Il nostro prossimo, gli animali (Paolo De Benedetti)
[Il nostro prossimo, gli animali / Recensione di "Animali", di Paolo De Benedetti]
presentazione di un libro, sul sito, dal sito:
http://www.peacelink.it/pace/a/24731.html
Il nostro prossimo, gli animali
Paolo De Benedetti,
(12 gennaio 2008 – Enrico Peyretti)
Fonte: Pubblicato, senza bibliografia, in Studi Fatti Ricerche, ott-dic. 2007, p. 11 (v. Boccaccio 27, 20123 Milano)
Nella serie curata da Brunetto Salvarani, Parole delle fedi, che va costituendo un piccolo “vocabolario interreligioso”, esce ora questo colto e delizioso libretto del noto studioso di ebraismo Paolo De Benedetti. Egli conosce e ama gli animali dei quali coglie l’anima con affetto pari alla sua conoscenza delle scritture e delle tradizioni religiose. Da questo patrimonio di sapienza, De Benedetti sa estrarre vecchie e nuove rivelazioni sul mistero dei nostri fratelli animali.
Con lui vediamo che il malinteso “dominare la terra” del Genesi significa fare cose più belle di quelle fatte da Dio, perché il pane è più bello delle spighe e il tessuto più bello del lino. A chi tratta bene gli animali è promessa la stessa ricompensa, vita lunga e felice, di chi onora padre e madre: e sono gli unici due casi nella Bibbia. Il Talmud prescrive di non mettersi a tavola prima di aver dato da mangiare ai propri animali, come sanno bene le mie gatte. Nella tradizione rabbinica gli animali hanno l’anima, l’angelo custode, e pregano; gli alberi è come se parlassero, e Dio ha tenuto nascosto il nome dell’albero da cui Adamo mangiò peccando, perché esso non debba arrossire davanti agli uomini. Le maledizioni che il Deuteronomio lancia a chi disprezza la Legge, sono precisamente i disastri naturali causati oggi dall’uomo arrogante. Dove gli uomini sono cattivi, ma ugualmente Dio manda il sole e la pioggia, ciò è merito degli animali, che Dio vuole salvi insieme agli uomini. Dio promette pace anche con le pietre del campo e le bestie selvatiche. In sostanza, tutto il creato è nostro “prossimo”, da amare come tale. Dice un rabbi che se hai in mano una pianta da piantare e arriva il messia, vai prima a piantare la pianta, e poi vai a riceverlo (pp. 19-30).
Per capire bene, bisogna tenere insieme, nella differenza, l’esegesi storico-critica della Bibbia e la sua lettura come nutrimento spirituale. L’alleanza del Sinai è con Israele, ma quella con Noè dopo il diluvio è universale, con tutti i viventi: forse anche i demoni sono stati salvati da Noè sull’arca. La prima alleanza, nel paradiso, non permetteva all’uomo di mangiare animali, concessione venuta solo dopo il diluvio. Di ogni creatura Dio dice subito che la vede buona, ma dell’uomo, che causa dolore anche alle altre creature, non lo dice. Il sabato è riposo anche per l’animale, ma lui, a differenza dell’uomo, è libero da precetti. Se gli animali non hanno peccato, perché sono travolti nella punizione dell’uomo? Forse perché c’è una fondamentale uguaglianza tra tutte le specie. La tradizione ebraica contiene storie di animali con sentimenti religiosi. E il Talmud dice che, se non avessimo la Torà, potremmo imparare determinate virtù dagli animali, p. es. la modestia dal gatto.
Anche nella tradizione islamica Dio è grato a chi aiuta un animale, e gli animali risorgeranno come gli uomini. Si racconta che Mohammed tagliò un’ampia manica del suo abito per non svegliare il gatto che vi dormiva sopra.
La tradizione cristiana è la più arretrata nel riconoscimento e rispetto del mistero degli animali. Ma un autore cristiano come Damien osserva che se l’animale non ha la nozione di Dio, ha bene la nozione dell’uomo, il quale cos’è se non l’immagine di Dio? Mi ricordo un detto indù, per cui gli animali tendono a noi come noi tendiamo a Dio. Dunque anche loro, con noi, tendono a Dio. E noi – scrive De Benedetti – abbiamo una responsabilità verso il creato e verso i viventi, uguale a quella che Dio ha verso di noi. Non solo: noi siamo religiosi quando riteniamo che Dio sia buono; gli animali sono devoti a noi anche quando non siamo buoni con loro, sicché, in certo senso, «la religione degli animali è superiore alla religione degli uomini» (pp. 31-47).
Altre delicate e sorprendenti intuizioni De Benedetti presenta in una intervista che è l’ultima parte del libretto, chiuso con una stupenda e finissima favola di Marie Noël, in cui il cane meraviglia anche Dio per la sua bontà.
La Bibbia è caratteristica anche per la sua originale desacralizzazione della natura e del cosmo, contro gli idoli precedenti e circostanti: forse questo, per eccesso, ha contribuito a privare il creato del giusto riconoscimento di “prossimo” nostro.
Gli animali “feroci” devono essere i più contagiati dal nostro peccato di violenza: non per nulla il lupo per Hobbes, il “lione” per Machiavelli, l’aquila per tanti simboli militari e politici, personificano la ferocia umana del potere degli uni sugli altri e, al contrario, il lupo di Francesco, come il lupo e l’aspide in Isaia, sono immagini di redenti che prefigurano la pace del creato.
Certo, alla sensibilità nostra, anche i sacrifici rituali di animali risultano incompatibili (fino a preferire il vegetarianesimo) con tutto ciò che De Benedetti sa leggere nella tradizione sul riconoscimento della loro vita e destino. La Bibbia prescrive di non farli soffrire, ma è davvero possibile? Gli animali capiscono, e tengono alla vita come noi! In Marocco ho imparato che il dromedario, che pure è forte e vendicativo, quando sta per essere ucciso, piange.
Lungo la rivelazione biblica, l’immagine di Dio si libera a fatica dall’ambiguità tra amore e violenza (Barbaglio ha studiato bene il problema) e ciò forse spiega la violenza presente e accettata nella Bibbia, persino attribuita alla volontà di Dio, anche verso i nostri fratelli, gli animali. Ma è l’ora di liberare Dio e noi anche da questa vile ingrata violenza.
Enrico Peyretti (24 luglio 2007)
P S – Una mia amica, G. B., che da giovane fece l’assistente volontaria del filosofo Carlo Mazzantini (notoriamente neo-tomista ) mi scrive il 27 luglio 2007 di averlo sentito dire molte volte che «se non fosse andata in paradiso la sua gatta non ci sarebbe potuto andare nemmeno lui».
Una prima bibliografia
(sul sito)
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