Archive pour le 14 mai, 2011

buona notte e buona domenica

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Ericales, Rhododendron racemosum

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Jesus as the Good Shepherd from the early Christian catacomb of Domitilla/Domatilla (Crypt of Lucina, 200-300 CE).

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PASQUA: IL RISORTO È L’UNICO PASTORE DELLA VITA

dal sito:

http://www.zenit.org/article-26694?l=italian

PASQUA: IL RISORTO È L’UNICO PASTORE DELLA VITA

IV Domenica di Pasqua, 15 maggio 2011

di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 13 maggio 2011 (ZENIT.org).- In quel tempo, Gesù disse: “In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama la sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo, invece, non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei”. Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: “In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti, ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per derubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10, 1-10).
La qualifica di “laico” non esclude affatto la fede in Gesù Cristo. Infatti, “laico” è il cristiano che “partecipa del ministero sacerdotale di Cristo; è attento che le persone del proprio ambiente conoscano il Vangelo ed imparino ad amare Cristo. Con la sua fede lascia un’impronta nella società, nell’economia e nella politica; sostiene la vita ecclesiale.., si pone a disposizione come guida di gruppi, si impegna nei comitati..Soprattutto i giovani devono riflettere seriamente in quale posto Dio li vorrebbe.” (dal “Catechismo per i giovani”, n. 139).
Eluana Englaro era una giovane laica, ed è del tutto probabile che, prima dell’incidente, si sia chiesta quale sarebbe stato il posto che Dio le avrebbe assegnato nella vita. Ma un simile pensiero potrebbe esserle venuto anche dopo l’incidente, quando, nella sua coscienza “sommersa”, apparentemente non era più in grado di riflettere e comunicare; non solo, ma non è affatto escluso che lo Spirito, che è Amore, le abbia fatto “sentire” che proprio nel suo stato di profonda depressione neurologica poteva trovare la risposta desiderata.
Una simile, misteriosa possibilità di comunicazione spirituale è stata prospettata da Benedetto XVI, il Venerdì Santo 2011, alla mamma di Francesco, un ragazzo clinicamente simile ad Eluana dal giorno di Pasqua 2009: “Io sono sicuro che quest’anima nascosta sente in profondità il vostro amore, anche se non capisce i dettagli, le parole, eccetera, ma la presenza di un amore la sente”.
Pensavo a queste cose alcuni giorni fa, mentre partecipavo ad un dibattito pubblico con il papà di Eluana, organizzato da un’Associazione di “laici” del Trentino. Il corsivo virgolettato fa intendere che non si trattava di quei laici cristiani che ho definito all’inizio (anch’essi presenti all’incontro), ma di quei laici “laicisti” che si contrappongono polemicamente ai credenti nelle questioni fondamentali della bioetica e biopolitica. Essi invocano la libertà, ma la negano in concreto per i più deboli in conflitto, tanto che nell’omicidio giuridicamente autorizzato di Eluana per fame e sete, non sanno riconoscere il più estremo e violento attentato alla più basilare delle libertà, la libertà di vivere.
Il Vangelo di oggi mi offre lo spunto ed il criterio per commentare il dibattito citato (il tema era incentrato sul rapporto tra la libertà e la vita), al fine di trarne un messaggio quanto mai attuale in ordine al mistero della vita umana.
Se la serata fosse stata organizzata dal sottoscritto, nella locandina, sotto gli occhi di Eluana, avrei scritto le parole odierne di Gesù: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Per altro, quando mi è stata data la parola, le ho subito ricordate, commentandole con queste altre del beato Giovanni Paolo II: “Dio sa sempre trarre il bene dal male, vuole che tutti siano salvi e possano raggiungere la conoscenza della verità: Dio è amore. Cristo crocifisso e risorto è la suprema rivelazione di questa verità ” (in “Memoria e identità”, p. 70).
Il riferimento, naturalmente, era alla stessa Eluana, dalla cui dolorosissima vicenda, a mio parere, Dio ha saputo e saprà trarre un gran bene, quello del rinnovato annuncio della verità “tutta intera” della vita umana. Tale verità è, per tutti e per ognuno, la persona del “Buon Pastore”.
Eluana è stata e continua ad essere voce eloquente dell’enciclica “Evangelium vitae” (1995), purtroppo rimasta inascoltata ed ignorata non solo dai laici, ma perfino da molti dei pastori della Chiesa. Le tristissime conseguenze di tale trascuratezza sono sotto i nostri occhi e nelle nostre orecchie: “i muri di inganni e di menzogne che nascondono agli occhi di tanti nostri fratelli e sorelle la natura perversa di comportamenti e di leggi ostili alla vita” non sono certo crollati in questi 16 anni dalla pubblicazione dell’enciclica, anzi, in Italia oggi sembrano più alti e spessi di allora (E.V., n. 100).
Ne ho avuto una prova sconcertante verso il termine della serata, quando una marea montante di fischi, schiamazzi ed insulti si è alzata dalla maggioranza del pubblico per tacitare un relatore “pro-life”, in dissenso con la linea culturale dominante “pro-death”.
Dal punto di vista della similitudine evangelica del Buon Pastore, la finale è stata così questa: la maggioranza dei presenti è rimasta convinta che il “ladro” e il “brigante” che minaccia la vita delle “pecore”, derubandole della loro “libertà” di mettere le mani sulla vita (diritto all’aborto, alla fecondazione artificiale, all’eugenetica, alla ricerca genetica omicida, alle convivenze omosessuali, all’eutanasia…), va identificato con l’“integralista cattolico”.
Poco importa che, con il suo rullo intollerante, la cultura di morte relativista sia passata sopra ogni considerazione di semplice buon senso, accettando pacificamente affermazioni false ed incredibili come le seguenti: “è ormai riconosciuto che idratazione e nutrizione assistita sono terapie che impediscono il naturale decorso del morire”; e: “l’anima non esiste, l’anima è un’invenzione; non esiste un Dio creatore, ma solo l’evoluzione biologica che ha prodotto il cervello da sé”.
Così, anziché riconoscere e seguire il Pastore della Verità venuto in mezzo a noi per donarci la sua vita “in abbondanza”, oggi molte “pecore” fuggono da Lui come da un “estraneo”, da un “ladro” e da un “brigante”: inganno drammatico e mortale di cui sono responsabili anche i loro “guardiani”.
E’ anzitutto a noi sacerdoti, infatti, che è indirizzato il monito quanto mai attuale di papa Paolo VI: “Gli uomini potranno salvarsi anche per altri sentieri, grazie alla misericordia di Dio, benché noi non annunciamo loro il Vangelo; ma potremo noi salvarci se, per negligenza, per paura, per vergogna (…), o in conseguenza di idee false, trascuriamo di annunciarlo?” (Esortazione Evangelii nuntiandi, n. 80).
Nei “Lineamenta” del prossimo Sinodo dei vescovi su “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (che si terrà a Roma dal 7 al 28 ottobre 2012), è scritto: “In un tempo in cui tante persone vivono la loro vita come esperienza vera e propria di deserto dell’oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell’uomo, la Chiesa nel suo insieme e i Pastori in essa, devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio” (n. 16).
Andiamo incontro con gioia all’unico, vero e buono, Pastore della vita umana.
———
* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

14 maggio – San Mattia Apostolo

dal sito:

http://www.santiebeati.it/dettaglio/21050

14 maggio – San Mattia Apostolo

sec. I

Di Mattia si parla nel primo capitolo degli Atti degli apostoli, quando viene chiamato a ricomporre il numero di dodici, sostituendo Giuda Iscariota. Viene scelto con un sorteggio, attraverso il quale la preferenze divina cade su di lui e non sull’altro candidato – tra quelli che erano stati discepoli di Cristo sin dal Battesimo sul Giordano -, Giuseppe, detto Barsabba. Dopo Pentecoste, Mattia inizia a predicare, ma non si hanno più notizie su di lui. La tradizione ha tramandato l’immagine di un uomo anziano con in mano un’alabarda, simbolo del suo martirio. Ma non c’è evidenza storica di morte violenta. Così come non è certo che sia morto a Gerusalemme e che le reliquie siano state poi portate da sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, a Treviri, dove sono venerate. (Avvenire)

Etimologia: Mattia = uomo di Dio, dall’ebraico

Martirologio Romano: Festa di san Mattia, apostolo, che seguì il Signore Gesù dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui Cristo fu assunto in cielo; per questo, dopo l’Ascensione del Signore, fu chiamato dagli Apostoli al posto di Giuda il traditore, perché, associato fra i Dodici, divenisse anche lui testimone della resurrezione.
Mattia, abbreviazione del nome ebraico Mattatia, che significa dono di Jahvè, fu eletto al posto di Giuda, il traditore, per completare il numero simbolico dei dodici apostoli, raffigurante i dodici figli di Giacobbe e quindi le dodici tribù d’Israele. Secondo gli Atti apocrifi, egli sarebbe nato a Betlemme, da una illustre famiglia della tribù di Giuda. Una cosa è certa, perché affermata da S. Pietro (Atti, 1,21), che Mattia fu uno di quegli uomini che accompagnarono gli apostoli per tutti il tempo che Gesù Cristo visse con loro, a cominciare dal battesimo nel fiume Giordano fino all’Ascensione al cielo. Non è improbabile che facesse parte dei 72 discepoli designati dal Signore e da lui mandati, come agnelli fra i lupi, a due a due davanti a sé, in ogni città e luogo dov’egli stava per andare. S. Mattia conosceva certamente il più antipatico degli apostoli, Giuda, nativo di Kariot, quello che nella lista dei Dodici è sempre messo all’ultimo posto e designato con l’espressione « colui che tradì il Signore ». Durante le peregrinazioni apostoliche, Gesù e i discepoli ricevevano doni e offerte dalle folle entusiaste e riconoscenti per i malati che guarivano. S’impose perciò la necessità di affidare a qualcuno di loro l’incombenza di economo. Fu scelto Giuda, ma ci dice San Giovanni che non fu onesto nel suo ufficio.
Sei giorni prima della Pasqua, Gesù fu invitato a Betania, con gli apostoli e l’amico Lazzaro risuscitato dai morti, ad un banchetto in casa di Simone, il lebbroso. Mentre Marta serviva, Maria, sua sorella, prese una libbra d’unguento di nardo genuino, di molto valore, unse i piedi di Gesù e glieli asciugò con i suoi capelli.
Allora Giuda Iscariota protestò: « Perché quest’unguento non è stato venduto per più di 300 denari e non è stato dato ai poveri? ». Ma, commenta ironicamente S. Giovanni l’evangelista, « disse questo non perché si preoccupasse dei poveri, ma perché era ladro, e avendo la borsa portava via quello che vi si metteva » (Giov 12,1-11). Aveva paura di morire di fame? Temeva forse, avaro com’era, una vecchiaia triste e solitaria? Quando seppe che i capi del Sinedrio cercavano il modo di catturare Gesù per condannarlo a morte, ingordo di denaro, andò dai sommi sacerdoti e promise loro di tradirlo per trenta monete d’argento, il compenso fissato dalla legge per l’uccisione accidentale di uno schiavo (Es. 21,32).
Durante l’ultima cena, Gesù fece più volte allusione al suo traditore, anzi lo designò apertamente (Mt 26,25), Dopo la cena, quando il Signore si ritirò a pregare al di là del torrente Cedron, il perfido Giuda giunse a capo di sgherri armati di spade e bastoni e, secondo il segnale loro dato, glielo consegnò nelle mani baciandolo. Il rimorso però non tardò ad attanagliargli l’animo. L’apostolo, infedele alla sua missione, quando seppe che il sinedrio aveva condannato il suo Maestro, che lo aveva sempre trattato con bontà anche nell’ora buia del tradimento, riportò i trenta denari, che gli scottavano in mano, ai sommi sacerdoti e agli anziani, gemendo; « Ho peccato, tradendo sangue innocente! ». Ed egli, gettati i denari d’argento nel tempio, fuggì e, in preda alla disperazione alla quale non seppe reagire, andò ad impiccarsi (Mt 27,3-5).
Gesù nell’ultima cena, dopo lo smascheramento di chi lo tradiva, aveva esclamato: « Guai a quell’uomo per opera del quale il Figlio dell’uomo è tradito: era meglio per lui che non fosse mai nato! » (Mt 26,24). Dopo l’Ascensione di Gesù al cielo, gli apostoli ritornarono a Gerusalemme, nel cenacolo. Di comune accordo essi erano perseveranti nell’orazione con alcune donne, con Maria, la Madre di Gesù, e con i cugini di lui. Mentre attendevano « la promessa del Padre », cioè lo Spirito Santo, Pietro, alzatesi in mezzo ai fratelli (c’era una folla di circa 120 persone), prese a dire: « Era necessario che si adempisse la Scrittura che lo Spirito Santo, per bocca di David, aveva predetto nei riguardi di Giuda, il quale si fece guida a coloro che catturarono Gesù; poiché egli era annoverato tra noi ed ebbe la sorte di partecipare a questo ministero. Costui, inoltre, con la mercede del suo delitto, acquistò un campo; caduto a capofitto, gli scoppiò il ventre e si sparsero tutte le sue viscere. Il fatto divenne noto a tutti gli abitanti di Gerusalemme, tanto che quel campo, nel loro idioma, fu chiamato Aceldama, cioè campo del sangue. Infatti nel libro dei Salmi sta scritto: « Divenga deserta la sua dimora, e non vi sia chi l’abiti! ». E ancora: « Prenda un altro il suo ufficio ». E’ dunque necessario che uno degli uomini che ci furono compagni per tutto il tempo che il Signore Gesù trascorse tra noi, a partire dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui fu assunto di mezzo a noi, divenga, insieme con noi, testimone della sua risurrezione » (Atti 1, 16-22).
Ne presentarono due: Giuseppe, di cognome Barsabba, il quale era soprannominato Giusto, e Mattia. Poi pregarono dicendo: « O Signore, tu che conosci i cuori di tutti, indicaci quale di questi due hai scelto per assumere l’ufficio di questo ministero e di questo apostolato, dal quale Giuda perfidamente si partì per andarsene al proprio luogo ». Poi tirarono la sorte, e la sorte cadde su Mattia, e venne annoverato con gli undici apostoli.
Quando giunse il giorno della Pentecoste, stavano tutti insieme nello stesso luogo. A un tratto, ci fu dal ciclo un fragore, come di vento impetuoso, e pervase tutta la casa dove essi si trovavano. E videro delle lingue che sembravano come di fuoco, dividersi e posarsi sopra ciascuno di loro. Tutti furono ripieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, secondo il modo in cui lo Spirito concedeva loro di esprimersi. Ora in Gerusalemme dimoravano pii Giudei di ogni nazione che è sotto il cielo. Udito quel fragore, si radunò una gran folla che rimase sbalordita, perché ciascuno li sentiva parlare nella propria lingua » (Atti c. 1).
Allora Pietro, insieme con gli undici, si fece avanti, alzò la voce e spiegò che quell’evento era stato predetto dal profeta Gioele e che Gesù, risuscitato dai morti, era stato costituito da Dio « Signore e Messia ». Molti presenti, sentendosi il cuore compunto, chiesero a Pietro e agli altri apostoli: « Fratelli, che cosa dobbiamo fare? ». E Pietro disse loro; « Convertitevi e ognuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo per la remissione dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo ».
Quelli dunque che accettarono la sua esortazione si fecero battezzare, e, in quel luogo, circa tremila persone si associarono alla Chiesa. Ed erano sempre assidui alle istruzioni degli apostoli, alle riunioni comuni, allo spezzamento del pane e alle orazioni. Il timore si era impadronito di ogni anima, poiché per mezzo degli apostoli avvenivano molti segni e prodigi. E tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune. Anzi vendevano le proprietà e i beni, e ne distribuivano fra tutti il ricavato, in proporzione al bisogno di ciascuno. E frequentavano insieme e assiduamente il tempio ogni giorno; spezzavano il pane di casa in casa; mangiavano insieme con giocondità e semplicità di cuore, lodando Iddio e godendo il favore di tutto il popolo. Il Signore, poi, associava alla Chiesa quelli che di giorno in giorno venivano salvati. (Ivi, c. 2).
La moltitudine dei credenti era di un sol cuore e di un’anima sola. Infatti tra loro non c’era alcun indigente, poiché tutti i padroni di campi o di case, man mano che li vendevano, portavano il ricavato delle cose vendute e lo mettevano a disposizione degli apostoli: poi veniva distribuito a ciascuno secondo la necessità che uno ne aveva.
E gli apostoli, frattanto, con grande energia rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e, verso tutti loro, c’era una gran simpatia. Sicché la moltitudine di uomini e donne credenti nel Signore andava aumentando sempre più. (Ivi, cc. 4 e 5).
Si mosse allora il sommo sacerdote con tutti i suoi seguaci. Al colmo della gelosia afferrarono gli apostoli e li misero nella prigione popolare. Un angelo li mette in libertà? Essi li fanno arrestare dal prefetto del tempio, dove stanno imperterriti a istruire il popolo, intimano loro, dopo averli fatti fustigare, di non parlare affatto nel nome di Gesù. Essi se ne vanno via dal sinedrio giulivi per essere stati ritenuti degni di subire oltraggi a causa di quel nome. E ogni giorno, nel tempio e per le case, continuano a insegnare e ad annunziare senza posa la buona novella del Messia Gesù, (Ivi, cap. 5) fino a tanto che il martirio di S. Stefano prima, e l’imprigionamento di S. Pietro poi, li costringe provvidenzialmente a disperdersi per il mondo allora conosciuto per fare discepole del Martire del Golgota tutte le nazioni.
Le notizie posteriori riguardanti S. Mattia sono contraddittorie. Tutte però concordano nel dirlo martire. Le sue reliquie, vere o presunte, sono venerate a Roma nella basilica di S. Maria Maggiore.

Autore: Guido Pettinati

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LA CATECHESI CHE GIOVANNI PAOLO II NON HA MAI PRONUNCIATO

dal sito:

http://www.zenit.org/article-26697?l=italian

LA CATECHESI CHE GIOVANNI PAOLO II NON HA MAI PRONUNCIATO

Nel 30° anniversario dell’attentato in piazza San Pietro

ROMA, venerdì, 13 maggio 2011 (ZENIT.org).- Esattamente 30 anni fa, in piazza San Pietro, Giovanni Paolo II veniva ferito dal giovane terrorista turco Alí Agca mentre compieva sulla campagnola bianca il consueto giro per rispondere al caloroso saluto dei fedeli e dei pellegrini giunti per l’Udienza generale.
Nel corso dell’Udienza il Santo Padre intendeva riflettere sul tema del lavoro e dei lavoratori in occasione del 90° anniversario della pubblicazione della “Rerum Novarum”, l’enciclica di Leone XIII.

Pubblichiamo qui di seguito per i lettori di ZENIT il testo del discorso che Giovanni Paolo avrebbe rivolto ai fedeli.

* * *
1. Nelle settimane scorse, durante i nostri incontri nelle udienze generali del mercoledì ho svolto un ciclo di catechesi basata sulle parole di Cristo nel Discorso della Montagna.
Oggi, diletti fratelli e sorelle in Cristo, desidero iniziare una serie di riflessioni su un altro tema per sottolineare degnamente una data che merita di essere scritta a caratteri d’oro nella storia della Chiesa moderna: il 15 maggio 1891. Si compiono infatti novant’anni da quanto il mio predecessore Leone XIII pubblicava la fondamentale enciclica sociale Rerum Novarum, che non solo è stata una vigorosa ed accorata condanna della “immeritata miseria” in cui giacevano i lavoratori di allora, dopo il primo periodo dell’applicazione della macchina industriale al campo dell’impresa, ma ha posto soprattutto le fondamenta per una giusta soluzione di quei gravi problemi della convivenza umana che vanno sotto il nome di “questione sociale”.
2. Perché dopo tanti anni la Chiesa ricorda ancora l’enciclica Rerum Novarum?
Molte sono le ragioni. Innanzitutto la Rerum Novarum costituisce ed è “la magna charta dell’operosità sociale cristiana”, come l’ha definita Pio XII (Pio XII, Radiomessaggio per il 50° della Rerum Novarum: Discorsi e Radiomessaggi, III [1942] 911); e Paolo VI ha aggiunto che il suo “messaggio continua ad ispirare l’azione per la giustizia” (Paolo VI Octogesima Adveniens, 1) nella Chiesa e nel mondo contemporaneo; essa è altresì dimostrazione irrefutabile della trepida e solerte attenzione della Chiesa per il mondo del lavoro.
La voce di Leone XIII si levò coraggiosa in difesa degli oppressi, dei poveri, degli umili, degli sfruttati, e non fu che l’eco della voce di Colui che aveva proclamato beati i poveri e gli affamati di giustizia. Il Papa, seguendo l’impulso e l’invito “della coscienza del suo Apostolico Ministero” (cf. Leone XIII, Rerum Novarum, 1), parlò: non solo ne aveva il diritto, ma anche e soprattutto il dovere. Ciò che infatti giustifica l’intervento della Chiesa e del suo Supremo Pastore nelle questioni sociali, è sempre la missione ricevuta da Cristo di salvare l’uomo nella sua integrale dignità.
3. La Chiesa è per vocazione chiamata ad essere ovunque la tutrice fedele della dignità umana, la madre degli oppressi e degli emarginati, la Chiesa dei deboli e dei poveri. Essa vuole vivere tutta la verità contenuta nelle Beatitudini evangeliche, soprattutto la prima, “Beati i poveri di spirito”; la vuole insegnare e praticare così come fece il suo Divin Fondatore che venne a fare e ad insegnare (cf. At 1,1).
Come osservavo lo scorso anno nel mio discorso agli operai di san Paolo in Brasile, “la Chiesa quando proclama il Vangelo, senza peraltro abbandonare il suo compito specifico di evangelizzazione, cerca di ottenere che tutti gli aspetti della vita sociale in cui si manifesta l’ingiustizia subiscano una trasformazione verso la giustizia” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad operarios in urbe Sao Paulo, 3; 3 luglio 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, III/2 [1980] 83). La Chiesa è cosciente di questa sua alta missione: per questo essa si inserisce nella storia dei popoli, nelle loro istituzioni, nella loro cultura, nei loro problemi, nelle loro necessità. Vuole essere solidale con i suoi figli e con tutta l’umanità, condividendo difficoltà ed angustie, e facendo proprie le legittime richieste di chi soffre o è vittima dell’ingiustizia. Forte delle eterne parole del Vangelo, essa denuncia tutto ciò che offende l’uomo nella sua dignità di “immagine di Dio” (Gen 1,27) e nei suoi diritti fondamentali, universali, inviolabili, inalienabili; tutto ciò che ostacola la crescita secondo il piano di Dio. Ciò fa parte del suo servizio profetico.
4. Ben a ragione Pio XI ha affermato che la Rerum Novarum ha presentato all’umanità un magnifico ideale sociale, attingendolo dalle fonti sempre vive e vitali del Vangelo! (cf. Pio XI, Quadragesimo Anno, 16.)
Sulle orme del basilare documento leoniano i miei venerati predecessori non hanno mancato, in numerose circostanze, di riaffermare questo diritto e questo dovere della Chiesa di dare direttive morali in un campo, come quello socio-economico, che ha diretti legami con il fine religioso e soprannaturale della sua stessa missione. Il Concilio Vaticano II ha ripreso tale insegnamento sottolineando che “è compito di tutta la Chiesa aiutare gli uomini affinché siano resi capaci di ben costruire tutto l’ordine temporale e di ordinarlo a Dio per mezzo di Cristo” (Apostolicam Actuositatem, 7).
Emerge così il primo grande insegnamento della celebrazione di questo novantesimo anniversario: quello di riaffermare il diritto e la competenza della Chiesa di “esercitare senza ostacoli la sua missione tra gli uomini e dare il suo giudizio morale anche su cose che riguardano l’ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e della salvezza delle anime” (Gaudium et Spes, 76): quello di rendere sempre più coscienti le Chiese locali, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i laici del loro diritto-dovere di prodigarsi per il bene di ogni uomo, e di essere in ogni momento i difensori e gli artefici dell’autentica giustizia nel mondo.
5. Guardando con occhio sereno gli eventi storico-sociali che si sono susseguiti nel mondo del lavoro da quel lontano maggio 1891, dobbiamo riconoscere con soddisfazione che grandi passi sono stati fatti e grandi trasformazioni si sono realizzate al fine di rendere la vita delle classi operaie più consona alla loro dignità.
La Rerum Novarum fu lievito e fermento di tali feconde trasformazioni. Per mezzo di essa il Romano Pontefice infuse nell’anima operaia il sentimento e la consapevolezza della sua dignità umana, civile e cristiana; favorì il sorgere di associazioni sindacali operaie nei vari Paesi ammonì i governanti e le Nazioni sui loro doveri verso i deboli e i poveri, invitando gli Stati alla creazione di una politica sociale, umana e intelligente che approdò nel riconoscimento nella formulazione e nel rispetto del diritto di lavoro e al lavoro per tutti i cittadini.
6. La Rerum Novarum riveste poi per la Chiesa una particolare importanza perché costituisce un punto di riferimento dinamico della sua dottrina e della sua azione sociale nel mondo contemporaneo.
Durante i secoli dalle sue origini fino ad oggi, la Chiesa si è sempre incontrata e confrontata con il mondo e i suoi problemi, illuminandoli alla luce della fede e della morale di Cristo. Ciò ha favorito l’enuclearsi e il sorgere, lungo l’arco della storia, di un corpo di principi di morale sociale cristiana, conosciuto oggi come Dottrina Sociale della Chiesa. È merito di Papa Leone XIII l’aver cercato per primo di darle un carattere organico e sintetico. Comincio così da parte del Magistero il nuovo e delicato compito, che è pure un grande impegno di rielaborare per un mondo in continuo cambiamento un insegnamento capace di rispondere alle moderne esigenze nonché alle rapide e continue trasformazioni della società industriale, e allo stesso tempo atto a tutelare i diritti sia della persona umana sia delle giovani Nazioni che entrano a far parte della comunità internazionale.
7. Tale insegnamento sociale – come ho rilevato a Puebla – “nasce alla luce della Parola di Dio e del Magistero autentico, dalla presenza dei cristiani in seno alle situazioni mutevoli del mondo, a contatto con le sfide che da esse provengono” (Giovanni Paolo II, Allocutio ad Episcopos Americae Latinae, III Coetu Generali ineunte, III, 7, 28 gennaio 1979: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II [1979] 208). Il suo oggetto è e rimane sempre la dignità sacra dell’uomo immagine di Dio, e la tutela dei suoi diritti inalienabili; la sua finalità, la realizzazione della giustizia intesa come promozione e liberazione integrale della persona umana nella sua dimensione terrena e trascendente, il suo fondamento, la verità sulla stessa natura umana, verità appresa dalla ragione e illuminata dalla Rivelazione; la sua forza propulsiva, l’amore come precetto evangelico e norma di azione. Forgiatrice di una concezione sempre attuale e feconda del vivere sociale, la Chiesa, nello sviluppare in questo ultimo secolo, con la collaborazione di sacerdoti e di laici illuminati, il suo insegnamento sociale, di natura religiosa e morale, non si limita ad offrire principi di riflessione, orientamenti, direttive, constatazioni o richiami, ma presenta anche norme di giudizio e direttive per l’azione che ogni cattolico è chiamato a porre alla base della sua saggia esperienza per tradurle poi nella realtà in categorie operative di collaborazione e di impegno (cf. Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 38).
Dinamica e vitale, la Dottrina Sociale, come ogni realtà vivente, si compone di elementi duraturi e supremi, e di elementi contingenti che ne permettono l’evoluzione e lo sviluppo in sintonia con le urgenze dei problemi impellenti, senza diminuirne la stabilità e la certezza nei principi e nelle norme fondamentali.
8. Ricordando il 90° anniversario dell’enciclica leoniana, sulla scia e in consonanza con il Magistero dei miei predecessori, desidero pertanto riaffermare l’importanza dell’insegnamento sociale come parte integrante della concezione cristiana della vita.
Su questo argomento non ho mancato nei frequenti incontri con i miei fratelli nell’episcopato di raccomandare alla loro pastorale sollecitudine la necessità e l’urgenza di sensibilizzare i loro fedeli sul pensiero sociale cristiano, affinché tutti i figli della Chiesa siano non solo istruiti nella dottrina, ma anche educati all’azione sociale.
Fratelli e sorelle! Torneremo ancora più a lungo sui vari temi e problemi che l’anniversario dell’enciclica, Rerum Novarum evoca. Per concludere questa mia riflessione odierna voglio rispondere all’interrogativo posto all’inizio. Sì, l’enciclica Rerum Novarum ha ancora oggi la sua vitalità e validità stimolante e operante per il Popolo di Dio, anche se apparsa nel lontano 1891. Il tempo non l’ha esaurita, ma collaudata; tanto che i cristiani la sentono così feconda da derivarne coraggio e azione per i nuovi sviluppi dell’ordine sociale cui il mondo del lavoro è interessato. Continuiamo dunque a viverne lo spirito con slancio e generosità, approfondendo con amore operoso le vie tracciate dall’attuale Magistero sociale e interpretando con genialità creativa le esperienze dei nuovi tempi.
Saluti:
Giovanni Paolo II aveva in animo di rivolgere nel corso dell’udienza generale alcuni particolari saluti a diversi gruppi di fedeli e di pellegrini. Diamo qui di seguito il testo di queste particolari espressioni.
Il saluto ai diversi gruppi
Porgo i miei saluti agli addetti degli impianti idrici in vari paesi dell’Africa, dell’America e dell’Asia che stanno prendendo parte a un corso speciale a Roma. Auspico che la vostra partecipazione al corso e il vostro soggiorno qui possano produrre benefici per l’importante lavoro che svolgete per l’umanità e benedizioni per i vostri paesi e per voi stessi.
Possa Dio guidarvi e assistervi.
* * *
Saluto infine calorosamente anche i numerosi partecipanti all’edizione di quest’anno del pellegrinaggio a Roma della « Confraternita mariana della città di Treviri ». Già con il vostro nome professate la vostra speciale venerazione e amore per la Vergire Maria. Cari fratelli e sorelle, impegnatevi attraverso il vostro esempio personale e una convinta vita religiosa comunitaria nel contribuire affinché la venerazione per Maria venga nuovamente animata e promossa anche nelle vostre famiglie e nei vostri ambienti – proprio ora a Maggio che è il mese di Maria. Maria è la nostra via più sicura a Cristo, mentre teniamo a cuore il suo ammonimento materno: « Fate quello che vi dirà ».

Invoco su di voi la luce e il sostegno di Dio e impartisco di cuore su di voi e su tutti i pellegrini presenti la mia benedizione apostolica.

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Come sempre, un particolare pensiero, pieno di affetto e di fiducia, rivolgo a voi, giovani, presenti a questa Udienza, nel corrente mese di maggio, ricco di fiori, di gioia e di speranze. Anche voi siete il maggio della Chiesa e della Società.
Fra voi c’è oggi il Gruppo degli studenti delle Scuole di Arpino “ Tullianum ” e “ Marco Tullio Cicerone ”, accompagnati dai loro Insegnanti. Io li saluto con gioia e con infinita riconoscenza: non solo per la loro visita, che ci è cara, ma soprattutto per il dono che la loro terra ha fatto alla nostra civiltà Latina e cristiana: Marco Tullio Cicerone: forse il più grande oratore di tutti i tempi, certo uno dei più rari, che questa terra d’Italia, ricca di genio, ha prodotto.
A voi tutti giovani auspico di vivere intensamente questi anni tanto importanti della vostra giovinezza, approfondendo la vostra fede e arricchendo la vostra intelligenza ed il vostro cuore, così da prepararvi con serietà e impegno alle responsabilità che vi attendono.
Vi accompagni la mia Benedizione.
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Cari fratelli e figli ammalati, nel salutarvi con tanto affetto vi addito la Vergine Maria, Madre di Cristo, a cui, nella pietà e nell’anima dei fedeli, è sacro queste mese di maggio. Nella sua esistenza, Essa conobbe la gioia più intima e profonda congiunta alla tristezza e alla prova più terribile. Così succede ad ognuno di noi; e la gioia si alterna al dolore, mescolando nella nostra vita alle rose le spine. Ci dia la Vergine Santissima, che è fiore delle convalli e Madre addolorata, di saper trasformare in motivo di merito quella sorte che spesso ci trae, con lei, sotto la Croce.
?ari sposi novelli, la Madonna « Vergine Madre » e « Figlia del suo Figlio » (Dante Alighieri, La Divina Commedia, « Paradiso », XXXIII, 1) fu anche la Sposa affettuosa, mite e fedele di Giuseppe, il falegname di Nazareth. E con lui condivise il tenue ricordo dell’antica grandezza di discendenti di David, ma anche e soprattutto l’umiltà del presente, il peso della sorte, e la dura realtà d’ogni giorno. La Vergine condivise con Giuseppe il viaggio a Betlemme, la fuga in Egitto, la povertà. La moglie, che col marito divide le prove della vita, sarà il più valido sostegno e il più alto coefficiente della sua felicità. E così il marito. Siate felici, cari sposi novelli. E Dio sia con voi.
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Nel corso dell’udienza generale il Santo Padre avrebbe annunciato due novità assai importanti riguardanti nuovi mezzi di studio e di orientamento pastorale riguardo ai problemi della famiglia:
Desidero ora annunziarvi che, allo scopo di venire incontro nella maniera più adeguata alle attese circa i problemi riguardanti la famiglia espresse dall’episcopato del mondo intero, soprattutto in occasione dell’ultimo Sinodo dei Vescovi, ho ritenuto opportuno istituire il Pontificio Consiglio per la Famiglia, il quale sostituirà il Comitato per la Famiglia, che, come è noto, faceva capo al Pontificio Consiglio per i Laici.
A tale nuovo Organismo – che sarà presieduto da un Cardinale, coadiuvato da un Consiglio di Presidenza composto da Vescovi delle varie parti del mondo – spetterà la promozione della cura pastorale delle famiglie e dell’apostolato specifico in campo familiare, in applicazione degli insegnamenti e degli orientamenti manifestati dalle competenti istanze del Magistero ecclesiastico, in modo che le famiglie cristiane siano aiutate a compiere la missione educativa, evangelizzatrice ed apostolica, a cui sono chiamate.
Ho deciso inoltre di fondare presso la Pontificia Università Lateranense, che è l’Università della diocesi del Papa, un Istituto internazionale di studi su matrimonio e famiglia, il quale inizierà la sua attività accademica col prossimo ottobre. Esso intende offrire a tutta la Chiesa quel contributo di riflessione teologica e pastorale, senza la quale la missione evangelizzatrice della Chiesa verrebbe a mancare di un ausilio essenziale. Esso sarà il luogo nel quale si approfondirà la conoscenza della verità sul matrimonio e sulla famiglia, alla luce della fede, con l’aiuto anche delle varie scienze umane.
Chiedo a tutti di accompagnare con le proprie preghiere queste due iniziative, che vogliono essere un nuovo segno della sollecitudine e della stima della Chiesa nei confronti dell’istituzione matrimoniale e familiare, e della importanza che Ella le attribuisce sia in ordine alla propria vita che a quella della società.
 

Publié dans:Papa Giovanni Paolo II |on 14 mai, 2011 |Pas de commentaires »

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