buona notte

dal sito:
http://www.padrebergamaschi.com/Omelie_2009/090628.html
OMELIA PER DOMANI 1 FEBBRAIO 2011
(È VANGELO DI DOMENICA XIII DEL T.O.)
(Padri Bergamaschi)
Che genere di miracolo è questo? Miracolo strano! Non miracolo come lo intendo io, cioè non colpo di bacchetta magica come purtroppo siamo soliti immaginare i miracoli, ma intervento pedagogico per salvare una povera creatura dalla distruzione, dall’autodistruzione. Io, per camminare più tranquillo nell’analisi di questo « miracolo » ho preso in mano l’opera di una studiosa cattolica, morta qualche anno fa, di cui posso anche dirvi il nome: Francoise Doltau. Questa studiosa di psicanalisi, ha scritto un libro in cui cerca di applicare le leggi della psicanalisi a tutti i fatti « miracolosi » che noi troviamo nel Vangelo e, guarda caso, questo è proprio preso in esame dalla studiosa.
Il miracolo sarebbe un intervento spirituale, non fisico! Vedremo la malattia della bambina, diciamo della giovinetta, i dodici anni sono molti per quell’epoca, se è vero che la Madonna ha dato alla luce Gesù a quindici anni o sedici (questo lo sappiamo). E quindi vedremo che quest’intervento è di ordine spirituale più che di ordine fisico; e di ordine spirituale sull’equilibrio incerto della natura.
Venendo ai nostri giorni, un punto che mi solleva perplessità è là dove si teorizza una struttura data da Dio: così come Dio avrebbe creato l’uomo maschio e femmina, avrebbe anche creato l’omosessuale. Ho detto abbastanza? Non c’è bisogno di andare a frugare oltre. Ecco, questa è la teoria che mi crea un dramma interiore in quanto cristiano e in quanto, ovviamente, filosofo cristiano.
Sul giornale ne avrete lette molte delle opinioni, quella che più mi ha sconvolto è di una madre che ha un figlio in quelle condizioni e che esclama: Ma poi, alla fine, se il Signore lo ha creato così, perché? Ecco il punto, il Signore ci ha creati così? Lo so che il dibattito e stato affrontato nel secolo decimo ottavo: ricorderete Rousseau, la Chiesa cattolica per stabilire se l’uomo è buono o cattivo. Io vi dico in sintesi quali sono le vette raggiunte, quindi non mi permetterò mai di dire che l’uomo è cattivo, come in genere dice la morale della Chiesa cattolica (nasce cattivo, è vero – aggiungiamo – nasce col peccato originale, quindi da buono che era, sarebbe caduto), ma è una spiegazione insufficiente. E neanche accetterò la definizione di Rousseau, il quale dice che l’uomo è buono perché la bontà è a termine finale, non è all’inizio.
Guai se noi nascessimo buoni, se Dio avesse creato l’uomo buono. Ha creato buono l’uomo ontologicamente, ma la bontà è una conquista dell’individuo, altrimenti non avrebbe senso né l’inferno, né il paradiso, quindi non è vero che l’uomo nasca buono, non è vero che l’uomo nasca libero (tutti i discorsi poi fatti da Rousseau). No! Noi diventiamo liberi, noi diventiamo uomini, diventiamo donne ed è soltanto l’input iniziale, allora diciamo così: Dio crea l’uomo indifferenziato! Chiaro? Il termine è preso dalla psicologia, ma richiama perfettamente la struttura dell’uomo. Allora di tutto il resto siamo responsabili noi, non più Dio.
A volte si dice che Dio ha creato il matrimonio, ma no! Quello lo creiamo noi, lo inventiamo noi; Dio ha creato l’uomo, la donna, in quel modo, in quelle forme. Ed i finalismi sono lì, e guai a chi li deturpa. Questa è la condizione, drammatica se voi volete, della definizione della vitalità, punto e basta!
Siccome ho avuto discussioni con delle persone erudite sul tema, io mi sono ben guardato e dal citare il Vangelo e dal citare San Paolo. Mi sono limitato ad appellarmi a Platone, il quale vive 400 anni prima di Cristo, quindi al di fuori della mischia; e abbiamo il caso in cui la mente umana procede alla ricerca della verità senza condizionamenti – diciamolo – religiosi. E colui che apre questa strada è Socrate il quale crede in Dio, certo che crede in Dio, ma vi crede non mediante gli amminicoli religiosi, tant’è che anche lui viene ucciso da uomini religiosi come Gesù Cristo è ucciso da persone religiose. Allora ecco come Platone affronta il problema.
Eh, già! Ma chi l’ha inventato questo mito di Galimede? Galimede era un pastorello che pascolava i greggi attorno ai monti di Troia. Un giorno Giove s’invaghì di lui, ma attenzione: dico Giove! Vi rendete conto? Dio che si invaghisce di un giovinetto, e che cosa fa? Lo rapisce, si trasforma in aquila e poi lo ghermisce e lo porta in cielo e lo fa diventare il suo coppiere, con tutto ciò che questa parola nasconde. Il mito di Galimede, che voi vedrete raffigurato sia dalla pittura che dalla scultura. Platone dice: Ma chi lo ha inventato questo mito? Chi ha interesse a far credere che Dio sia omosessuale? Chi? Eh, già! Il re di Creta, il quale era un omosessuale e ha inventato il mito di Galimede per giustificare la sua devianza. Lo dico qui a quei cattolici e lo dico qui a quei preti e a quei religiosi che sono dentro al fango di questa devianza.
Dobbiamo rivedere la questione del battesimo per liberarci da questi e da gli altri gravi inconvenienti! Chiaro? Si calpesta tutta la morale cattolica, ci sono personaggi che si sposano diverse volte ecc. poi verso l’ultimo si converte, lo si porta da esempio si dice: ma poi… e qui l’errore qual è stato? L’errore è quello di avergli dato il battesimo da bambino e l’altro errore è quello di avere istituito il matrimonio come sacramento. Il cristiano si sposa quando è convertito, non prima, diversamente questi sono gli inconvenienti che ci trasciniamo dietro da secoli e che, a quanto pare, non sempre devono arrivare alla loro conclusione. Ricordate Platone, il quale, sia pure in un’epoca in cui si dice è nata la pederastia, voi vedete che l’uomo, il filosofo aveva la testa diritta e quadrata e aveva capito bene che quella era una devianza chiaro?
Chiedo scusa, chiudo la parentesi e torniamo al testo evangelico di oggi: quella bambina non era morta. C’era una possessività morbosa del padre, il quale – sinagogo, uomo religioso, aveva tenuto la bambina in una sudditanza tale per cui era diventa anoressica, non mangiava più e piuttosto che convivere sempre da bambina, come una bambola, questa ragazza si lascia morire ecco perché Gesù dice: No! Lo so io come stanno le cose, la bambina non è morta ma dorme. Ed ecco che arriva Gesù, la prende per mano… Ecco le belle pagine della Doltau per dimostrare come Gesù, in questo caso, ha salvato una creatura dall’autodistruzione. Quindi non dalla morte, come si dice normalmente, ma da un suicidio compiuto per anoressia. Poi qui la ricomposizione di fronte a Gesù e agli Apostoli dove ci sarebbe una riconciliazione con la società, una la presa di contatto con l’uomo, perchè questa bambina che era stata distrutta nella sua femminilità, finalmente viene riportata alla normalità dell’esistenza.
Omelia pronunciata il 2 luglio 2006
dal sito:
www.folzano.it/archivio/testi/documenti/catechesi/Bibbia01.doc
La Bibbia, un libro per conoscere un Dio che parla!
-La Bibbia è Parola di Dio
Tale dogma, tale verità che viene ripetuta alla fine delle letture proclamate nella liturgia, dice molto semplicemente che dentro questo testo, scritto molti secoli fa, è contenuta non la parola di uomini, ma la parola di Dio, che in esso si racconta l’evento di un Dio che parla, che fa conoscere agli uomini il suo pensiero, e che un popolo l’ha ascoltato e scritto.
Da qui si comprende l’importanza della Sacra Scrittura. Infatti non esisterebbe nessuna Chiesa, né cattolica, né protestante se non ci fosse la Bibbia che ci parla di Dio, su quanto egli ha fatto per noi e su ciò che noi dobbiamo fare per rendere la nostra vita autentica, umana, a lui gradita.
La Chiesa se ci dice qualcosa su Dio, se cerca di raccontarlo, lo fa sempre a partire dalla Bibbia, di cui ha il compito di interpretare il senso autentico, senza potervi « togliere » o « aggiungere » nulla.
-Perché allora i cristiani, soprattutto i cattolici non conoscono la Bibbia?
La prima colpa è degli annunciatori della Parola di Dio, che preferiscono soffermarsi su discorsi moralistici piuttosto che far cogliere la forza e la potenza di certi testi scritturistici.
Ci sono anche ragioni storiche.
Uno dei principi della riforma protestante di Martin Lutero (1483-1546) afferma che solo la Sacra Scrittura (sola Scriptura) è fonte e criterio della fede, non la tradizione ecclesiastica con le sue risoluzioni conciliari e decisioni papali. Visto il danno provocato dalla diffusione democratica della Bibbia, dal Concilio di Trento in avanti la Chiesa ha considerato che tale caratteristica, tale accostamento libero alla scrittura da parte di tutto il popolo era tipico degli eterodossi e quindi andava represso o comunque limitato. Questo spiega anche il perché fino a qualche anno fa gli unici grandi studiosi della Scrittura erano nell’area protestante, meno soggetta alle censure del magistero, più incline a dedicarsi ad uno studio esclusivo del testo sacro.
È soprattutto con il Concilio Vaticano II che si cambia.
La Chiesa cattolica esorta i fedeli a nutrirsi della Parola di Dio con lo studio accurato, con la lettura frequente, con la meditazione e la preghiera.
Nella costituzione Dei Verbum troviamo queste parole di fondamentale importanza, in quanto segnano una svolta nella prassi pastorale della Chiesa:
« È necessario che i fedeli abbiano largo accesso alla Sacra Scrittura. Per questo motivo, la Chiesa fin dagli inizi fece sua l’antichissima traduzione greca dell’Antico Testamento detta dei Settanta, e ha sempre in onore le altre versioni orientali e le versioni latine, particolarmente quella che è detta Volgata. Poiché, però, la Parola di Dio deve essere a disposizione di tutti in ogni tempo, la Chiesa cura con materna sollecitudine che si facciano traduzioni appropriate e corrette nelle varie lingue, di preferenza a partire dai testi originali dei sacri libri » (n. 22)
E più avanti aggiunge:
« Si accostino i fedeli volentieri al sacro testo, sia per mezzo della sacra liturgia, che è sempre impregnata di parole divine, sia mediante la pia lettura, sia per mezzo delle iniziative adatte a tale scopo e di altri sussidi che, con l’approvazione e a cura dei pastori della Chiesa, lodevolmente oggi si diffondono ovunque » (n. 25).
Questo invito oggi è più che mai importante. Non sono poche infatti le sette che facendo riferimento a questo testo propongono dottrine fuorvianti e in contrasto con la stessa Sacra Scrittura. Molte volte i cristiani rimangono impressionati, incapaci di controbattere o di rispondere o almeno di presentare una interpretazione più fedele di quanto propongono questi movimenti che solitamente di Bibbia ne sanno ben poco. Anche la nuova evangelizzazione proposta dal Papa non può che partire dalla Sacra Scrittura. Ritrovare le radici e i contenuti della propria fede, le motivazioni di fondo delle proprie scelte morali implica una conoscenza non superficiale del testo sacro che è la base e la fonte del nostro credere.
-Ritornare alla Bibbia…
Tutto questo evidenzia la necessità di ritornare alla Bibbia e anche l’utilità di una introduzione a questo testo per niente facile.
Non basta infatti semplicemente leggere il testo per capirlo. I libri che la compongono sono stati scritti 3000-2000 anni fa, in lingue a noi sconosciute (ebraico, aramaico e greco), di cultura diversa dalla nostra, che amavano l’immaginazione e la fantasia molto più di noi, che non avevano le nostre conoscenze scientifiche.
Di qui il senso di lontananza che si avverte nel primo incontro con la Bibbia. « Lontananza » che sembra acuita dal fatto che Israele, che è il protagonista principale di tutto l’Antico Testamento e, in parte minore, anche del Nuovo Testamento, è un popolo « misterioso », di cui non conosciamo bene l’antica storia, dalle vicende tormentate, scelto da Dio ma insidiato da altri popoli e in continua lotta contro di loro, il più delle volte infedele allo stesso Dio che lo ha scelto e perciò da lui più volte respinto. Eppure questo popolo « dalla dura cervice » diventa un po’ il simbolo di tutta l’umanità che Dio ama, pur non essendo sempre riamato. E soprattutto diventa simbolo della Chiesa, che Cristo si è scelto, di mezzo a tutte le genti, come nuovo popolo dell’alleanza e che, pur tra tante difficoltà, vuole e sa rispondere all’amore: come è avvenuto in Maria, negli apostoli, in Paolo di Tarso e tanti altri.
É una storia non esemplare e non sempre i fatti raccontati nella Bibbia sono edificanti. Questo non deve scandalizzare, perché purtroppo questa è la storia degli uomini! La vicenda di Caino e Abele e la rovinosa storia di peccato che ne è seguita fino al diluvio, l’adulterio di Davide, il tradimento di Giuda sono fatti riferiti affinché non commettiamo gli stessi errori.
Senza dire delle grandi figure in positivo che la Bibbia presenta: uomini e donne che lasciandosi guidare da Dio hanno realizzato cose stupende e mostrato mete altissime di crescita umana e spirituale. Abramo, Mosé Maria di Nazaret, Paolo di Tarso sono solo pochi esempi per dire che la Bibbia deve diventare scuola di vita, di crescita umana e spirituale, fiduciosi che le promesse di Dio avranno pieno compimento anche in noi, carichi di paure e oppressi da miserie e delusioni.
« Tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per la nostra istruzione, perché in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza » (Rm 15,4)
-La Bibbia va interpretata
Si può interpretare la Sacra Scrittura?
La domanda può sembrare meramente retorica, ma in realtà tocca un problema dibattuto soprattutto a fronte di risorgenti letture fondamentaliste della Bibbia.
Con il termine fondamentalismo si intendono
tutti i tentativi, del passato e del presente, volti ad accreditare l’idea che la Bibbia, essendo Parola di Dio, è chiara e accessibile a tutti, con la sola condizione che si abbia la fede e ci si attenda rigorosamente alla lettera del testo sacro.
Questo modo di pensare esclude ogni approccio critico alla Bibbia, anzi lo condanna come arroganza della ragione che vorrebbe mettere le mani, profanandolo, perfino sul libro sacro.
Ma si tratta appunto di un pregiudizio. Il fondamentalismo infatti trascura di prendere sul serio la concezione della fede cattolica, secondo cui « Dio nella Sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini e alla maniera umana » (Dei Verbum, n. 12). La Bibbia, dunque, per la Chiesa cattolica, non si identifica con la Rivelazione, che è l’autocomunicazione di Dio, ma è una testimonianza ispirata, tuttavia storicamente datata e condizionata.
Un esempio della necessità di una interpretazione
Il libro di Giona (2,1-2)
Il Signore dispose che un grosso pesce inghiottisse Giona; Giona restò nel ventre del pesce tre giorni e tre notti. 2Dal ventre del pesce Giona pregò il Signore suo Dio
Come prodotto storico, la Bibbia non può sfuggire ad un esame critico. Definirla « parola di Dio » non è sufficiente, nel senso che in essa la parola di Dio, eterna e trascendente, si è incarnata, come spiega la Dei Verbum: « Le parole di Dio, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al parlare dell’uomo, come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze dell’umana natura, si fece simile all’uomo » (13).
Il fondamentalismo presuppone inoltre, molto insidiosamente, la pregiudiziale separazione di fede e ragione. Di conseguenza basterebbe la fede semplice per capire la Bibbia, prescindendo da uno studio scientifico. Non occorre molto per capire che la fede, quando è separata e contrapposta alla ragione – come il fondamentalismo – è esposta a diventare incontrollabile, selvaggia, ingenua credulità o ideologia.
Una lettura devota, ma non critica, della Bibbia rischia di trasformarsi in una pura e semplice legittimazione dei propri punti di vista, di quel che già si pensava e non un confronto con la Parola di Dio incarnata nel testo sacro.
Infine il fondamentalismo tende erroneamente a identificare la verità con la lettera del testo. Ora, invece, la verità della Bibbia è « la verità che Dio per la nostra salvezza, volle fosse consegnata alle Sacre Lettere » (Dei Verbum, n. 12). Dunque, la verità è l’intenzione divina, che non può essere fatta coincidere totalmente con la lettera del testo.
Si impone perciò la necessità di un’interpretazione corretta del testo per conoscere « ciò che Dio ha voluto comunicare » (Dei Verbum, n. 12) mediante la Scrittura. Di qui conseguono due principi fondamentali per l’interpretazione, da far valere insieme:
a. l’imprescindibilità del testo come luogo necessario in ordine alla determinazione della verità da comprendere. Per arrivare a decifrare la Rivelazione, l’autocomunicazione di Dio non si può fare a meno della Sacra Scrittura.
b. la trascendibilità del testo per andare oltre e comprendere non solo la lettera, ma la cosa (o verità) di cui parla il testo.
Il problema dell’interpretazione si configura allora come la necessità di mantenere la mediazione del testo per la determinazione dell’oggetto del testo e quindi della sua verità.
Cosa è la Bibbia
Il termine Bibbia deriva dal greco e significa libri, perché la Bibbia è un insieme di composizioni letterarie, scritte in diverse lingue e nell’arco di un lungo periodo… più di mille anni.
Ma quanli sono precisamente i libri che compongono la Bibbia?
Il Canone
Questa parola greca significa letteralmente « canna », usata per misurare una costruzione e quindi in termine metaforico indica un criterio, una norma in base alla quale una determinata realtà è giusta o sbagliata, normale o anormale… vera o apocrifa.
Nella Bibbia Canone significa la raccolta dei libri normativi, anzi la raccolta normativa, canonica, ufficiale dei libri sacri che costituiscono la Bibbia.
Perché questa esigenza di precisione?
Perché ben presto accanto ai libri autentici che riferivano i grandi eventi della salvezza comparvero testi che intendevano riempire il silenzio su questioni che la pietà popolare riteneva importanti (ad esempio gli anni di Gesù a Nazaret!), oppure che propagandavano dottrine diverse e talora contrarie a quella della autentica tradizione di fede.
Sono questi i testi apocrifi, nascosti, non pubblicati.
Ve ne sono prima della venuta di Cristo (es. Il libro di Enoc e gli Oracoli Sibillini da dove proviene l’inno Dies Irae) e dopo la sua venuta come il Protovangelo di Giacomo, il vangelo di Tommaso e gli Atti di Pietro).
Che cosa poteva fare la Chiesa se non discernere con cura i libri veri da quelli falsi?
Dal 175 d.C. al 450 il canone fu definito. Ma sarà soltanto nel 1546 con il Concilio di Trento, in controversia con i protestanti, che verrà definirlo ufficialmente.
Canone cristiano – cattolico
Per sapere quanti e quali i sono i libri della Bibbia basta aprire una Bibbia cattolica e lì vi si trovano
45 libri per l’Antico Testamento
Pentateuco
Libri Storici
Libri profetici
Libri sapienziali
27 libri per il Nuovo Testamento
4 Vangeli
Atti degli Apostoli
13 Lettere di Paolo
7 Lettere di altri apostoli
Apocalisse
Canone evangelico (protestante)
I protestanti non accolgono i libri chiamati Deuterocanonici, cioè quei libri che vennero canonizzati solo in un secondo tempo e che non vennero ritenuti validi dagli Ebrei in quanto vennero scritti dopo il III sec. a.C. e in una lingua diversa dall’ebraico.
La Bibbia dei LXX (una traduzione in greco della Bibbia ebraica) molto importante contiene anche i libri Deuterocanonici.
Per l’Antico Testamento
Tobia
Giuditta
1-2 Maccabei
Baruc
Ecclesiastico
Sapienza
Canone Ebraico
Hanno solo il canone dell’Antico Testamento che dividono in Torà (=Pentateuco) Profeti (Libri storici e profeti) e gli Scritti (tutti gli altri)
Non accettano i libri deuterocanonici, cioè canonizzati solo in un secondo tempo.
Ma con quali criteri i libri furono canonizzati?
È stato lo Spirito Santo che ha assistito la Chiesa nel suo discernimeto.
Ispirati furono
i libri di chiara provenienza apostolica,
in quanto riportavano la dottrina che gli apostoli avevano appreso dallo stesso Gesù;
i libri usati nella liturgia,
ossia nel momento in cui la fede diventava preghiera;
i libri citati dai padri della Chiesa
a partire dai più antichi (Clemente Romano, Giustino, Ignazio, Ireneo…).
Scienza e Bibbia non si oppongono!
La Bibbia non è un libro di storia, pur contenendo fatti storici!
Non è un libro di scienze pur proponendo una determinata visione del mondo e del cosmo!
Non è un libro di filosofia pur interrogandosi su questioni di fondo dell’esistenza!
Pertanto per comprendere bene un determinato testo occorre saper fargli le domande giuste. Infatti un testo è una risposta: bisogna saper formulare le domande pertinenti per capire la risposta; occorre scoprire il punto di vista da cui un testo ci parla.
Ora, la Bibbia ci parla dal punto di vista della verità salvifica, cioè vuole farci conoscere il piano di salvezza divino per gli uomini e il mondo. La storia, i dati scientifici, le implicanze filosofiche fornitici dalla Bibbia devono essere considerati in relazione a questa intenzione fondamentale del testo sacro. Tutto nella Bibbia è vero, ma dal punto di vista della salvezza che Dio ha predisposto e vuole attuare per noi e il nostro mondo. Sarebbe dunque sbagliato chiedere alla Bibbia una mera informazione storica, filosofica o scientifica che non abbia nessuna rilevanza per conoscere il piano di Dio.
Quando si leggono, per esempio, i primi undici capitoli della Genesi, non ci si dovrà aspettare una relazione scientifica sul modo in cui si è formato l’universo, sul periodo preistorico dell’evoluzione della terra, sulla vita dei primi uomini, ecc., bensì una riflessione sul senso del creato, dell’uomo, dei rapporti tra gli uomini e dell’uomo con Dio.
Come leggere Genesi 1
In principio Dio creò il cielo e la terra. 2Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.
3Dio disse: « Sia la luce! ». E la luce fu. 4Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre 5e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno.
6Dio disse: « Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque ». 7Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che son sopra il firmamento. E così avvenne. 8Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno.
9Dio disse: « Le acque che sono sotto il cielo, si raccolgano in un solo luogo e appaia l’asciutto ». E così avvenne. 10Dio chiamò l’asciutto terra e la massa delle acque mare. E Dio vide che era cosa buona. 11E Dio disse: « La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua specie ». E così avvenne: 12la terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo la propria specie e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la propria specie. Dio vide che era cosa buona. 13E fu sera e fu mattina: terzo giorno.
14Dio disse: « Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni 15e servano da luci nel firmamento del cielo per illuminare la terra ». E così avvenne: 16Dio fece le due luci grandi, la luce maggiore per regolare il giorno e la luce minore per regolare la notte, e le stelle. 17Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra 18e per regolare giorno e notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che era cosa buona. 19E fu sera e fu mattina: quarto giorno.
In Gen. 1-11 è possibile rinvenire la risposta ai grandi problemi dell’esistenza umana: chi siamo, chi ci ha creati, donde proviene il male che c’è nel mondo, come si è introdotto il peccato che c’è tra gli uomini, ecc. In conclusione la lettura della Bibbia deve essere una lettura credente o teologica, che mira alla verità della rivelazione.
-La Bibbia è letteratura
Nella Dei Verbum al n° 12 troviamo queste parole:
« Per ricavare l’intenzione degli agiografi, si deve tener conto tra l’altro anche dei generi letterari. La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa nei testi in varia maniera storici, o profetici, o poetici, o con altri modi di dire. È necessario che l’interprete ricerchi il senso che l’agiografo intese di esprimere ed espresse in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso ».
Gran parte della Bibbia usa un linguaggio letterario, poetico. Caratteristica del linguaggio letterario è la ridondanza, la ricchezza e la sovrabbondanza espressiva, che non ha soltanto una funzione decorativa ed estrinseca, ma è significativa, essenziale per il senso che si vuole comunicare.
Un’altra caratteristica del linguaggio poetico è l’uso dei simboli, di immagini, di metafore, di associazioni di idee evocate dalla fantasia più che dal ragionare. Anche Gesù si è espresso con simboli: l’acqua , il vino nuovo, la manna, la via, la vite, ecc. Tutta la Bibbia è un’antologia di simboli ricchissimi e svariatissimi, dalle prime pagine di Gen 1-11 che potremmo definire un racconto simbolico sull’esistenza umana nel mondo fino all’Apocalisse, in cui il simbolismo ha un ruolo decisivo e costante. Poiché è letteratura, la Bibbia si esprime secondo i modelli o schemi letterari propri del suo tempo, ossia quel che si usa chiamare generi letterari. Si tratta di strutture letterarie fisse e ripetibili che un autore adopera per esprimersi, in modo originale se è uno scrittore creativo o in modo ripetitivo se è un autore poco inventivo.
Esempi
Inno (Salmo 8)
O Signore, nostro Dio,
quanto è grande il tuo nome su tutta la terra:
sopra i cieli si innalza la tua magnificenza.
Con la bocca dei bimbi e dei lattanti
affermi la tua potenza contro i tuoi avversari,
per ridurre al silenzio nemici e ribelli.
Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissate,
che cosa è l’uomo perché te ne ricordi
e il figlio dell’uomo perché te ne curi?
Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli,
di gloria e di onore lo hai coronato:
gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi;
tutti i greggi e gli armenti,
tutte le bestie della campagna;
Gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
che percorrono le vie del mare.
O Signore, nostro Dio,
quanto è grande il tuo nome su tutta la terra.
Parabola – Matteo 13,3-8
E disse: « Ecco, il seminatore uscì a seminare. 4E mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. 5Un’altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c’era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. 6Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò. 7Un’altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. 8Un’altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta.
Favola – Giudici 9,8-15
Si misero in cammino gli alberi
per ungere un re su di essi.
Dissero all’ulivo:
Regna su di noi.
9Rispose loro l’ulivo:
Rinuncerò al mio olio,
grazie al quale
si onorano dei e uomini,
e andrò ad agitarmi sugli alberi?
10Dissero gli alberi al fico:
Vieni tu, regna su di noi.
11Rispose loro il fico:
Rinuncerò alla mia dolcezza
e al mio frutto squisito,
e andrò ad agitarmi sugli alberi?
12Dissero gli alberi alla vite:
Vieni tu, regna su di noi.
13Rispose loro la vite:
Rinuncerò al mio mosto
che allieta dei e uomini,
e andrò ad agitarmi sugli alberi?
14Dissero tutti gli alberi al rovo:
Vieni tu, regna su di noi.
15Rispose il rovo agli alberi:
Se in verità ungete
me re su di voi,
venite, rifugiatevi alla mia ombra;
se no, esca un fuoco dal rovo
e divori i cedri del Libano.
Vangelo – Giovanni 20,30-31
30Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. 31Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Lettera 1 Tessalonicesi 1,1-3
Paolo, Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: grazia a voi e pace! 2Ringraziamo sempre Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, continuamente 3memori davanti a Dio e Padre nostro del vostro impegno nella fede, della vostra operosità nella carità e della vostra costante speranza nel Signore nostro Gesù Cristo.
-La Bibbia è una storia
Il libro sacro non è nato dalla penna di uno scrittore solitario, ma è il prodotto di una lunga e complessa storia di un popolo nel corso di più di un millennio. Un popolo ha ‘creato’, con la millenaria vicenda storica del suo incontro con Dio, questo libro affascinante. Nel testo della Bibbia, dunque, non troviamo belle e profonde idee, ma anche la storia del dialogo di un popolo, gli Ebrei e i cristiani, col suo Dio. La Bibbia è legata indissolubilmente al popolo che l’ha prodotta, guidato da Dio che ha operato in modo misterioso in alcuni uomini (= autori ispirati) perché mettessero per iscritto l’esperienza meravigliosa del loro popolo.
Per capire la Bibbia è allora indispensabile avere una certa conoscenza storica dell’antico Medio Oriente in cui si è svolta la vicenda narrata. Un libro porta sempre i segni del suo tempo, ma la Bibbia in modo particolare, perché prima di essere messa per iscritto è stata narrata, tramandata, applicata, attualizzata, masticata e rimasticata dalla paziente e amorosa meditazione di molte generazioni di credenti di varie epoche. In questo libro si vedono ancora chiaramente i segni di varie « mani » che l’hanno letto e riletto, postillato e attualizzato, ampliato e commentato. Dio era segretamente all’opera in tutto questo lungo travaglio e vegliava sopra il « suo » libro perché non fosse scritto che quel che egli voleva comunicare agli uomini di tutti i tempi. Meravigliosa simbiosi di attività umana e azione misteriosa di Dio!
-Un libro stratificato
Il libro sacro è un libro stratificato, fatto a strati sovrapposti. Il lavoro degli studiosi moderni, che hanno applicato il cosiddetto metodo storico-critico alla Bibbia, è appunto di sondare e scavare nel testo per mettere in evidenza gli strati che lo compongono. Basti ricordare il caso dei vangeli.
Come si sono formati?
Nei vangeli possiamo distinguere fondamentalmente tre strati:
1. La predicazione di Gesù: nel testo attuale confluisce quel che Gesù ha fatto e detto, la sua esistenza storica, le vicende della sua vita. Dai vangeli possiamo risalire fino allo strato originario della vita del Gesù storico;
2. la predicazione della Chiesa primitiva: i vangeli non sono la semplice registrazione meccanica dei discorsi di Gesù né una specie di « fotografia » della sua vita. I vangeli riflettono lo strato dell’assimilazione e della riespressione del messaggio di Gesù da parte della comunità primitiva;
3. il lavoro redazionale degli evangelisti: è lo strato più recente, quello che ci fa conoscere il lavoro di rielaborazione e stesura dell’evangelista che ha composto il suo vangelo per una certa determinata comunità.
-Il prologo del vangelo di Luca
1Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi, 2come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola, 3così ho deciso anch’io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo, 4perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.
Il metodo di studio critico-storico mette in rilievo, per ogni brano biblico, l’eventuale stratificazione o, detto in altri termini, il processo di formazione di un libro biblico. Con questo tipo di studio si cerca di radicare i testi biblici nel periodo storico in cui sono nati e quindi nelle situazioni politiche, religiose, culturali differenti che ne spiegano le caratteristiche e ne illuminano i contenuti. Inoltre, questo metodo di studio cerca di spiegare molti aspetti del testo biblico, per esempio, doppioni, tensioni o contraddizioni all’interno di brevi pericopi, incongruenze, anacronismi, ecc..
-Un testo unitario
Per il credente la Bibbia ha per autore Dio, il quale scelse, si servì e operò mediante e in autori umani per la composizione del libro sacro. Molti autori umani, di varie epoche, ma un solo Autore divino, che fa della Bibbia un libro unitario. Una piena comprensione della Bibbia deve tener conto che essa è come un unico grande discorso. É necessario dunque imparare a cogliere le connessioni profonde tra i vari testi, l’unità di Antico e Nuovo Testamento, la corrente sotterranea che imbeve di sé tutta la Scrittura. É necessario soprattutto operare una lettura biblica che parta e conduca al suo centro che è Gesù Cristo. Una piena intelligenza della Scrittura può dunque essere raggiunta soltanto quando si è compreso il riferimento al suo centro illuminante, Gesù Cristo.
-Una lettura preghiera
Tutta la vita cristiana e la predicazione della chiesa devono essere nutrite e regolate dalla Parola di Dio, che ha il primato nel costruire e nutrire la vita del cristiano e nell’edificare la comunità. Infatti tanta è la forza, la ricchezza, l’efficacia della Parola di Dio, che essa è « sostegno e vigore della chiesa, e per i figli della Chiesa saldezza della fede, cibo dell’anima, sorgente pura e perenne della vita spirituale » (Dei Verbum, n.21).
Ma perché la Bibbia sprigioni ed effonda su di noi tutta la sua prorompente vitalità divina, deve « essere letta e interpretata con l’aiuto dello Spirito mediante il quale è stata scritta » (Dei Verbum, n.12). Lo Spirito che è all’origine della Bibbia, è anche la sorgente della vera e fruttuosa interpretazione. É nella preghiera dunque, con cui si implora il dono dello Spirito e ci si apre docilmente alla sua misteriosa azione, che si trova la via della giusta e piena interpretazione della Bibbia: « Si ricordino i cristiani che la lettura della Sacra Scrittura dev’essere accompagnata dalla preghiera, affinché possa svolgere il colloquio tra Dio e l’uomo » (Dei Verbum, n. 25).
A cura di don Giuseppe Mensi
dal sito:
http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/17148.html
Omelia (01-02-2010)
padre Lino Pedron
Abbiamo già conosciuto la potenza di Gesù contro i demoni (cfr Mc 1,21-28; 1,34; 3,11-12). Ma qui c’è qualcosa di nuovo: siamo nel territorio dalla Decapoli (che significa dieci città), in terra pagana, dove il potere di satana ha maggiore solidità.
Segno concreto della terra pagana è quel numeroso branco di porci al pascolo sul monte (luogo riservato al culto e alla preghiera). Il porco è animale immondo, aborrito dagli ebrei, e che può trovarsi solo in una terra immonda e pagana.
Nell’indemoniato geraseno prevale un istinto di morte: odia la vita degli altri e danneggia la propria, vive nei sepolcri… Il demonio che tiene schiavo quest’uomo si chiama legione: una coalizione di demoni. Combattuti e vinti in terra d’Israele, essi avevano ripiegato in terra pagana. Nella tempesta sul mare (Mc 4, 35-41) avevano tentato di fermare l’avanzata vittoriosa del Cristo. Gesù, superata la linea di sbarramento, attacca l’impero di satana al cuore, alla sede dello stato maggiore.
Questo indemoniato viene considerato come il rappresentante-tipo del paganesimo, e ciò alla luce di Isaia 65,1-4: « Mi feci ricercare da chi non mi interrogava, mi feci trovare da chi non mi cercava. Dissi: Eccomi, a gente che non invocava il mio nome. Ho teso la mano ogni giorno a un popolo ribelle; essi andavano per una strada non buona, seguendo i loro capricci, un popolo che mi provocava sempre, con sfacciataggine. Essi sacrificavano nei giardini, offrivano incenso sui mattoni, abitavano nei sepolcri, passavano la notte in nascondigli, mangiavano carne suina e cibi immondi nei loro piatti ».
Questo pagano ha un nome. In pieno testo greco, risponde con una parola latina: legione. Ricordiamo che la legione romana era formata da seimila uomini. Questa parola evoca la guerra, la presenza e la dominazione romana, personificata da quei « porci » di legionari (il verro era uno dei simboli della potenza imperiale raffigurato sulle insegne dell’esercito romano). E’ la demonizzazione dell’esercito romano.
Per Marco che scrive il suo vangelo probabilmente a Roma, capitale dell’impero di satana, in piena persecuzione di Nerone, questo brano potrebbe voler dire ai cristiani: Cristo butterà a mare questa legione di porci indemoniati (i persecutori) e libererà la terra dal potere oppressivo dell’impero romano, che è una manifestazione del potere di satana. A conferma di questa visione della storia si legga Ap 13-20.
Il brano di porci che precipita in mare è certamente una scena sconvolgente per l’ »uomo economico » di tutti i tempi. Il Signore sta liberando la terra dal male e dal maligno, e questa liberazione è motivo di gioia, ma questa gioia ha un prezzo salato: la perdita di duemila porci. E i geraseni non se la sentono di pagare prezzi così alti.
Sarà anche un grande liberatore questo Gesù, ma presenta delle parcelle troppo esose. Meglio allora sopportare rassegnati la schiavitù di satana e godere indisturbati la propria ricchezza e le proprie « porcherie ». E la loro stessa preghiera suona assurda e sconcertante: « Si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio » (v. 17).
Gli uomini parlano tanto di libertà e di liberazione, ma la rifiutano appena si accorgono che c’è un prezzo da pagare.
Al desiderio dell’indemoniato guarito di stare con Gesù, il Signore risponde inviandolo in missione. Egli è diventato apostolo perché è in grado di raccontare ciò che il Signore gli ha fatto. Il vangelo è la buona notizia di quanto Gesù ha fatto per noi. L’evangelizzazione non è tanto un’esposizione di dottrina o di idee, ma un racconto di fatti, una narrazione di quanto il Signore ha operato per noi.
Come Gesù iniziò a proclamare il vangelo nella Galilea (Mc 1,14), così questo indemoniato guarito lo proclama nella Decapoli. E’ l’inizio della missione ai pagani.
dal sito:
http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/21508.html
Omelia (30-01-2011)
don Giovanni Berti
Sottosopra con le beatitudini
C’è un film che mi ha molto appassionato recentemente, e che è in corsa per l’Oscar con diverse nomination. E’ « Inception » di Christopher Nolan, che narra di un gruppo di persone che naviga da un sogno all’altro all’interno della mente umana. La trama è così complicata che non sto qui a raccontarla, ma mi interessa una scena molto singolare, che mi è venuta in mente e che mi sembra ben rappresentare il sentimento provato meditando questa pagina del vangelo.
In questa scena, il protagonista maschile porta la ragazza che vuole coinvolgere nell’avventura, all’interno di un sogno, ma lei non se ne accorge subito. Le fa capire che quello che la circonda non è reale, ma è appunto un sogno, quando la città con le sue strade e palazzi si ripiega su se stessa e tutto letteralmente si capovolge. Tutto quello che circonda assume una connotazione diversa e fantastica, e si impongono nuove regole che fanno apparire il mondo diverso e libero dalle vecchie regole di gravità e tempo.
Gesù porta sulla montagna i suoi discepoli. Li stacca per un momento dal solito scorrere del tempo e delle cose da fare. Su questo monte Gesù fa intravedere ai suoi discepoli un mondo rovesciato: è il mondo delle beatitudini, dove le regole sembrano davvero capovolgersi, e si inaugura un modo nuovo di relazionarsi con la realtà e le persone.
Gesù maestro non ha delle regole da dare, non ha in mente obblighi e sanzioni con cui minacciare chi non obbedisce.
Le beatitudini sono una pura proposta di vita, un progetto di un mondo nuovo che non si basa sul potere, sulla ricchezza e il successo, ma si fonda sulla povertà, la mitezza, la ricerca della giustizia, la pace…
L’unica cosa che viene richiesta è crederci, fidarsi. Se ci si fida, allora il sogno diventa reale, e il mondo delle beatitudini si sostituisce al nostro mondo che tante volte ci appare come un incubo, fatto di violenze, ingiustizie, guerre, arrivismo.
Ci siamo anche noi attorno a Gesù sulla montagna ad ascoltare queste parole così strane, ma se le ascoltiamo con il cuore, lo allargano all’infinito e ci fanno vedere quello che il nostro pessimismo non ci fa vedere.
La parola che ricorre come un ritornello insistente e quasi « magico » è beati… beati…beati.
È la promessa di una felicità profonda che è il vero motore del bene. Una morale fondata unicamente sul « devi…devi…devi », alla fin fine non produce che tristezza e cattiveria. Quello che realmente ci muove a fare il bene è la promessa di esser felici e di trovare felicità in quel che facciamo, anche se ci costa.
Gesù lo sa bene e per questo insiste molte volte promettere la felicità profonda ed eterna a coloro che si affidano a lui, anche se passa attraverso la sofferenza o addirittura la morte.
C’è la Chiesa attorno a Gesù su quel monte, e dietro la Chiesa ci sono le folle che Gesù vede allora come oggi. Gesù, vedendo le folle che hanno bisogno di una parola nuova e di un mondo nuovo, raduna i discepoli per insegnare loro la via delle beatitudini, in modo che poi i discepoli stessi scendano dal monte per testimoniare a tutti gli altri il sogno di Gesù. La Chiesa ha questo compito nel mondo di oggi. E’ il nostro compito di cristiani! E non possiamo ascoltare queste parole di Gesù e poi continuare a usare le regole del mondo per fare la Chiesa.Non possiamo usare lo stile del mondo per cambiare il mondo, cioè continuare a usare la violenza verbale, la sicurezza della ricchezza, la forza del potere.
Crediamo invece a queste parole di Gesù! Diffondiamo nel mondo che ci circonda lo stile delle beatitudini, che parlano di Dio che vuole entrare in noi e donarci la terra, ci consola, ci sazia di giustizia e pace, e ci chiama realmente suoi figli.
E’ vero, è difficile crederci fino in fondo, queste parole sembrano un sogno passeggero che dura, forse, la durata di una messa domenicale. Ma le parole di Gesù sono sempre li, fissate per sempre sul Vangelo. E molti ci hanno davvero creduto, rovesciando definitivamente la propria vita su queste parole.
Possiamo farlo anche noi. E possiamo farlo anche per il mondo.
dal sito:
http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=123974
Pazienza
(L’autore) Enzo Bianchi, Le parole della spiritualità
Per il cristiano la pazienza è coestensiva alla fede: ed è sia perseveranza, cioè fede che dura nel tempo, che makrothymia, «capacità di guardare e sentire in grande», cioè arte di accogliere e vivere l’incompiutezza…
La Scrittura attesta che la «pazienza» è anzitutto una prerogativa divina: secondo Esodo 34,6 Dio è makrothymos, «longanime», «magnanimo», «paziente» (in ebraico l’espressione equivalente suona letteralmente: «lento all’ira»). Il Dio legato in alleanza al popolo dalla «dura cervice» non può che essere costitutivamente paziente. Questa pazienza è stata manifestata compiutamente nell’invio del Figlio Gesù Cristo e nella sua morte per i peccatori, ed è ancora ciò che regge il tempo presente: «Il Signore non ritarda nell’adempire la promessa [...], ma usa pazienza (makrothymei) verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti giungano a conversione» (2 Pietro 3,9). La pazienza del Dio biblico si esprime al meglio nel fatto che Egli è il Dio che parla: parlando, dona il tempo all’uomo per una risposta, e quindi attende che questa arrivi alla conversione. La pazienza di Dio non va confusa con l’impassibilità di Dio, anzi, essa è il «lungo respiro della sua passione» (E. Jüngel), è la lungimiranza del suo amore, un amore che «non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva» (Ezechiele 33,11), ed è una forza operante anche quando il movimento di conversione non è ancora compiuto. La pazienza di Dio trova così la sua espressione più pregnante nella passione e croce di Cristo: lì la dissimmetria fra il Dio che pazienta e l’umanità peccatrice si amplia a dismisura nella passione di amore e di sofferenza di Dio nel Figlio Gesù Cristo crocifisso. Da allora la pazienza, come virtù cristiana, è un dono dello Spirito (Galati 5,22) elargito dal Crocifisso-Risorto, e si configura come partecipazione alle energie che provengono dall’evento pasquale.
Per il cristiano la pazienza è dunque coestensiva alla fede: ed è sia perseveranza, cioè fede che dura nel tempo, che makrothymia, «capacità di guardare e sentire in grande», cioè arte di accogliere e vivere l’incompiutezza. Questo secondo aspetto dice come la pazienza sia necessariamente umile: essa porta l’uomo a riconoscere la propria personale incompiutezza, e diventa pazienza verso se stessi; essa riconosce l’incompiutezza e la fragilità delle relazioni con gli altri, strutturandosi così come pazienza nei confronti degli altri; confessa l’incompiutezza del disegno divino di salvezza, configurandosi come speranza, invocazione e attesa di salvezza. La pazienza è la virtù di una chiesa che attende il Signore, che vive responsabilmente il non ancora senza anticipare la fine e senza ergere se stessa a fine del disegno di Dio. Essa rigetta l’impazienza della mistica come dell’ideologia e percorre la via faticosa dell’ascolto, dell’obbedienza e dell’attesa nei confronti degli altri e di Dio per costruire la comunione possibile, storica e limitata, con gli altri e con Dio. La pazienza è attenzione al tempo dell’altro, nella piena coscienza che il tempo lo si vive al plurale, con gli altri, facendone un evento di relazione, di incontro, di amore. Per questo, forse, oggi, nell’epoca stregata dal fascino del «tempo senza vincoli» – in cui la libertà viene spesso immaginata come l’assenza di legami, di vincoli, come possibilità di operare dei ricominciamenti assoluti dall’oggi al domani, che riportino a un incontaminato punto di partenza, azzerando o rimuovendo tutto ciò in cui prima si viveva, e anzitutto le relazioni e gli impegni assunti – può apparire così fuori luogo, e al tempo stesso così urgente e necessario, il discorso sulla pazienza: sì, per il cristiano, essa è centrale quanto l’agape, quanto il Cristo stesso. TI pazientare, cioè l’assumere come determinante nella propria esistenza il tempo dell’altro (di Dio e dell’altro uomo), è infatti opera dell’amore. «L’amore pazienta» (makrothymei), dice Paolo (1 Corinti 13,4). E la misura e il criterio della pazienza del credente non possono risiedere, in ultima istanza, che nella «pazienza di Cristo»(2 Tessalonicesi 3,5: hypomonè tou Christou).
Ecco perché spesso la pazienza è stata definita dai Padri della chiesa come la summa virtus (cfr. Tertulliano, De patientia 1,7): essa è essenziale alla fede, alla speranza e alla carità. Ha scritto Cipriano di Cartagine: «Il fatto di essere cristiani è opera della fede e della speranza, ma perché la fede e la speranza possano giungere a produrre frutti, abbisognano della pazienza» (Cipriano, De bono patientiae 13). Innestata nella fede in Cristo, la pazienza diviene «forza nei confronti di se stessi» (Tommaso d’Aquino), capacità di non disperare, di non lasciarsi abbattere nelle tribolazioni e nelle difficoltà, diviene perseveranza, capacità di rimanere e durare nel tempo senza snaturare la propria verità, e diviene anche capacità di sup-portare gli altri, di sostenere gli altri e la loro storia. Nulla di eroico in questa operazione spirituale, ma solo la fede di essere a propria volta sostenuti dalle braccia del Cristo stese sulla croce.
In questa difficile opera il credente è sorretto da una promessa: «Chi persevera fino alla fine sarà salvato» (Matteo 10,22; 24, 13). Promessa che non va intesa semplicemente come un rimanere saldi in una professione di fede, ma come un mettere in pratica la pazienza e l’attiva sopportazione tanto nei rapporti intra-ecclesiali, intra-comunitari («sopportatevi a vicenda», Colossesi 3,13), quanto nei rapporti della comunità cristiana ad extra, con tutti gli altri uomini («siate pazienti con tutti», 1Tessalonicesi 5,14). La pazienza diviene così una categoria che interpella la struttura interna della comunità cristiana e il suo assetto nel mondo, in mezzo agli altri uomini, ai non credenti. E mentre interpella, inquieta!