Archive pour le 18 mai, 2011

Cristo è risorto

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LA MADONNA DEI MIGRANTI

dal sito:

http://www.zenit.org/article-26746?l=italian

LA MADONNA DEI MIGRANTI

di padre Renato Zilio*

LONDRA, mercoledì, 18 maggio 2011 (ZENIT.org).- Avanzava barcollando non troppo sicura dei suoi passi, seppure bellissima su un cuscino di fiori bianchi e gialli. A prima vista, le luci di pizzerie e di snack bar, le lunghe scie di profumo di fish-and-chips non erano proprio terreno adatto alle sue abitudini. Questa lunga processione serale per le vie di Londra, alle nove di sera, sembrava un venerdi 13 maggio veramente originale. Tuttavia, la Madonna di Fatima avanzava con quel suo dolce e imperturbabile sorriso a fior di labbra.
Ogni tanto qualche inglese tagliava la nostra processione parlando al telefonino, mangiando un mezzo sandwich o un pezzo di pollo fritto, noncurante di tutto. Sacro e profano, mescolati insieme, si affrontano sempre in maniera aperta in questa città. Ma lei sempre materna e misericordiosa: è venerdi sera, in Inghilterra si sa, finita la settimana di lavoro ci si scatena ovunque tra birra, alcool e cibi vari… La polizia inglese con il caratteristico cappello nero ovale, faccia seria da Scotland Yard, sorvegliava la processione con simpatia e le solite radioline di servizio, mentre i bus rossi a due piani ci sfioravano di qualche millimetro. Occasione buona per osservare come tutti dall’interno strabuzzassero gli occhi, voltando la faccia verso di noi, incuriositi da una processione aux flambeaux per vie cittadine normalmente protagoniste dello shopping.
I portoghesi erano fieri di far conoscere alla loro patrona la metropoli in cui vivono dispersi. I filippini erano estasiati di poter cantare e pregare compatti sul suolo pubblico. E gli italiani compiaciuti di rivivere vecchie tradizioni ormai dimenticate, di camminare pregando come al loro paese di origine.
Ma soprattutto era lei ad essere la più felice di tutti. Nel vedersi confermata, così, Madre dei popoli, aiuto celeste di chi ha fatto della sua vita un cammino interminabile. Non le sembrava vero di avere ancora un’occasione per insegnare a tutti ad avere un cuore più grande, uno spirito più aperto. A saper vivere insieme anche se diversi gli uni dagli altri. Senza paura.
Questo popolo fatto di tre comunità differenti sono emigranti, trapiantati ormai da tempo in terra inglese. Una comunità italiana, una portoghese e una filippina con in mezzo qualche inglese avanzavano insieme come in un’unica cordata. Ogni domenica frequentano la nostra Chiesa di Brixton Road, come ritrovandosi nella stessa casa comune. La parrocchia scalabriniana nata negli anni ’60 con gli italiani si è fatta con l’andare degli anni accogliente anche per altri, imparando la regola d’oro dell’ospitalità.
“Ma che bello! – commentava Maria – dovrebbero farlo anche i nostri in Italia…”. E assaporava fino in fondo questi momenti di preghiera, dove in maniera semplice e popolare si mostra a tutti una sola fede, un solo battesimo e… una sola Madre! Si vive, così, quel senso di universalità, che anche nella preghiera sa aprirsi all’altro, ammirandone i tratti originali. “Ma senti come cantano bene queste ragazze filippine!”, ripeteva Antonio, siciliano tutto d’un pezzo, come un ritornello. “Apprezzare l’altro per le sue qualità differenti sa sempre di miracolo!”, aggiungeva saggiamente un vecchio missionario.
Lungo le strade del nostro quartiere questa iniziativa si ripresenta due volte all’anno: il tredici maggio e il tredici ottobre. Una manifestazione bella, pacifica sotto gli occhi lucidi di emozione della Madre di Dio che portiamo in processione. E quelli gradevolmente sorpresi della gente – perfino quella bloccata nelle auto in coda – che contempla la dignitosa bellezza di quest’onda lenta, luminosa che avanza nella notte. Spettacolo raro, salutare per una metropoli abituata normalmente al business.
Infine, padre Francesco, giovane missionario pugliese, dopo l’italiano, il tagalog, il portoghese concludeva in inglese: “Maria non si stanca mai di pregare insieme a noi, di camminare accanto a noi, di essere migrante con noi migranti”. Rassicurazione calda e incoraggiante che si stampa immediatamente nel cuore di ognuno; lo noti subito dal loro sguardo. E così dicendo, le mette attorno al collo un rosario d’argento e sembra un gesto di tenerezza fatto con l’affettuosità della nostra gente del sud Italia verso la propria madre… Spuntano per incanto centinaia di fazzoletti bianchi, come a Fatima, accompagnando il canto d’addio:“O Virgen Mãe, adeus!”. Perfino i bambini stanchi della lunga cerimonia sventolano contenti un loro fazzolettino: sanno che è il segnale di conclusione. “A me piace tanto pregare con i portoghesi!”, senti, infine, commentare, andandosene, Roberta ad un’altra.
Passare di mano in mano una tradizione religiosa è una pratica di questo popolo di migranti all’estero. Sì, un loro modo di vivere ormai, ma anche di unire il mondo. Per questo ti sorridono e ripetono un’ultima volta: “Madonna dei migranti, prega per noi!”.

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*Padre Renato Zilio è un missionario scalabriniano. Ha compiuto gli studi letterari presso l’Università di Padova, e gli studi teologici a Parigi, conseguendo un master in teologia delle religioni. Ha fondato e diretto il Centro interculturale di Ecoublay nella regione parigina e diretto a Ginevra la rivista « Presenza italiana ». Dopo l’esperienza al Centro Studi Migrazioni Internazionali (Ciemi) di Parigi e quella missionaria a Gibuti (Corno d’Africa), vive attualmente a Londra al Centro interculturale Scalabrini di Brixton Road. Ha scritto “Vangelo dei migranti” (Emi Edizioni, Bologna 2010) con prefazione del Card. Roger Etchegaray.

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BENEDETTO XVI INIZIA UN NUOVO PERCORSO BIBLICO SULLA PREGHIERA

dal sito:

http://www.zenit.org/article-26743?l=italian

BENEDETTO XVI INIZIA UN NUOVO PERCORSO BIBLICO SULLA PREGHIERA

Intervento in occasione dell’Udienza generale

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 18 maggio 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il testo della catechesi che Papa Benedetto XVI ha pronunciato questo mercoledì in occasione dell’Udienza generale in Piazza San Pietro in Vaticano, iniziando un percorso biblico sulla preghiera e dedicando il primo intervento ad Abramo.
 
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Cari fratelli e sorelle,
nelle due scorse catechesi abbiamo riflettuto sulla preghiera come fenomeno universale, che – pur in forme diverse – è presente nelle culture di tutti i tempi. Oggi, invece, vorrei iniziare un percorso biblico su questo tema, che ci guiderà ad approfondire il dialogo di alleanza tra Dio e l’uomo che anima la storia della salvezza, fino al culmine, alla parola definitiva che è Gesù Cristo. Questo cammino ci porterà a soffermarci su alcuni importanti testi e figure paradigmatiche dell’Antico e del Nuovo Testamento. Sarà Abramo, il grande Patriarca, padre di tutti i credenti (cfr Rm 4,11-12.16-17), ad offrirci un primo esempio di preghiera, nell’episodio dell’intercessione per le città di Sodoma e Gomorra. E vorrei anche invitarvi ad approfittare del percorso che faremo nelle prossime catechesi per imparare a conoscere di più la Bibbia, che spero abbiate nelle vostre case, e, durante la settimana, soffermarsi a leggerla e meditarla nella preghiera, per conoscere la meravigliosa storia del rapporto tra Dio e l’uomo, tra Dio che si comunica a noi e l’uomo che risponde, che prega.
Il primo testo su cui vogliamo riflettere si trova nel capitolo 18 del Libro della Genesi; si narra che la malvagità degli abitanti di Sodoma e Gomorra era giunta al culmine, tanto da rendere necessario un intervento di Dio per compiere un atto di giustizia e per fermare il male distruggendo quelle città. È qui che si inserisce Abramo con la sua preghiera di intercessione. Dio decide di rivelargli ciò che sta per accadere e gli fa conoscere la gravità del male e le sue terribili conseguenze, perché Abramo è il suo eletto, scelto per diventare un grande popolo e far giungere la benedizione divina a tutto il mondo. La sua è una missione di salvezza, che deve rispondere al peccato che ha invaso la realtà dell’uomo; attraverso di lui il Signore vuole riportare l’umanità alla fede, all’obbedienza, alla giustizia. E ora, questo amico di Dio si apre alla realtà e al bisogno del mondo, prega per coloro che stanno per essere puniti e chiede che siano salvati.
Abramo imposta subito il problema in tutta la sua gravità, e dice al Signore: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?» (vv. 23-25). Con queste parole, con grande coraggio, Abramo mette davanti a Dio la necessità di evitare una giustizia sommaria: se la città è colpevole, è giusto condannare il suo reato e infliggere la pena, ma – afferma il grande Patriarca – sarebbe ingiusto punire in modo indiscriminato tutti gli abitanti. Se nella città ci sono degli innocenti, questi non possono essere trattati come i colpevoli. Dio, che è un giudice giusto, non può agire così, dice Abramo giustamente a Dio.
Se leggiamo, però, più attentamente il testo, ci rendiamo conto che la richiesta di Abramo è ancora più seria e più profonda, perché non si limita a domandare la salvezza per gli innocenti. Abramo chiede il perdono per tutta la città e lo fa appellandosi alla giustizia di Dio; dice, infatti, al Signore: «E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano?» (v. 24b). Così facendo, mette in gioco una nuova idea di giustizia: non quella che si limita a punire i colpevoli, come fanno gli uomini, ma una giustizia diversa, divina, che cerca il bene e lo crea attraverso il perdono che trasforma il peccatore, lo converte e lo salva. Con la sua preghiera, dunque, Abramo non invoca una giustizia meramente retributiva, ma un intervento di salvezza che, tenendo conto degli innocenti, liberi dalla colpa anche gli empi, perdonandoli. Il pensiero di Abramo, che sembra quasi paradossale, si potrebbe sintetizzare così: ovviamente non si possono trattare gli innocenti come i colpevoli, questo sarebbe ingiusto, bisogna invece trattare i colpevoli come gli innocenti, mettendo in atto una giustizia « superiore », offrendo loro una possibilità di salvezza, perché se i malfattori accettano il perdono di Dio e confessano la colpa lasciandosi salvare, non continueranno più a fare il male, diventeranno anch’essi giusti, senza più necessità di essere puniti.
È questa la richiesta di giustizia che Abramo esprime nella sua intercessione, una richiesta che si basa sulla certezza che il Signore è misericordioso. Abramo non chiede a Dio una cosa contraria alla sua essenza, bussa alla porta del cuore di Dio conoscendone la vera volontà. Certo Sodoma è una grande città, cinquanta giusti sembrano poca cosa, ma la giustizia di Dio e il suo perdono non sono forse la manifestazione della forza del bene, anche se sembra più piccolo e più debole del male? La distruzione di Sodoma doveva fermare il male presente nella città, ma Abramo sa che Dio ha altri modi e altri mezzi per mettere argini alla diffusione del male. È il perdono che interrompe la spirale del peccato, e Abramo, nel suo dialogo con Dio, si appella esattamente a questo. E quando il Signore accetta di perdonare la città se vi troverà i cinquanta giusti, la sua preghiera di intercessione comincia a scendere verso gli abissi della misericordia divina. Abramo – come ricordiamo – fa diminuire progressivamente il numero degli innocenti necessari per la salvezza: se non saranno cinquanta, potrebbero bastare quarantacinque, e poi sempre più giù fino a dieci, continuando con la sua supplica, che si fa quasi ardita nell’insistenza: «forse là se ne troveranno quaranta … trenta … venti … dieci» (cfr vv. 29.30.31.32). E più piccolo diventa il numero, più grande si svela e si manifesta la misericordia di Dio, che ascolta con pazienza la preghiera, l’accoglie e ripete ad ogni supplica: «perdonerò, … non distruggerò, … non farò» (cfr vv. 26.28.29.30.31.32).
Così, per l’intercessione di Abramo, Sodoma potrà essere salva, se in essa si troveranno anche solamente dieci innocenti. È questa la potenza della preghiera. Perché attraverso l’intercessione, la preghiera a Dio per la salvezza degli altri, si manifesta e si esprime il desiderio di salvezza che Dio nutre sempre verso l’uomo peccatore. Il male, infatti, non può essere accettato, deve essere segnalato e distrutto attraverso la punizione: la distruzione di Sodoma aveva appunto questa funzione. Ma il Signore non vuole la morte del malvagio, ma che si converta e viva (cfr Ez 18,23; 33,11); il suo desiderio è sempre quello di perdonare, salvare, dare vita, trasformare il male in bene. Ebbene, è proprio questo desiderio divino che, nella preghiera, diventa desiderio dell’uomo e si esprime attraverso le parole dell’intercessione. Con la sua supplica, Abramo sta prestando la propria voce, ma anche il proprio cuore, alla volontà divina: il desiderio di Dio è misericordia, amore e volontà di salvezza, e questo desiderio di Dio ha trovato in Abramo e nella sua preghiera la possibilità di manifestarsi in modo concreto all’interno della storia degli uomini, per essere presente dove c’è bisogno di grazia. Con la voce della sua preghiera, Abramo sta dando voce al desiderio di Dio, che non è quello di distruggere, ma di salvare Sodoma, di dare vita al peccatore convertito.
E’ questo che il Signore vuole, e il suo dialogo con Abramo è una prolungata e inequivocabile manifestazione del suo amore misericordioso. La necessità di trovare uomini giusti all’interno della città diventa sempre meno esigente e alla fine ne basteranno dieci per salvare la totalità della popolazione. Per quale motivo Abramo si fermi a dieci, non è detto nel testo. Forse è un numero che indica un nucleo comunitario minimo (ancora oggi, dieci persone sono il quorum necessario per la preghiera pubblica ebraica). Comunque, si tratta di un numero esiguo, una piccola particella di bene da cui partire per salvare un grande male. Ma neppure dieci giusti si trovavano in Sodoma e Gomorra, e le città vennero distrutte. Una distruzione paradossalmente testimoniata come necessaria proprio dalla preghiera d’intercessione di Abramo. Perché proprio quella preghiera ha rivelato la volontà salvifica di Dio: il Signore era disposto a perdonare, desiderava farlo, ma le città erano chiuse in un male totalizzante e paralizzante, senza neppure pochi innocenti da cui partire per trasformare il male in bene. Perché è proprio questo il cammino della salvezza che anche Abramo chiedeva: essere salvati non vuol dire semplicemente sfuggire alla punizione, ma essere liberati dal male che ci abita. Non è il castigo che deve essere eliminato, ma il peccato, quel rifiuto di Dio e dell’amore che porta già in sé il castigo. Dirà il profeta Geremia al popolo ribelle: «La tua stessa malvagità ti castiga e le tue ribellioni ti puniscono. Renditi conto e prova quanto è triste e amaro abbandonare il Signore, tuo Dio» (Ger 2,19). È da questa tristezza e amarezza che il Signore vuole salvare l’uomo liberandolo dal peccato. Ma serve dunque una trasformazione dall’interno, un qualche appiglio di bene, un inizio da cui partire per tramutare il male in bene, l’odio in amore, la vendetta in perdono. Per questo i giusti devono essere dentro la città, e Abramo continuamente ripete: «forse là se ne troveranno …». «Là»: è dentro la realtà malata che deve esserci quel germe di bene che può risanare e ridare la vita. E’ una parola rivolta anche a noi: che nelle nostre città si trovi il germe di bene; che facciamo di tutto perché siano non solo dieci i giusti, per far realmente vivere e sopravvivere le nostre città e per salvarci da questa amarezza interiore che è l’assenza di Dio. E nella realtà malata di Sodoma e Gomorra quel germe di bene non si trovava.
Ma la misericordia di Dio nella storia del suo popolo si allarga ulteriormente. Se per salvare Sodoma servivano dieci giusti, il profeta Geremia dirà, a nome dell’Onnipotente, che basta un solo giusto per salvare Gerusalemme: «Percorrete le vie di Gerusalemme, osservate bene e informatevi, cercate nelle sue piazze se c’è un uomo che pratichi il diritto, e cerchi la fedeltà, e io la perdonerò» (5,1). Il numero è sceso ancora, la bontà di Dio si mostra ancora più grande. Eppure questo ancora non basta, la sovrabbondante misericordia di Dio non trova la risposta di bene che cerca, e Gerusalemme cade sotto l’assedio del nemico. Bisognerà che Dio stesso diventi quel giusto. E questo è il mistero dell’Incarnazione: per garantire un giusto Egli stesso si fa uomo. Il giusto ci sarà sempre perché è Lui: bisogna però che Dio stesso diventi quel giusto. L’infinito e sorprendente amore divino sarà pienamente manifestato quando il Figlio di Dio si farà uomo, il Giusto definitivo, il perfetto Innocente, che porterà la salvezza al mondo intero morendo sulla croce, perdonando e intercedendo per coloro che «non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Allora la preghiera di ogni uomo troverà la sua risposta, allora ogni nostra intercessione sarà pienamente esaudita.
Cari fratelli e sorelle, la supplica di Abramo, nostro padre nella fede, ci insegni ad aprire sempre di più il cuore alla misericordia sovrabbondante di Dio, perché nella preghiera quotidiana sappiamo desiderare la salvezza dell’umanità e chiederla con perseveranza e con fiducia al Signore che è grande nell’amore. Grazie.

buona notte

buona notte dans immagini sacre polygala_calcarea_eb0

Polygala calcarea

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