Provvidenza. Questa grande sconosciuta (R.Guardini)

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Provvidenza. Questa grande sconosciuta (R.Guardini)

Avvenire 20.6.10

Romano Guardini nasce a Verona nel 1885 e nel 1886 si trasferisce con la famiglia a Magonza, in Germania. Negli anni universitari, dopo avere frequentato per due semestri la facoltà di chimica a Tubinga e per tre semestri quella di economia politica a Monaco e Berlino, decide di entrare in seminario e viene ordinato sacerdote nel 1910. Nel 1922 ottiene con una tesi su Bonaventura l’abilitazione alla docenza in teologia dogmatica, mentre è attivo nella pastorale con il movimento giovanile cattolico. Nel 1923 gli venne affidata la cattedra di «visione del mondo» cattolica all’Università di Berlino, che conserva fino al 1939, quando viene prematuramente «pensionato» dal regime nazista. Dal 1943 al 1945 si ritira a Mooshausen, dove era parroco un suo caro amico, Josef Weiger. Nel 1945 ottiene nuovamente la cattedra di filosofia della religione e visione cattolica del mondo a Tubinga, nel 1948 passa alla Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco di Baviera. Nel 1962 è costretto a lasciare l’attività accademica per motivi di salute, gli stessi che gli impediscono poi di partecipare ai lavori del Concilio Vaticano II. Muore nel 1968. Il brano che qui pubblichiamo è tratto dal volume La preghiera del Signore, il Padre Nostro (pagine 102, euro 10) appena pubblicato da Morcelliana.
Ma che cosa significa Provvidenza? L’esistenza cristiana si è espressa nelle parole del linguaggio. Ma il linguaggio cristiano, le parole che contengono il mistero, le energie, le gioie e gli interessi di quell’esistenza, nel corso del tempo, specialmente degli ultimi due secoli [1700 e 1800], hanno avuto una sorte sfortunata. L’esistenza cristiana è scivolata nella mondanità e ne ha assunto insieme le parole. Ora s’aggirano dappertutto nel nostro linguaggio quotidiano termini che derivano dall’ambito sacro della fede e dell’amore cristiani, ma non hanno più in sé molto della loro origine. Più volte un residuo, una vibrazione, un’aura – per il resto sono divenuti mondani, secolari. Così è accaduto anche alla sacra parola «Provvidenza». In sé essa significa il mistero del cuore di Cristo. Ne è nato però qualcosa di carattere molto secolare. Una volta che ci poniamo con attenzione in ascolto di che cosa infine si esprima realmente nella parola «provvidenza», come viene usata, per lo più, essa sembra indicare alcunché come un «ordine del mondo»: quindi, all’incirca, che tutte le cose e per conseguenza anche l’uomo con esse e con i suoi simili, si trovano reciprocamente in una connessione razionale, cioè determinata dalla natura. Se l’uomo lasciasse che la saggia «natura» concedesse le sue garanzie, se l’uomo agisse razionalmente, secondo natura, tutto diventerebbe buono… Nel diciottesimo e diciannovesimo secolo, di questo modo di sentire s’è fatta una visione del mondo, una Weltanschauung ; anzi un’intera dottrina dell’economia e del benessere. Ora, si tratta già di una cosa molto fragile se è questo ordine presuntamente razionale, che deve garantire il bene dell’uomo. Noi abbiamo anzi sperimentato che cosa ne è scaturito: la prima guerra mondiale e il caos del periodo successivo. Ma, prescindendo interamente dal fatto che per questo «ordine» i conti non tornano per nulla – ciò che Gesù intende con «ordine», è qualcosa di totalmente altro! Qualcosa di audace, di inedito. Qualcosa che proprio non appartiene al mondo e alla sua ragione, ma viene dal cielo. Come parla Egli dunque della Provvidenza? Nel discorso della montagna, Mt 6,24-34, si dice: «Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire Dio e mammona. Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete: la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai, eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? e chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? [altra interpretazione: 'un cubito alla sua statura']. E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo [gli anemoni], non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettate nel forno, non farà assai di più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque, dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani: il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno [di Dio] e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena». Questo ha forse la tonalità di un mero «ordine del mondo»? L’esortazione a non preoccuparsi, a non dire: Che cosa possiamo mangiare, che cosa possiamo bere, di che cosa possiamo vestirci, perché sono i pagani ad adoperarsi per tutto ciò? Non erano appunto quei «pagani», che sapevano parlare in modo tanto eccellente dell’«Ordine» del mondo? Gli stoici per esempio che insegnavano come in tutto viva una grande ragione [ lógos ], e come, se ci si affida ad essa, tutto proceda bene? Qui dev’esservi qualcosa di totalmente altro! Ma che cosa? Per esempio un’esistenza da fiaba, nella quale all’ozioso il cibo venga a volo; e il vestito cresca sugli alberi? O una promessa che il mondo perderà la durezza della sua realtà, e sarà dato al credente di rettificarlo, secondo il suo desiderio? In verità no; ma tutto ciò che viene detto sulla Provvidenza, deve essere compreso dalla frase conclusiva: «Cercate prima il regno [di Dio] e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta». Tutto ne dipende. L’uomo viene incitato a fare di quella del regno di Dio la sua prima e più seria ricerca. Soprattutto ad adoperarsi perché il regno di Dio giunga e consegua spazio nella sua esistenza. La sua preoccupazione primaria dev’essere che avvenga tutto quello che Dio vuole – il grande Dio, del quale si dice che «come è alto il cielo sulla terra, altrettanto alti sono i suoi pensieri al di sopra di quelli degli uomini» [cfr. Is 55,9]. Come Egli progetta e vuole con intento creativo, così deve accadere, nonostante il mondo e la razionalità terrena. L’uomo deve puntare su quella base. Deve spostare il centro della sua vita, ponendolo dall’«io» in Dio. Deve pensare, giudicare, agire da quanto parla in Cristo. Ma è cosa difficile, assai, assai difficile! Può apparire una stoltezza; come lo staccarsi da ogni posizione salda. Ma se avviene, e l’uomo entra con Dio nell’intesa, nell’accordo della sollecitudine per il Regno, allora Dio si cura di lui in un modo nuovo, creativo. L’esistenza – che, anzi, in verità, insieme con tutto il suo ordine celebrato dalla ragione, non si preoccupa affatto dell’uomo – si raccoglie attorno a lui e in direzione di lui. Dunque, un miracolo? Sì, un miracolo che ha origine da quanto ha puramente carattere terreno, mondano. In verità, una nuova creazione, che emerge scaturendo dall’energia, che è in grado di compiere tale impresa, dall’amore di Dio cui si sia data libertà di agire. Il mondo con la sua struttura non è già compiuto. Esso sta, plasmabile e obbediente, nella Sua mano. Se l’amore creatore di Dio è accolto dalla cura amorosa e dalla fiducia del cristiano, se la libertà dell’uomo si apre e gli dà spazio, dal mondo si sviluppa una forma nuova della realtà. Si costituisce qui un nuovo «ordine», che deriva da Dio e si rapporta alla salvezza dell’«uomo nuovo». In esso l’esistenza prende l’uomo a riferimento. Egli riceve ciò che gli è necessario di fronte a Dio, anche se si attraversassero oscurità e distretta. Nella misura in cui la sollecitudine per il regno di Dio diviene il primo interesse in una persona, «non con la lingua, ma nei fatti e nella verità» [cfr. 1Gv 3,18] – sarà una cosa sola con Dio nell’amore. Ma allora per volontà di Dio si instaura un’unità che tutto pervade efficacemente. L’insieme degli avvenimenti si ordina attorno a questa persona, e tutto ciò che accade, si compie grazie all’amore. La Provvidenza è qualcosa di grande e misterioso a un tempo. Essa equivale a quel combinarsi dell’esistenza, che si verifica attorno alla persona la quale fa propria la sollecitudine di Dio. Intorno ad essa, il mondo si fa diverso. Hanno inizio i «nuovi cieli e nuova terra» [cfr. Is 65,17.22; 1Pt 3,13; Ap 21,1]. Questo significa Provvidenza; non ciò che il pensiero secolarizzato dell’epoca moderna ne ha fatto. Non vogliamo abbassare le cose di Dio. Devono mantenere la loro grandezza e la loro magnificenza gloriosa. Se poi ci accorgiamo di essere troppo piccoli per esse, intendiamo lasciarle come sono. Allora v’è almeno verità. Vogliamo lasciare la sua grandezza al Dio ricco e confessare al Suo cospetto la nostra piccolezza e povertà. Sarà un atto di gentilezza. Provvidenza non significa ordine del mondo. Che il mondo sia ordinato, è qualcosa di poderoso. Che tutto sia in connessione e che in essa abbia la sua legge e così anche noi uomini, è quanto ci deve riempire di reverenza. Ma soltanto di tale ordine non possono vivere il nostro spirito, il nostro cuore, la dignità della nostra persona. Il mero ordine del mondo passa attraverso di noi; da lontananza infinita a lontananza infinita. Per tale ordine noi siamo solamente materiale e strumento. Esso non si preoccupa di noi, ma ci adopera. Ciò è anche giusto, in questo modo, e noi non vogliamo aspirare a cose da fiaba. Ma l’ordine della Provvidenza intende altro. Esso deriva dal cuore di Dio. Esso rifulge nel cuore della persona che è entrata in accordo d’amore con Lui, e nella condivisione della cura per il suo Regno. Essa compenetra questa persona, l’orientamento e i sentimenti, il parlare e l’agire. S’irradia da lei in tutto ciò che la circonda: nelle altre persone, in cose e vicende. Essa afferra la realtà, la ordina in modo nuovo e cambia il mondo. Non nella fantasia; non come nelle fiabe; non mediante la magia e l’incantesimo, ma grazie all’onnipotente creare per amore da parte di Dio, e attraverso il cuore che Gli si mette a disposizione. Su questa base dobbiamo intendere la petizione per il pane quotidiano. La persona che la pronuncia non ha a che fare con un ordine universale del mondo. Essa non ricorda Dio perché l’organizzazione razionale dell’esistenza possa funzionare esattamente anche oggi e domani e con riferimento all’alimentazione e al vestito personali. Questa persona si sforza invece di prendere ferma posizione nel «cercare il regno di Dio». Essa attua l’unità dell’accordo con Dio in questa sollecitudine; nel luogo in cui si trova e nel giorno che sta vivendo. E da qui essa, con la preghiera chiede che il luogo dove risiede, il giorno che appunto trascorre, le cose che ora le stanno attorno – tutto ciò possa obbedire alla santa volontà d’amore, pure nel senso che chi rivolge la richiesta abbia il suo pane e il suo vestito, e tutto ciò, «di cui – dice Gesù –: ‘il Padre che è nei cieli sa che avete bisogno’» [cfr. Mt 6,32].

Publié dans : Teologia |le 26 mai, 2011 |Pas de Commentaires »

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