Archive pour avril, 2011

BENEDETTO XVI: IL TRIDUO PASQUALE, MOMENTO DI GRAZIA PER I CRISTIANI

dal sito:

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BENEDETTO XVI: IL TRIDUO PASQUALE, MOMENTO DI GRAZIA PER I CRISTIANI

Nella catechesi per l’Udienza generale del mercoledì

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 20 aprile 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la catechesi per l’Udienza generale tenuta questo mercoledì da Benedetto XVI in piazza San Pietro nel riflettere sul significato del Triduo Pasquale.

* * *
Cari fratelli e sorelle,
siamo ormai giunti al cuore della Settimana Santa, compimento del cammino quaresimale. Domani entreremo nel Triduo Pasquale, i tre giorni santi in cui la Chiesa fa memoria del mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù. Il Figlio di Dio, dopo essersi fatto uomo in obbedienza al Padre, divenendo in tutto simile a noi eccetto il peccato (cfr Eb 4,15), ha accettato di compiere fino in fondo la sua volontà, di affrontare per amore nostro la passione e la croce, per farci partecipi della sua risurrezione, affinché in Lui e per Lui possiamo vivere per sempre, nella consolazione e nella pace. Vi esorto pertanto ad accogliere questo mistero di salvezza, a partecipare intensamente al Triduo pasquale, fulcro dell’intero anno liturgico e momento di particolare grazia per ogni cristiano; vi invito a cercare in questi giorni il raccoglimento e la preghiera, così da attingere più profondamente a questa sorgente di grazia. A tale proposito, in vista delle imminenti festività, ogni cristiano è invitato a celebrare il sacramento della Riconciliazione, momento di speciale adesione alla morte e risurrezione di Cristo, per poter partecipare con maggiore frutto alla Santa Pasqua.
Il Giovedì Santo è il giorno in cui si fa memoria dell’istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio ministeriale. In mattinata, ciascuna comunità diocesana, radunata nella Chiesa Cattedrale attorno al Vescovo, celebra la Messa crismale, nella quale vengono benedetti il sacro Crisma, l’Olio dei catecumeni e l’Olio degli infermi. A partire dal Triduo pasquale e per l’intero anno liturgico, questi Oli verranno adoperati per i Sacramenti del Battesimo, della Confermazione, delle Ordinazioni sacerdotale ed episcopale e dell’Unzione degli Infermi; in ciò si evidenzia come la salvezza, trasmessa dai segni sacramentali, scaturisca proprio dal Mistero pasquale di Cristo; infatti, noi siamo redenti con la sua morte e risurrezione e, mediante i Sacramenti, attingiamo a quella medesima sorgente salvifica. Durante la Messa crismale, domani, avviene anche il rinnovo delle promesse sacerdotali. Nel mondo intero, ogni sacerdote rinnova gli impegni che si è assunto nel giorno dell’Ordinazione, per essere totalmente consacrato a Cristo nell’esercizio del sacro ministero a servizio dei fratelli. Accompagniamo i nostri sacerdoti con la nostra preghiera.
Nel pomeriggio del Giovedì Santo inizia effettivamente il Triduo pasquale, con la memoria dell’Ultima Cena, nella quale Gesù istituì il Memoriale della sua Pasqua, dando compimento al rito pasquale ebraico. Secondo la tradizione, ogni famiglia ebrea, radunata a mensa nella festa di Pasqua, mangia l’agnello arrostito, facendo memoria della liberazione degli Israeliti dalla schiavitù d’Egitto; così nel cenacolo, consapevole della sua morte imminente, Gesù, vero Agnello pasquale, offre sé stesso per la nostra salvezza (cfr 1Cor 5,7). Pronunciando la benedizione sul pane e sul vino, Egli anticipa il sacrificio della croce e manifesta l’intenzione di perpetuare la sua presenza in mezzo ai discepoli: sotto le specie del pane e del vino, Egli si rende presente in modo reale col suo corpo donato e col suo sangue versato. Durante l’Ultima Cena, gli Apostoli vengono costituiti ministri di questo Sacramento di salvezza; ad essi Gesù lava i piedi (cfr Gv 13,1-25), invitandoli ad amarsi gli uni gli altri come Lui li ha amati, dando la vita per loro. Ripetendo questo gesto nella Liturgia, anche noi siamo chiamati a testimoniare fattivamente l’amore del nostro Redentore.
Il Giovedì Santo, infine, si chiude con l’Adorazione eucaristica, nel ricordo dell’agonia del Signore nell’orto del Getsemani. Lasciato il cenacolo, Egli si ritirò a pregare, da solo, al cospetto del Padre. In quel momento di comunione profonda, i Vangeli raccontano che Gesù sperimentò una grande angoscia, una sofferenza tale da fargli sudare sangue (cfr Mt 26,38). Nella consapevolezza della sua imminente morte in croce, Egli sente una grande angoscia e la vicinanza della morte. In questa situazione, appare anche un elemento di grande importanza per tutta la Chiesa. Gesù dice ai suoi: rimanete qui e vigilate; e questo appello alla vigilanza concerne proprio questo momento di angoscia, di minaccia, nella quale arriverà il traditore, ma concerne tutta la storia della Chiesa. E’ un messaggio permanente per tutti i tempi, perché la sonnolenza dei discepoli era non solo il problema di quel momento, ma è il problema di tutta la storia. La questione è in che cosa consiste questa sonnolenza, in che cosa consisterebbe la vigilanza alla quale il Signore ci invita. Direi che la sonnolenza dei discepoli lungo la storia è una certa insensibilità dell’anima per il potere del male, un’insensibilità per tutto il male del mondo. Noi non vogliamo lasciarci turbare troppo da queste cose, vogliamo dimenticarle: pensiamo che forse non sarà così grave, e dimentichiamo. E non è soltanto insensibilità per il male, mentre dovremmo vegliare per fare il bene, per lottare per la forza del bene. È insensibilità per Dio: questa è la nostra vera sonnolenza; questa insensibilità per la presenza di Dio che ci rende insensibili anche per il male. Non sentiamo Dio – ci disturberebbe – e così non sentiamo, naturalmente, anche la forza del male e rimaniamo sulla strada della nostra comodità. L’adorazione notturna del Giovedì Santo, l’essere vigili col Signore, dovrebbe essere proprio il momento per farci riflettere sulla sonnolenza dei discepoli, dei difensori di Gesù, degli apostoli, di noi, che non vediamo, non vogliamo vedere tutta la forza del male, e che non vogliamo entrare nella sua passione per il bene, per la presenza di Dio nel mondo, per l’amore del prossimo e di Dio.
Poi, il Signore comincia a pregare. I tre apostoli – Pietro, Giacomo, Giovanni – dormono, ma qualche volta si svegliano e sentono il ritornello di questa preghiera del Signore: « Non la mia volontà, ma la tua sia realizzata ». Che cos’è questa mia volontà, che cos’è questa tua volontà, di cui parla il Signore? La mia volontà è « che non dovrebbe morire », che gli sia risparmiato questo calice della sofferenza: è la volontà umana, della natura umana, e Cristo sente, con tutta la consapevolezza del suo essere, la vita, l’abisso della morte, il terrore del nulla, questa minaccia della sofferenza. E Lui più di noi, che abbiamo questa naturale avversione contro la morte, questa paura naturale della morte, ancora più di noi, sente l’abisso del male. Sente, con la morte, anche tutta la sofferenza dell’umanità. Sente che tutto questo è il calice che deve bere, deve far bere a se stesso, accettare il male del mondo, tutto ciò che è terribile, l’avversione contro Dio, tutto il peccato. E possiamo capire come Gesù, con la sua anima umana, sia terrorizzato davanti a questa realtà, che percepisce in tutta la sua crudeltà: la mia volontà sarebbe non bere il calice, ma la mia volontà è subordinata alla tua volontà, alla volontà di Dio, alla volontà del Padre, che è anche la vera volontà del Figlio. E così Gesù trasforma, in questa preghiera, l’avversione naturale, l’avversione contro il calice, contro la sua missione di morire per noi; trasforma questa sua volontà naturale in volontà di Dio, in un « sì » alla volontà di Dio. L’uomo di per sé è tentato di opporsi alla volontà di Dio, di avere l’intenzione di seguire la propria volontà, di sentirsi libero solo se è autonomo; oppone la propria autonomia contro l’eteronomia di seguire la volontà di Dio. Questo è tutto il dramma dell’umanità. Ma in verità questa autonomia è sbagliata e questo entrare nella volontà di Dio non è un’opposizione a sé, non è una schiavitù che violenta la mia volontà, ma è entrare nella verità e nell’amore, nel bene. E Gesù tira la nostra volontà, che si oppone alla volontà di Dio, che cerca l’autonomia, tira questa nostra volontà in alto, verso la volontà di Dio. Questo è il dramma della nostra redenzione, che Gesù tira in alto la nostra volontà, tutta la nostra avversione contro la volontà di Dio e la nostra avversione contro la morte e il peccato, e la unisce con la volontà del Padre: « Non la mia volontà ma la tua ». In questa trasformazione del « no » in « sì », in questo inserimento della volontà creaturale nella volontà del Padre, Egli trasforma l’umanità e ci redime. E ci invita a entrare in questo suo movimento: uscire dal nostro « no » ed entrare nel « sì » del Figlio. La mia volontà c’è, ma decisiva è la volontà del Padre, perché questa è la verità e l’amore.
Un ulteriore elemento di questa preghiera mi sembra importante. I tre testimoni hanno conservato – come appare nella Sacra Scrittura – la parola ebraica o aramaica con la quale il Signore ha parlato al Padre, lo ha chiamato: « Abbà », padre. Ma questa formula, « Abbà », è una forma familiare del termine padre, una forma che si usa solo in famiglia, che non si è mai usata nei confronti di Dio. Qui vediamo nell’intimo di Gesù come parla in famiglia, parla veramente come Figlio col Padre. Vediamo il mistero trinitario: il Figlio che parla col Padre e redime l’umanità.
Ancora un’osservazione. La Lettera agli Ebrei ci ha dato una profonda interpretazione di questa preghiera del Signore, di questo dramma del Getsemani. Dice: queste lacrime di Gesù, questa preghiera, queste grida di Gesù, questa angoscia, tutto questo non è semplicemente una concessione alla debolezza della carne, come si potrebbe dire. Proprio così realizza l’incarico del Sommo Sacerdote, perché il Sommo Sacerdote deve portare l’essere umano, con tutti i suoi problemi e le sofferenze, all’altezza di Dio. E la Lettera agli Ebrei dice: con tutte queste grida, lacrime, sofferenze, preghiere, il Signore ha portato la nostra realtà a Dio (cfr Eb 5,7ss). E usa questa parola greca « prosferein », che è il termine tecnico per quanto deve fare il Sommo Sacerdote per offrire, per portare in alto le sue mani.
Proprio in questo dramma del Getsemani, dove sembra che la forza di Dio non sia più presente, Gesù realizza la funzione del Sommo Sacerdote. E dice inoltre che in questo atto di obbedienza, cioè di conformazione della volontà naturale umana alla volontà di Dio, viene perfezionato come sacerdote. E usa di nuovo la parola tecnica per ordinare sacerdote. Proprio così diventa realmente il Sommo Sacerdote dell’umanità e apre così il cielo e la porta alla risurrezione.
Se riflettiamo su questo dramma del Getsemani, possiamo anche vedere il grande contrasto tra Gesù con la sua angoscia, con la sua sofferenza, in confronto con il grande filosofo Socrate, che rimane pacifico, senza perturbazione davanti alla morte. E sembra questo l’ideale. Possiamo ammirare questo filosofo, ma la missione di Gesù era un’altra. La sua missione non era questa totale indifferenza e libertà; la sua missione era portare in sé tutta la nostra sofferenza, tutto il dramma umano. E perciò proprio questa umiliazione del Getsemani è essenziale per la missione dell’Uomo-Dio. Egli porta in sé la nostra sofferenza, la nostra povertà, e la trasforma secondo la volontà di Dio. E così apre le porte del cielo, apre il cielo: questa tenda del Santissimo, che finora l’uomo ha chiuso contro Dio, è aperta per questa sua sofferenza e obbedienza. Queste alcune osservazioni per il Giovedì Santo, per la nostra celebrazione della notte del Giovedì Santo.
Il Venerdì Santo faremo memoria della passione e della morte del Signore; adoreremo Cristo Crocifisso, parteciperemo alle sue sofferenze con la penitenza e il digiuno. Volgendo « lo sguardo a colui che hanno trafitto » (cfr Gv 19,37), potremo attingere dal suo cuore squarciato che effonde sangue ed acqua come da una sorgente; da quel cuore da cui scaturisce l’amore di Dio per ogni uomo riceviamo il suo Spirito. Accompagniamo quindi nel Venerdì Santo anche noi Gesù che sale il Calvario, lasciamoci guidare da Lui fino alla croce, riceviamo l’offerta del suo corpo immolato. Infine, nella notte del Sabato Santo, celebreremo la solenne Veglia Pasquale, nella quale ci è annunciata la risurrezione di Cristo, la sua vittoria definitiva sulla morte che ci interpella ad essere in Lui uomini nuovi. Partecipando a questa santa Veglia, la Notte centrale di tutto l’Anno Liturgico, faremo memoria del nostro Battesimo, nel quale anche noi siamo stati sepolti con Cristo, per poter con Lui risorgere e partecipare al banchetto del cielo (cfr Ap 19,7-9).
Cari amici, abbiamo cercato di comprendere lo stato d’animo con cui Gesù ha vissuto il momento della prova estrema, per cogliere ciò che orientava il suo agire. Il criterio che ha guidato ogni scelta di Gesù durante tutta la sua vita è stata la ferma volontà di amare il Padre, di essere uno col Padre, e di essergli fedele; questa decisione di corrispondere al suo amore lo ha spinto ad abbracciare, in ogni singola circostanza, il progetto del Padre, a fare proprio il disegno di amore affidatogli di ricapitolare ogni cosa in Lui, per ricondurre a Lui ogni cosa. Nel rivivere il santo Triduo, disponiamoci ad accogliere anche noi nella nostra vita la volontà di Dio, consapevoli che nella volontà di Dio, anche se appare dura, in contrasto con le nostre intenzioni, si trova il nostro vero bene, la via della vita. La Vergine Madre ci guidi in questo itinerario, e ci ottenga dal suo Figlio divino la grazia di poter spendere la nostra vita per amore di Gesù, nel servizio dei fratelli. Grazie.

Venerdì Santo – Passione del Signore

dal sito:

http://www.santiebeati.it/dettaglio/20258

Venerdì Santo – Passione del Signore

22 aprile (celebrazione mobile)

Quante e quante volte i nostri occhi si sono posati su un Crocifisso o una semplice croce, in questo mondo distratto, superattivo, superficiale?
Quante volte entrando in una chiesa o passando davanti a delle edicole religiose agli angoli delle strade, sui sentieri di campagna o di montagna, o mettendola al collo sia per devozione, sia per moda, i nostri occhi hanno visto la Croce; quante volte sin da bambini ci siamo segnati con il segno della Croce, recitando una preghiera o guardando il Crocifisso appeso alla parete della nostra stanza da letto, iniziando e terminando così la nostra giornata.
La Croce simbolo del cristianesimo, presente nella nostra vita sin dalla nascita, nei segni del rito del Battesimo, nell’assoluzione nel Sacramento della Penitenza, nelle benedizioni ricevute e date in ogni nostro atto devozionale e sacramentale; fino all’ultimo segno tracciato dal sacerdote nel Sacramento degli Infermi, nella croce astile che precede il funerale e nella croce di marmo o altro materiale, poggiata sulla tomba.
Così presente nella nostra vita e pur tante volte ignorata e guardata senza che ci dica niente, con occhio distratto e abituato; eppure la Croce è il supremo simbolo della sofferenza e della morte di Gesù, vero Dio e vero uomo, che con il Suo sacrificio ci ha riscattato dalla morte del peccato, indicandoci la vera Vita che passa attraverso la sofferenza.
Gesù stesso con le Sue parabole insegnò che il seme va sotterrato, marcisce e muore, per dare nuova vita alla pianta che da lui nascerà.
In tutta la vicenda umana e storica di Gesù, la “Passione” culminata nel Venerdì Santo, designa da sempre l’insieme degli avvenimenti dolorosi che lo colpirono fino alla morte in croce. E questo insieme di atti progressivi e dolorosi prese il nome di “Via Crucis” (pratica extraliturgica, introdotta in Europa dal domenicano beato Alvaro, (†1402), e dopo di lui dai Frati Minori Francescani); che la Chiesa Cattolica, ricorda in ogni suo tempio con le 14 ‘Stazioni’; quadretti attaccati alle pareti, oppure lungo i crinali delle colline dove sorgono Santuari, meta di pellegrinaggi; con edicole, gruppi statuari o cappelle, che invitano alla meditazione e penitenza; in ognuna di queste ‘Stazioni’ sono raffigurati con varie espressioni artistiche, momenti della dolorosa “Via Crucis” e Passione di Gesù; espressione di alta simbologia ed arte, sono ad esempio i Sacri Monti come quelli di Varallo e di Varese, e i celebri Calvari bretoni.
La “Passione” di Gesù cominciò dopo l’Ultima Cena tenuta con gli Apostoli, dove Egli diede all’umanità il dono più grande che si potesse: sé stesso nel Sacramento dell’Eucaristia, inoltre l’istituzione del Sacerdozio cristiano e la grande lezione di umiltà e di amore verso il prossimo con la lavanda dei piedi dei Dodici Apostoli.
I Vangeli raccontano gli avvenimenti in modo abbastanza preciso e concorde; nella primavera dell’anno 30, Gesù discese con i suoi discepoli dalla Galilea a Gerusalemme, in occasione della Pasqua ebraica, l’annuale “memoriale” della prodigiosa liberazione del popolo ebreo dall’Egitto.
Qui tenne l’Ultima Cena, dove di fatto fu sostituito il vecchio “memoriale” con il nuovo, da rinnovare nel tempo fino al suo ritorno: “Questo è il mio corpo, che è dato per voi”; “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue che viene versato per voi”; “Fate questo in memoria di me!”.
Nella “redenzione dal peccato” si deve ricercare in buona parte, il senso della ‘Passione’ di Cristo e di questo trattano i racconti evangelici, nel susseguirsi degli avvenimenti che seguirono l’Ultima Cena; è bene ricordare che lo stesso Gesù preannunziò ciò che sarebbe accaduto ai suoi discepoli per ben tre volte, preparandoli al suo destino di sofferenze e di gloria; in particolare la terza volta (Luca 18, 31-33).
Ma il suo sacrificio, è presentato nei Vangeli anche come l’attuazione della parola dei profeti, contenuta nelle Scritture e si delinea una grande verità, consegnandosi mite e benevole nelle mani di uomini che faranno di lui quello che vorranno, l’”Agnello di Dio” ha preso su di sé e ha ‘tolto’ il peccato del mondo (Giovanni 1,29).
Per questo si nota che nel racconto evangelico della Passione, ogni atto è presentato come malvagio, ingiusto e crudele; anche tutti coloro che intervengono nei confronti di Gesù sono cattivi o meglio peccatori, come una sequenza impressionante dei peccati degli uomini contro di Lui.
È necessario che il male ed il peccato si scateni contro Gesù, portandolo fino alla morte e dando la sensazione di aver vinto il Bene; finché con la Sua Resurrezione alla fine si vedrà che la vittoria finale sul male, è la sua.
La ‘Passione’ si svolge con una sequenza di immagini drammatiche, prima di tutto il tradimento di Giuda, che lo vende e lo denuncia con un bacio nel giardino posto al di là del torrente Cedron, dove si era ritirato a pregare con i suoi discepoli, e dove Gesù, aveva avuto la visione angosciante della prossima fine, sudando sangue e al punto di chiedere al Padre di far passare, se era possibile, questo calice amaro di sofferenza, ma nel contempo accettò di fare la Sua volontà.
Segue l’arresto notturno da parte dei soldati e delle guardie fornite dai sommi sacerdoti e dai farisei; Gesù subisce l’interrogatorio di Anna, ex sommo sacerdote molto potente e suocero del sommo sacerdote in carica Caifa; poi il giudizio del Sinedrio giudaico capeggiato da Caifa, che formula ad ogni costo un’accusa che consenta la sua condanna a morte, che però per la legge vigente a Gerusalemme, non poteva essere attuata dalle autorità ebraiche.
Nel contempo si concreta il triplice rinnegamento del suo primo discepolo Pietro; poi Gesù viene condotto dal governatore romano Ponzio Pilato, accusato di essersi proclamato re dei Giudei, commettendo quindi un delitto di lesa maestà verso l’imperatore romano.
Nel confronto con Pilato, Gesù afferma la sua Regalità; nonostante che non si ravvisa in lui colpa alcuna, l’attaccamento al potere, la colpevole viltà del governatore, non fanno prendere una decisione a Pilato, che secondo il Vangelo di Luca (23,6) non volendo pronunciarsi, lo manda da re Erode, presente in quei giorni a Gerusalemme; il quale dopo un’inutile interrogatorio e istigato dai sommi sacerdoti e scribi, lo schernisce insultandolo, poi rivestito di una splendida veste lo rimanda da Pilato.
Ancora una volta Pilato titubante chiede al popolo che colpa ha quest’uomo, perché lui non ne trova; alle grida di condanna lo fa flagellare, pensando che così si calmassero, ma questi gridarono sempre più forte di crocifiggerlo; allora Pilato secondo le consuetudini locali, potendo liberare un prigioniero in occasione della Pasqua, chiese al popolo se intendevano scegliere fra Gesù e un ribelle prigioniero di nome Barabba, che aveva molti morti sulla coscienza, ma anche in questa scelta il popolo si espresse gridando a favore di Barabba.
Non potendo fare altro, il governatore simbolicamente si lavò le mani e condannò a morte Gesù, tramite la crocifissione, pena capitale praticata in quell’epoca e lo consegnò ai soldati.
I soldati con feroce astuzia, posero sul capo di Gesù, schernendolo, una corona di spine pungenti e caricarono sulle sue spalle, già straziate da una lacerante flagellazione, il “patibulum”, avviandosi verso la collina del Golgota o Calvario, luogo dell’esecuzione.
La “Via Crucis” di Gesù presenta alcuni incontri non tutti riportati concordemente dai quattro evangelisti, come l’incontro con Simone di Cirene, obbligato dai soldati a portare la croce di Gesù o a condividerne il peso; l’incontro con le donne di Gerusalemme alle quali dice con toni apocalittici di piangere su loro stesse; l’incontro con la Veronica, le cadute sull’erta salita.
Arrivati sulla cima del calvario, viene dai soldati spogliato delle sue vesti, che vennero tirate a sorte fra gli stessi soldati, poi crocifisso con chiodi alla croce, tortura orribile e atroce, che conduce Gesù alla morte dopo qualche ora, sempre fra insulti e offese, alla fine invece di spezzargli le gambe per accelerarne la morte per soffocamento, essendo già morto, la lancia di un centurione gli perforerà il costato per accertarsene.
C’è ancora tutta una serie di episodi che si verificano prima e dopo la sua morte, come il suicidio di Giuda, lo scambio di parole con i due ladroni, crocifissi anche loro in quell’occasione, lo squarcio del Velo del Tempio di Gerusalemme, il terremoto, lo sconvolgimento degli elementi atmosferici, la presenza ai piedi della Croce di Maria sua madre, di Maria di Magdala (Maddalena), di Maria di Cleofa, madre di Giacomo il Minore e Giuseppe, di Salome madre dei figli di Zebedeo e da Giovanni il più giovane degli apostoli; l’affidamento reciproco fra Maria e Giovanni; le sue ultime parole prima di morire.
La ‘Passione’ si conclude, dopo la deposizione affrettata per l’approssimarsi della festività del sabato, con la sepoltura del suo corpo mortale in una tomba data da Giuseppe d’Arimatea, anche lui diventato suo discepolo, avvolto in un candido lenzuolo e cosparso degli oli e aromi usuali, poi la tomba scavata nella roccia, venne chiusa da una grossa pietra.
In questo contesto finale s’inserisce l’esistenza e la venerazione per la Sacra Sindone, conservata nel Duomo di Torino, prova tangibile dei patimenti e del metodo crudele subito da Gesù per la crocifissione.
Dato il poco spazio disponibile, si è dovuto necessariamente essere veloci nel descrivere praticamente la ‘Passione di Nostro Signore’, ma questo storico evento lo si può meditare ampliamente, partecipando ai riti della Settimana Santa, che da millenni la Chiesa cattolica e le altre Chiese Cristiane celebrano.
Aggiungiamo solo che Gesù ha voluto con la sofferenza e la sua morte, prendere su di sé le sofferenze e i dolori di ogni genere dell’umanità, quasi un “chiodo scaccia chiodo”; indicando nel contempo che la sofferenza è un male necessario, perché iscritto nella storia di ogni singolo uomo, come lo è la morte del corpo, come conseguenza del peccato, ma essa può essere trasformata in una luce di speranza, di compartecipazione con le sofferenze degli altri nostri fratelli, che condividono con noi, ognuno nella sua breve o lunga vita terrena, il cammino verso la patria celeste.
Questo concetto e valorizzazione del dolore fu nei millenni cristiani, ben compreso ed assimilato da tante anime mistiche, al punto di non desiderare altro che condividere i dolori della ‘Passione’; ottenendo da Cristo di portare nel loro corpo i segni visibili e tormentati di tanto dolore; come pure per tanti ci fu il sacrificio della loro vita, seguendo l’esempio del Redentore, per l’affermazione della loro fede in Lui e nei suoi insegnamenti.
Ecco allora la schiera immensa dei martiri che a partire sin dai primi giorni dopo la morte di Gesù e fino ai nostri giorni, patirono e morirono violentemente, con metodi anche forse più strazianti della crocifissione, come quello di essere dilaniati vivi dalle belve feroci; bruciati vivi sui roghi; fatti a pezzi dai selvaggi nelle Missioni; scorticati vivi, ecc.
Poi riferendoci a quando prima accennato ai segni della ‘Passione’ sul proprio corpo, solo per citarne qualcuno: Le Stimmate di s. Francesco di Assisi, di s. Pio da Pietrelcina, la spina in fronte di s. Rita da Cascia, ecc.
La triste e dolorosa vicenda della ‘Passione’, ha ispirato da sempre la pietà popolare a partecipare ai riti del Venerdì Santo, con manifestazioni di grande suggestione e penitenza, con le processioni dei ‘Misteri’, grandi e piccole raffigurazioni, con statue per lo più di cartapesta, dei vari episodi della ‘Via Crucis’, in particolare l’incontro di Gesù che trasporta la croce con sua madre e le pie donne; oppure con Gesù morto, condotto al sepolcro, seguito dall’effige della Vergine Addolorata.
In tutte le chiese, a partire dal Colosseo con il papa, si svolgono le ‘Vie Crucis’, anche per le strade dei Paesi e nei rioni delle città; in alcuni casi per secolare tradizione esse sono svolte da fedeli con i costumi dell’epoca e giungono fino ad una finta crocifissione; in altri casi da secoli si svolgono cortei penitenziali di Confraternite con persone incappucciate o no, che si flagellano o si pungono con oggetti acuminati e così insanguinati proseguono nella processione penitenziale, come nella celebre penitenza di Guardia Sanframondi.
Ci vorrebbe un libro per descriverle tutte, ma non si può dimenticare di citare i riti barocchi del Venerdì Santo di Siviglia.
Alla ‘Passione’ di Gesù è associata l’immagine della Vergine Addolorata, che i più grandi artisti hanno rappresentato insieme alla Crocifissione, ai piedi della Croce, o con Cristo adagiato fra le sue braccia dopo la deposizione, come la celebre ‘Pietà’ di Michelangelo, il ‘Compianto sul Cristo morto’ di Giotto, la ‘Crocifissione’ di Masaccio, per citarne alcuni.
Il soggetto della ‘Passione’, ha continuato ad essere rappresentato anche con le moderne tecnologie, le quali utilizzando attori capaci, scenografie naturali e drammaticità delle espressioni dolorose; ha portato ad un più vasto pubblico nazionale ed internazionale l’intera vicenda terrena di Gesù.
È il caso soprattutto del cinema, con tanti filmati di indubbio valore emotivo, come “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini; il “Gesù di Nazareth” di Franco Zeffirelli, la serie di quelli storici e colossali, come “Il Re dei re”, “La tunica”, ecc. fino all’ultimo grandioso per la sua drammaticità “La Passione di Cristo” di Mel Gibson.
Inoltre la televisione presente ormai in ogni casa, ha riproposto ad un pubblico ancor più vasto le produzioni televisive ed i tanti films con questo soggetto, che per questioni economiche e per la crisi delle sale cinematografiche, non sarebbero stati più visti.
Il Venerdì Santo è il giorno della Croce, di questo simbolo che è di guida ai cristiani e nel contempo tiene lontani altri da questa religione, che per tanti versi ha al suo centro il dolore e la sofferenza, seppure accettata e trasfigurata; e si sa che a nessuno piace soffrire e tutti vorrebbero tendere alla felicità senza prima soffrire.

A conclusione si riportano i soggetti delle XIV Stazioni della Via Crucis:
I = Il processo e la condanna;
II = Il carico sulle spalle della croce;
III = La prima caduta;
IV = L’incontro con la Madre;
V = L’aiuto del Cireneo;
VI = L’incontro con la Veronica;
VII = Seconda caduta;
VIII = L’incontro con le donne di Gerusalemme;
IX = Terza caduta;
X = Gesù denudato e posto sulla croce;
XI = La crocifissione;
XII = La morte in Croce;
XIII = La deposizione;
XIV = La sepoltura nella tomba.

Autore: Antonio Borrelli 

Publié dans:feste - Pasqua, feste del Signore |on 21 avril, 2011 |Pas de commentaires »

Giovedì Santo

Giovedì Santo dans immagini sacre borras-last-supper

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Giovedì Santo 2010 – Omelia del Patriarca Fouad : “Questo è il mio Corpo … Fate questo in memoria di Me” (Lc 22:19)

dal sito:

http://www.lpj.org/index.php?option=com_content&view=article&id=436:homelie-du-patriarche-fouad-pour-le-jeudi-saint&catid=35:homelies&Itemid=68&lang=it

Giovedì Santo 2010 – Omelia del Patriarca Fouad

“Questo è il mio Corpo … Fate questo in memoria di Me” (Lc 22:19)

Care sorelle, cari fratelli,

In questa Città Santa, nel Cenacolo, il Signore Gesù prese del pane e del vino. Cambiando la preghiera rituale, Egli proclamò che il suo Corpo, significato dal pane, sarebbe stato offerto per noi e che il suo Sangue, significato dal vino sarebbe stato sparso per noi e per la remissione dei peccati.
In qualità di Eterno Sommo Sacerdote, “secondo l’ordine di Melchisedek”, Egli offrì non un sacrificio animale, ma uno spirituale. La sua totale obbedienza al Padre, manifestata attraverso l’accettazione della morte in croce, sarebbe stata l’unico sacrificio della Nuova Alleanza. Nei racconti dei Vangeli e negli altri scritti del Nuovo Testamento il Sacerdozio di Gesù, annunciato nell’Ultima Cena, troverà il suo compimento sul Calvario, a pochi da questa tomba vuota, davanti alla quale ora ci troviamo.
Più che mai in quest’anno, proclamato il 19 giugno 2009 da Sua Santità il Papa Benedetto XVI “Anno Sacerdotale”, siamo sollecitati a riflettere sul Sacerdozio di Cristo, alla luce delle parole di Eb 5,1ss, e sul nostro sacerdozio. Nell’Antica Alleanza i sacerdoti, presi da una sola tribù, immolavano vittime nel Tempio. Il nostro Sommo Sacerdote “non ha chiesto sacrifici né olocausti”, ma ha offerto la sua stessa vita per noi. Gesù, come afferma S. Agostino, fu ed è “nello stesso tempo Sacerdote, Vittima e altare”. Allo stesso modo, a noi è donato e chiesto di ripetere il Suo gesto, offrendo, come Melchisedek, pane e vino. A noi è inoltre chiesto di proclamare in prima persona e a far sì che i nostri fedeli proclamino con noi “la Sua morte finchè Egli venga ogni volta che noi mangiamo questo pane e beviamo questo calice” (1 Cor 11,26).
Nella Lettera di indizione dell’Anno dei Sacerdoti il Santo Padre cita le parole di san Giovanni Maria Vianney: “Il sacerdozio è l’amore del Cuore di Gesù”, sottolineando che si tratta in primo luogo del Cuore trafitto sulla Croce. I sacerdoti della Nuova Alleanza, “vasi di creta”, consapevoli della loro debolezza, sanno di essere amici di Cristo e non suoi schiavi. Essi sono ministri di una Nuova Alleanza (2 Cor 3,6), che hanno ricevuto misericordia (2 Cor 4,1) e così possono servire Dio e il suo gregge con amore e non nella paura (1 Cor 4,1).
Il sacerdozio di Cristo, nonostante i nostri limiti umani, ci costituisce nella dignità di offrire noi stessi “in sacrificio vivente, santo e gradito a Dio”, espressione del nostro culto spirituale, cioè razionale (cfr Rm 12,1-2). Senza il sacerdozio, quindi, “non potremmo avere il Signore con noi”, secondo le parole del santo curato d’Ars! E il Papa drammaticamente aggiunge che “senza sacerdozio la passione e la morte di Cristo rimarrebbero per noi inaccessibili”, quasi un semplice ricordo di un passato lontano, senza alcuna attualità ed efficacia nelle nostre esistenze. Ecco invece che attraverso le parole della consacrazione trova compimento la profezia di Malachia (1,11): “Dall’oriente all’occidente il Nome del Signore è grande fra le genti e dovunque un sacrificio e un’oblazione pura è offerto al mio Nome”. Si, senza sacerdozio l’opera della Redenzione non continua e non ha alcuna efficacia.
In quest’anno, inoltre, la Chiesa deplora le debolezze, le deviazioni e gli abusi dei sacerdoti per i quali anche noi chiediamo perdono. Tali fatti spiacevoli provano che “noi abbiamo questo tesoro in vasi di argilla e che quest’autorità straordinaria viene da Dio e non da noi” (2 Cor 4,7). L’ammissione delle nostre debolezze, imperfezioni e limiti – come afferma il Santo Padre – costituisce il primo e più importante passo. La nostra confessione e umiltà offrono un buon esempio. Il perdono del Signore e la comprensione del gregge ci aiutano e ci incoraggiano ad essere “una cosa sola con Cristo”, ad essere “altri Cristi”.
Cari fratelli e sorelle, è in questa città di Gerusalemme che il Signore Gesù ha istituito il sacerdozio in vita del ministero della Nuova Alleanza, secondo lo Spirito e non secondo la lettera, insieme al sacerdozio regale di ogni battezzato, uomo e donna, secondo le parole della 1 Pt 2,9. Grazie al battesimo, infatti, noi tutti siamo sacerdoti, profeti e re, rigenerati nell’acqua e nello SpiritoSanto, come figli spirituali di questa nuova Gerusalemme, aperta a tutti i popoli (cfr Is 2,2-3;Sal 87[86],5). Questo sacerdozio regale abilita ogni fedele ad offrire al Signore il sacrificio di lode, la propria vita, le sofferenze e i meriti quali oblazione spirituale gradita a Dio.
Spiritualmente uniti a tutti i sacerdoti e religiosi del mondo, in comunione con i nostri sacerdoti, religiosi e religiose e con tutti i fedeli che non hanno potuto essere qui con noi oggi, ringraziamo il Signore per il dono del nostro sacerdozio e per il dono dell’Eucaristia. Ringraziamo anche per il privilegio di vivere in questi luoghi santi.
Rinnoviamo insieme la nostra alleanza con il Signore e il nostro amore per Lui. Questo rinnovamento esprime la nostra ferma volontà di rimanerGli fedele ogni giorno e per sempre e significa anche la continua protezione del Signore, perché è Lui il nostro Dio e noi siamo i suoi ministri e rappresentanti. In verità, noi lavoriamo per Lui, agiamo in Nome suo e per il bene del Suo popolo, riscattato dal suo sangue prezioso. Diciamo ancora “si”, ripetendo le promesse della nostra ordinazione sacerdotale e della nostra consacrazione.
Cari Sacerdoti e Religiosi, oggi è il vostro giorno. E’ la vostra festa. Gioiamo insieme nel Signore. “Haec est dies quam fecit Dominus: Exultemus et laetemur in ea”. Amen!

+ Fouad Twal, Patriarca

Giovedi Santo, 1 Aprile 2010

SANTA MESSA IN CENA DOMINI – OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II (1998)

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/john_paul_ii/homilies/1998/documents/hf_jp-ii_hom_09041998_cenadomini_it.html

SANTA MESSA IN CENA DOMINI
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Giovedì Santo, 9 aprile 1998  

1. « Verbum caro, panem verum / Verbo carnem efficit… ».

« La parola del Signore / pane e vino trasformò: / pane in carne, vino in sangue, / in memoria consacrò. / Non i sensi, ma la fede prova questa verità ».

Queste poetiche espressioni di san Tommaso d’Aquino riassumono bene l’odierna Liturgia vespertina « in Cena Domini », e ci aiutano ad entrare nel cuore del mistero che celebriamo. Leggiamo nel Vangelo: « Gesù sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine » (Gv 13,1). Oggi è il giorno nel quale ricordiamo l’istituzione dell’Eucaristia, dono dell’amore e sorgente inesauribile di amore. In essa è scritto e radicato il nuovo comandamento: « Mandatum novum do vobis… »: « Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri » (Gv 13,34).
2. L’amore raggiunge il suo vertice nel dono che la persona fa di se stessa, senza riserve, a Dio ed ai fratelli. Lavando i piedi agli Apostoli, il Maestro propone loro un atteggiamento di servizio: « Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri » (Gv 13,13-14). Con questo gesto, Gesù rivela un tratto caratteristico della sua missione: « Io sto in mezzo a voi come colui che serve » (Lc 22,27). Vero discepolo di Cristo è, pertanto, solamente colui che «prende parte» alla sua vicenda, rendendosi come Lui sollecito nel servizio agli altri anche con sacrificio personale. Il servizio, infatti, cioè la cura delle necessità del prossimo, costituisce l’essenza di ogni potere ben ordinato: regnare significa servire. Il ministero sacerdotale, di cui oggi celebriamo e veneriamo l’istituzione, presuppone un atteggiamento di umile disponibilità, soprattutto verso i più bisognosi. Solo in questa luce possiamo cogliere appieno l’evento dell’ultima Cena, che stiamo commemorando.
3. Il Giovedì Santo è qualificato dalla Liturgia come «l’eucaristico oggi», giorno in cui « Gesù Cristo nostro Signore affidò ai suoi discepoli il mistero del suo Corpo e del suo Sangue, perché lo celebrassero in sua memoria » (Canone romano per il Giovedì Santo). Prima di essere immolato sulla Croce il Venerdì Santo, Egli istituì il Sacramento che perpetua questa sua offerta in tutti i tempi. In ogni Santa Messa, la Chiesa fa memoria di quell’evento storico decisivo. Con viva trepidazione il sacerdote si china all’altare sopra i doni eucaristici, per pronunciare le medesime parole dette da Cristo « nella notte in cui fu tradito ». Egli ripete sul pane: « Questo è il mio corpo, che è (dato) per voi » (1 Cor 11,24), e poi sul calice del vino: « Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue » (1 Cor 11,25). Da quel Giovedì Santo di quasi duemila anni or sono fino a questa sera, Giovedì Santo del 1998, la Chiesa vive mediante l’Eucaristia, si lascia plasmare dall’Eucaristia, e continua a celebrarla in attesa del ritorno del suo Signore.
Facciamo nostro, questa sera, l’invito di sant’Agostino: O Chiesa amatissima « manduca vitam, bibe vitam: habebis vitam, et integra est vita! »: « mangia la vita, bevi la vita: avrai la vita ed essa resterà intatta! » (Sermo CXXXI, I, 1).
4. « Pange, lingua, gloriosi / Corporis mysterium / Sanguinisque pretiosi… « . Adoriamo questo «mysterium fidei», di cui si nutre la Chiesa incessantemente. Si ridesti nei nostri cuori il senso vivo e trepido del sommo dono che è per noi l’Eucaristia.
E si ridesti la gratitudine, legata al riconoscimento del fatto che non vi è nulla in noi che non ci sia stato donato dal Padre di ogni misericordia (cfr 2 Cor 1,3). L’Eucaristia, il grande «mistero della fede», rimane innanzitutto e soprattutto un dono, qualcosa che abbiamo «ricevuto». Lo ribadisce san Paolo, introducendo il racconto dell’ultima Cena con queste parole: « Io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso » (1 Cor 11,23). La Chiesa l’ha ricevuto da Cristo e nel celebrare questo sacramento rende grazie al Padre celeste per quanto Egli in Gesù, suo Figlio, ha fatto per noi.
Accogliamo ad ogni celebrazione eucaristica questo dono sempre nuovo; lasciamo che il suo potere divino pervada i nostri cuori e li renda capaci di annunciare la morte del Signore nell’attesa della sua venuta. «Mysterium fidei» canta il sacerdote dopo la consacrazione; ed i fedeli rispondono: « Mortem tuam annuntiamus, Domine… « : « Annunziamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta ». La somma della fede pasquale della Chiesa è contenuta nell’Eucaristia.
Anche questa sera rendiamo grazie al Signore che ha istituito questo grande Sacramento. Noi lo celebriamo e lo riceviamo per trovare in esso la forza di avanzare sulla strada dell’esistenza attendendo il giorno del Signore. Allora saremo introdotti anche noi nella dimora dove Cristo, Sommo Sacerdote, è entrato mediante il sacrificio del suo Corpo e del suo Sangue.
5. « Ave, verum corpus, natum de Maria Virgine »: « Ave, vero corpo, nato da Maria Vergine », così prega quest’oggi la Chiesa. In questa « attesa della sua venuta », ci accompagni Maria, dalla quale Gesù ha preso il corpo, lo stesso corpo che questa sera condividiamo fraternamente nel banchetto eucaristico.

« Esto nobis praegustatum mortis in examine »: « Ci sia dato di pregustarti nel momento decisivo della morte « . Sì, prendici per mano, o Gesù eucaristico, in quell’ora suprema che ci introdurrà nella luce della tua eternità: « O Iesu dulcis! O Iesu pie! O Iesu, fili Mariae! »  

And He walked through their midst

And He walked through their midst dans immagini sacre image017

http://www.agdei.com/Roxolana.html

Publié dans:immagini sacre |on 19 avril, 2011 |Pas de commentaires »

PREPARIAMOCI AL PERDONO VICENDEVOLE: L’ASCESI, UN MEZZO DA AMARE

dal sito:

http://www.atma-o-jibon.org/italiano6/letture_patristiche_d.htm#

PREPARIAMOCI AL PERDONO VICENDEVOLE

L’ASCESI, UN MEZZO DA AMARE

Paolo Evdokimow *

Paolo Evdokimov è morto il 16 settembre 1970. Nato a Pietroburgo nel 1901, aveva iniziato gli studi di teologia a Kiev. La rivoluzione del 1917 lo costringe all’esilio e termina gli studi in Francia. Intellettuale di gran classe, dottore in filosofia ed in teologia, professore presso l’Istituto Saint-Serge, resta laico, ed è in qualità di laico, cosciente del sacerdozio comune dei fedeli, che mette al servizio della Chiesa una conoscenza profonda della tradizione ed un acuto senso dei segni del tempo e delle sue istanze. Già prima del 1940 è noto come pioniere dell’ecumenismo e, nel 1962, sarà inviato in qualità di ‘osservatore’ al Concilio Vaticano II. Le sue opere, segnatamente sulla teologia dello Spirito Santo, hanno stabilito la convergenza e l’accordo possibili fra le posizioni cattoliche e quelle ortodosse.

Le forme particolari dell’ascesi riflettono l’epoca che attua tale ascesi e si adattano alla sua mentalità. Nelle condizioni della vita moderna, sotto il peso del sovraffaticamento e dell’usura nervosa, la sensibilità si trasforma. La medicina protegge la vita e la prolunga, diminuendone al tempo stesso la resistenza alle sofferenze ed alle privazioni. L’ascesi cristiana non è mai stata fine a se stessa, è soltanto un mezzo, un metodo a servizio della vita, e come tale cercherà di assuefarsi alle nuove necessità.
Un tempo l’ascesi dei Padri del deserto imponeva digiuni e privazioni intense ed estenuanti; oggi la lotta si sposta. L’uomo non ha bisogno di un dolorismo supplementare; cilicio, catene, flagellazioni, rischierebbero di sfibrarlo inutilmente. La mortificazione del nostro tempo consisterà nella liberazione dal bisogno di stupefacenti: fretta, rumore, eccitanti, droga, alcoli di tutti i generi. L’ascesi consisterà più che altro nel riposo imposto, nella disciplina della quiete e del silenzio, dove l’uomo ritrova la facoltà di concentrarsi per la preghiera e la contemplazione, perfino in mezzo a tutti i rumori del mondo, nella metropolitana, fra la folla, ai crocicchi di una città; ma più di ogni altra cosa, l’ascesi consisterà nella facoltà di comprendere la presenza degli altri, gli amici di ciascun incontro. Il digiuno, all’opposto della macerazione inflitta, sarà la rinuncia gioiosa al superfluo, la sua spartizione con i poveri, un equilibrio sorridente, spontaneo, pacato. Al di là della ascesi fisica e psicologica del Medio Evo si dovrebbe ricercare l’ascesi escatologica tipica dei primi secoli, cioè quell’atto di fede che faceva dell’essere umano nella sua complessità l’attesa gioiosa della Parusia, l’attesa non tanto cronologica, quanto qualitativa, che sa discernere il termine ultimo ed unico; I quanto, secondo il Vangelo, il tempo è breve e «lo  Spirito e la Sposa dicono: Vieni! ».
In questo modo, l’ascesi si trasforma in attenzione ai chiami del Vangelo, alla scala delle beatitudini; cercherà umiltà e la purezza del cuore, al fine di liberare il proprio prossimo e restituirlo a Dio. In un mondo affaticato, schiacciato dalle preoccupazioni e dagli affanni, che vive a ritmi 3mpre più frenetici, il compito è di trovare e vivere «l’iniziativa spirituale» che conduce a sedersi alla tavola dei pec3tori, a benedire ed a spezzare il pane insieme con loro…
Nessuna ascesi, priva dell’amore, avvicina a Dio: «Noi saremo giudicati per il male che abbiamo compiuto, ma soprattutto per il bene che abbiamo omesso e perché non amiamo il nostro prossimo», dice san Massimo.
Oggi l’ascesi nella vita spirituale protegge lo spirito dal dominio del mondo e raccomanda di «vincere il male creando il bene». Ne consegue che l’ascesi non rimane nient’altro che un mezzo, che una strategia. L’uomo può suscitare un’atmosfera morbosa, allucinante, in cui vede ovunque il male ed il peccato. Ora, l’ascesi evangelica trascina non tanto per eccesso di paura, quanto per eccesso d’amore traboccante di tenerezza cosmica. Santa Dorotea offre una bella immagine della salvezza sotto forma di un cerchio il cui centro è Dio e la cui circonferenza è formata a tutti gli uomini. Più ci si avvicina al centro – Dio – più i raggi del cerchio, il prossimo, si avvicinano gli uni agli altri. Sant’Isacco diceva al suo discepolo: «Ecco, fratello, un comandamento che ti affido: la misericordia trabocchi sempre dalla tua bilancia, fino al momento in cui sentirai in te tesso la misericordia che Dio prova per te e per il mondo».

 * L’Orthodoxie, in «Unité chrétienne: Pages Documentaires», Lione, nov. 1970, pp. 34-35 e 41.

Publié dans:meditazioni, Ortodossia |on 19 avril, 2011 |Pas de commentaires »

Pasqua giudaica e pasqua cristiana – la discontinuità

dal sito:

http://www.nostreradici.it/pasqua_cristiana.htm#Origene

Pasqua giudaica e pasqua cristiana – la discontinuità 

Il nesso tra Pasqua giudaica e Pasqua cristiana si situa a un livello ben più profondo della coincidenza cronologica, ovvero nella comprensione dell’evento Cristo in chiave storico-salvifica attraverso la griglia di lettura fornita dalla Pasqua storica dell’Esodo, memoriale del riscatto del popolo di Israele dalla schiavitù d’Egitto. Qui troviamo le ragioni non più solo della continuità tra la Pasqua di Israele e quella della chiesa, ma anche e soprattutto dello scarto che separa la seconda dalla prima, scarto la cui misura è data dalla tipologia, cioè dalla struttura binaria che ora taglia l’intera storia dell’umanità e che ha il suo punto discriminante in Cristo.
La realtà non è più univocamente orientata e determinata, ma è ora suddivisa in due versanti (due « economie’), quello della figura (typos) e quello della verità, quello dell’immagine e quello della realtà, quello del preannuncio e quello del compimento, quello della Legge e quello del Verbo. Tutto questo presuppone che le realtà della storia di Israele perdano consistenza propria e assumano significato solo in rapporto a Cristo. Questo trasferimento, quanto alla Pasqua di Es12, è già presente nella perentoria proclamazione dell’Apostolo Paolo: « Cristo, nostra Pasqua (Pascha nostrum) è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verìtà » (1 Cor 5, 7-8)
Qui gli elementi rituali della Pasqua di Es 12 appaiono risignificati e trasferiti su Cristo come Pascha, qui da intendere nel senso di « agnello pasquale » immolato, l’agnello il cui sangue valse agli ebrei la salvezza dal flagello di sterminio » con cui Dio colpì l’Egitto (Es 12, 7-13). Anche il Vangelo di Giovanni legge la morte di Cristo in croce (il giorno di Pasqua, nell’ora in cui nel tempio i sacerdoti uccidevano gli agnelli) come immolazione dell’agnello pasquale, al quale « non sarà spezzato alcun osso » (Es 12, 46, citato in Gv 19, 36).
Anche altrove nel Nuovo Testamento – in particolare 1 Pt 1,19 (« foste liberati … con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia »: cf. Es 12, 5; ma anche 1 Pt 2, 9: « Vi ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce », da confrontare con Pesachim e Melitone) – si segnalano tracce di una haggadah pasquale cristiana, cioè di una illustrazione/spiegazione del significato della Pasqua (era una delle componenti del rito ebraico) in una prospettiva cristologica. Questa haggadah diviene la struttura stessa delle più antiche omelie pasquali cristiane, che poggiano sulla trasposizione tipologica delle prescrizioni di Es 12, la cui lettura durante la liturgia è esplicitamente attestata.
Ma sono gli stessi racconti evangelici della passione a mettere in risalto la natura « pasquale » del sacrificio di Cristo (e non stupirà, dunque, che per l’intero Vangelo di Marco – definito, com’è noto, un racconto della passione con una lunga introduzione – sia stata avanzata l’ipotesi di un’origine come ‘haggadah pasquale cristiana »).
Non è escluso, anzi, che proprio questa comprensione – e la sua traduzione liturgica nelle prime comunità cristiane – si sia imposta sul resoconto storico-cronachistico degli eventi della passione e sia quindi all’origine della discordanza cronologica tra i racconti sinottici e quello di Giovanni. Per quest’ultimo, come abbiamo visto, Gesù muore il 14 del mese di Nisan, giorno della Pasqua giudaica (Gv 18, 28: i giudei non entrano nel pretorio « per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua »); per i Sinottici, invece, l’ultima cena di Gesù è per l’appunto un banchetto pasquale tenuto la sera del 14 Nisan (Mc 14, 12-16; Lc 22, 15: « Ho ardentemente desiderato mangiare questa Pasqua con voi prima di patire »).
Per Giovanni, dunque, Cristo stesso è l’agnello pasquale immolato, cui non viene « spezzato alcun osso »: questa prospettiva diviene il motivo guida della primitiva teologia pasquale: « Al posto dell’agnello il Figlio di Dio » (Melitone, Pseudo Ippolito, Apollinare di Gerapoli); nella prospettiva dei Sinottici, invece, la risignificazione dell’immolazione pasquale avviene a livello rituale, nel cenacolo, ma ha comunque come centro la morte redentrice di Cristo (Lc 22, 19: « Questo è il mio corpo dato per voi: fate questo in memoria di me »). La chiesa antica ha mantenuto un filone che collega la notte di Pasqua con la Pasqua-eucaristia dell’Ultima Cena. Canta un inno di Efrem Siro:
Beata sei tu, o notte ultima, perché in te si è compiuta la notte d’Egitto. Il Signore nostro in te mangiò la piccola Pasqua e divenne lui stesso la grande Pasqua: la Pasqua si innestò sulla Pasqua, la festa sulla festa. Ecco la Pasqua che passa e la Pasqua che non passa; ecco la figura e il suo compimento.
È stato ipotizzato che i racconti sinottici della cena pasquale altro non siano che la storicizzazione delle prime liturgie pasquali dei cristiani, cioè del memoriale con cui i cristiani riconoscevano nella immolazione in croce di Cristo la nuova Pasqua redentrice del (nuovo) popolo di Dio. Come che sia, i Sinottici e Giovanni ci ammettono da punti di inserzione diversi in quella piena circolarità tra l’evento originario e la sua traduzione/attualizzazione sacramentale che può forse confondere i termini dell’esatto decorso storico ma non meno realmente pone la croce e l’eucaristia al centro della Pasqua dei cristiani.

buona notte

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Tramonto in Serengeti di Richard Spencer

http://www.publicdomainpictures.net/browse-category.php?c=paesaggio&s=12

Omelia (19-04-2011): Non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/22164.html

Omelia (19-04-2011)

Movimento Apostolico – rito romano

Non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte

La passione di Gesù è prima spirituale e poi fisica, prima dell’anima e poi del corpo. Finora, dal primo giorno della sua missione in mezzo al suo popolo, Gesù ha sofferto tanto nel suo spirito. Le ostilità contro di Lui erano infinite ed ogni giorno ne spuntavano di nuove. Lo si accusò persino di essere amico di Beelzebùl. Ogni giorno mille trappole erano piazzate sul suo cammino, pronte a scattare per catturarlo. La sua ora non era ancora venuta e la sofferenza rimase solo spirituale, morale.
Ora è giunto il momento della sofferenza fisica e morale insieme. Gli Evangelisti presentano coloro che sono gli Attori di questa sofferenza, che attraversa per intero corpo, spirito e anima di Gesù. Il primo attore è Giuda. Costui è un ladro, un assetato di denaro. Sapendo che i sommi sacerdoti vogliono uccidere Gesù, lui approfitta di questa circostanza per un suo eccellente guadagno. Lui lo consegnerà loro ed essi lo pagheranno. Gli daranno una somma consistente. Questi i patti.
Giuda è però discepolo del Signore, uno che Gesù aveva chiamato per farne un altro se stesso, un operatore di carità, giustizia, pace, un uomo libero da ogni concupiscienza e altri vizi. Gesù voleva fare di Giuda un modello di uomo nuovo. Per questo il Signore soffre nel suo spirito, per la durezza del cuore di Giuda. Non si è lasciato plasmare, rinnovare, cambiare. Ha rifiutato ogni suo aiuto e con somma ipocrisia ora è nel Cenacolo, pronto a spiare Gesù al fine di consegnarlo. Gesù lo sa e soffre. Vede l’ipocrisia e la rivela. Conosce il cuore di Giuda e gli dona un segno perché si converta, abbandoni il suo proposito malvagio, chieda perdono.
Giuda è però insensibile. Finge amicizia. Gesù lo inviata ad uscire dal Cenacolo, a fare presto, al più presto quello che ha già deciso di fare. Lui esce dal Cenacolo, nel quale regna la luce eterna, divina, che illumina ogni uomo. Fuori invece è notte. E l’ora delle tenebre. Il buio interiore di Giuda si immerge e si annulla nel buio esteriore. Anche Pietro dona passione spirituale a Gesù a motivo della sua incredulità.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, libera il nostro cuore da ogni sete di denaro. Fallo puro e semplice. Angeli e Santi di Dio, aiutateci a credere in ogni Parola di Gesù.

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