IL MISTERO DELLA PASQUA RISPLENDE DI STUPORE E DI MERAVIGLIA (il titolo l’ho tratto dal testo, è citazione)

dal sito:

http://www.donbosco-torino.it/ita/Domenica/01-annoA/AnnoA-2011/04-Pasqua-A_2011/Omelie/01-Domenica-Pasqua-A_SC.html

(una citazione per titolo: IL MISTERO DELLA PASQUA RISPLENDE DI STUPORE E DI MERAVIGLIA – )

« Non è qui. È risorto, come aveva detto »

Se tutto nelle opere di Dio porta il segno dello « stupore », direi che soprattutto il mistero della Pasqua splende di stupore e di meraviglia.
È quanto mette in evidenza il Salmo responsoriale, che direttamente sembra riferirsi alla prodigiosa ricostruzione del secondo Tempio dopo il ritorno dall’esilio1 e che la Liturgia applica alla festa di Pasqua:
« La destra del Signore si è alzata,
la destra del Signore ha fatto meraviglie…
La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo;
ecco l’opera del Signore:
una meraviglia ai nostri occhi.
Questo è il giorno fatto dal Signore:
rallegriamoci ed esultiamo in esso » (Sal 118,16.22-24).
La « gioia » che ci pervade in questi giorni santi è proporzionata alla « meraviglia delle meraviglie » che Dio ha saputo operare risuscitando Cristo dai morti: perché la « pietra scartata dai costruttori » è proprio lui! Dio, però, più saggio architetto degli uomini, lo ha posto come « testata d’angolo »2 per sorreggere il nuovo « tempio », formato da tutti i redenti, vincitori ormai anch’essi della morte insieme al loro Signore. Mentre gli uomini gli avevano decretato la morte, Dio lo ha costituito « giudice dei vivi e dei morti » (At 10,42), colui « nel quale soltanto c’è salvezza » (At 4,12).

« Dio lo ha risuscitato al terzo giorno »
Questo senso di « stupore » lo cogliamo anche nell’annuncio che Pietro fa nella casa del centurione Cornelio, dopo la prodigiosa apparizione celeste che gli aveva fatto capire come la via della salvezza era ormai aperta anche ai pagani.
Dopo aver richiamato alcuni tratti della vicenda terrena di Gesù di Nazaret, Pietro ricorda come essa si sia drammaticamente conclusa a Gerusalemme: i Giudei « lo uccisero appendendolo a una croce » (At 10,39)! E questo, nonostante che egli fosse passato « beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui » (v. 38).
Proprio questa incomprensione dei Giudei fa crescere in noi la « meraviglia »: perché gli uomini non sono riusciti a vedere Dio proprio là dove era più presente? Come spiegare questa cecità, che rasenta i limiti dell’assurdo e dell’incredibile?
Meraviglia più grande, però, prova ed esprime san Pietro nel proclamare la risurrezione di Cristo, nella quale Dio si è preso la rivincita sulla ottusità e durezza di cuore degli uomini: « Ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. E ci ha ordinato di annunziare al popolo e di attestare che egli è il giudice dei vivi e dei morti costituito da Dio. Tutti i profeti gli rendono questa testimonianza: chiunque crede in lui, ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome » (At 10,40-43).
Quel gesto di familiarità e di amicizia del Cristo risorto, che « mangia e beve » con i suoi Apostoli (At 10,41)3, commuove ed esalta ancora san Pietro. Nello stesso tempo, però, esso è la dimostrazione che Gesù è « veramente risorto » (cf Lc 24,34) ed è ormai l’eterno Vivente, che può compiere all’infinito gesti di risurrezione per tutti quelli che « credono » in lui: « Chiunque crede in lui, ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome » (v. 43).
La forza della risurrezione ormai fermenta la storia e diventa come il « giudizio » di Dio sugli uomini: si è « vivi » o si è « morti » nella misura in cui ci si lascia « trasformare » dalla potenza di questa vita « nuova » che è esplosa nel Cristo quando la pietra che chiudeva il sepolcro si è rovesciata, come ci dirà anche meglio san Paolo nella seconda lettura (Col 3,1-4).

Le donne « avvicinatesi, gli strinsero i piedi e lo adorarono »
Anche il brano di Vangelo è tutto percorso da un senso di stupore e di meraviglia. Anzi san Matteo, più degli altri Evangelisti, accentua questo aspetto, ricordandoci il « grande terremoto » che avvenne al momento della risurrezione del Signore e l’aspetto « rifulgente » di gloria dell’Angelo che fa rotolare la pietra del sepolcro e vi si asside sopra.
Sono tratti ripresi dal genere letterario « apocalittico », che vogliono suggerire la irruzione della potenza di Dio proprio là dove sembrava che gli uomini avessero seppellito per sempre, con il cadavere di Cristo, ogni speranza di vita. Non per nulla la storia della Passione si concludeva con la seguente annotazione: « Essi (cioè i Giudei) andarono e assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia » (Mt 27,66).
Ma analizziamo più dettagliatamente il racconto di san Matteo, cercando di cogliere il suo specifico messaggio. Pur convergendo infatti, nella sostanza, con la narrazione degli altri Evangelisti, egli vi introduce non pochi elementi propri, che dicono la sua « reinterpretazione » dei fatti.
Prima di tutto, il grande rilievo dato alla testimonianza delle donne, che sono Maria di Magdala e « l’altra Maria », cioè Maria di Giacomo.4 Esse non soltanto vanno al sepolcro, come ci dicono anche gli altri Evangelisti, ma hanno per prime, e insieme, l’apparizione di Gesù risorto (Mt 28,9-10). La loro andata al sepolcro, inoltre, non è per « ungere » il corpo del Signore, come in Marco e in Luca, ma per « visitare » la tomba (v. 1), che di fatto troveranno vuota. Indubbiamente Matteo intende dare un fondamento solido alla testimonianza della risurrezione.
Strano, però, che egli affidi e riconosca alle donne questa capacità di testimonianza, che invece san Paolo ignora,5 fedele in ciò alla tradizione giudaica, che non accettava la testimonianza di qualsiasi donna. Proprio per questo dobbiamo pensare di trovarci davanti a una tradizione storica sicura, che non avrebbe potuto essere inventata per nessun motivo.
D’altra parte, è assai importante che la prima esperienza del Cristo risorto la facciano delle donne e ne diventino anche le prime « annunciatrici ». Forse è il premio della loro fede, della loro semplicità e capacità di amare e di intuire: il loro andare al sepolcro già si pone in una linea di amore e di fedeltà al Signore. Gli Apostoli, invece, delusi e impauriti, più calcolatori che generosi, se ne stanno alla larga: addirittura non credono alla testimonianza delle donne, che ritengono come una forma di « vaneggiamento » (cf Lc 24,11).
Anche l’incontro con Gesù avviene in un clima di intensa commozione e di manifestazione scambievole di affetto: « Ed ecco Gesù venne loro incontro dicendo: « Salute a voi ». Ed esse, avvicinatesi, gli strinsero i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: « Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno »" (vv. 9-10). Quel gesto di « adorazione » (prosek´ynesan: v. 9), che Matteo carica di significato teologico, esprime la fede della Chiesa nel Signore risorto, ma anche la gioia e l’esultanza di poterlo quasi abbracciare e come afferrare con le proprie mani: tanto è « vero » il suo ritorno alla vita!
Una fede, dunque, quella nel Cristo risorto, che nasce dall’amore e genera l’amore, creando un consorzio di vita infrangibile con lui. È in questa linea che si muove anche il racconto dell’apparizione a Maria di Magdala, riferito con accenti commossi da san Giovanni (20,11-18). La priorità data alle donne nella storia delle apparizioni del Cristo risorto non è solo il riconoscimento della loro alta funzione nella Chiesa, ma direi soprattutto il riconoscimento del primato dell’amore e anche della « gioia » nell’annuncio della fede.

« Non abbiate paura, voi! So che cercate il crocifisso »
Sul tema della « gioia » insiste soprattutto la prima parte del Vangelo odierno. Dopo aver fatto cenno al terremoto e all’apparizione dell’Angelo, che si asside sulla pietra sepolcrale da lui fatta rotolare, il testo continua: « Per lo spavento che ebbero di lui le guardie tremarono tramortite. Ma l’Angelo disse alle donne: « Non abbiate paura, voi! So che cercate il crocifisso. Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l’ho detto ». Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli » (vv. 4-8).
È evidente il contrasto fra lo « spavento » delle guardie e l’invito alla « gioia » rivolto alle donne: « Non abbiate paura, voi! So che cercate il crocifisso ». Sono stati d’animo diversi quelli che generano rispettivamente gioia e spavento: le donne « cercano » il Signore, perché lo amano. In un certo senso, direi che Gesù è già risorto nel loro cuore! I nemici di Cristo invece lo temono: il suo ritorno alla vita li giudica e li condanna. Lo vogliono per sempre morto, perché è già morto nel loro cuore!
Se anche nel cuore delle donne c’è un certo « timore » (v. 8), è solo senso di sorpresa davanti a qualcosa di inatteso e di troppo grande per loro; non appena però ne possono verificare il significato, la gioia riprende il sopravvento e « in fretta, con timore e gioia grande » corrono a darne l’annuncio agli Apostoli (v. 8). Si confronti questo particolare con il testo parallelo di Marco, per capire l’accentuazione della gioia fatta dal primo Evangelista: « Ed esse (le donne), uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura » (Mc 16,8).

È chiaro che Matteo rilegge gli eventi pasquali alla luce della loro posteriore assimilazione da parte della comunità cristiana: una comunità di credenti che si sente salvata da Cristo e che nella sua risurrezione già esperimenta e pregusta la propria risurrezione, quella attuale nello spirito e quella futura del proprio stesso corpo. Tutti motivi da far impazzire il cuore di gioia!
È la « gioia » che solennemente esplode nel canto del « preconio » pasquale nella Liturgia della veglia notturna: « Esulti il coro degli Angeli, esulti l’assemblea celeste, un inno di gloria saluti il trionfo del Signore risorto. Gioisca la terra, inondata di così grande splendore; la luce del Re eterno ha vinto le tenebre del mondo. Gioisca la madre Chiesa, splendente della gloria del suo Signore, e questo tempio tutto risuoni per le acclamazioni del popolo in festa ».
« Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù »
Tutto questo indica che gli Evangelisti, narrando e proclamando la risurrezione del Signore, non intendevano rievocare solo un grandioso evento del passato, ma celebrare un « mistero » di salvezza, operante anche oggi nel cuore dei credenti e nel flusso stesso della storia.
È quanto san Paolo ricordava ai cristiani di Colossi, invitandoli a vivere alla luce del mistero della risurrezione. Se Cristo, risuscitando dai morti, ha aperto per sé e per noi, che siamo il suo « corpo », le porte del cielo e ci ha ricongiunti con Dio, vuol dire che anche noi dobbiamo lasciarci trasportare in alto: c’è ormai come una forza di lievitazione che ci spinge verso orizzonti, che vanno oltre quelli puramente terreni.
« Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria! » (Col 3,1-4).
Qui, san Paolo si riferisce certamente al sacramento del Battesimo che, facendoci morire al peccato, ci introduce al mistero della « vita nuova » in Cristo, ci fa cioè risorgere con lui: « Da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo… Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù » (Ef 2,5-6). Soltanto che questa vita di « risorti » non risplende ancora del fulgore della « gloria », come già è avvenuto per Cristo; essa è invece « nascosta » nei segni modesti del nostro agire di ogni giorno.
L’importante, però, è vivere già da adesso da « figli della risurrezione », trascinando in questo impeto di rinnovamento anche i nostri fratelli e tutta la realtà creata. È così che anche noi, come ricordava sant’Atanasio nelle sue « Lettere pasquali », « celebreremo la festa del Signore, non con le parole soltanto, ma con le opere ».

Publié dans : feste - Pasqua |le 12 avril, 2011 |Pas de Commentaires »

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