Il beato Giovanni Duns Scoto, teologo dell’Eucarestia
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Il beato Giovanni Duns Scoto, teologo dell’Eucarestia
ROMA, lunedì, 28 febbraio 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito un estratto dal volumetto di Girolamo Pica, Il beato Giovanni Duns Scoto. Dottore dell’Immacolata (Elledici-Velar).
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Il beato Giovanni Duns Scoto, frate minore morto nel 1308 a Colonia, non ci ha lasciato opere specifiche sul Mistero Eucaristico, come le stupende pagine che ci ha regalato san Bonaventura nel suo trattato sulla preparazione alla Messa, o san Tommaso d’Aquino, con i suoi inni eucaristici nell’ufficio del Corpus Domini. Tutto ciò che noi abbiamo del beato Giovani Duns Scoto sono le lezioni universitarie su questo sacramento, contenute nel suo ultimo Commentario alle Sentenze di Pietro Lombardo, opera meglio nota col nome di Ordinatio.
Tuttavia, quando si vede il numero di questioni affrontate nel trattare l’argomento, e soprattutto l’ampiezza delle tematiche svolte e la profondità con cui ogni punto viene analizzato, allora ci si accorge subito di trovarsi dinnanzi ad un mirabile capolavoro di dottrina. A quel punto non sorprende più che alcuni abbiano definito Duns Scoto non soltanto il “Teologo del Verbo Incarnato” e il “Dottore dell’Immacolata” ma anche, e a buon diritto, il “Teologo dell’Eucarestia”.
Scoto definisce l’Eucarestia «un segno sensibile che, per istituzione divina significa efficacemente la grazia di Dio o effetto gratuito di Dio, ordinato alla salvezza dell’uomo viatore».
Però questo non basta. L’Eucaristia si distingue dagli altri sacramenti. Mentre questi consistono in un’azione fugace per conferire la grazia divina, nell’Eucaristia quel che si consegna all’uomo è lo stesso Autore della grazia. Cristo appare nell’Eucaristia come donazione dell’amore più grande di Dio all’uomo. Non un segno che passa, ma permanente, un segno sensibile, spiega Scoto, che «dopo la consacrazione, secondo il rito, della materia appropriata, contiene veramente il corpo e sangue di Cristo».
Questo fa dell’Eucarestia il più nobile dei sacramenti, nel quale tutti gli altri sacramenti trovano la loro pienezza.
Nell’Eucarestia Cristo offre ancora un altro gesto estremo, segno del Suo immenso amore per noi. Egli cioè non solo ha sofferto e dato la Sua vita sulla croce per la nostra salvezza, ma in questo sacramento Egli vuole rimanere ancora con noi, vuole farsi nostro compagno di viaggio e fonte di forza nel cammino della nostra vita, come lui stesso ha detto nel Vangelo: «Ecco che io sono con voi fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
Il Cristo eucaristico presentato da Duns Scoto, inoltre, è strettamente connesso con il Cristo centro del Creato, che abbiamo già presentato nelle pagine precedenti. Vuol dire che lui, il Cristo, Verbo Incarnato, con il Corpo e Sangue che furono causa della nostra redenzione, continuerà tra noi nel mondo, e non come un mero segno sensibile, ma nella sua realtà. In questo modo, dice Scoto, «ci sentiremo più impegnati nel mostrare a Cristo la nostra riverenza e devozione».
Vi è una stretta relazione fra Cristo e la creazione, la quale acquisisce il suo senso originale nel piano di Dio che l’ha voluta, dalla materia fino all’uomo, in relazione al Summum Opus del Suo amore. Il sommo amore che è Cristo davanti al Padre ci coinvolge tutti. L’Eucaristia costituisce in questo contesto esistenziale l’espressione più profonda, più vicina e pura dell’amore divino. In una parola, insuperabile. Un amore puro, senza condizionamenti, che Scoto propose nella sua visione originale della predestinazione di Cristo.
Dio, spiega il beato Giovanni Duns Scoto, non può ricevere né desiderare alcun vantaggio dall’amore di un altro essere. Soltanto può compiacersi della possibilità di comunicare questo amore e questa beatitudine ad altri: vuole che vi siano degli altri co-amanti. E nella sua liberalità predestina il primo e supremo amatore: Cristo, il Verbo Incarnato e Somma opera di Dio. Anche Lui vorrà altri co-amanti, perché l’amore non è chiusura, ma apertura nella comunione. E in vista di lui avrà l’esistenza tutto il Creato coinvolto in questa diffusione d’amore, della quale saranno espressione cosciente gli uomini. Questo è il mistero dell’amore nella grazia e nella carità data da Dio attraverso Cristo. E Cristo, segno visibile della divinità nel Suo Corpo umano durante la vita vuole continuare, realmente presente nell’Eucaristia: sacramento di Lui stesso e, con Lui, centro di tutto il Creato e donazione suprema dell’amore di Dio nella sua purezza e liberalità originale.
Il nostro Beato spiega che l’istituzione di questo sacramento da parte di Cristo ha per noi una molteplicità di finalità. Esso, ad esempio, ci aiuta a rendere a Dio il giusto culto di adorazione, ricordandoci sensibilmente che noi siamo in rapporto con un Dio personale.
E ancora, dal momento che per ricevere l’Eucaristia bisogna prima purificarsi dai peccati con la penitenza, è per noi anche un modo per ricordare di prenderci cura della nostra anima, tenendola libera dal peccato. Inoltre, l’Eucaristia serve per nutrire la nostra vita spirituale, per alimentare cioè quella grazia che noi abbiamo ricevuto all’inizio nel battesimo, così come fa il cibo materiale per il nostro corpo.
Alla luce di quanto sino ad ora spiegato, appare chiara allora anche un’altra verità che sta molto a cuore a Duns Scoto: la relazione tra il sacramento dell’Eucaristia e la Chiesa.
Nel punto in cui il nostro Beato parla della necessità di confessarsi prima di ricevere l’Eucaristia, egli sottolinea un motivo molto importante per cui è necessario ricevere il Corpo di Cristo degnamente e cioè, non soltanto per farsi perdonare da Dio, ma anche per «riconciliarsi con la Chiesa, e così poter ricevere il sacramento dell’unità ecclesiastica».
Così definisce Scoto l’Eucaristia: il «Sacramento dell’unità della Chiesa». Chiesa che più avanti chiama Corpo mistico di Cristo, di quel Cristo che secondo lui riassume in sé tutto il Creato «fatto in vista di Lui». La stessa “perpetuità temporale della Chiesa” nel tempo viene legata alla presenza in essa dell’Eucaristia. Il testo di san Paolo ai Corinzi 11, 26: «Tutte le volte che voi mangiate questo pane e bevete a questo calice, annunziate la morte del Signore finché Egli venga (alla fine dei tempi)». La stessa promessa di Gesù «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20) Scoto la vede adempiuta nella presenza eucaristica.
Infine, un ultimo mirabile testo di Scoto ci mostra allo stesso tempo non solo l’amore di Scoto per il mistero eucaristico, ma ancor più il suo profondo rispetto per quanto la Chiesa cattolica insegna su questo mirabile Mistero. Questo riguarda la transustanziazione del pane e del vino nel vero Corpo e il vero Sangue di Cristo durante la consacrazione.
Questo mistero, dice Scoto, non è pienamente comprensibile alla mente umana e certamente è qualcosa che solo Dio può compiere, fare cioè che la sostanza del pane e del vino diventino il Corpo e Sangue di Cristo, pur conservando visibilmente ancora gli “accidenti” di pane e vino.
Tuttavia, dice il nostro Beato, quando la Chiesa, come si vede nel Canone della Messa, prega affinché il pane e il vino diventino il Corpo e il Sangue di Cristo, non prega per l’impossibile. Dunque si deve sostenere che la sostanza del pane cessa di essere. «E questo – ribadisce Scoto – lo sostengo principalmente per l’autorità della Chiesa, che non sbaglia nelle cose di fede e costumi.
Quindi, si deve credere che il significato del Corpo di Cristo ci sia soltanto negli accidenti o specie senza la sostanza. E questo in virtù della transustanziazione».
E qui viene quel che ci rivela l’opzione più decisiva per Scoto. «E se mi domandi, perché la Chiesa volle scegliere una concezione così difficile di questo articolo [di fede], […] ti dico che la Chiesa ha formulato e spiegato questo dogma secondo lo spirito con cui è stato scritto o stabilito. E secondo questo spirito, la Chiesa cattolica lo ha trasmesso, cioè istruita dallo Spirito della Verità. E se ha scelto questo concetto di transustanziazione è perché è il vero. Non è che la Chiesa abbia la potestà di fare che una cosa sia vera o non vera, piuttosto è Dio quel che lo stabilisce. La Chiesa soltanto spiega lo stabilito da Dio, guidata in questo, come si crede, dallo Spirito della Verità». Ecco come Scoto vede il mistero dell’Eucaristia nel mistero della Chiesa e la Chiesa nel mistero dell’Eucaristia.
A questo punto dovrebbe esserci chiaro il profondo legame che, secondo Scoto, unisce intimamente il mistero del Verbo Incarnato, l’Immacolata, la Chiesa e l’Eucarestia. Tutti debbono la ragione della loro esistenza a quel più grande mistero che è l’amore di Dio per le Sue creature. E non soltanto lo manifestano visibilmente, costituendo così la via per cui Dio-Amore viene a noi; ma allo stesso tempo, nell’eterno e imperscrutabile piano di Dio, sono anche la via per la quale noi possiamo giungere a partecipare di questo Amore infinito.
«Ma la carità o l’amore di Cristo si manifesta in modo speciale non soltanto sul Calvario, ma anche nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia, senza il quale “scomparirebbe ogni pietà nella Chiesa, né si potrebbe – se non attraverso la venerazione del medesimo – tributare a Dio il culto di latria”.
Questo sacramento inoltre è sacramento di unità e di amore; per mezzo di esso siamo indotti ad amarci scambievolmente e ad amare Dio come bene comune e ad essere co-amato dagli altri.
E come questo amore, questa carità, fu l’inizio di ogni cosa, così anche solo nell’amore, nella carità, consisterà la nostra beatitudine: “La vita eterna, beata e perfetta, è semplicemente volizione o dilezione”.
Avendo noi, fin dall’inizio del nostro servizio, predicato soprattutto la carità, che è Dio stesso, constatiamo con gioia che la dottrina di questo Beato assegna un posto singolare a questa verità, e riteniamo che ai nostri tempi essa debba essere investigata e insegnata al massimo» (Benedetto XVI, Lettera Apostolica Laetare Colonia).

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