dal sito
http://www.esicasmo.it/ESICASM/Matta/gradi_preghiera.htm
MATTA EL MESKIN
I GRADI DELLA PREGHIERA NELLA SPIRITUALITA’ ORTODOSSA
“Se gli uomini sapessero quanto splendore ed elevazione sono racchiusi negli altri gradi della preghiera e come essi attirano grazia e benedizioni non esiterebbero un istante a cominciare a praticarli”.
“Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai!
Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori” (S. Agostino).
« La grandezza della contemplazione non può essere concessa se non a quelli che amano ».
“La preghiera pura è semplice presenza silenziosa e calma davanti a Dio”
È evidente, dunque, come la contemplazione, nella sua forma pura e perfetta, non si fonda sull’attività cerebrale bensì, al contrario, sulla rinuncia a essa, accompagnata da calma e da silenzio interiore. E anche di estrema semplicità e di grande facilità.
“Di tutto ciò che l’uomo sperimenta nel corso della sua vita spirituale non c’è niente di più tranquillizzante e di più rallegrante della contemplazione, tanto che alcuni padri ne hanno parlato come del regno”
In pace nella sua contemplazione, i minuti e a volte le ore possono trascorrere senza che egli se ne renda conto”
Indice
CAP. I: La preghiera
1. La meditazione
2. La contemplazione
CAP. II: Al di là della preghiera
3. L’estasi
4. La visione di Dio
5. L’unione a Dio
Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa;
ma allora vedremo a faccia a faccia.
Ora conosco in modo imperfetto,
ma allora conoscerò perfettamente,
come anch’io sono conosciuto. (1Cor 13,12)
E noi tutti, a viso scoperto,
riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore,
veniamo trasformati in quella medesima immagine,
di gloria in gloria,
secondo l’azione dello Spirito del Signore. (2Cor 3,18)
E a ogni grado che li elevava verso la gloria
pensavano di aver raggiunto la fine;
e se si elevano ancora e si rischiarano a una luce più grande
dimenticano il livello precedente e pensano, una volta di più,
di essere giunti alla fine del cammino!
Ciò accade perché non sono loro,
ma l’azione dello Spirito santo in essi
che li eleva verso la gloria.
(Giovanni di Dalyatha: Omelia sulla grandezza degli esseri spirituali)
CAP. I: La preghiera
La maggior parte tra noi conosce della preghiera soltanto la sua forma più semplice, quella che consiste nel recitare davanti a Dio qualche parola, sia essa improvvisata in base alle circostanze o composta dai santi, oppure costituita da brani scelti dalla Bibbia, dai salmi, dagli evangeli. In realtà, tutto ciò non è altro che un preliminare alla preghiera in Spirito e verità. E’ certo che se gli uomini sapessero quanto splendore ed elevazione sono racchiusi negli altri gradi della preghiera e come essi attirano grazia e benedizioni non esiterebbero un istante a cominciare a praticarli.
Sebbene nella preghiera non sia facile distinguere tappe ben separate – a causa della loro unità e degli stretti legami che le uniscono -, possiamo comunque fornire alcune indicazioni sui diversi generi di preghiera.
La preghiera vocale
Nella preghiera vocale, come abbiamo già detto, recitiamo parole e frasi che possono essere improvvisate o selezionate dalla Bibbia o dalle opere dei santi; questo genere di preghiera si ritiene sia la base di altre, oppure una sorta di preliminare all’entrata in dialogo con Dio… Ma è necessario che sia accompagnata da uno sforzo mentale che permetta di seguire il senso delle parole recitate e da una motivazione interiore concernente tale senso, affinché le parole non siano declamate come se provenissero da qualcun altro, ma che siano assimilate e restituite come provenienti da noi stessi e rivolte direttamente a Dio…
Dobbiamo tuttavia notare che la preghiera, sia essa recitazione personale o all’interno di una chiesa, salmodia individuale o in coro, può sfociare d’improvviso in uno stato contemplativo di rapimento dello spirito e di coscienza della presenza di Dio; perché lo stato di preghiera in quanto tale, nella propria stanza o in chiesa, è, in realtà, apparizione davanti a Dio ed entrata effettiva nello spazio delle potenze spirituali che non cessano di lodare Dio e di servirlo.
Se l’uomo si dispone alla preghiera vocale con cuore contrito, umile nell’adorazione e con il sentimento vivo di celebrare davanti alla santa Trinità, fin dal momento in cui apre la bocca egli è idoneo a entrare nella conoscenza e nella contemplazione dei divini misteri; allora la sua preghiera e la sua lode sono impregnate di calore e di purezza in un’indicibile felicità.
Ma ciò non significa che ogni preghiera vocale debba trasformarsi in preghiera contemplativa; la preghiera vocale, in quanto tale, costituisce un grado particolare che ha la propria importanza come servizio divino e che possiede la propria efficacia nella vita spirituale dell’uomo; non è meno importante della preghiera contemplativa.
La preghiera mentale
La preghiera mentale, detta a volte preghiera interiore perché viene dal profondo del cuore, è una preghiera nella quale l’intelletto si associa al cuore unendo pensiero e sentimento. Seppure di tanto in tanto la si esteriorizza con alcune parole, per la maggior parte del tempo essa è offerta nella calma e nel silenzio.
La prima tappa della preghiera mentale è la meditazione; possiamo definirla come un intrattenimento con Dio nel corso del quale l’uomo fa memoria delle opere di Dio verso le sue creature e constata davanti a lui lo stato della propria anima; egli si pente, in questa circostanza, delle sue mancanze e dei suoi peccati, presenta lode e rendimento di grazie per testimoniare la propria gratitudine e decide di orientare la propria condotta in base alla volontà di Dio.
Questa tappa è quella della « preghiera eterogenea », che copre soggetti numerosi e diversi a volte senza alcun legame tra loro. I salmi ne costituiscono l’esempio più sostanzioso. Brani scelti della meditazione di David con Dio trattano tanto della creazione materiale, quanto della creazione dotata di ragione, una volta della legge, un’altra volta dell’anima e talvolta questa differenza è riscontrabile nel medesimo salmo; è sempre comunque all’interno di un dialogo vivo e commovente dell’anima con Dio.
La seconda tappa della preghiera mentale è la contemplazione; qui la preghiera entra in uno stato di concentrazione non soltanto in rapporto al soggetto meditato (consistente per esempio, nel concentrare la preghiera su uno dei comandamenti o su una delle opere di Cristo evangeliche o redentrici), ma anche in rapporto all’uomo stesso: sotto la potente influenza dell’amore egli si trova in uno stato di veglia cerebrale perfetta, i sensi controllati, la volontà centrata sulla preghiera e il cuore spiritualmente pronto ad accettare qualsiasi orientamento dello Spirito santo.
Ancora, la preghiera contemplativa è necessariamente divisa in due gradi legati tra loro.
Primo grado: la contemplazione volontaria
Il suo successo dipende dall’amore che l’uomo, nel proprio cuore, nutre per Cristo e dalla sua disponibilità a concentrarsi su un determinato soggetto per contemplarlo nel profondo del proprio cuore e del proprio pensiero, pur restando pronto a ricevere ogni orientamento spirituale.
Questo grado non esiste senza l’aiuto intimo della grazia che accompagna la volontà dell’uomo e gli offre la possibilità di perseverare, di proseguire e di approfondire la sua preghiera, facendogli strada con la sua luce e permettendogli così di ottenerne un grande tesoro spirituale.
Secondo grado: la contemplazione in spirito
È apertura d’amore del cuore di Dio all’uomo in risposta all’amore dell’uomo in preghiera davanti a lui. Qui la preghiera è penetrata da un elemento divino che la fa uscire dall’ambito delle possibilità umane e volontarie; è il motivo per cui, a questo livello, è difficile parlare di preghiera, sarebbe meglio parlare di “grazia della preghiera”.
All’inizio, questo grado può sembrare particolarmente elevato da raggiungere, ma fin dal momento in cui l’uomo riceve la grazia di accedervi, vi si abitua, se così si può dire; e tale stato gli diventa facile, naturale e accessibile a motivo della semplicità dello Spirito santo e della sua stupefacente disponibilità a rispondere a ogni richiesta che un cuore amante gli presenta. Perché si mantenga a questo livello, all’uomo viene chiesto soltanto di restare costantemente in accordo con il volere dello Spirito santo nell’amore, nella semplicità e nella purezza del cuore, nel distacco dalle preoccupazioni e dai pensieri terreni e nella capacità di osservare i comandamenti e l’insegnamento spirituale. E’ necessario però che comprenda che non esistono predisposizioni che possano conferirgli il diritto a raggiungere questo grado di contemplazione nella grazia e l’apertura del cuore di Dio, perché ciò è puro dono.
Sta all’uomo domandare con lacrime e suppliche, senza credere di esserne degno, come dice Giovanni di Dalyatha: « Padre buono, donami il tuo amore, anche se non ne sono degno! » anche se vi accede ogni giorno, anche se è ritenuto degno di tutte le altre virtù: purezza, ascesi, umiltà e preghiera continua; il dono della contemplazione in spirito e dell’apertura del cuore di Dio all’amma umana è al di sopra di tutte le virtù.
Ciò non significa che il grado della contemplazione in spirito sia un miracolo; è però una grazia: prova ne è il fatto che essa è accompagnata generalmente dal dono del discernimento e da quello della sapienza; il grado della contemplazione spirituale è infatti la perfezione della preghiera, la perfezione di tutte le grazie e di tutti i doni.
A coloro che sono ritenuti degni di perseverare in questa via saranno affidati anche altri doni e carismi che si trovano al di là dei confini della preghiera, come l’estasi o il rapimento nella contemplazione di Dio in uno stato spirituale prossimo alla perdita di coscienza che permette di intravedere indicibili verità divine. A tali doni dedicheremo un capitolo a parte.
Se volessimo illustrarli potremmo rappresentare i tre diversi generi della preghiera con tre atteggiamenti concreti: la preghiera vocale sarebbe rappresentata da colui che con timore sta davanti a Dio, la meditazione da colui che con lena si dirige verso Dio e la contemplazione da colui che con amore dimora nel seno di Dio.
Semplificando ancora potremmo scoprire gli stessi tre generi nelle parole di Cristo: « Chiedete e vi sarà dato » è la preghiera vocale; « Cercate e troverete » è la meditazione; « Bussate e vi sarà aperto » è la contemplazione o il punto d’arrivo.
Avendo trattato altrove della preghiera vocale sotto le sue molteplici forme, ci soffermiamo in questo capitolo sulla preghiera mentale, i suoi livelli e i suoi esercizi.
1. La meditazione
Ti siano gradite le parole della mia bocca,
il meditare del mio cuore
davanti al tuo volto, Signore
mia roccia e mio redentore!
Beato l’uomo
che… si compiace nella legge del Signore
e medita la sua legge giorno e notte.
Parlerò dei tuoi consigli…
Io trovo la mia gioia nei tuoi comandi
Sì, li amo molto
tendo le mani ai tuoi comandi che amo
e medito sulle tue volontà. (Sal 119 46-48)
Il cuore mi bruciava nel petto
al ripensarci si infiammava ancor di più. (Sal 39,4)
Medi/a (meléta) queste cose,
dedicati a esse interamente
perché tutti vedano il tuo progresso. (1Tm 4,15)
Il termine « meditazione », in greco meléte, è un termine convenzionale tradizionale strettamente legato a una lettura approfondita delle Scritture che tocca il cuore e che lascia un segno indelebile nella memoria, nel sentimento e nel linguaggio.
Secondo la tradizione patristica, la meditazione è la chiave di tutte le grazie; a colui che la pratica con fervore conferisce pensiero, linguaggio e sentimenti evangelici; comprende le realtà alla maniera di Dio e può progredire in tutti i doni e i carismi. Se apre la bocca, le parole della Scrittura ne escono senza artifici, né affettazione e, insieme a esse, i pensieri divini fluiscono come onde di luce che attraverso la conoscenza divina rischiarano lo spirito di colui che ascolta toccandone il cuore e infiammandone i sentimenti.
Il termine « meditazione », in ebraico haghig e in greco meléte, dal verbo meletào, veicola un senso di studio, di approfondimento della comprensione attraverso l’esercizio del pensiero e del cuore. Così la meditazione della sapienza, meléte sophìas, significa studio della sapienza con applicazione, approfondimento ed esercizio pratico.
Secondo la tradizione patristica, questo termine tendeva all’assidua applicazione del cuore e dell’intelletto alla Parola di Dio, affinché, grazie alla Parola, i monaci fossero trasformati. I padri, infatti, ritenevano che fosse opportuno dedicarsi alla meditazione solo attraverso la lettura della Parola di Dio; perché la meditazione del cuore ha il potere di modellare la coscienza e il pensiero dell’uomo, il quale non deve lasciarsi modellare se non dalla benedetta Parola di Dio, secondo la sua volontà e il suo pensiero.
E’ per questo motivo che il termine « meditazione » si riferisce in modo particolare alla lettura della Bibbia e ll suo uso si limita allo studio della Parola di Dio unito alla concentrazione interiore per esserne impregnati e reagirvi spiritualmente.
Lettura nella calma
Sempre secondo la tradizione patristica, il primo dei gradi della meditazione è la lettura nella calma, con lentezza e a voce alta, « gustando » le parole; segue poi la ripetizione reiterata della stessa lettura. Presso i padri questo genere di lettura veniva sempre fatto a voce alta ed era detto « recitazione ripetitiva ». Di fatto, la meditazione attraverso la ripetizione della Parola di Dio, a voce alta, con il cuore desto e come « gustandola » è in grado di radicare questa Parola nelle profondità dell’uomo che potrà ripeterla in seguito come se la « ruminasse », fino a che essa diventi sua parola; al tempo stesso egli sarà diventato il depositario fedele della Parola di Dio e il suo cuore il tempio del tesoro divino: « … che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche » (Mt 13,52). E’ proprio di questo che si tratta quando è detto di « custodire la Parola » (cf. Gv 8,51-52; 14,23; 17,6). L’evangelo o la Parola sono ormai custodite in un luogo sicuro all’interno del cuore come un tesoro di grande valore; il profeta David dice: « Custodisco la tua promessa nel mio cuore » (Sal 119,11). E’ come se l’uomo aderisse alla Parola e la cingesse, come un forziere, per metterla al riparo dai ladri.
È per questa ragione che, nella tradizione patristica, le preghiere improvvisate avevano un puro sapore evangelico, perché provenivano da un cuore traboccante della Parola di Dio. Simili preghiere improvvisate, o – per usare l’espressione di Isacco il Siro -, “che l’uomo compone da sé”, erano recitazioni ripetitive della Parola di Dio studiata a memoria che si completavano armonicamente fra loro; testimoniavano il grado al quale l’anima era stata toccata e modellata dalla Parola e dalla volontà di Dio.
Di conseguenza, la meditazione è stata strettamente legata alla preghiera come il primo dei suoi gradi, quello che permette all’uomo di viverne e di crescere davanti a Dio in piena fiducia e sicurezza; perché è una preghiera presa al cuore dell’evangelo e capace quindi di provocare una profonda trasformazione, un grande rinnovamento nella sensibilità, nel pensiero e nel linguaggio dell’uomo. Per questo motivo nella tradizione cristiana autentica non è possibile attribuire alcun valore alla preghiera improvvisata, se colui che prega non è ripieno della Parola di Dio, esercitato nella vera meditazione: la sua parola rischierebbe di essere non evangelica e i suoi pensieri potrebbero non tradurre la volontà e il pensiero di Dio.
Ripetizione silenziosa della Parola
La meditazione non è unicamente lettura vocale in profondità; comprende anche la ripetizione silenziosa della Parola eseguita molte volte, con un approfondimento sempre crescente, fino a che il cuore viene infiammato dal fuoco divino. Ciò è ben illustrato dalle parole di David: « Il mio cuore mi bruciava nel petto, al ripensarci s’infiammava ancor di più » (Sal 39,4).
Appare qui il filo sottile e segreto che lega la pratica e lo sforzo alla grazia e al fuoco divino.
Il solo fatto di meditare più volte la Parola di Dio, lentamente e nella calma, conduce, mediante la misericordia di Dio e la sua grazia, all’incendio del cuore! Così la meditazione diventa il primo legame normale tra lo sforzo sincero della preghiera e i doni di Dio e la sua grazia ineffabile. Questa è la ragione per cui la meditazione è stata considerata come il primo e il più importante grado della preghiera del cuore, a partire dal quale l’uomo può elevarsi al fervore dello spirito e viverne tutta la vita.
Rammentiamo che in ebraico il termine “meditare” e reso con hagah, che ha il significato originario di “balbettare” – cioè il primo apprendimento della pronuncia e della comprensione -; esprime poi il tentativo di uno sforzo sostenuto per comprendere e imparare ciò che deriva dalla volontà di Dio e dai misteri nascosti della sua Parola e dei suoi comandamenti; per questo, nel suo primo salmo, sentiamo David dire: « Beato l’uomo … che si compiace nella legge del Signore e medita (jehgheh) la sua legge giorno e notte »; diventerà di certo un uomo secondo la volontà di Dio, come lo era divenuto David stesso!
Il risultato di questa meditazione, di questa pia ripetizione della legge del Signore, è annunciato da David: l’uomo riesce ormai in tutto ciò che intraprende (Sal 1,3), come se la meditazione fosse il grado dei perfetti. Dall’origine del termine ebraico hagah (apprendimento elementare della pronuncia e della comprensione della Legge) risulta tuttavia che la meditazione è anche il grado adeguato ai debuttanti desiderosi di stabilire con Dio una relazione intima e sincera.
La meditazione in quanto tale può essere quindi sia inizio che fine, perché la stessa Parola di Dio è inizio e fine: per mezzo suo l’uomo entra nella verità e, in essa, giunge alla verità intera.
Per questa ragione, la meditazione era per i padri una pratica di grande profitto. L’hanno vissuta e praticata fino all’ultimo giorno della loro vita. Così Palladio, l’autore della Historia Lausiaca, dice che Marco il Monaco conosceva a memoria l’Antico e il Nuovo Testamento (18,25), che Heron recitava a memoria, davanti a lui, i Salmi, la Lettera di Paolo agli Ebrei, il libro di Isaia per intero e una parte del libro di Geremia, dell’evangelo di Luca e del libro dei Proverbi (26,3). Analogamente Rufino, nel corso dei suoi viaggi ha visto e testimoniato esempi simili.
Non bisogna dedurne che presso i padri la meditazione consistesse soltanto nell’apprendere « a memoria », piuttosto che questa ne era una conseguenza ineluttabile, giacché la « dilettazione » costante delle sante Scritture nella recitazione ripresa quotidianamente, non può che imprimerle nella memoria e lasciarle correre sulle labbra con spigliatezza.
Constatiamo che la perseveranza del cuore nella meditazione delle Scritture si traduce sempre in un’infusione nel cuore di vita vera; perché la Parola di Dio, come il Signore l’ha definita, è Spirito e Vita. La perseveranza nella meditazione della Parola manifesta necessariamente un legame segreto con il Signore e, di conseguenza, un flusso di vita vera che irriga il cuore.
Il cuore che invece si distoglie dalla meditazione della Parola manifesta di essere preda della stagnazione e dell’aridità. Il profeta David ci mostra la differenza tra il cuore che medita la legge di Dio e quello che se ne è allontanato: « Il loro cuore è ottuso come lardo, ma io medito la tua legge » (Sal 119,70). Intende dire che la meditazione della legge di Dio mantiene il cuore vivo, lo riscalda al fuoco che scaturisce dalla Parola diVina; perché la meditazione implica in modo fondamentale l’approfondimento costante dello spirito delle Scritture e la ricerca delle verità nascoste dietro il comandamento, il che ha per risultato di rinnovare ogni volta il pensiero dell’uomo, di affinare la sua sensibilità rendendola più evangelica e di conferirgli un comportamento docile e pronto, aperto positivamente a ogni eventualità.