Archive pour avril, 2011

Migranti italiani in Atlantico 1906

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IL PAPA SEGUE CON PREOCCUPAZIONE LE VICENDE DEI MIGRANTI

dal sito:

http://www.zenit.org/article-26246?l=italian
 
IL PAPA SEGUE CON PREOCCUPAZIONE LE VICENDE DEI MIGRANTI

Dopo il tragico naufragio di un barcone a sud di Lampedusa

ROMA, giovedì, 7 aprile 2011 (ZENIT.org).- Benedetto XVI si è detto profondamente addolorato per l’ennesima tragedia del mare consumatasi nel Mediterraneo con il naufragio avvenuto martedì notte in acque maltesi, a 40 miglia al largo delle coste di Lampedusa, di un barcone con a bordo numerosi migranti.
Dopo la morte, il 3 marzo, di 70 eritrei che cercavano di sfuggire alle persecuzioni e alle violenze del conflitto in Libia, nella sciagura di due giorni fa sono morte circa 20 persone, mentre altre 250 risultano disperse; 53 sono, invece, i migranti tratti in salvo e trasferiti con un ponte aereo a Brindisi.
In una dichiarazione rilasciata questo giovedì il Direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha detto: “La tragedia della morte in mare di un gran numero di migranti che dalle coste dell’Africa settentrionale cercano di raggiungere l’Europa ha colpito profondamente il Santo Padre, che segue con partecipazione e preoccupazione le vicende dei migranti in questo periodo drammatico”.
“Il Santo Padre e tutta la Chiesa – ha aggiunto – ricordano nella preghiera tutte le vittime di ogni nazionalità e condizione, anche donne e bambini, che perdono la vita nel terribile viaggio per sfuggire alle situazioni di povertà, o di ingiustizia o di violenza da cui sono afflitte, alla ricerca di protezione, accoglienza e condizioni di vita più umane”.
“Ricordiamo – ha poi sottolineato – che fra le vittime di queste tragedie nel Mediterraneo vi sono migranti eritrei cattolici che si trovavano in Libia e partecipavano anche alla vita della comunità cattolica”.
Il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha fatto sapere alla Camera che da gennaio ci sono stati 390 sbarchi e 25.800 arrivi, annunciando la concessione del permesso di soggiorno temporaneo a chi è giunto in Italia, che consentirà di circolare nei Paesi dell’area Schengen.
In un appello alla comunità internazionale lanciato attraverso la Radio Vaticana don Mussie Zerai, sacerdote eritreo presidente dell’Agenzia Abeshia per la Cooperazione allo Sviluppo, ha affermato: “se la comunità europea ci avesse ascoltato quando noi, insieme anche al vescovo di Tripoli, lanciavamo l’appello ad evacuare queste persone insieme ai cittadini europei che lasciavano la Libia, non saremmo qui a contare i morti e i dispersi”.
“Quello che noi ci sentiamo di fare ancora oggi – ha aggiunto – è lanciare un appello per un piano di evacuazione, aprendo un corridoio umanitario sia dalla Libia, in Tunisia o in Egitto del Sud. C’è il rischio che queste persone, se non troveranno un sostegno, un’accoglienza da qualche parte, si affideranno, per la disperazione, ai barconi e al mare”.
Intervistato dall’emittente pontificia mons. Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, ha detto che “purtroppo la scelta dei barconi via mare, in mano – spesso – a contrabbandieri e trafficanti senza scrupolo, è un’estrema alternativa dettata dall’impossibilità di utilizzare altri mezzi, dato che da tempo i Paesi europei hanno chiuso i confini, introducendo norme restrittive sugli ingressi di questi poveri disgraziati”.
Per questo il presule ha nuovamente fatto appello alla solidarietà e all’accoglienza: “L’Italia, lo scorso anno, occupava – tra i Paesi industrializzati – il 14.mo posto per l’accoglienza dei rifugiati; i Paesi Bassi, con un territorio più piccolo e una popolazione meno numerosa, hanno accolto il doppio dei rifugiati rispetto all’Italia; anche la Francia ha ospitato più rifugiati, con una percentuale del 13 per cento, mentre l’Italia ha una percentuale di rifugiati di soltanto il 2 per cento”.
“Gli eventi in Italia, certo, possono apparire drammatici, ma sono ancora in un certo contesto e non bisognerebbe esasperare quanto sta accadendo – ha detto –. L’Italia, in fondo, è una grande potenza economica, industriale, sociale: quindi potrebbe avere la possibilità, con certe regole precise, di non spaventarsi troppo di fronte ad un fenomeno che esiste e che disgraziatamente, forse, va aumentando”.
“Quello che veramente si desidererebbe – ha osservato – è che l’Europa – non solo l’Italia – prendesse un pochino più a cuore la situazione e studiasse come affrontare e come risolvere questo problema. Non lo si può risolvere solamente con delle leggi punitive: bisogna pure darsi un po’ di pene per vedere come noi, popoli industriali e ricchi, possiamo risolvere questo problema, che esiste! Si possono cacciare, ma rientreranno da un’altra parte”.
Mons. Vegliò ha poi invitato a “distinguere tra coloro che giungono dalla Libia e quanti giungono dalla Tunisia: quelli che provengono dalla Libia, attualmente zona di guerra, non dovrebbero essere respinti; quanti invece arrivano dalla Tunisia rientrano nei flussi di migrazione miste, migranti e rifugiati insieme”.
“Ciascuno di loro dovrebbe essere sottoposto ad uno screening per vagliare il diritto alla protezione, come giustamente si sta orientando a fare l’Italia”, così come è importante “l’adozione del permesso temporaneo, che offre solidarietà a chi ne beneficia, mentre incoraggia la cooperazione sia sul territorio italiano che a livello europeo”.
“L’Europa – ha proseguito poi – deve riflettere seriamente su ciò che significa rimanere nella regione dalla quale i rifugiati fuggono: generalmente si afferma che essi dovrebbero recarsi nei Paesi vicini, ma se questo fosse applicato alla Libia comporterebbe che i rifugiati di quel Paese vengano accolti in Europa”.
“Ciò significa – ha concluso – che l’Europa deve prendersi le sue responsabilità per assolvere i suoi doveri di protezione dei rifugiati e dimostrare cosa significhi solidarietà e condivisione. L’arrivo degli altri può dare fastidio, ma non è cristiano questo egoismo: dobbiamo aprirci anche agli altri, anche politicamente parlando perché tanto è un fenomeno che non si può fermare”.

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LA SALVEZZA NEL CRISTO (di sant’Ireneo di Lione)

dal sito:

http://www.tradizione.oodegr.com/tradizione_index/commentilit/salvezzaireneo.htm

LA SALVEZZA NEL CRISTO

di sant’Ireneo di Lione

La magnanimità di Dio è così grande, che ha permesso che l’uomo tutto esperimenti e che conosca la morte, per giungere infine alla resurrezione dai morti ed apprendere per sua esperienza da quale male è stato liberato. Per questo l’uomo sarà sempre grato al Signore, avendo da lui ottenuto il dono dell’incorruttibilità, e l’amerà di più, perché colui al quale più viene rimesso più ama. Saprà dunque che è un essere mortale e impotente, e comprenderà che Dio è invece tanto immortale e potente da donare al mortale l’immortalità e al temporale l’eternità; conoscerà così tutte le altre virtù di Dio rese in lui manifeste e, istruito da esse, avrà nei confronti di Dio pensieri in rapporto alla sua grandezza. Infatti, la gloria dell’uomo è Dio, mentre l’uomo è il ricettacolo dell’opera di Dio, di tutta la sua sapienza e di tutta la sua potenza. Come il medico fa i suoi esperimenti sui malati, così anche Dio si manifesta negli uomini. Per questo anche Paolo dice: “Dio ha racchiuso nell’incredulità tutto per aver misericordia di tutti” (Galati 4, 4-5), parlando così non degli “Eoni” spirituali ma dell’uomo che, dopo aver disobbedito a Dio ed aver perduto l’immortalità, ha poi ottenuto misericordia dal Figlio di Dio, ricevendone per suo mezzo l’adozione. L’uomo, inoltre, considerando senza superbia e iattanza la vera gloria delle creature e del Creatore – che è Dio il più potente di tutto e che dà a tutto l’esistenza –, e dimorando nel suo amore, nella sua sottomissione ed azione di grazia, riceverà da lui una gloria più grande, progredendo fino a diventare simile a Colui che è morto per lui. Questi infatti, si è fatto a somiglianza della carne del peccato per condannare il peccato e, dopo averlo condannato, espellerlo dalla carne; per richiamare l’uomo ad essere a lui simile, assegnandolo così come imitatore di Dio, innalzandolo fino al regno del Padre e concedendogli di vedere Dio e di cogliere il Padre – lui, il Verbo di Dio che ha abitato nell’uomo e si è fatto Figlio dell’uomo, per abituare l’uomo ad impossessarsi di Dio e abituare Dio ad abitare nell’uomo, secondo il beneplacito del Padre.

Questo è dunque il motivo per cui il segno della nostra salute, cioè l’Emmanuele nato dalla Vergine, è stato dato dal Signore stesso: era proprio il Signore che salvava coloro che non potevano salvarsi da se stessi. Così Paolo proclama questa impotenza dell’uomo: “Io so che il bene non abita nella mia carne” (Romani 7, 18), volendo dire che non da noi ma da Dio viene il bene della nostra salvezza. E dice ancora: “Misero uomo che sono! Chi mi libererà da questo corpo di morte?” (Romani 7, 24). Indica inoltre il Liberatore: “La Grazia di Gesù Cristo nostro Signore” (Romani 7, 25).

È quello che anche Isaia dice: “Rendetevi forti, mani illanguidite e ginocchia indebolite; prendete coraggio, cuori pusillanimi, rafforzatevi, non temete; ecco che il nostro Dio rende il giudizio e lo renderà; verrà lui stesso e ci salverà” (Isaia 35, 3-4). Queste parole testimoniano, dunque, che non da noi stessi, ma dall’aiuto di Dio possiamo essere salvati.

Inoltre, che colui che ci salva non sarà solo un uomo, né un essere senza carne – senza carne sono gli angeli –, l’ha predicato Isaia dicendo: “Non un vecchio né un angelo, ma il Signore stesso li salverà, perché li ama e li risparmia, egli stesso li libererà” (Isaia 63, 9). E che sarà un uomo visibile, anche se è il Verbo Salvatore, lo dice ancora Isaia: “Ecco, città di Sion, i tuoi occhi vedranno la nostra Salvezza” (Isaia 33, 20). E che non fosse solo un uomo chi moriva per noi, lo dice Isaia: “Il Signore, il Santo d’Israele, si è ricordato dei suoi morti che si erano addormentati nella terra del sepolcro; ed è disceso verso di loro per annunciare la buona novella della salvezza che viene da lui, per salvarli” (Ps. Geremia). La stessa cosa dice anche il profeta Amos: “Egli stesso si volgerà verso di noi e avrà pietà di noi; distruggerà le nostre iniquità e getterà nel profondo del mare i nostri peccati” (Michea 4, 19). E indicando di nuovo il luogo della sua venuta, dice: “Il Signore ha parlato da Sion e da Gerusalemme ha fatto sentire la sua voce” (Amos 1, 2). E che da quella regione che è sud dell’eredità di Giuda verrà il Figlio di Dio, che è Dio, e che da Betlem, dove è nato il Signore manderà la sua lode su tutta la terra, lo dice il profeta Abacuc: “Dio verrà da sud e il Santo dal monte Efrem; la sua potenza ha coperto il cielo e la terra è piena della sua lode; davanti al suo cospetto camminerà il Verbo e nelle pianure si avanzeranno i suoi piedi”. Con questo indica chiaramente che è Dio e che è in Betlem la sua venuta, dal monte Efrem, che è a sud dell’eredità; infine, che è un uomo: “Avanzeranno”, dice infatti, “i suoi piedi nelle pianure” e questo è il segno caratteristico dell’uomo (Abacuc 3, 3.5).

Traduzione di C. R. L., in “Messaggero Ortodosso”, Roma 1985-86, nn. 12-13, 1-3.

buona notte

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Foeniculum vulgare

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Omelia (08-04-2011): Costruire il Regno

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/22003.html

Omelia (08-04-2011)

don Luciano Sanvito

Costruire il Regno

Gesù passa nella storia, senza essere preso nella storia.
Passa tra la gente, senza essere preso dalla gente.
Entra nelle vicende, senza essere preso dalle vicende.

La libertà di Gesù è la capacità di essere dappertutto senza essere vincolato da nessuna situazione, da nessuna persona, da nessuno dei condizionamenti.
L’insegnamento è per noi, per essere liberi in tutto e sempre da tutto e da tutti.

Sopra tutto e sopra ogni cosa, il disegno di Dio, il suo Regno.
Gesù chiede anche a noi di seguirlo in questa strada della libertà.
E senza nemmeno attaccarci a Lui, come invece spesso ci viene di fare.
Occorre lasciarsi guidare da questo suo esserci e non esserci con noi, tra noi.
Perchà possiamo crescere nell’essere liberi per il Regno dell’uomo e di Dio in noi.

Nessun condizionamento di deve appiccicare a noi, nemmeno quello del Regno.
E infatto, il Regno procede nella storia, attraverso Gesù, come quella « ora » che ora si vede, ora ci sfugge e rimane nel mistero della sua attuazione, lasciandoci soli a cercare, a vivere, a bramare quella libertà che deve passare attraverso la nostra persona, nella sincerità del cuore, dell’anima e della mente.

Gesù che passa e non rimane nella storia, che ci passa accanto e ci sfugge via, non fa altro che insegnarci la strada della vera libertà quella di lasciarci insegnare da ogni segno, senza essere legati a nessuno di essi.

Svincolare tra la gente e tra le strade del mondo, non è allora fuggire via, ma passare e ripassare nel mondo, per vivere la libertà di noi stessi, per essere noi stessi, in questo atteggiamento, segni di libertà che in nome del Regno si attua come presenza e mistero, come già e non ancora, come attesa e adempimento continui, in vista del raggiungimento della piena ed eterna libertà.
ENTRARE E USCIRE DA OGNI STORIA E’ LA COSTRUZIONE DELLA STESSA

Holy Mary

Holy Mary dans immagini sacre
http://fratres.wordpress.com/2011/01/01/solemnity-of-the-blessed-virgin-mary-the-mother-of-god-1-1-11/

Publié dans:immagini sacre |on 7 avril, 2011 |Pas de commentaires »

Il Miserere (Salmo 50)

dal sito:

http://www.arciconfraternitadisantamonica.com/multimedia/le-musiche/il-miserere

Il Miserere
 
Il lento incedere delle Processioni del Venerdì Santo viene accompagnato da una preghiera penitenziale antichissima, il Miserere, cantato in latino, inno al Dio misericordioso elevato dal peccatore pentito che chiede perdono.
Il Miserere è uno dei sette salmi penitenziali della liturgia cattolica, segnato con il numero 50 secondo la Vulgata, con il numero 51 secondo la tradizione ebraica; inizia con le parole “Miserere mei Deus” (Abbi pietà di me o Dio). Fu scritto e pregato dal re David intorno al 970 a.C. In esso, David, dopo l’incontro con il profeta Nathan, che gli rimproverava il duplice peccato dell’adulterio con Betsabea e dell’uccisione del marito di lei, Uria, invoca la misericordia di Dio e ne canta le lodi, sicuro, in fede, del Suo perdono.
Il Miserere esprime la dimensione profonda dell’innata debolezza morale dell’uomo. Il Salmo nella prima parte appare come un’analisi del peccato, condotta davanti a Dio e declama la triste realtà che proviene dalla libertà umana male impiegata. In esso viene espresso innanzitutto un senso vivissimo del peccato, percepito come una scelta libera, connotata negativamente a livello morale e teologale: “Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto” (v. 6). C’è poi nel Salmo un senso altrettanto vivo della possibilità di conversione: il peccatore, sinceramente pentito, (cfr v. 5), si presenta in tutta la sua miseria e nudità a Dio, supplicandolo di non respingerlo dalla sua presenza (cfr v. 13). C’è, infine, nel Miserere, una radicata convinzione del perdono divino che “cancella, lava, monda” il peccatore (cfr vv. 3-4) e giunge perfino a trasformarlo in una nuova creatura che ha spirito, lingua, labbra, cuore trasfigurati (cfr vv. 14-19).
Di anno in anno, durante il periodo quaresimale, si rinnova il tradizionale appuntamento alle prove di canto del “Coro del Miserere”; coro a tre voci composto da circa 150 persone, giovani e meno giovani. Il canto del Miserere viene eseguito in alternanza fra due gruppi, corrispondenti al “Coro” che canta solo le strofe dispari (strofe in grassetto nel testo del Miserere) e la “Risposta” che canta solo le strofe pari.
L’ascolto del canto del Miserere andrebbe accompagnato con l’ausilio di una traduzione in lingua italiana. Per avere una comprensione maggiore del testo andrebbe comunque alternata la lettura in latino ed in italiano, come proponiamo di seguito.
 
Miserère mei, Deus, * secùndum magnam misericòrdiam tuam. Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia.
Et secùndum multitùdinem miseratiònum tuàrum, * dele iniquitàtem meam. Nel tuo grande amore cancella il mio peccato.
Amplius lava me ab iniquitàte mea: * et a peccàto meo munda me. Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato.
Quòniam iniquitàtem meam ego cognòsco: * et peccàtum meum contra me est semper. Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
Tibi soli peccàvi, et malum coram te feci: * ut justificèris in sermònibus tuis, et vincas cum judicàris. Contro di te, contro te solo ho peccato, quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto; perciò sei giusto quando parli, retto nel tuo giudizio.
Ecce enim in iniquitàtibus concèptus sum: * et in peccàtis concèpit me mater mea. Ecco, nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre.
Ecce enim veritàtem dilexìsti: * incèrta et occùlta sapièntiae tuae manifestàsti mihi. Ma tu vuoi la sincerità del cuore e nell’intimo mi insegni la sapienza.
Aspèrges me hyssòpo, et mundàbor: * lavàbis me, et super nivem dealbàbor. Purificami con issòpo e sarò mondato; lavami e sarò più bianco della neve.
Audìtui meo dabis gàudium et laetìtiam: * et exsultàbunt ossa humiliàta. Fammi sentire gioia e letizia, esulteranno le ossa che hai spezzato.
Avèrte fàciem tuam a peccàtis meis: * et omnes iniquitàtes meas dele. Distogli lo sguardo dai miei peccati, cancella tutte le mie colpe.
Cor mundum crea in me, Deus: * et spìritum rectum ìnnova in viscèribus meis. Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo.
Ne projìacias me a fàcie tua: * et spìritum sanctum tuum ne àuferas a me. Non respingermi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito.
Redde mihi laetìtiam salutàris tui: * et spìritu principàli confìrma me. Rendimi la gioia di essere salvato, sostieni in me un animo generoso.
Docèbo inìquos vias tuas: * et ìmpii ad te convertèntur. Insegnerò agli erranti le tue vie e i peccatori a te ritorneranno.
Lìbera me de sanguìnibus, Deus, Deus salùtis meae: * et exultàbit lingua mea justìtiam tuam. Liberami dal sangue, Dio, Dio mia salvezza. La mia lingua esalterà la tua giustizia.
Dòmine, làbia mea apèries: * et os meum annuntiàbit laudem tuam. Signore, apri le mie labbra e la ma bocca proclami la tua lode.
Quòniam si voluìsses sacrificium, dedìssem ùtique: * holocàustis non delectàberis. Poiché non gradisci il sacrificio e, se offro olocausti, non li accetti.
Sacrifìcium Dei spìritus contribulàtus: * cor contrìtum, et humiliàtum, Deus, non despìcies. Uno spirito contrito è sacrificio a Dio, un cuore affranto e umiliato tu, o Dio, non disprezzi.
Benìgne fac, Dòmine, in bona voluntàte tua Sion: * ut aedificèntur muri Jerùsalem. Nel tuo amore fa’ grazia a Sion, rialza le mura di Gerusalemme.
Tunc acceptàbis sacrifìcium justìtiae, oblatiònes, et holocàusta: * tunc impònent super altàre tuum vìtulos. Allora gradirai i sacrifici prescritti, l’olocausto e l’intera oblazione, allora immoleranno vittime sopra il tuo altare.

Publié dans:Pasqua, salmi |on 7 avril, 2011 |Pas de commentaires »

BENEDETTO XVI PRESENTA LA FIGURA DI SANTA TERESA DI LISIEUX

dal sito:

http://www.zenit.org/article-26218?l=italian

BENEDETTO XVI PRESENTA LA FIGURA DI SANTA TERESA DI LISIEUX

In occasione dell’Udienza generale del mercoledì

ROMA, mercoledì, 6 aprile 2011 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito la meditazione sulla figura di santa Teresa di Lisieux (1873-1897), tenuta questo mercoledì da Papa Benedetto XVI in occasione dell’Udienza generale in piazza San Pietro.

* * *
Cari fratelli e sorelle,
oggi vorrei parlarvi di santa Teresa di Lisieux, Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, che visse in questo mondo solo 24 anni, alla fine del XIX secolo, conducendo una vita molto semplice e nascosta, ma che, dopo la morte e la pubblicazione dei suoi scritti, è diventata una delle sante più conosciute e amate. La « piccola Teresa » non ha mai smesso di aiutare le anime più semplici, i piccoli, i poveri e i sofferenti che la pregano, ma ha anche illuminato tutta la Chiesa con la sua profonda dottrina spirituale, a tal punto che il Venerabile Papa Giovanni Paolo II, nel 1997, ha voluto darle il titolo di Dottore della Chiesa, in aggiunta a quello di Patrona delle Missioni, già attribuitole da Pio XI nel 1939. Il mio amato Predecessore la definì « esperta della scientia amoris » (Novo Millennio ineunte, 27). Questa scienza, che vede risplendere nell’amore tutta la verità della fede, Teresa la esprime principalmente nel racconto della sua vita, pubblicato un anno dopo la sua morte sotto il titolo di Storia di un’anima. E’ un libro che ebbe subito un enorme successo, fu tradotto in molte lingue e diffuso in tutto il mondo. Vorrei invitarvi a riscoprire questo piccolo-grande tesoro, questo luminoso commento del Vangelo pienamente vissuto! La Storia di un’anima, infatti, è una meravigliosa storia d’Amore, raccontata con una tale autenticità, semplicità e freschezza che il lettore non può non rimanerne affascinato! Ma qual è questo Amore che ha riempito tutta la vita di Teresa, dall’infanzia fino alla morte? Cari amici, questo Amore ha un Volto, ha un Nome, è Gesù! La Santa parla continuamente di Gesù. Vogliamo ripercorrere, allora, le grandi tappe della sua vita, per entrare nel cuore della sua dottrina.
Teresa nasce il 2 gennaio 1873 ad Alençon, una città della Normandia, in Francia. E’ l’ultima figlia di Luigi e Zelia Martin, sposi e genitori esemplari, beatificati insieme il 19 ottobre 2008. Ebbero nove figli; di essi quattro morirono in tenera età. Rimasero le cinque figlie, che diventarono tutte religiose. Teresa, a 4 anni, rimase profondamente ferita dalla morte della madre (Ms A, 13r). Il padre con le figlie si trasferì allora nella città di Lisieux, dove si svolgerà tutta la vita della Santa. Più tardi Teresa, colpita da una grave malattia nervosa, guarì per una grazia divina, che lei stessa definisce il « sorriso della Madonna » (ibid., 29v-30v). Ricevette poi la Prima Comunione, intensamente vissuta (ibid., 35r), e mise Gesù Eucaristia al centro della sua esistenza.
La « Grazia di Natale » del 1886 segna la grande svolta, da lei chiamata la sua « completa conversione » (ibid., 44v-45r). Guarisce, infatti, totalmente dalla sua ipersensibilità infantile e inizia una « corsa da gigante ». All’età di 14 anni, Teresa si avvicina sempre più, con grande fede, a Gesù Crocifisso, e si prende a cuore il caso, apparentemente disperato, di un criminale condannato a morte e impenitente (ibid., 45v-46v). « Volli ad ogni costo impedirgli di cadere nell’inferno », scrive la Santa, con la certezza che la sua preghiera lo avrebbe messo a contatto con il Sangue redentore di Gesù. E’ la sua prima e fondamentale esperienza di maternità spirituale: « Tanta fiducia avevo nella Misericordia Infinita di Gesù », scrive. Con Maria Santissima, la giovane Teresa ama, crede e spera con « un cuore di madre » (cfr PR 6/10r).
Nel novembre del 1887, Teresa si reca in pellegrinaggio a Roma insieme al padre e alla sorella Celina (ibid., 55v-67r). Per lei, il momento culminante è l’Udienza del Papa Leone XIII, al quale domanda il permesso di entrare, appena quindicenne, nel Carmelo di Lisieux. Un anno dopo, il suo desiderio si realizza: si fa Carmelitana, « per salvare le anime e pregare per i sacerdoti » (ibid., 69v). Contemporaneamente, inizia anche la dolorosa ed umiliante malattia mentale di suo padre. E’ una grande sofferenza che conduce Teresa alla contemplazione del Volto di Gesù nella sua Passione (ibid., 71rv). Così, il suo nome da Religiosa – suor Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo – esprime il programma di tutta la sua vita, nella comunione ai Misteri centrali dell’Incarnazione e della Redenzione. La sua professione religiosa, nella festa della Natività di Maria, l’8 settembre 1890, è per lei un vero matrimonio spirituale nella « piccolezza » evangelica, caratterizzata dal simbolo del fiore: « Che bella festa la Natività di Maria per diventare la sposa di Gesù! – scrive – Era la piccola Vergine Santa di un giorno che presentava il suo piccolo fiore al piccolo Gesù » (ibid., 77r). Per Teresa essere religiosa significa essere sposa di Gesù e madre delle anime (cfr Ms B, 2v). Lo stesso giorno, la Santa scrive una preghiera che indica tutto l’orientamento della sua vita: chiede a Gesù il dono del suo Amore infinito, di essere la più piccola, e sopratutto chiede la salvezza di tutti gli uomini: « Che nessuna anima sia dannata oggi » (Pr 2). Di grande importanza è la sua Offerta all’Amore Misericordioso, fatta nella festa della Santissima Trinità del 1895 (Ms A, 83v-84r; Pr 6): un’offerta che Teresa condivide subito con le sue consorelle, essendo già vice maestra delle novizie.
Dieci anni dopo la « Grazia di Natale », nel 1896, viene la « Grazia di Pasqua », che apre l’ultimo periodo della vita di Teresa, con l’inizio della sua passione in unione profonda alla Passione di Gesù; si tratta della passione del corpo, con la malattia che la condurrà alla morte attraverso grandi sofferenze, ma soprattutto si tratta della passione dell’anima, con una dolorosissima prova della fede (Ms C, 4v-7v). Con Maria accanto alla Croce di Gesù, Teresa vive allora la fede più eroica, come luce nelle tenebre che le invadono l’anima. La Carmelitana ha coscienza di vivere questa grande prova per la salvezza di tutti gli atei del mondo moderno, chiamati da lei « fratelli ». Vive allora ancora più intensamente l’amore fraterno (8r-33v): verso le sorelle della sua comunità, verso i suoi due fratelli spirituali missionari, verso i sacerdoti e tutti gli uomini, specialmente i più lontani. Diventa veramente una « sorella universale »! La sua carità amabile e sorridente è l’espressione della gioia profonda di cui ci rivela il segreto: « Gesù, la mia gioia è amare Te » (P 45/7). In questo contesto di sofferenza, vivendo il più grande amore nelle più piccole cose della vita quotidiana, la Santa porta a compimento la sua vocazione di essere l’Amore nel cuore della Chiesa (cfr Ms B, 3v).
Teresa muore la sera del 30 settembre 1897, pronunciando le semplici parole « Mio Dio, vi amo! », guardando il Crocifisso che stringeva nelle sue mani. Queste ultime parole della Santa sono la chiave di tutta la sua dottrina, della sua interpretazione del Vangelo. L’atto d’amore, espresso nel suo ultimo soffio, era come il continuo respiro della sua anima, come il battito del suo cuore. Le semplici parole « Gesù Ti amo » sono al centro di tutti i suoi scritti. L’atto d’amore a Gesù la immerge nella Santissima Trinità. Ella scrive: « Ah tu lo sai, Divin Gesù Ti amo, / Lo Spirito d’Amore m’infiamma col suo fuoco, / E’ amando Te che io attiro il Padre » (P 17/2).
Cari amici, anche noi con santa Teresa di Gesù Bambino dovremmo poter ripetere ogni giorno al Signore che vogliamo vivere di amore a Lui e agli altri, imparare alla scuola dei santi ad amare in modo autentico e totale. Teresa è uno dei « piccoli » del Vangelo che si lasciano condurre da Dio nelle profondità del suo Mistero. Una guida per tutti, soprattutto per coloro che, nel Popolo di Dio, svolgono il ministero di teologi. Con l’umiltà e la carità, la fede e la speranza, Teresa entra continuamente nel cuore della Sacra Scrittura che racchiude il Mistero di Cristo. E tale lettura della Bibbia, nutrita dalla scienza dell’amore, non si oppone alla scienza accademica. La scienza dei santi, infatti, di cui lei stessa parla nell’ultima pagina della Storia di un’anima, è la scienza più alta « Tutti i santi l’hanno capito e in modo più particolare forse quelli che riempirono l’universo con l’irradiazione della dottrina evangelica. Non è forse dall’orazione che i Santi Paolo, Agostino, Giovanni della Croce, Tommaso d’Aquino, Francesco, Domenico e tanti altri illustri Amici di Dio hanno attinto questa scienza divina che affascina i geni più grandi? » (Ms C, 36r). Inseparabile dal Vangelo, l’Eucaristia è per Teresa il Sacramento dell’Amore Divino che si abbassa all’estremo per innalzarci fino a Lui. Nella sua ultima Lettera, su un’immagine che rappresenta Gesù Bambino nell’Ostia consacrata, la Santa scrive queste semplici parole: « Non posso temere un Dio che per me si è fatto così piccolo! (…) Io Lo amo! Infatti, Egli non è che Amore e Misericordia! » (LT 266).
Nel Vangelo, Teresa scopre soprattutto la Misericordia di Gesù, al punto da affermare: « A me Egli ha dato la sua Misericordia infinita, attraverso essa contemplo e adoro le altre perfezioni divine! (…) Allora tutte mi paiono raggianti d’amore, la Giustizia stessa (e forse ancor più di qualsiasi altra) mi sembra rivestita d’amore » (Ms A, 84r). Così si esprime anche nelle ultime righe della Storia di un’anima: « Appena do un’occhiata al Santo Vangelo, subito respiro i profumi della vita di Gesù e so da che parte correre… Non è al primo posto, ma all’ultimo che mi slancio… Sì lo sento, anche se avessi sulla coscienza tutti i peccati che si possono commettere, andrei, con il cuore spezzato dal pentimento, a gettarmi tra le braccia di Gesù, perché so quanto ami il figliol prodigo che ritorna a Lui » (Ms C, 36v-37r). « Fiducia e Amore » sono dunque il punto finale del racconto della sua vita, due parole che come fari hanno illuminato tutto il suo cammino di santità, per poter guidare gli altri sulla stessa sua « piccola via di fiducia e di amore », dell’infanzia spirituale (cf Ms C, 2v-3r; LT 226). Fiducia come quella del bambino che si abbandona nelle mani di Dio, inseparabile dall’impegno forte, radicale del vero amore, che è dono totale di sé, per sempre, come dice la Santa contemplando Maria: « Amare è dare tutto, e dare se stesso » (Perché ti amo, o Maria, P 54/22). Così Teresa indica a tutti noi che la vita cristiana consiste nel vivere pienamente la grazia del Battesimo nel dono totale di sé all’Amore del Padre, per vivere come Cristo, nel fuoco dello Spirito Santo, il Suo stesso amore per tutti gli altri.

[APPELLO DEL SANTO PADRE]
Continuo a seguire con grande apprensione le drammatiche vicende che le care popolazioni della Costa d’Avorio e della Libia stanno vivendo in questi giorni. Mi auguro, inoltre, che il Cardinale Turkson, che avevo incaricato di recarsi in Costa d’Avorio per manifestare la mia solidarietà possa presto entrare nel Paese. Prego per le vittime e sono vicino a tutti coloro che stanno soffrendo. La violenza e l’odio sono sempre una sconfitta! Per questo rivolgo un nuovo e accorato appello a tutte le parti in causa, affinché si avvii l’opera di pacificazione e di dialogo e si evitino ulteriori spargimenti di sangue.

Sermon for the Third Sunday in Lent, preached by the Rev’d Melody Wilson Shobe. Text is Exodus 3:1-15.

Sermon for the Third Sunday in Lent, preached by the Rev’d Melody Wilson Shobe. Text is Exodus 3:1-15. dans immagini sacre 09-chagall-moses-burning-bush

http://www.christchurchlincoln.org/blog/2010/03/glory-of-god/

Publié dans:immagini sacre |on 6 avril, 2011 |Pas de commentaires »

“Nel circo si realizza l’armonia fra uomo e animale” (Gianfranco Ravasi)

dal sito:

http://www.circo.it/nel-circo-si-realizza-larmonia-fra-uomo-e-animale/

“Nel circo si realizza l’armonia fra uomo e animale”

Il card. Gianfranco Ravasi

ROMA – “Il circo rappresenta quasi l’armonia paradisiaca di cui parla Isaia nel famoso capitolo undici: Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; la vacca e l’orsa pascoleranno insieme; il leone si ciberà di paglia, come il bue; il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi“. Lo ha detto il card. Gianfranco Ravasi intervenendo alla prima giornata dell’ottavo congresso internazionale promosso dal Pontificio consiglio per i migranti e gli itineranti, questa mattina presso la Casa La Salle di Roma.
Richiamandosi al passo biblico, il cardinale ha spiegato che l’armonia di cui parla Isaia ha una sua similitudine in ciò che avviene nel circo fra uomini e animali e fra animale e animale, e “non per imposizione ma per la sintonia che si crea”. “Ci sarà anche qualche forma di crudeltà – ha proseguito – ma nel circo l’animale è un altro soggetto di fianco all’uomo e si realizza quella sintonia che in natura pare impossibile”. Parole che esprimono la posizione molto chiara della Chiesa nel dibattito in corso animato da chi vorrebbe togliere gli animali dai circhi.
Il presidente del Pontificio consiglio per la cultura, sollecitato su questo argomento da una domanda di un partecipante al congresso, ha spiegato di essere a conoscenza “della tensione e dell’atteggiamento un po’ ostile nei confronti dell’uso degli animali all’interno dei circhi da parte di certi movimenti”, e poi si è collegato alla riflessione che partendo da Isaia ha difeso la presenza degli animali negli spettacoli circensi. Una difesa che ha ulteriormente motivato con quest’altro concetto: “Una delle caratteristiche dell’animale è l’adattamento all’ambiente. L’animale continuamente si adatta ai mutamenti, così come avviene anche nelle nostre famiglie”.
La relazione del card. Ravasi è stata molto applaudita dai congressisti perché particolarmente interessante e ricca di citazioni e riferimenti alla letteratura e alla settima arte. Ha preso spunto da alcuni film classici dedicati al circo, “Trapezio”, “I clowns” di Federico Fellini e “Il circo” di Charlie Chaplin per sottolineare come “ogni riflessione sul rapporto fra dimensione artistica e circo, coinvolge sensazioni e visioni molto diverse fra loro”.
Per sua natura, ha detto Ravasi, “il circo è divertimento, che è una delle componenti fondamentali della esperienza umana”. Non solo. “La sapienza divina nel Libro dei Proverbi è rappresentata come una fanciulla, una giovane ballerina, ma direi anche una acrobata. La sapienza è un filo di gioia nel creato”.
I congressisti radunati alla Casa La Salle di Roma
“Il circo – queste le parole usate dal card. Ravasi – ripropone ad adulti e bambini il gioco come realtà umana fondamentale, e il gioco ci insegna il gratuito, la libertà”. Citando Henry Miller, “l’arte e la religione non servono a nulla tranne che a mostrare il senso della vita”, Ravasi ha commentato che “però senza quel qualcosa di più profondo che è l’arte non potremmo vivere”.
Parole di grande valorizzazione del circo, il cardinale le ha pronunciate anche in altri due passaggi. Il primo quando ha detto che “noi abbiamo bisogno che attraverso il circo non si perda la realtà del gioco nella sua duplice dimensione di gioco e grazia, che significa anche carità e dunque amore”. E il secondo a proposito dell’ascesi: “Ascesi significa esercizio, fatica costante, che ti fa sudare, che ti fa sfidare le leggi della fisica e alla fine ti porta alla bellezza. E’ quanto avviene nel circo dove l’artista fatica costantemente per poter mostrare la bellezza del suo numero. Il circo ha il compito di fare sorridere gli uomini, e il sorriso è la legge del paradiso. Voi – ha detto rivolto alla gente del circo – testimoniate questo in una società che non vuole nemmeno più insegnare la fatica e in un mondo che non sa più sorridere”.
La mattinata si è conclusa con l’intervento di Charlotte Hobelman sul tema che dà il titolo al convegno: “Circhi e luna park: cattedrali di fede e tradizione”.

Publié dans:CAR. GIANFRANCO RAVASI |on 6 avril, 2011 |Pas de commentaires »
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