battezzò nelle acque del Giordano
lo stesso tuo Figlio, autore del Battesimo,
e rese a lui la testimonianza suprema
con l’effusione del sangue.
E noi,
uniti agli angeli e ai santi,
cantiamo senza fine
l’inno della tua lode: Santo.
dal sito:
http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/13419.html
MARTIRIO DI SAN GIOVANNI BATTISTA
Omelia (29-08-2009)
a cura dei Carmelitani
Commento Marco 6,17-29
1) Preghiera
O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli,
concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi
e desiderare ciò che prometti,
perché fra le vicende del mondo
là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…
2) Lettura del Vangelo
Dal Vangelo secondo Marco 6,17-29
In quel tempo, Erode aveva fatto arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodiade, moglie di suo fratello Filippo, che egli aveva sposata. Giovanni diceva a Erode: « Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello ». Per questo Erodiade gli portava rancore e avrebbe voluto farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo giusto e santo, e vigilava su di lui; e anche se nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
Venne però il giorno propizio, quando Erode per il suo compleanno fece un banchetto per i grandi della sua corte, gli ufficiali e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodiade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla ragazza: « Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò ». E le fece questo giuramento: « Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno ».
La ragazza uscì e disse alla madre: « Che cosa devo chiedere? ». Quella rispose: « La testa di Giovanni il Battista ». Ed entrata di corsa dal re fece la richiesta dicendo: « Voglio che tu mi dia subito su un vassoio la testa di Giovanni il Battista ». Il re ne fu rattristato; tuttavia, a motivo del giuramento e dei commensali, non volle opporle un rifiuto.
E subito mandò una guardia con l’ordine che gli fosse portata la testa [di Giovanni]. La guardia andò, lo decapitò in prigione e portò la testa su un vassoio, la diede alla ragazza e la ragazza la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputa la cosa, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.
3) Riflessione
? Oggi commemoriamo il martirio di San Giovanni Battista. Il vangelo riporta la descrizione di come Giovanni Battista fu ucciso, senza processo, durante un banchetto, vittima della corruzione e della prepotenza di Erode e della sua corte.
? Marco 6,17-20. A causa della prigione e dell’assassinio di Giovanni. Erode era un impiegato dell’Impero Romano. Chi comandava in Palestina, fin dal 63 prima di Cristo, era Cesare, l’imperatore di Roma. Insisteva soprattutto su un’amministrazione efficiente che proporzionasse reddito all’Impero e a lui. La preoccupazione di Erode era la sua propria promozione e la sua sicurezza. Per questo, reprimeva qualsiasi tipo di corruzione. A lui piaceva essere chiamato benefattore del popolo, ma in realtà era un tiranno (cf. Lc 22,25). Flavio Giuseppe, uno scrittore di quell’epoca, informa che il motivo della prigione di Giovanni Battista, era la paura che Erode aveva di una sommossa popolare. La denuncia di Giovanni Battista contro la morale depravata di Erode (Mc 6,18), fu la goccia che fece straboccare il bicchiere, e Giovanni fu messo in carcere.
? Marco 6,21-29: La trama dell’assassinio. Anniversario e banchetto di festa, con danze ed orge. Era un ambiente in cui i potenti del regno si riuniscono e in cui si formavano le alleanze. La festa contava con la presenza « dei grandi della corte, due ufficiali e due persone importanti della Galilea ». E’ questo l’ambiente in cui si trama l’assassinio di Giovanni Battista. Giovanni, il profeta, era una denuncia viva di questo sistema corrotto. Per questo, lui fu eliminato con il pretesto di una vendetta personale. Tutto questo rivela la debolezza morale di Erode. Tanto potere accumulato in mano di un uomo senza controllo di sé! Nell’entusiasmo della festa e del vino, Erode fa un giuramento leggero a una giovane ballerina. Superstizioso come era, pensava che doveva mantenere il giuramento. Per Erode, la vita dei sudditi non valeva nulla. Marco racconta il fatto dell’assassinio di Giovanni così come è, e lascia alle comunità il compito di trarne le conclusioni.
? Tra le linee, il vangelo di oggi dà molte informazioni sul tempo in cui Gesù viveva e sul modo in cui era svolto il potere da parte dei potenti dell’epoca. Galilea, la terra di Gesù, fu governata da Erode Antipa, figlio del re Erode, il Grande, dal 4 prima di Cristo fino al 39 dopo Cristo. In tutto, 43 anni! Durante tutto il tempo in cui Gesù visse, non ci fu cambiamento di governo in Galilea! Erode era signore assoluto di tutto, non rendeva conto a nessuno, faceva come gli pareva. Prepotenza, mancanza di etica, potere assoluto, senza controllo da parte della gente!
? Erode costruì una nuova capitale, chiamata Tiberiade. Seffori, l’antica capitale, era stata distrutta dai romani in rappresaglia contro una sommossa popolare. Ciò avvenne quando Gesù aveva circa sette anni. Tiberiade, la nuova capitale, fu inaugurata tredici anni dopo, quando Gesù aveva circa 20 anni. Era chiamata così per far piacere a Tiberio, l’imperatore di Roma. Tiberiade era un luogo strano in Galilea. Era lì dove vivevano i re « i grandi della sua corte, gli ufficiali, i notabili della Galilea » (Mc 6,21). Era lì che vivevano i padrone delle terre, i soldati, la polizia, i giudici molte volte insensibili (Lc 18,1-4). Verso di lì erano canalizzate le imposte e il prodotto della gente. Era lì che Erode faceva le sue orge di morte (Mc 6,21-29). Non risulta nei vangeli che Gesù fosse entrato nella città.
Durante quei 43 anni di governo di Erode, si creò una classe di funzionari fedeli al progetto del re: scribi, commercianti, padroni di terre, fiscali del mercato, pubblicani ed esattori, militari, polizia, giudici, promotori, capi locali. La maggior parte di questo personale viveva nella capitale, godendo dei privilegi che Erode offriva, per esempio l’esenzione dalle imposte. Un’altra parte viveva nei villaggi. In ogni villaggio o città c’era un gruppo di persone che appoggiava il governo. Vari scribi e farisei erano legati al sistema e alla politica del governo. Nei vangeli, i farisei appaiono con gli erodiani (Mc 3,6; 8,15; 12,13), e ciò rispecchia l’alleanza esistente tra il potere religioso e il potere civile. La vita della gente nei villaggi della Galilea era molto controllata, sia dal governo che dalla religione. Era necessario molto coraggio per iniziare qualcosa di nuovo, come fecero Giovanni e Gesù! Era lo stesso che attrarre su di sé la rabbia dei privilegiati, sia del potere religioso come del potere civile, sia a livello locale che statale.
4) Per un confronto personale
? Conosci casi di persone che sono morte vittime della corruzione e del dominio dei potenti? E qui tra di noi, nella nostra comunità e nella Chiesa, ci sono vittime di autoritarismo e di eccesso di potere? Dà un esempio.
? Superstizione, corruzione, viltà, marcavano l’esercizio del potere di Erode. Paragonalo con l’esercizio del potere religioso e civile oggi, sia nei vari livelli sia della società che della Chiesa.
5) Preghiera finale
In te mi rifugio, Signore,
ch’io non resti confuso in eterno.
Liberami, difendimi per la tua giustizia,
porgimi ascolto e salvami. (Sal 70)