Archive pour avril, 2011

“LETTERA INCOMPIUTA” di fr. Roger Schutz. Chi vive di Dio sceglie di amare

 dal sito:

http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=2216

Teologo Borèl » Marzo 2006

“LETTERA INCOMPIUTA” di fr. Roger Schutz. Chi vive di Dio sceglie di amare

Alcune settimane prima di essere ucciso, fr. Roger Schutz, priore della comunità ecumenica di Taizé, aveva cominciato a preparare la lettera per il 2006. Anche se incompiuta, è un testo pieno di ispirazione, “dettato dallo Spirito”, da meditare, soprattutto in questo tempo di Quaresima, e su cui fare una revisione di vita.
Il pomeriggio prima della sua morte, il 16 agosto, frère Roger chiamò uno dei fratelli e gli disse: «Prendi nota di queste mie parole!». Ci fu un lungo silenzio mentre cercava di formulare il suo pensiero. Poi cominciò: «Nella misura in cui la nostra comunità crea nella famiglia umana delle possibilità per allargare…». E si fermò, la fatica gli impediva di terminare la sua frase.
In queste parole ritroviamo la passione che lo abitava, anche nella vecchiaia. Cosa intendeva per “allargare”? Probabilmente voleva dire: fare tutto il possibile per rendere più percepibile a ognuno l’amore che Dio ha per ogni essere umano e per ogni popolo, senza eccezione. Augurava alla nostra piccola comunità di mettere sempre in luce questo mistero, attraverso la propria vita, nell’umile impegno con gli altri. Allora, noi fratelli vorremmo raccogliere questa sfida, insieme a tutti coloro che su tutta la terra cercano la pace.
Nelle settimane precedenti la sua morte, frère Roger aveva iniziato a riflettere sulla lettera da pubblicare durante l’incontro di Milano. Aveva indicato dei temi e alcuni dei suoi testi con l’intento di poterli riprendere e rielaborare. Noi li abbiamo riuniti, come erano allora, per costruire questa “Lettera incompiuta”, tradotta in 57 lingue. Essa è come un’ultima parola di frère Roger, che ci aiuterà ad avanzare sulla strada dove Dio “allarga la via ai nostri passi” (Sal 18, 37).
Meditando questa lettera incompiuta negli incontri che ci saranno durante il 2006 a Taizé, settimana dopo settimana, ma anche altrove, nei diversi continenti, ciascuno potrà cercare come completarla attraverso la propria vita.

frère Alois
 
Lettera di fr. Roger
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace»:1 qual è questa pace che Dio dona?
Prima di tutto è una pace interiore, una pace del cuore. È quella che permette di volgere uno sguardo di speranza sul mondo, anche se spesso è lacerato da violenze e conflitti.
Questa pace di Dio è anche un sostegno affinché riusciamo a contribuire, con grande umiltà, a costruire la pace laddove è minacciata.
Una pace mondiale è così urgente per alleviare le sofferenze, soprattutto perché i bambini di oggi e di domani non conoscano l’angoscia e l’insicurezza.
Nel suo Vangelo, in una folgorante intuizione, san Giovanni definisce chi è Dio in tre parole: «Dio è amore».2 Se solo cogliessimo queste tre parole, andremmo lontano, molto lontano.
Che cosa ci attrae in queste parole? In esse troviamo questa luminosa certezza: Dio non ha mandato Cristo sulla terra per condannare, ma perché ogni essere umano sappia di essere amato e possa trovare un cammino di comunione con Dio.
Perché allora alcuni sono colti dallo stupore di un amore e si sentono amati o anche ricolmi? Perché altri hanno invece l’impressione di essere poco considerati?
Se ognuno potesse comprendere: Dio ci accompagna fino alle nostre insondabili solitudini. A ciascuno dice: «Sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo».3 Sì, Dio non può che donare il suo amore, in questo è tutto il Vangelo.
Quello che Dio ci chiede e ci offre è semplicemente di ricevere la sua misericordia infinita.
Che Dio ci ami è una realtà talvolta poco accessibile. Ma quando scopriamo che il suo amore è soprattutto perdono, il nostro cuore si rasserena e anche si trasforma.
Ed eccoci capaci di abbandonare in Dio ciò che prende d’assalto il nostro cuore: qui è la sorgente dove ritrovare la freschezza dello slancio.
Riusciamo a comprenderlo bene? Dio si fida così tanto di noi che per ciascuno ha un invito. Qual è questo invito? Ci chiama ad amare come lui stesso ci ama. E non c’è un amore più profondo che arrivare fino al dono di sé, per Dio e per gli altri.
Chi vive di Dio sceglie di amare. E un cuore deciso ad amare può irradiare una bontà senza limite.4
Per chi cerca di amare nella fiducia, la vita si riempie di una bellezza serena.
Chi sceglie di amare e di dirlo attraverso la propria vita, è condotto a interrogarsi su una delle più importanti domande che ci sono: come alleggerire le pene e i tormenti di coloro che sono vicini o lontani?
Ma cosa vuol dire amare? Sarà forse condividere le sofferenze dei più maltrattati? Sì, proprio questo. Sarà forse avere un’infinita bontà di cuore e dimenticare se stessi per gli altri, in modo disinteressato? Sì, certamente. E ancora: cosa vuol dire amare? Amare è perdonare, vivere da riconciliati.5 E riconciliarsi è sempre una primavera dell’anima.
Nel piccolo villaggio di montagna dove sono nato, vicino alla nostra casa, viveva una famiglia numerosa, molto povera. La madre era morta. Uno dei bambini, un po’ più piccolo di me, veniva spesso da noi e amava mia madre come se fosse la sua. Un giorno fu informato che avrebbero lasciato il villaggio e, per lui, partire non era concepibile. Come consolare un bimbo di cinque o sei anni? Era come se non avesse il distacco necessario per capire una tale separazione.
Poco prima della sua morte, Cristo assicura i discepoli che riceveranno una consolazione: egli manderà lo Spirito Santo che sarà per loro un sostegno e un consolatore, e resterà con loro per sempre.6
Nel cuore di ciascuno, ancora oggi egli mormora: « Non ti lascerò mai solo, ti invierò lo Spirito Santo. Anche se sei nella disperazione più profonda, io resto vicino a te».
Accogliere la consolazione dello Spirito Santo è cercare, nel silenzio e nella pace, di abbandonarci in lui. Allora, anche se accadono dei fatti gravi, diventa possibile superarli. Siamo così fragili da aver bisogno di consolazione?
A ognuno capita di essere scosso da una prova personale o dalla sofferenza degli altri. Ciò può arrivare fino a far tremare la fede e spegnere la speranza. Ritrovare la fiducia della fede e la pace del cuore significa talvolta essere pazienti con se stessi.
C’è una pena che segna in modo particolare: la morte di una persona cara che forse ci era d’aiuto nel nostro cammino terreno. Ma ecco che una tale prova può essere trasfigurata, allora diventa apertura a una comunione.
A chi si trova all’estremo della sofferenza, può essere restituita una gioia del Vangelo. Dio viene a rischiarare il mistero del dolore umano al punto che ci accoglie in un’intimità con lui.
Eccoci allora collocati su un cammino di speranza. Dio non ci lascia soli. Ci permette di avanzare verso una comunione, questa comunione d’amore che è la Chiesa, allo stesso tempo così misteriosa e così indispensabile…
Il Cristo di comunione7 ci fa questo immenso dono della consolazione.
Nella misura in cui la Chiesa diventa capace di portare la guarigione del cuore comunicando il perdono, essa rende più accessibile una pienezza di comunione con Cristo.
Quando la Chiesa è attenta ad amare e a comprendere il mistero di ogni essere umano, quando incessantemente ascolta, consola e guarisce, diventa ciò che è di più luminoso in se stessa: il limpido riflesso di una comunione.
Cercare riconciliazione e pace implica una lotta all’interno di sé. Non è un cammino facile. Nulla di duraturo si costruisce facilmente. Lo spirito di comunione non è qualcosa d’ingenuo, è allargare il proprio cuore, è profonda benevolenza, esso non ascolta i sospetti.
Per essere portatori di comunione, avanzeremo, ciascuno nella propria vita, sulla strada della fiducia e di una bontà del cuore sempre rinnovata?
Su questo cammino ci saranno talvolta degli insuccessi. Allora ricordiamoci che la sorgente della pace e della comunione è in Dio. Lungi dallo scoraggiarci, invocheremo il suo Spirito Santo sulle nostre fragilità.
E, in tutta la nostra vita, lo Spirito Santo ci permetterà di riprendere il cammino e di andare, da un inizio a un nuovo inizio, verso un avvenire di pace.8
Nella misura in cui la nostra comunità crea nella famiglia umana delle possibilità per allargare…
____________________________________
1 Gv 14,27.
2 1Gv 4,8.
3 Is 43,4.
4 Durante l’apertura del concilio dei giovani nel 1974, frère Roger diceva: «Senza amore a che serve esistere? Perché vivere ancora? Con quali obiettivi? Questo è il senso della nostra vita: essere amati per sempre, fino all’eternità, affinché, a nostra volta, anche noi arriviamo a morire d’amore. Sì, felice chi muore d’amore». Morire d’amore, questo voleva dire per lui amare fino alla fine.
5 «Vivere da riconciliati»: nel suo libro, Avverti una felicità?, pubblicato quindici giorni prima della sua morte, frère Roger ha spiegato ancora una volta ciò che queste parole significano per lui: « Posso qui ripetere che mia nonna materna ha scoperto intuitivamente una chiave della vocazione ecumenica e che mi ha aperto una possibilità per concretizzarla? Dopo la prima guerra mondiale, in lei abitava il desiderio che nessuno dovesse vivere ciò che ella aveva vissuto: dei cristiani si erano combattuti armati in Europa, che almeno loro si riconciliassero, pensava lei, per tentare di impedire una nuova guerra. Lei proveniva da un antico ceppo evangelico ma, compiendo in se stessa una riconciliazione, iniziò ad andare alla chiesa cattolica, senza tuttavia manifestare alcuna rottura con i suoi. Colpito dalla testimonianza della sua vita e ancora in giovane età, ho trovato al suo seguito la mia vera identità di cristiano, riconciliando in me stesso la fede delle mie origini con il mistero della fede cattolica, senza rompere la comunione con nessuno».
6 Gv 14,18 e 16,7.
7 Il «Cristo di comunione»: frère Roger ha già utilizzato questa espressione quando ha accolto il papa Giovanni Paolo II a Taizé il 5 ottobre 1986: «Con i miei fratelli, la nostra attesa di ogni giorno è che ogni giovane scopra Cristo; non il Cristo preso isolatamente ma il “Cristo di comunione”, presente in pienezza in questo mistero di comunione che è il suo corpo, la Chiesa. In ciò, molti giovani possono trovare dove impegnare la loro intera vita, fino alla fine. In ciò hanno tutto per diventare creatori di fiducia, di riconciliazione, non solo fra di loro, ma con tutte le generazioni, dai più anziani fino ai bambini. Nella nostra comunità di Taizé, seguire il “Cristo di comunione” è come un fuoco che ci consuma. Andremo fino all’estremità del mondo per cercare delle strade, per chiedere, chiamare, supplicare se sarà necessario, ma mai al di fuori, sempre tenendoci all’interno di questa unica comunione che è la Chiesa».
8 Questi quattro ultimi paragrafi riportano le parole che frère Roger ha detto alla fine dell’incontro europeo a Lisbona, nel dicembre 2004. Sono le ultime parole che ha pronunciato in pubblico.
(Teologo Borèl) Marzo 2006 – autore: frère Roger Schutz

Publié dans:Frère Roger - Taizé |on 6 avril, 2011 |Pas de commentaires »

buona colazione

buona colazione dans immagini buon...notte, giorno

http://oltreilcancello.wordpress.com/page/3/

Omelia per il 5 aprile 2011: La vera guarigione

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/14954.html

Omelia (24-03-2009)

Monaci Benedettini Silvestrini

La vera guarigione

Capita ai fedeli di ogni religione di riporre la loro speranza in segni e luoghi particolari, ove si ritiene che la presenza della divinità sia particolarmente segnata ed efficace. Al tempo di Gesù si radunavano intorno ad una piscina numerosi malati di ogni genere; questi quando l’acqua si agitava s’immergevano convinti che il primo di loro che scendeva veniva guarito dal suo male. Una sfida contro il tempo, una sfida tra poveri ed infermi. Uno di questi, malato da trentotto anni, isolato e senza speranza, che vedeva da sempre vanificato ogni tentativo di calarsi nella piscina, sempre battuto da qualcuno più sollecito, attira l’attenzione di Gesù. Su di lui egli vuole operare un “segno” che indichi a tutti la nuova acqua in cui tutti si possono immergere e tutti possono trovare la salvezza. Egli ne aveva parlato privatamente durante una della visite notturne che Nicodemo faceva al Signore. Rinascere nell’acqua e nello spirito è la novità del Cristo, è il sacramento del Battesimo e il nostro “passaggio”, la nostra pasqua. Anche una donna peccatrice aveva ascoltato e sperimentato il discorso di Gesù sulla nuova acqua, che purifica e rinnova. La salvezza ormai non è più solo un annuncio ed una promessa, ma è la realtà del Cristo che tutto rinnova, che si presenta all’umanità come l’unico salvatore del mondo. Ci sorprende ancore e ci irrita la grettezza mentale e la miopia spirituale dei Giudei, legati ancora ad un passato ormai deformato e logoro. Si appigliano ancora alla legge antica e alle minuziose prescrizioni della legge e mentre si scandalizzano che il malato guarito, obbedendo a Gesù, prenda sulle spalle il suo lettuccio in giorno di Sabato, non sono capaci di riflettere che proprio loro impongono sulle spalle della gente pesanti fardelli che loro non osano toccare neanche con un dito. Cristo ci ha liberati da tutti i pesi delle nostre infermità, ci ha liberati anche dal pesante fardello delle legge perché ci ha dato il comandamento nuovo dell’amore.

PESACH

PESACH dans immagini sacre haggada_346

http://giornaledibordo.leonardo.it/blog/cultura/pag1/cultura.html

Publié dans:immagini sacre |on 4 avril, 2011 |Pas de commentaires »

CENERE E FIAMMA (per la quaresima)

dal sito:

http://www.sacramentini.it/cenacolo_02_art.html

(IL CENACOLO)

n°2 Febbraio 2005 – ARTICOLI 
 
Ai lettori

CENERE E FIAMMA

Eccoci, una volta ancora sulle rive della quaresima dove il fuoco ha consumato le braci e la cenere, oscura come i giorni d’inverno, è venuta a segnare le nostre fronti.
La strade di città sono grigie e fredde come un tizzone spento. L’usura dei nostri passi continua a segnare con orme inconsistenti le ore senza aurora… L’inverno, senza avvertire, si è attardato. Un vento ghiacciato si insinua nelle nostre anime per meglio intorpidirle.
E la Chiesa che vuole riscaldarci non ha trovato di meglio che un pizzico di cenere sopra la nostra fronte! Noi che, nei pochi istanti di fragile speranza che ci sono concessi ci consideriamo figli e figlie di Re, eccoci improvvisamente ridiventati un soffio di polvere. Chi è, dunque, questo Dio che ci trascina verso l’alto e che, con lo stesso gesto, ci ricorda la nostra fragilità?
La cenere d’inizio quaresima è come il sangue sugli architravi dell’Esodo, come le briciole sparse d’un pane senza sale e senza lievito, come un’erba amara, un ramoscello disseccato dal sole che già annunciano il nostro cammino nel deserto.
È lì, nel deserto, che come in un lago si rispecchia la nostra immagine. È lì che nell’orizzonte abbracciato dal nostro sguardo, tutte le nostre cecità vengono svelate. Cenere: scottatura di un fuoco spento, ferita viva sulla fronte di un viso non ancora trasfigurato, segno impalpabile dell’eterna Presenza, scintilla di tutti i nostri incendi.
Quaresima? Improvvisa scoperta che la casa è vuota, o così poco abitata. Dio in noi, ma noi talmente lontani da noi! Quaresima? La nostra fede che vacilla come un mucchio di cenere, come una croce consumata, come un albero secco. Quaresima? Un istante di verità dove, in noi, il desiderio misura subito le sue fatiche. E noi, carichi delle nostre povere incredulità, ci mettiamo in cammino verso quel Dio che ci attende nel deserto, per rifare alleanza, per parlare al cuore che ha dimenticato la sua giovinezza.
Quaresima? Quaranta gioni di fuoco per ammettere che il mio «io» è fragile e che ha bisogno di un «Altro»; per ritrovare albe di preghiera che, sole, ci potranno rimettere in moto. Quaranta giorni per avere fame e sete dell’indicibile forza che, nel mattino di Pasqua, verrà a fendere le acque oscure della morte.
L’apostolo che cadde da cavallo sulla via di Damasco e perdette per un poco la vista, si fece, più tardi profeta: «La potenza di Dio si manifesta nella debolezza»… Contro ogni logica, la brace e il fuoco possono nascere dalla cenere.
Andiamo risolutamente, gioiosamente, verso le aridità feconde di una Quaresima interiore con questa certezza: nonostante le nostre lontananze, Dio verrà a cercarci e ci trasformerà in fiamma d’amore. 

A Pasqua… Cordialmente!

p.v.

Publié dans:quaresima |on 4 avril, 2011 |Pas de commentaires »

ARTE SACRA E SPIRITUALITÀ

dal sito:

http://www.zenit.org/article-26195?l=italian

ARTE SACRA E SPIRITUALITÀ

di Rodolfo Papa*

CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 4 aprile 2011 (ZENIT.org).- L’arte sacra è, per chi la effettua e per chi la sa fruire, un luogo di esperienza spirituale. Se riflettiamo su molte tradizioni, quali la figura di san Luca come ritrattista di Maria, la figura di Nicodemo quale primo scultore cristiano, autore del ligneo Crocifisso miracoloso di Beirut, dal quale si originò la tipologia dei crocifissi detti del “Volto Santo”, come quello di Lucca, l’immagine del volto di Cristo impressa sul lenzuolo detto della Veronica, e poi ancora il Mandylion, si tratta in tutti questi casi di esperienze di incontro. L’arte sacra vuole trovare la propria fondazione nella visione del Volto Amato, in una personale esperienza vissuta.
L’arte sacra, l’arte al servizio della Chiesa, compie, infatti, una sublime mediazione tra l’invisibile e il visibile, tra il divino messaggio e il linguaggio artistico. La spiritualità cristiana non può mai prescindere dalla concretezza della visione del volto di Cristo: il vedere e il rappresentare sono, dunque, strumenti di «crescita spirituale».
La spiritualità cristiana, soprattutto nel XV secolo e in particolare in area domenicana, si nutre della pratica delle rappresentazioni interiori, ossia della sovrapposizione dei luoghi della propria vita con i luoghi della vita di Cristo, come è esemplificato nel convento domenicano di San Marco, a Firenze, dove ogni cella possiede un’immagine affrescata per la meditazione personale dei frati, e come è attestato da una vastissima letteratura devozionale. Qualche esempio, di varia provenienza geografica e spirituale: il Catholicon (1286) di Giovanni da Genova, il Zardino de Oration scritto nel 1454 stampato a Venezia nel 1494, i sermoni di fra Michele da Carcano (1427-1484), le sacre rappresentazioni di Castellano Castellani (1461-1519), gli scritti di San Bernardino da Siena (1380-1444), fino, ovviamente, agli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola (1491-1556).
Un significativo dipinto di Memling, conservato nella Galleria Sabauda a Torino, offre il tema della Passione rappresentato scena per scena in un’unica tela. I committenti inginocchiati ai lati di una Gerusalemme “ficta”, contemplano i sacri misteri, come di fronte a un “tableau vivant” nel quale essi stessi, testimoni, sono inseriti. Si tratta di una importante testimonianza di come l’arte sia immagine e sostegno di una esperienza contemplativa.
Per l’importanza dell’immagine, con acume mistico il cardinale Gabriele Paleotti temeva la tentazione diabolica, e nel 1582 nel Discorso intorno alle immagini sacre e profane, scrive: «Ma la malizia del demonio, nemico di ogni virtù, è così perversa e inveterata che, dal momento che non riesce ad eliminare l’uso lodevole e santo delle immagini, fa in modo che si operino abusi su di esse e se ne vanifichi quindi il valore. […]Una città si perde più per un trattato che con un assedio, e per questo il demonio, abbandonato l’assedio con cui voleva eliminare le immagini, sta preparando un trattato: farcele corrompere e riempire di abusi». Numerosi mistici ricevono in visione anche l’incarico di dare immagine a quanto hanno visto, pensiamo all’iconografia del Sacro Cuore o a quella di Gesù Divina Misericordia, debitori di rivelazioni che cercano in modo inesauribile di diventare immagini artistiche.
Vorrei soffermarmi un po’ sulla straordinaria esperienza mistica di santa Margherita Maria Alacoque, vissuta tra il 1647 e il 1690 in Francia, appartenente all’ordine della Visitazione, fondato da san Francesco di Sales. Nella storia della sua vita, scritta per obbedienza al beato Claudio La Colombiére, suo padre spirituale per un certo periodo di tempo, troviamo tantissimi elementi per una riflessione sulla spiritualità della pittura.
Innanzitutto, la santa narra un semplice episodio in cui è un ritratto di san Francesco di Sales a renderle presente il santo stesso: «Una volta, guardando un quadro del santissimo Francesco di Sales, mi parve che mi volgesse uno sguardo paternamente amoroso, chiamandomi figlia, e così cominciai a considerarlo mio padre» (n. 27).
Inoltre, riferisce una straordinaria analogia tra l’anima e la tela del pittore: «Quando pregai la maestra delle novizie di insegnarmi l’orazione […] mi disse per la prima volta: ‘Va’ a metterti di fronte al Signore come una tela in attesa del pittore’. Avrei voluto che mi spiegasse cosa intendeva dire, perché non capivo, anche se non osavo dirglielo, ma mi fu detto: ‘Vieni, te lo insegnerò io’. E non appena fui in preghiera, il mio sovrano Maestro mi mostrò che la mia anima era una tela in attesa, sulla quale Lui voleva dipingere tutti i tratti della sua vita dolorosa, spesa interamente nell’amore e nella privazione, nella separazione, nel silenzio e nel sacrificio, nella sua consumazione. Vi avrebbe dipinto tutto questo, dopo averla pulita di tutte le macchie che vi restavano, sia dell’attrazione per le cose terrene sia dell’amore per me stessa e per gli uomini, cui il mio carattere tendeva ancora molto» (n. 36).
Il Signore la ammaestra poi mostrandole dei quadri; per esempio le fa vedere il quadro delle sue miserie (n. 62); oppure le chiede di scegliere tra «il quadro della vita più felice che si possa immaginare per un anima religiosa, tutta immersa nella pace, nelle consolazioni interiori ed esteriori, di una perfetta santità, unita al plauso e alla stima degli uomini e con altre cose grate alla natura» e «un altro quadro di una vita completamente povera e abietta, sempre crocifissa da ogni sorta di umiliazioni, disprezzo e contrasti, sempre sofferente nel corpo e nello spirito» (n. 66) ed infine «presentandomi il quadro della crocifissione, disse: ‘Ecco quello che ho scelto per te e quello che più mi è gradito, sia per il compimento dei miei disegni, sia per renderti conforme a me. L’altra è una vita di godimento e non di merito; è la vita eterna’. Accettai dunque questo quadro di morte e crocifissione, baciando la mano di colui che me lo presentava. Sebbene la mia natura fremesse, lo abbracciai con tutto l’affetto di cui il mio cuore era capace, stringendomelo al petto, e lo sentii così fortemente impresso in me, che mi pareva di essere un composto di tutto quanto vi avevo visto raffigurato» (n. 66).
La santa è depositaria di una straordinaria esperienza relativa al Cuore di Gesù, fondata nel testo giovanneo del costato trafitto. Gesù le si mostra con il cuore infiammato (53), come un sole sfolgorante, come una fornace ardente (55) e la santa per far sbocciare la devozione al sacro Cuore occasiona la prima immagine di devozione al Sacro Cuore: «Non trovavo ancora alcun mezzo per far sbocciare la devozione al sacro Cuore, che per me era come l’aria che respiravo; ed ecco la prima occasione che la sua bontà mi forni. Santa Margherita cadeva di venerdì e io pregai le novizie, di cui mi occupavo in quel periodo, che tutti i piccoli omaggi che avevano in mente di farmi in occasione della mia festa, li facessero al sacro Cuore di Nostro Signore Gesù Cristo. Lo fecero assai volentieri, preparando un piccolo altare, sul quale posero una piccola immagine di carta disegnata a penna cui tributammo tutti gli omaggi che quel Cuore divino ci suggerì» (n. 94).
Infine, il grande santo del XX secolo, padre Pio disse: «Per la scienza si parte dalla terra, per la fede bisogna partire dal cielo e per l’arte bisogna volare fra terra e cielo» (mese mariano 1976). Con linguaggio semplice e profondissimo, padre Pio asserisce esattamente che l’arte si dà come medio tra ratio e Fides, ovvero come un volo fra cielo e terra. Questo volo può suscitare slanci verso il Paradiso, e solo per questo esiste.
————
* Rodolfo Papa è storico dell’arte, docente di storia delle teorie estetiche presso la Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Urbaniana, Roma; presidente della Accademia Urbana delle Arti. Pittore, membro ordinario della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Autore di cicli pittorici di arte sacra in diverse basiliche e cattedrali. Si interessa di questioni iconologiche relative all’arte rinascimentale e barocca, su cui ha scritto monografie e saggi; specialista di Leonardo e Caravaggio, collabora con numerose riviste; tiene dal 2000 una rubrica settimanale di storia dell’arte cristiana alla Radio Vaticana.
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Publié dans:arte sacra, spiritualità  |on 4 avril, 2011 |Pas de commentaires »

Guerissant les aveugles

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http://www.artbible.net/Jesuschrist_fr.html

Publié dans:immagini sacre |on 2 avril, 2011 |Pas de commentaires »

preghiera per la quaresima – Giovanni Paolo II

dal sito:

http://www.parrocchia-cambiano.it/riflessioni_preghiere_12.php

preghiera per la quaresima

(Giovanni Paolo II)

Noi ti adoriamo, Cristo Gesù.
Ci mettiamo in ginocchio
e non troviamo parole sufficienti
per esprimere quel che proviamo
davanti alla tua morte in croce.
Noi desideriamo, o Cristo,
gridare oggi verso la tua misericordia
più grande di ogni forza e potenza
alla quale possa appoggiarsi l’uomo.
La potenza del tuo amore
si dimostri ancora una volta più grande
del male che ci minaccia.
Si dimostri più grande dei molteplici peccati
che si arrogano in forma sempre più assoluta
la cittadinanza nella vita degli uomini.

Omelia, IV Domenica di Quaresima, 3 aprile 2011: Vedere la vita con gli occhi di Dio

 dal sito:

http://www.zenit.org/article-26161?l=italian

QUARESIMA: VEDERE LA VITA CON GLI OCCHI DI DIO

IV Domenica di Quaresima, 3 aprile 2011

di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 1° aprile 2011 (ZENIT.org).- Il Signore disse a Samuele:“Fino a quando piangerai su Saul, mentre io l’ho ripudiato perché non regni su Israele? Riempi d’olio il tuo corno e parti. Ti mando da Iesse, il Betlemmita, perché mi sono scelto tra i suoi figli un re”.(…) Quando furono entrati, egli vide Eliab e disse: “Certo, davanti al Signore sta il suo consacrato!”. Il Signore replicò a Samuele: “Non guardare al suo aspetto, né alla sua alta statura. Io l’ho scartato perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore”. Iesse fece passare davanti a Samuele i suoi sette figli e Samuele ripeté a Iesse: “Il Signore non ha scelto nessuno di questi”. Samuele chiese a Iesse: “Sono qui tutti i giovani?”. Rispose Iesse: “Rimane ancora il più piccolo che ora sta a pascolare il gregge”. Samuele disse a Iesse: “Manda a prenderlo, perché non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui”. Lo mandò a chiamare e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e bello di aspetto. Disse il Signore: “Alzati e ungilo: è lui!” Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi. Samuele si alzò e andò a Rama (1 Sam 16,1.4.6-7.10-13).
Passando vide un uomo cieco dalla nascita..e gli disse: “Va’ a lavarti nella piscina di Siloe. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. (…) Gli disse Gesù: “Tu, credi nel Figlio dell’uomo?”. Egli rispose: “E chi è, Signore, perché io creda in lui?”. Gli disse Gesù: “Lo hai visto: è colui che parla con te”. Ed egli disse: “Credo, Signore!”. E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: “E’ per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano, e quelli che vedono diventino ciechi” (Gv 9,1-41).
Nella prima Lettura di questa IV Domenica di Quaresima è singolare che, dopo l’affermazione divina: “Io l’ho scartato perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore”, la Scrittura si fermi a descrivere proprio l’apparenza di Davide: “..il più piccolo.. fulvo, con begli occhi e bello di aspetto” (1Sam 16,11.12).
Come interpretare questa apparente incongruenza? Ecco un’autorevole risposta: “La descrizione sottolinea che (Davide) non è adatto ad essere re. Saul fu eletto perché “superava dalle spalle in su” tutti gli uomini di Israele (cf 1Sam 9,2). Il re, allora, era soprattutto il capo guerriero. Davide, quindi, fulvo e di gentile aspetto, non può diventare un uomo d’armi e andare in guerra; non può essere messo a capo del popolo, non ha lo sguardo di fuoco, non è un dominatore. E’ un buon amico, un semplice, ma è amato dal Signore. La prima componente della vocazione è la pura benevolenza di Dio” (C. M. Martini, Davide, peccatore e credente, p. 21).
Dunque colui che non era adatto ad essere re (secondo i canoni umani soddisfatti dalle figure imponenti di Saul e di Eliab), Dio lo consacra e lo fa divenire non solo il più grande re d’Israele, ma profezia viva di Cristo, il Re dei re. Certo è stata la pura e gratuita benevolenza di Dio a scegliere Davide, tuttavia tale preferenza sembra essere stata favorita dalla bellezza del suo “aspetto”, una bellezza che si chiama umiltà: “Con Saul, si pensava ancora che la regalità equivalesse a vincere sempre, ad avere sempre ragione, a non umiliarsi mai, ad avere un destino già fissato nella gloria. Con Davide, si comprende che la regalità può andare insieme all’umiltà, e questa coscienza la ritroveremo nei profeti, particolarmente in Sofonia e Zaccaria: “Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile cavalca un asino, un puledro figlio d’asina” (Zc 9,9).” (C. M. Martini, idem, pp. 163-164).
Il canto del Magnificat esprime mirabilmente il giubilo dell’umile Maria, la “figlia di Sion”: in Lei e per Lei si compiono le profezie sulla venuta del re-Messia: certo, passeranno trentatre anni prima che il Signore entri in Gerusalemme sopra un asino tra palme festanti (Mc 11,2), ma la sua venuta nell’umiltà della carne è un evento già in atto sin dal concepimento verginale di Gesù nel suo grembo (Gv 1,14 ed Eb 10,7: “Allora ho detto: “Ecco, io vengo…per fare, o Dio, la tua volontà”).
Che Dio non scelga in base all’apparenza (“gli occhi”, per la Bibbia), ma in base alla verità interiore della persona (“il cuore”), lo riconosciamo facilmente in tutti quei piccoli, deboli ed emarginati di cui Egli si è servito e si serve da sempre per “spiegare la potenza del suo braccio, disperdere i superbi nei pensieri del loro cuore, rovesciare i potenti dai troni” (Lc 1,51-52a).
Perciò il credente è grandemente confortato dalla storia della salvezza, la quale dimostra puntualmente che le sorti del Regno, grazie a Dio, dipendono più dalla debolezza che dalla forza degli strumenti da Lui scelti, come sarà il caso del piccolo Davide di fronte a Golia.
La maggioranza degli uomini potrebbe tuttavia pensare che il criterio divino della scelta del più piccolo non li riguarda, dato il fatto che pochi sono i chiamati ad una vocazione particolare come quella di Davide o di altre figure storiche (pensiamo alla vita e all’opera di Madre Teresa), mentre la maggior parte della gente conduce un’esistenza ordinaria, non di rado succube delle ingiustizie di quei superbi e potenti che troppo spesso rimangono saldi al loro posto.
Eppure l’affermazione della “pura benevolenza di Dio” quale “prima componente” della vocazione, è valida e vera per ogni uomo, dal momento che il dono stesso della vita, segno e prova dell’amore del Creatore, non solo è il presupposto di ogni vocazione, ma ha inscritto nel suo DNA spirituale uno speciale progetto di eterna felicità. Infatti: “L’amore di Dio non fa differenza fra il neoconcepito ancora nel grembo di sua madre, e il bambino, o il giovane, o l’uomo maturo o l’anziano. Non fa differenza perché in ognuno di essi vede l’impronta della propria immagine e somiglianza…Per questo il Magistero della Chiesa ha costantemente proclamato il carattere sacro e inviolabile di ogni vita umana, dal suo concepimento sino alla sua fine naturale” (Istruzione Dignitas personae, n. 16).
Queste stupende parole oggi vengono confermate da Dio stesso: “..infatti l’uomo guarda l’apparenza, ma il Signore guarda il cuore”. Tra il concepito di un giorno e il morente di cent’anni non c’è differenza agli occhi di Dio: entrambi sono e saranno in eterno persone che Egli ha creato ad immagine del suo Figlio diletto (Gen 1,27).
Quando, non senza grande fatica, si assume il punto di vista di Dio anche riguardo ai fatti più drammatici (nella mia parrocchia, una giovane di 19 anni da tre settimane si ritrova di colpo nelle condizioni di Eluana), la luce della fede può brillare così intensamente da convincere ancor più che ogni essere umano “possiede una vocazione eterna ed è chiamato a condividere l’amore trinitario del Dio vivente..amore sconfinato e quasi incomprensibile per l’uomo, che rivela fino a che punto la persona umana sia degna di essere amata in se stessa, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione –intelligenza, bellezza, salute, giovinezza, integrità e così via” (Istruzione Dignitas personae, n. 8).
Questo sguardo sulla verità divina della vita umana, è la luce stessa della fede, necessaria ad ogni uomo per capire se stesso. Tutti gli uomini, infatti, sono “ciechi dalla nascita”, poiché l’intelligenza della sola ragione non consente, senza la fede, di riconoscere la piena verità della vita umana, rivelata dal Figlio di Dio venuto ad abitare in mezzo a noi: “Io sono venuto in questo mondo perché coloro che non vedono, vedano..” (Gv 9,39a).
Gesù conclude questa sua affermazione luminosa in maniera oscura aggiungendo: “..e quelli che vedono diventino ciechi” (9,39b). Significa che la condizione necessaria per riconoscere la verità integrale della vita, (non solo nei termini del suo valore assoluto, intangibile e mai negoziabile, ma anche a riguardo della condotta morale insegnata dal Magistero) è l’umiltà del cuore, rappresentata oggi nel piccolo Davide. Ogni bambino possiede per natura tale umiltà, ma, diventato adulto, la perde se non rinuncia all’atteggiamento orgoglioso dell’autosufficienza intellettuale. Accade, in tal caso, che l’io finisca per accecare se stesso, presumendo (sia pure in “buona fede”) di possedere un discernimento migliore di quello della Chiesa, Maestra della Verità. Se così non fosse, ad esempio, non si cederebbe alla tentazione della polemica pubblica contro le indicazioni del Magistero sulle questioni più rilevanti in tema di bioetica.

———
* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

QUARTA SETTIMANA DI QUARESIMA; SANT’AGOSTINO: CRISTO « LUCE DEL MONDO »

dal sito:

http://www.augustinus.it/varie/quaresima/settimana_4.htm

QUARTA SETTIMANA DI QUARESIMA:

SANT’AGOSTINO

CRISTO « LUCE DEL MONDO »
 
Gesù parlò loro: « Io sono la luce del mondo
chi segue me, non camminerà nelle tenebre,
ma avrà la luce della vita ». (Gv 8, 12)

PER DOMENICA 3 APRILE 2011

INTRODUZIONE
Riacquistare la vista per il cieco nato è il segno di un’ulteriore guarigione, la salvezza dell’uomo segnata da un progressivo itinerario di fede. L’incontro casuale con il profeta Gesù (Gv 9, 17) si tramuta nella conoscenza e nell’adorazione del Signore Gesù (Gv 9, 34-38). E’ questo il percorso di ogni battezzato, che libera il suo cuore da ogni incrostazione che offusca la sua natura di figlio di Dio. Giocando sul senso della parola Siloe, che significa Inviato, Agostino ricorderà che se Cristo non si fosse presentato come l’Inviato (missus) dal Padre, l’uomo non sarebbe stato disviato (di-missus) dal peccato, cioè perdonato.

DAI « DISCORSI »DI SANT’AGOSTINO, VESCOVO (Sermo 136/C, 1-3.5)

Vedere la luce di Dio
Le opere proprie di Cristo Signore, quelle che allora egli compì nei corpi, compie ora nei cuori. Sebbene non cessi affatto di operare anche in molti corpi, tuttavia nei cuori la sua azione è superiore. Se indubbiamente è gran cosa la vista della luce del cielo, quanto è più grande vedere la luce di Dio! A questo fine infatti sono risanati gli occhi del cuore, a questo vengono aperti, a questo sono purificati, affinché vedano la luce, che è Dio. Infatti Dio è luce, afferma la Scrittura, e in lui non ci sono tenebre (1Gv 1, 5); e il Signore nel Vangelo: Beati i puri di cuore perché vedranno Dio (Mt 5, 8). Perciò noi che restiamo ammirati che questo cieco ora vede, con tutte le nostre forze, di cui Dio stesso ci fa dono, perseveriamo nella preghiera affinché i nostri cuori siano risanati ed anche purificati. A che giova infatti essere stati resi mondi dai peccati nel fonte battesimale e subito dopo tornare a macchiarsi con perfidi costumi?
Il compiersi progressivo di quest’opera del Signore, per la quale il cieco ebbe la luce degli occhi, induce a intravedere qualcosa di grande e di essenziale. Evidentemente il Signore Gesù Cristo poteva – e chi è che può dire: Non poteva? – toccargli gli occhi senza l’impasto di saliva e di fango, e subito rendergli, o piuttosto, dargli la vista. Poteva farlo. Che dovrei dire: Se avesse toccato? Che cosa egli non poteva fare con la parola se lo avesse voluto? Mediante la parola che cosa è impossibile alla Parola, non ad una parola qualsiasi, ma a quella che in principio era il Verbo, e il Verbo era Dio. Questo Verbo in principio Dio presso Dio si fece carne per abitare in mezzo a noi (Gv 1, 1-2.14). […] Seguì perciò, nel curare questo cieco nato, nel quale era figurato il genere umano, nato cieco; seguì perciò anche il Signore un procedere graduale in quest’uomo da illuminare. Sputò in terra e fece del fango, poi con quello intriso di saliva spalmò gli occhi di lui.
Ma considera dove fu inviato a lavarsi il volto. Alla piscina di Siloe. Che significa « Siloe »? Opportunamente non lo tacque l’Evangelista: che significa « inviato » (Gv 9, 7). Chi è l’inviato se non colui del quale è detto: Ecco l’Agnello di Dio? In lui stesso viene lavato il volto e chi era stato spalmato vede, perché in Cristo Signore si realizzò ogni profezia. Chi non conosce Cristo procede impedito nella vista. Ma tale procedere graduale usato prima sugli occhi di quest’uomo, ebbe seguito anche nel cuore di lui. Ponete attenzione al modo di condurre l’interrogatorio da parte dei Giudei: Tu che dici di quest’uomo? Dico – rispose – che è un profeta (Gv 9, 17). Non aveva ancora lavato in Siloe gli occhi del cuore. Gli occhi in realtà erano già aperti, ma il cuore era ancora impedito. Quando aveva lavato il volto, rispose come poté, in quanto aveva il cuore impedito, non era ancora vedente. Dette ragione e di avere l’impasto – l’aveva cioè il suo cuore – e, invece, di aver avuto già aperti gli occhi del corpo.
Cerchiamo costui che ha già gli occhi aperti, tuttavia ha la vista del cuore ancora impedita. Pieni di sdegno i Giudei, vinti e per di più smascherati, furenti e accecati contro di lui che vedeva, lo cacciarono fuori. Nel momento in cui lo cacciarono fuori, allora entrò là, da dove i Giudei presenti nella casa di Dio non lo avrebbero potuto cacciare fuori. Quindi, cacciato fuori, trovò nel tempio il Signore che gli parlò – certamente era conosciuto da chi gli aveva reso la vista del corpo, restando coperto il cuore. Ora ha la vista del cuore, ora va a Siloe, perché ora riconosce l’Unigenito inviato -. Tu credi – dice – nel Figlio di Dio? E quello: Chi è, Signore, perché io creda in lui? Come impedito, non ancora vedente. E il Signore: Lo hai visto e colui che parla con te è proprio lui. L’ascolto di queste parole equivale a lavare il volto del cuore. Finalmente quello, lavato già il volto, con la vista del cuore disse: Credo, Signore, e gli si prostrò innanzi, e lo adorò (Gv 9, 34-38). 

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