La maternità di Maria secondo lo Spirito (Stefano De Fiores)
dal sito:
http://www.stpauls.it/madre06/0601md/0601md03.htm
La maternità di Maria secondo lo Spirito
di Stefano De Fiores
Come figli del Padre, per la nostra Salvezza conta la vita in Cristo e nello Spirito, con tutto ciò che comporta nell’itinerario dal Battesimo alla gloria.
Lungo la sua vita terrena a contatto con il Figlio, Maria cambia radicalmente la sua posizione: non solo da madre diviene discepola, ma la sua maternità biologica nei riguardi di Gesù si allarga a quella spirituale nei riguardi dei Cristiani.
L’icona di Maria è quella di una madre universale, che nello Spirito accoglie i suoi figli e li forma alla maturità in Cristo come figli del Padre.
Dalla vita terrena alla vita eterna
Con il NT la vita assume una pienezza semantica appena accennata nell’AT. La posizione di Gesù di fronte alla vita può essere così sintetizzata: « …Gesù, nello stesso tempo, ha dimostrato una sollecitudine senza riserve per le necessità della vita concreta di quanti incontrava e, insieme, una profonda e radicale relativizzazione dell’attaccamento umano alla vita stessa ».
Gesù da persona profondamente biofila, vuole « salvare la vita » dei malati (Mc 3, 4), ma sollecita tutti a salvare la propria vita perdendola (Mc 8, 35). Questo paradosso indica che bisogna accogliere totalmente il Regno di Dio manifestato in Cristo, strappando l’esistenza terrena « come con un colpo di spada, da tutti quei legami che la visione umana delle cose considera protettivi e promozionale della vita (tra cui persino la famiglia: cfr. Mt 10, 34-39) ».
Solo allora l’essere umano avrà in cambio il centuplo in questa vita e la vita eterna (Mc 10, 29-30). Anzi la vita eterna comincia fin d’ora poiché chi ascolta Gesù « ha la vita eterna e non incorre nel giudizio, ma è passato dalla morte alla vita » (Gv 5, 24). Scopo della venuta del Verbo in terra è proprio la trasmissione di questo dono della vita: « Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza » (Gv 10, 10). È la vita nuova e misteriosa, comunicata a quanti nascono dall’acqua e dallo Spirito (Gv 3, 5).
In Paolo la vita non si riferisce che due volte all’esistenza terrena materiale (cfr. 1Tm 2, 2; 2Tm 2, 4), poiché egli ricorre al termine « zoé » per indicare « una qualità singolare della vita che procede dalla fede in Cristo e dall’unione con lui ».
È la vita in Cristo e nello Spirito per essere figli del Padre a contare per la Salvezza, con tutto quello che comporta, in particolare nel suo itinerario dal Battesimo alla gloria, quando il nostro corpo mortale sarà rivestito di gloria e d’immortalità (cfr. 1Cor 15, 53-54).
Anche a livello ecumenico oggi si riconosce che il concentrarsi sulla giustificazione come remissione dei peccati – come si è fatto in questi secoli presso gli Evangelici – risulta « una teologia unilaterale della Croce ». Si riconosce quindi con J. Moltmann che occorre completarla con la vita nuova a noi comunicata in forza della Risurrezione di Cristo e che si traduce nell’esperienza battesimale (cfr. Tt 3, 5-7): « La remissione dei peccati è un atto proiettato all’indietro, mentre quello proiettato in avanti – la giustificazione – significa la ri-creazione della vita, il risveglio dell’amore e la rinascita ad una nuova speranza viva ».
Si apre così un dinamismo comunicativo che coinvolge nella vita divina l’uomo nuovo nella creazione nuova, conferendogli l’esperienza di una gioia esaltante: « Si tratta di un processo concatenato che parte dalla rinascita di Cristo da morte in forza dello Spirito, passa attraverso la rinascita degli esseri umani mortali sempre ad opera dello Spirito, per giungere, ancora per mezzo dello Spirito, alla rinascita universale del cosmo ».
Una maternità nuova
Maria, figlia di Sion e tipo della Chiesa, ha vissuto nella sua carne il passaggio dalla prima alla seconda Alleanza, cioè quel lungo e profondo processo per cui l’ebreo si trasforma in cristiano.
Pur mantenendo i contatti con la spiritualità ebraica, il Cristianesimo è radicalmente diverso dall’Ebraismo, sia nella concezione di Dio in cui si passa dal Dio dei padri al Dio Padre del Signore nostro Gesù Cristo, quindi al Dio Uni-trino, sia nella concezione dell’uomo non più normato dalla Legge ma vivificato dal cuore nuovo nello Spirito, come predetto dai profeti Ezechiele e Geremia.
In particolare, il discrimine è evidente a proposito della realizzazione delle promesse messianiche. Ad una concezione del Messia guerriero, sacerdote o trionfatore, succede quella del Servo sofferente che salva e riconcilia il mondo per mezzo della morte di Gesù in Croce, « scandalo per i Giudei » ma « potenza e sapienza » (1Cor 1, 23) per i discepoli di Cristo.
All’attesa di una prosperità materiale che comporta l’abbondanza di frumento, vino ed olio, come pure la fecondità per la moltiplicazione degli animali e dei figli, si sostituiscono il primato del Regno di Dio e della vita eterna.
Maria è la testimone vivente di questo doppio doloroso processo di maturazione.
Fin da quando Gesù è ai primi mesi di vita, ella riceve al Tempio quello che è stato chiamato il « secondo annuncio », questa volta non da parte di un Angelo, ma di Simeone, un vecchio laico versato in Isaia e in attesa del Messia consolatore.
Dopo aver preso il bambino tra le braccia, gesto in uso tra i rabbini, Simeone pronuncia un’autentica rivelazione che lascia « stupiti » Maria e Giuseppe (cfr. Lc 2, 33) non solo perché allarga il messianismo a proporzioni universali ma pure perché addensa cupe nubi sull’orizzonte riguardante il Messia, che invece di trovare successi e trionfi incontrerà opposizione, fonte di sofferenza anche per il cuore della madre.
L’oracolo di Simeone, tradotto talvolta senza fedeltà al testo greco, annuncia da parte sua una spada (rompháia) per l’anima di Maria nel contesto di Gesù « segno contraddetto » [seméion antilegómenon].
L’opposizione (antiloghia) che si ergerà contro Gesù giunge a ripercuotersi sulla madre, sulla cui anima piomberà il dolore come una spada di grande dimensione. Ormai il futuro del bambino non sarà solo quello glorioso del Regno senza fine, ma si profila denso di opposizioni e contrasti. Maria sta dalla parte di Gesù come colei che parteciperà intimamente alla sua tragica sorte.
La vita accolta da lei appare minacciata, prima dalla furia omicida di Erode e poi dai suoi oppositori; ma rimane la Parola di Dio che fa regnare Gesù sulla casa di Giacobbe in un Regno senza fine, che si realizzerà in modo misterioso passando da una sofferenza mortale.
La maternità di Maria ai piedi della Croce
L’altro passaggio dalla stima della vita terrena al primato della vita eterna che costituisce il fulcro della predicazione di Gesù viene offerto a Maria sul Golgota nelle parole che il Crocifisso rivolge a lei e al discepolo amato (cfr. Gv 19, 25-27).
L’episodio « si inserisce in un contesto [Gv 19, 17-37] dove tutto ci parla della realizzazione del piano di Salvezza annunciato dalla Scrittura ». In esso si ha come un trasferimento dal piano biologico a quello spirituale: Maria vede la sua maternità fisica nei confronti del Figlio interrompersi all’improvviso con la morte di Gesù, in cui il Padre della vita lo « abbandona » [nel senso che non gli impedisce di morire], ma nello stesso tempo sorge per lei una nuova maternità non più sul piano terreno ma in quello dello Spirito.
Maria comprende la sua identità teologica e storico-salvifica mediante la « scena di rivelazione » che si svolge sotto i suoi occhi. Come Gesù è veramente l’Agnello di Dio secondo la rivelazione del Battista, così Maria è davvero la madre del discepolo amato secondo le parole rivelatrici di Cristo.
Essere madre del discepolo amato è l’identità di Maria nella storia della Salvezza. Non è specificato in che cosa consista questa maternità di Maria, ma per essere vera essa deve consistere in una comunicazione di vita : essa si comprende nel contesto giovanneo della rinascita dall’acqua e dallo Spirito (cfr. Gv 3, 3-7). Per questo Gesù chiama « donna » la madre con riferimento ad Eva, la donna primordiale e madre dei viventi, oppure alla Figlia di Sion vergine e madre (cfr. 2Re 19, 21; Is 37, 22; Lam 2, 13; Sal 86, 5), personificazione del popolo di Dio.
Più degli Apostoli, cui si applica direttamente il paragone, Maria è la donna partoriente, che passa dal dolore alla gioia della maternità nei riguardi di Cristo risorto (cfr. Gv 16, 21-23), ma anche dei suoi discepoli amati. L’espressione giovannea « tra i suoi beni » ["eis ta ídia" – "tra le cose proprie"] (cfr. Gv 19, 27) non significa solo la casa (Lagrange) o solo l’intimità (de La Potterie), ma piuttosto il proprio ambiente caratteristico, cioè la Comunità, la Chiesa (Vanni). Tale ambiente è a sua volta costituito dai doni o valori trasmessi da Gesù: la grazia, la Parola, lo Spirito, l’Eucaristia (cfr. Gv 1, 16 ; 12, 48 ; 7, 39 ; 6, 32-58). Tra questi valori propri della comunione con Gesù c’è il dono della madre, che il discepolo amato accoglie e consegna alla comunità.
Nel cuore dell’ultimo libro del NT (cfr. Ap 12, 1-18) si situa il « grande segno » rappresentato dalla Donna avvolta di sole (oggetto della cura amorosa di Dio), con la luna sotto i piedi (perché è oltre il calendario lunare del tempo mutevole) e sul capo una corona di 12 stelle (simbolo dei Patriarchi o/e degli Apostoli). Chi è questa donna glorificata che soffre le doglie del parto ?
Gli esegeti sono d’accordo nel ravvisare nella Donna il Popolo di Dio, preannunciato nell’AT (cfr. Is 13, 8 ; 66, 7 ; Os 13, 13), che nella sofferenza partorisce l’uomo nuovo (cfr. Gv 16, 19.22). Si tratta della Comunità apostolica, che si prolunga nella Comunità cristiana, più precisamente giovannea : esse sono impegnate nel parto divenuto drammatico per lo scontro con il Drago simbolo del Male. Frutto del parto è Cristo risorto, la cui Risurrezione è interpretata come nascita (cfr. Gv 16, 21-22).
Pur mantenendo questa dimensione ecclesiale, gli esegeti scorgono nella Donna dell’Apocalisse i lineamenti della Madre di Gesù. Una triplice caratteristica lega le due figure: ambedue sono chiamate « donna » (cfr. Ap 12, 1.6.13-17; Gv 2, 4 ; 19, 26), hanno altri figli oltre Gesù (cfr. Ap 12,17; Gv 19, 26), la loro maternità è legata ai dolori della Croce (cfr. Ap 12, 2; Gv 19, 26).
La Donna dell’Apocalisse risulta raffigurata secondo la tipologia mariana. Del resto, Maria ha partecipato attivamente allo svolgersi del mistero pasquale, al punto da personificare il Popolo di Dio dilatando la sua maternità al discepolo amato.
Stefano De Fiores

Vous pouvez laisser une réponse.
Laisser un commentaire
Vous devez être connecté pour rédiger un commentaire.