Angelico: King David Playin a Psaltery

la grafica non è perfetta, ma non volevo modificare troppo l’originale, dal sito:
http://www.zammerumaskil.com/liturgia/sussidi/te-deum.html
Noi ti lodiamo, Dio * ti proclamiamo Signore.
O eterno Padre, *
tutta la terra ti adora.
A te cantano gli angeli * e tutte le potenze dei cieli:
Santo +,
Santo +,
Santo il Signore Dio dell’universo.
I cieli e la terra *
sono pieni della tua gloria.
Ti acclama il coro degli apostoli * e la candida schiera dei martiri;
le voci dei profeti si uniscono nella tua lode; *
la santa Chiesa proclama la tua gloria,
adora il tuo unico figlio, * e lo Spirito Santo Paraclito.
O Cristo, re della gloria, *
eterno Figlio del Padre,
tu nascesti dalla Vergine Madre * per la salvezza dell’uomo.
Vincitore della morte, *
hai aperto ai credenti il regno dei cieli.
Tu siedi alla destra di Dio, nella gloria del Padre. * Verrai a giudicare il mondo alla fine dei tempi.
Soccorri i tuoi figli, Signore, *
che hai redento col tuo sangue prezioso.
Accoglici nella tua gloria * nell’assemblea dei santi.
Salva il tuo popolo, Signore, *
guida e proteggi i tuoi figli.
Ogni giorno ti benediciamo, * lodiamo il tuo nome per sempre.
Degnati oggi, Signore, *
di custodirci senza peccato.
Sia sempre con noi la tua misericordia: * in te abbiamo sperato.
Pietà di noi, Signore, *
pietà di noi.
Tutti: Tu sei la nostra speranza, * non saremo confusi in eterno.
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Note sul Te Deum – fonte dalla rete
L’inno Te Deum laudamus, con cui tradizionalmente ringraziamo il Signore Dio dei benefici da Lui ricevuti, pure se detto « inno ambrosiano », è una composizione poetica adesso attribuita con certezza a Niceta di Remesiana, intorno all’anno 400.Originariamente si rivolgeva a Cristo Dio e Signore: « Te (o Cristo) noi lodiamo Dio! Te (o Cristo) noi professiamo Signore! ». Successivamente, con l’attenuarsi delle eresie sulla Persona Divina e sulla Divina Signoria di Gesù, poco alla volta la pietà cristiana lo ha indirizzato al Padre e al Figlio e allo Spirito; infatti, con questa qualificazione trinitaria noi lo abbiamo recepito e a nostra volta lo trasmettiamo.Nella Chiesa cattolica il Te Deum è legato alle cerimonie di ringraziamento; viene tradizionalmente cantato la sera del 31 dicembre, per ringraziare dell’anno appena trascorso, oppure nella Cappella Sistina ad avvenuta elezione del nuovo pontefice, prima che si sciolga il conclave.Nella Liturgia delle Ore trova il suo posto nell’Ufficio delle letture, nelle solennità e nelle feste, in tutte le domeniche, nei giorni fra l’ottava di Natale e quelli fra l’ottava di Pasqua. Diversi autori si contendono la paternità testo. Tradizionalmente veniva attribuito a san Cipriano di Cartagine oppure, secondo una leggenda dell’VIII secolo, si è sostenuto che fosse stato composto a due mani da sant’Ambrogio e da sant’Agostino il giorno di battesimo di quest’ultimo, avvenuto a Milano nel 386, per questo è stato chiamato anche inno ambrosiano.Oggi gli specialisti attribuiscono la redazione finale a Niceta, vescovo di Remesiana (oggi Bela Palanka) alla fine del IV secolo.Dall’analisi letteraria, l’inno si può dividere in tre parti.• La prima, fino a Paraclitum Spiritum, è una lode trinitaria indirizzata al Padre. Letterariamente è molto simile ad un’anafora eucaristica, contenendo il triplice Sanctus.• La seconda parte, da Tu rex gloriæ a sanguine redemisti, è una lode a Cristo Redentore.• L’ultima, da Salvum fac, è un seguito di suppliche e di versetti tratti dal libro dei salmi. La sua recitazione è facoltativa. Solitamente viene cantato a cori alterni : Sacerdote o celebrante e il popolo.
dal sito:
http://tuespetrus.wordpress.com/2008/12/24/il-natale-nella-poesia-liturgica-di-romano-il-melode/
Il Natale nella poesia liturgica di Romano il Melode
24 dicembre 2008
di redazionedi Manuel Nin
Le tradizioni liturgiche orientali, molto spesso con forme letterarie belle e nello stesso tempo contrastanti, ci propongono la contemplazione del mistero della nostra fede. Romano il Melode, teologo e poeta bizantino del vi secolo, nel suo primo kontàkion (poema a uso liturgico) come ritornello ripete le parole “nuovo bambino, il Dio prima dei secoli” che riassumono il mistero celebrato: il Dio eterno, esistente prima dei secoli, diventa nuovo nel bambino neonato. La tradizione bizantina, celebrando la “nascita secondo la carne del Dio e salvatore nostro Gesù Cristo” accosta, sia nell’iconografia che nell’eucologia, la celebrazione del Natale a quella della Pasqua. L’icona del Natale nel bambino fasciato messo in un sepolcro vuole prefigurare già il sepolcro dove il Signore, di nuovo fasciato, verrà messo il Venerdì Santo per risuscitarne glorioso all’alba di Pasqua. I testi della liturgia con immagini molto profonde e vivaci ci propongono così tutto il mistero della nostra salvezza.
Nelle settimane precedenti il Natale, senza un vero e proprio periodo corrispondente all’Avvento delle tradizioni latine, la liturgia bizantina in bellissimi tropari ci ha fatto pregustare tutto il mistero dell’Incarnazione: l’attesa fiduciosa e la povertà della grotta, prefigurazione della miseria dell’umanità che accoglie il Verbo di Dio; e ancora, tutta la serie di figure e personaggi che si affacciano nella vita liturgica di questi giorni: i profeti Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Daniele e i Tre Fanciulli; Betlemme, quasi personificata e collegata con l’Eden; Isaia che si rallegra, Maria, la Madre di Dio presentata come “agnella”, cioè colei che porta in seno Cristo, l’Agnello di Dio; infine, nelle due domeniche che precedono il Natale, i Progenitori di Dio da Adamo fino a Giuseppe, cioè la lunga serie di figure che hanno atteso il Cristo e che ci ricordano il fatto che anche noi siamo parte di una storia e di una umanità che l’accolgono nella veglia fiduciosa, ma anche nel buio, nel dubbio e nel peccato.
Nel secondo dei kontàkia Romano il Melode narra la visita di Adamo ed Eva alla grotta del neonato. Il canto di Maria all’orecchio del bambino sveglia Eva dal sonno eterno ed essa persuade Adamo di recarsi nella grotta per capire cosa sia quel canto. Nel dialogo tra Eva e Adamo svegliati ormai dal loro sonno la donna gli annuncia la buona notizia: “Ascoltami, sono la tua sposa: io, che sono stata la prima a provocare la caduta dei mortali, oggi mi rialzo. Considera i prodigi, guarda l’ignara di nozze che guarisce la nostra piaga con il frutto del suo parto. Il serpente una volta mi sorprese e si rallegrò, ma al vedere ora la mia discendenza fuggirà strisciando”. La nascita verginale di Cristo diventa guarigione, salvezza per il genere umano ferito dal peccato.
E le risponde Adamo: “Riconosco la primavera, o donna, e aspiro le delizie da cui decademmo allora. Scorgo un nuovo, diverso paradiso: la Vergine che porta in grembo l’albero di vita, lo stesso albero sacro che custodivano i cherubini per impedirci di toccarlo. Ebbene, guardando crescere questo intoccabile albero, ho avvertito, o mia sposa, il soffio vivificante che fa di me, polvere e fango immoti, un essere animato. Adesso, rinvigorito dal suo profumo, voglio andare dove cresce il frutto della nostra vita, dalla Piena di grazia”. Il risveglio di Adamo è una prefigurazione, in quanto viene collocato nella primavera, cioè nel contesto pasquale in cui sarà definitivamente riportato in paradiso. E questo è anche cambiato, rinnovato: “Scorgo un nuovo, diverso paradiso”, che altro non è se non il grembo della Vergine che porta il nuovo albero della vita.
“Sono sopraffatto dall’amore che sento per l’uomo” risponde il Creatore. “Io, o ancella e madre mia, non ti rattristerò. Ti farò conoscere tutto ciò che sto per fare e avrò rispetto per la tua anima, o Maria. Il bambino che ora porti tra le braccia, lo vedrai fra non molto con le mani inchiodate, perché ama la tua stirpe. Colui che tu nutri, altri l’abbevereranno di fiele; colui che tu chiami vita, dovrai tu vederlo appeso alla croce, e di lui piangerai la morte. Ma tu mi stringerai in un abbraccio allorché sarò risuscitato, o Piena di grazia. Tutto questo sopporterò volentieri, e causa di tutto questo è l’amore che ho sempre sentito e sento tuttora per gli uomini, amore di un Dio che non chiede altro che di poter salvare”. All’udire queste parole Maria grida: “O mio grappolo, che gli empi non ti frantumino! Quando sarai cresciuto, o Figlio mio, che io non ti veda immolato!”. Ma egli risponde: “Non piangere Madre, su ciò che non sai: se tutto questo non sarà compiuto, tutti coloro, a favore dei quali mi implori, periranno, o Piena di grazia”.
Un Dio il quale “non chiede altro che di poter salvare”. Questa è la realtà, l’unica realtà che celebriamo in questi giorni nella nostra fede cristiana: l’amore di Dio per gli uomini manifestatosi pienamente in Gesù Cristo. E viviamo questa realtà in tutta la nostra vita come cristiani. Come cristiani nel condividere – e forse anche nel mettere in contrasto la nostra fede – con un mondo segnato fortemente dall’individualismo, dall’oblio dell’altro, dall’ignoranza degli altri; una fede che dovrà predicare un Dio che è dono gratuito, che perdona, che ama, e perché ama si sacrifica per gli altri e non chiede altro che poter salvare. Lui “nuovo bambino, il Dio prima dei secoli”.
(L’Osservatore Romano – 25 dicembre 2008)
dal sito:
http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/11476.html
Omelia (29-12-2007)
Messa Meditazione
La consegna della vita
I giorni dopo il Natale si distendono nella contemplazione del mistero del Signore Gesù, e di quanto è accaduto nella sua vicenda umana. La liturgia ci accompagna dentro il mistero della famiglia di Nazaret. Il bambino Gesù, nato all’interno del popolo ebreo, partecipa alle sue leggi e prescrizioni. La presentazione al tempio, a quaranta giorni dalla nascita, non si riduce a un atto giuridico e formale; realizza invece la prima effettiva consegna al Padre, partecipata dall’offerta di Maria e Giuseppe. Gesù si presenta al tempio come la vittima vera del nuovo sacrificio, e viene riconosciuto dai santi vecchi Simeone e Anna, depositari delle promesse di tutto il popolo.
La bellezza e verità del quadro dipinto dall’evangelista Luca in questa pagina di Vangelo è piena di mistero. Una giovane famiglia presenta al tempio il primogenito, adempiendo nel modo più semplice le prescrizioni della legge ebraica. In questo gesto giungono a compimento, anzi vengono superati tutti i sacrifici antichi. Qui è Gesù, il Figlio di Dio, che viene presentato e si offre all’altare di Dio. E’ la chiave interpretativa di tutta la vita di Gesù: Egli è venuto per consegnarsi al Padre. « Entrando nel mondo, Cristo dice: Non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare o Dio la tua volontà » (Ebrei 10,5-7).
Si rende esplicita l’intenzione che ha mosso il Figlio a incarnarsi, e che troverà compimento nel sacrificio della croce. Il Figlio di Dio, dicono i Padri della Chiesa, ‘è stato mandato a morire’ (‘mori missus’). Ogni azione di Gesù si muove nella stessa direzione, con lo stesso slancio, e la Chiesa, rappresentata da Giuseppe e Maria, se ne rende partecipe. Su questa linea, è la vita di ogni uomo che viene nel mondo ad essere consegnata e offerta.
Nel momento stesso in cui Gesù si presenta al tempio e si offre al Padre, avviene anche il suo riconoscimento da parte di Simeone e Anna: l’attesa è compiuta; il cuore dell’uomo incontra l’oggetto del suo desiderio, si placa e benedice Dio. L’uomo che ha visto Dio, può morire in pace. E’ una grazia concessa dallo Spirito Santo questo riconoscimento, che continua ad attuarsi davanti ai nostri occhi nel gesto in cui Gesù ancora si offre attraverso il sacrificio eucaristico, dove Cristo permane come segno di contraddizione e speranza di salvezza per tutti.
Ora lascia o Signore che il tuo servo vada in pace, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli.
Ogni mattina, ogni giorno, rinnovo l’offerta della mia vita, unendola al sacrificio di Cristo. Ogni momento e ogni azione siano vissuti davanti al Signore.
Commento a cura di don Angelo Busetto