Eremiti oggi, il fascino imperituro del «deserto» (Enzo Bianchi)
dal sito:
http://www.atma-o-jibon.org/italiano4/rit_bianchi20.htm
Eremiti oggi, il fascino imperituro del «deserto»
ENZO BIANCHI
(« Avvenire », 9/3/’08)
Fin dalle origini della vita monastica l’ »eremitismo » è letto e interpretato in modo « ambivalente »: da un lato lo si considera la forma « eccellente » di vita monastica, adatta a pochi, d’altro lato se ne scorgono i limiti nell’annessa impossibilità a servire i fratelli nel quotidiano e nel rischio di scambiare la volontà propria con quella del Signore.
Proprio per questo la tradizione monastica d’occidente come d’oriente – dalla « Regola » di Benedetto fino alla « prassi » contemporanea nel deserto egiziano – ha sempre ritenuto possibile l’approdo alla vita « eremitica » solo dopo un tempo prolungato di vita comunitaria e l’assenso di un padre spirituale. Storicamente così è avvenuto molte volte, continua ad avvenire e sarebbe per certi versi « auspicabile » che sempre avvenisse. Ma anche l’inverso è attestato: quasi tutte le nuove forme di vita « cenobitica » – a cominciare da Benedetto stesso – hanno origine dal ritirarsi nel deserto dell’eremo di un uomo solo, che abbandona tutto e tutti e che soltanto in seguito viene raggiunto da alcuni discepoli per i quali accetta di fare da guida e di stendere una « regola » di vita. Così il « cenobio » nasce spesso da un eremita e successivamente può favorire la nascita di nuovi eremiti, non senza aver prima generato « cenobiti »: appare allora tutta la fecondità di questa tensione « dialettica », a volte vissuta o interpretata solo in termini di rivalità o « preminenza ». Ma come leggere allora l’attuale « rifiorire » della vita eremitica, proprio in una stagione in cui il monachesimo « cenobitico » conosce una fase di « riflusso » se non di vera e propria crisi? Non c’è il rischio che, in una cultura che subisce la tentazione della religione « fai-da-te », anche la vita di celibato per il Regno subisca l’attrazione verso una forma « plasmata » da ciascuno a modo suo?
Indubbiamente il pericolo è presente, eppure la Chiesa ha sempre conosciuto questa feconda « dialettica » tra « eremo » e « cenobio », e oggi accompagna con vigilanza amorosa il « riemergere », anche in occidente e anche tra le donne, della vita eremitica, che l’oriente cristiano ha sempre continuato ad avere, soprattutto in ambito maschile: pur fortemente minoritaria, com’è naturale che sia, e a volte « discreditata » dall’eccentricità di alcuni suoi esponenti, la vita eremitica ha tuttavia fatto la sua « ricomparsa » sotto diverse forme: da quella più classica del solitario che si ritira in un luogo appartato, all’ »eremitismo urbano », vissuto lavorando e pregando nel deserto delle nostre anonime città; dalla riedizione moderna delle « colonie » di eremiti presenti in un’area « limitrofa », alla « reinterpretazione » del carisma « certosino » di profonda solitudine vissuta in un spazio fisico e strutturale fortemente comunitario. Il « deserto » si rivela, ancora oggi, una categoria spirituale più che geografica o fisica: ritirarsi in disparte, non condividere il modo di pensare e di agire della maggioranza, accettare la prova e la privazione per saggiare cosa si ritiene davvero « essenziale », fare silenzio per imparare l’ascolto, custodire la solitudine per saper leggere nel proprio cuore e in quello altrui, sono tutti elementi che alcuni individui – in ogni tempo e in ogni luogo – colgono come propria verità fino ad assumerli come totalità della propria condizione e come segno capace di destare maggiore consapevolezza in quanti a loro si accostano, direttamente o attraverso i loro scritti e le loro parole tramandate.
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