« Luce del mondo ». La prima volta di un papa (di Sandro Magister)
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http://chiesa.espresso.repubblica.it:80/articolo/1345703
« Luce del mondo ». La prima volta di un papa
Un libro così « a rischio » non ha precedenti per un successore di Pietro. « Ognuno è libero di contraddirmi », è il suo motto. Sulla questione controversa del preservativo, il professor Rhonheimer spiega perché Benedetto XVI ha ragione
di Sandro Magister
ROMA, 25 novembre 2010 – Verso la fine del suo libro-intervista « Luce del mondo », da pochi giorni in vendita in varie lingue, Benedetto XVI fa cenno all’altro suo libro su Gesù, la sua « ultima opera maggiore ».
Ricorda che « in modo del tutto consapevole » ha voluto che quel libro fosse non un atto di magistero, ma l’offerta di una sua interpretazione personale.
E aggiunge: « Questo naturalmente rappresenta un rischio enorme ».
Nel pomeriggio di lunedì 22 novembre, a tu per tu col papa, il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, gli ha chiesto se si rendeva conto di affrontare un rischio ancor più grande con il libro-intervista che stava per uscire.
« A questa mia domanda il papa ha sorriso », ha raccontato padre Lombardi.
Proprio così. « Luce del mondo » è un libro senza precedenti, per un papa. È la trascrizione integrale di sei ore di intervista spontanea e senza censure. Su un arco incredibilmente ampio di temi, anche i più scomodi.
Le risposte sono rapide ed essenziali. Il linguaggio è colloquiale ma preciso, semplice, del tutto privo di tecnicismi. Qua e là balenano lampi di ironia.
Certo, il lancio del libro non è stato impeccabile. Lo stesso padre Lombardi ha riconosciuto che l’anticipazione di alcuni brani ad opera de « L’Osservatore Romano », nel pomeriggio di sabato 20 novembre, in pieno concistoro, « non è stata gestita bene ». Sul brano riguardante il preservativo, rimbombato fragorosamente sui media di tutto il mondo, si è dovuto correre ai ripari, domenica 21, con una nota di precisazione approvata parola per parola dal papa.
Un « rischio », quindi, il libro l’ha immediatamente sperimentato. Il papa si è visto subito gettato nella mischia, su un tema da lui toccato in sole due pagine su 250, lo stesso tema che nella primavera del 2009, all’inizio di un suo viaggio in Africa, gli aveva procurato un uragano di critiche.
Ma se si guarda a ciò che è accaduto nei giorni scorsi, il test ha avuto effetti sorprendentemente benefici fuori e dentro la Chiesa.
Fuori, le voci generalmente ostili a questo pontificato hanno questa volta riconosciuto a Benedetto XVI il merito di una « apertura ». E soprattutto sono state indotte a leggerne le argomentazioni. Fa impressione vedere come in così breve tempo siano risuscitate le fortune mediatiche di questo papa, del quale solo pochi mesi fa si reclamavano le dimissioni.
Dentro la Chiesa è uscita finalmente alla luce del sole la discussione su un tema rimasto fin lì sotto traccia. Il papa non ha fatto nessuna « svolta rivoluzionaria », sulla questione del preservativo. Ma il comunicato di domenica 21 novembre ha fatto notare che comunque una novità è accaduta, quando dice: « Numerosi teologi morali e autorevoli personalità ecclesiastiche hanno sostenuto e sostengono posizioni analoghe; è vero tuttavia che non le avevamo ancora ascoltate con tanta chiarezza dalla bocca di un papa, anche se in una forma colloquiale e non magisteriale ».
Non solo. Quella ora portata alla luce dal papa è una discussione vera, con pareri anche vivacemente contrapposti. « Ognuno è libero di contraddirmi », scrisse Benedetto XVI nella prefazione a « Gesù di Nazaret ». Sul preservativo è ciò che sta oggi accadendo, con gruppi ed esponenti « pro life » molto critici nei confronti delle posizioni espresse dal papa nel libro-intervista.
Naturalmente « Luce del mondo » non si riduce a questo. È l’intero profilo di questo pontificato che balza fuori, in magnifica sintesi. Anche le singole questioni, affrontate dal papa ad una ad una, recano l’impronta del tutto.
I due testi riprodotti qui di seguito ne danno la conferma.
Il primo è il commento a « Luce del mondo » uscito in Italia su « L’espresso », settimanale di punta della cultura laica.
Il secondo è un articolo di padre Martin Rhonheimer, svizzero, professore di etica e filosofia politica alla Pontificia Università della Santa Croce, l’università romana dell’Opus Dei.
L’articolo è apparso nel 2004 su « The Tablet », rivista cattolica « liberal » di Londra, ed espone con la maestria dello specialista di teologia morale gli argomenti che sono alla base della « apertura » di Benedetto XVI all’uso del preservativo in determinati casi e per una determinata finalità.
Colpisce come tra l’articolo di Rhonheimer di sei anni fa e le odierne parole di Benedetto XVI vi sia una consonanza addirittura verbale. A cominciare da quell’ »atto di responsabilità » riconosciuto a merito del « prostituto » che usa il preservativo per non mettere a rischio la vita del partner, portato come esempio dal papa.
A proposito di questo esempio, padre Lombardi ha riferito che per il papa non è importante che il soggetto sia al maschile o al femminile: « Il punto è la responsabilità nel tener conto del rischio della vita dell’altro con cui si ha il rapporto. Se lo fa un uomo, una donna o un transessuale è lo stesso ».
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IL BUON PASTORE E LA PECORA SMARRITA
di Sandro Magister
In sei ore di colloquio col giornalista bavarese Peter Seewald nella quiete estiva di Castel Gandolfo, distribuite in sei giorni come quelli della creazione e trascritte tali e quali in un libro fresco di stampa, Benedetto XVI ha consegnato al mondo la propria immagine più veritiera. Quella di un uomo incantato dalle meraviglie del creato, gioioso, incapace di sopportare una vita vissuta sempre e soltanto « contro », felicemente convinto che nella Chiesa « molti che sembrano stare dentro, sono fuori; e molti che sembrano stare fuori, sono dentro ».
« Siamo peccatori », dice papa Benedetto quando l’intervistatore lo mette all’angolo sull’enciclica « Humanae vitae », quella che condanna tutti gli atti contraccettivi non naturali. Paolo VI la scrisse e pubblicò nel 1968, e da quell’anno fatidico essa è diventata l’emblema dell’incompatibilità tra la Chiesa e la cultura moderna. Joseph Ratzinger non smentisce una virgola, della « Humanae vitae ». La « verità » è quella e tale rimane. « Affascinante », dice, per le minoranze che ne sono intimamente persuase. Ma subito il papa sposta il suo sguardo sulle masse sterminate di uomini e donne che quella « morale alta » non vivono. Per dire che « dovremmo cercare di fare tutti il bene possibile, e sorreggerci e sopportarci a vicenda ».
È questo il papa che emerge dal libro-intervista « Luce del mondo ». È lo stesso che si era rivelato così nella sua prima messa celebrata dopo la nomina a successore di Pietro. Un pastore che va alla ricerca della pecora smarrita, e la prende sulle spalle come la lana d’agnello del pallio che indossa, e prova molta più gioia per la pecora ritrovata che per le novantanove nell’ovile.
Solo che allora pochi l’avevano capito. Il Ratzinger delle figurine è rimasto a lungo il professore gelido, l’inquisitore ferrigno, il giudice spietato. C’è voluta, cinque anni dopo, la tempesta perfetta dei preti pedofili per stracciare definitivamente questa falsa immagine.
A differenza di tanti altri personaggi di Chiesa, Benedetto XVI non lamenta complotti, non ritorce le accuse contro gli accusatori. Anzi, nel libro dice che « sin tanto che si tratta di portare alla luce la verità, dobbiamo essere con loro riconoscenti ». E spiega: « La verità, unita all’amore inteso correttamente, è il valore numero uno. E poi i media non avrebbero potuto dare quei resoconti se nella Chiesa stessa il male non ci fosse stato. Solo perché il male era dentro la Chiesa, gli altri hanno potuto rivolgerlo contro di lei ».
Dette dall’uomo che al vertice della Chiesa cattolica è stato il primo a diagnosticare e combattere questa « sporcizia », e poi da papa a portare il peso maggiore di colpe e omissioni non sue, sono parole che fanno impressione. Ma questo è lo stile con cui Benedetto XVI tratta altre questioni scottanti, nel libro. Va direttamente al cuore dei punti più controversi. Il sacerdozio femminile? Pio XII e gli ebrei? L’omosessualità? Il burka? Il preservativo? L’intervistatore lo incalza e il papa non si sottrae. A proposito del burka dice di non vedere le ragioni di una proibizione generalizzata. Se imposto alle donne con la violenza, « è chiaro che non si può essere d’accordo ». Ma se è indossato volontariamente, « non vedo perché glielo si debba impedire ».
Al papa si potrà obiettare che un velo che ricopra completamente il volto ponga problemi di sicurezza in campo civile. Obiezione legittima, perché l’intervista lui l’ha data anche per aprire discussioni, non per chiuderle. Nella prefazione a un altro suo libro, quello su Gesù uscito nel 2007, Ratzinger scrisse che « ognuno è libero di contraddirmi ». E tenne a precisare che non si trattava di un « atto magisteriale » ma « unicamente di un’espressione della mia ricerca personale ».
Dove il magistero della Chiesa sembra tremare, nell’intervista, è quando il papa parla del preservativo, giustificandone l’uso in casi particolari. Nessuna « svolta rivoluzionaria », ha prontamente chiosato padre Federico Lombardi, voce ufficiale della sede di Pietro. Infatti, già molti cardinali e vescovi e teologi, ma soprattutto schiere di parroci e missionari ammettono pacificamente da tempo l’uso del preservativo, per tante persone concrete incontrate nella « cura d’anime ». Ma un conto è che lo facciano loro, un conto che lo dica a voce alta un papa. Benedetto XVI è il primo pontefice nella storia a varcare questo Rubicone, con disarmante tranquillità: lui che solo due primavere fa aveva aveva scatenato nel mondo un fragoroso coro di proteste per aver detto, in volo verso l’Africa, che « non si può risolvere il flagello dell’AIDS con la distribuzione di preservativi: ma al contrario, il rischio è di aumentare il problema ».
Era il marzo del 2009. Si accusò Benedetto XVI di condannare a morte miriadi di africani in nome della cieca condanna del protettivo di lattice. Quando in realtà il papa voleva richiamare l’attenzione sul pericolo – in Africa comprovato dai fatti – che a un più largo uso del preservativo si accompagni non un calo ma un aumento del sesso occasionale e promiscuo e dei tassi di infezione.
Nell’intervista, Ratzinger riprende il filo di quel suo ragionamento, all’epoca largamente frainteso, e osserva che anche fuori della Chiesa, tra i maggiori esperti mondiali della lotta contro l’AIDS, è sempre più condivisa la maggiore efficacia di una campagna centrata sulla continenza sessuale e sulla fedeltà coniugale, rispetto alla indiscriminata distribuzione del preservativo.
« Concentrarsi solo sul profilattico – prosegue il papa – vuol dire banalizzare la sessualità, e questa banalizzazione rappresenta proprio la pericolosa ragione per cui tante e tante persone nella sessualità non vedono più l’espressione del loro amore, ma soltanto una sorta di droga, che si somministrano da sé ».
A questo punto uno si aspetterebbe che Benedetto XVI ribadisca la condanna assoluta del preservativo. E invece no. Prendendo il lettore di sorpresa, egli dice che in vari casi il suo uso può essere ammesso, per ragioni diverse da quelle contraccettive. E porta l’esempio di « un prostituto » che utilizza il profilattico per evitare il contagio: l’esempio, cioè, di un’azione che resta comunque peccaminosa, nella quale però il peccatore ha un sussulto di responsabilità, che il papa giudica « un primo passo verso un modo diverso, più umano, di vivere la sessualità ».
Se questa comprensione amorevole vale per un peccatore, a maggior ragione deve quindi valere per il caso classico incontrato in Africa e altrove da parroci e missionari: quello di due coniugi uno dei quali è malato di AIDS e usa il profilattico per non mettere in pericolo la vita dell’altro. Tra i cardinali che hanno sinora prospettato, più o meno velatamente, la liceità di questo e di altri comportamenti analoghi vi sono gli italiani Carlo Maria Martini e Dionigi Tettamanzi, il messicano Javier Lozano Barragán, lo svizzero Georges Cottier. Quando però nel 2006 « La Civiltà Cattolica », la rivista dei gesuiti di Roma stampata con il previo controllo della segreteria di stato vaticana, affidò l’argomento a un grande esperto sul campo, padre Michael F. Czerny, direttore dell’African Jesuit AIDS Network con sede a Nairobi, l’articolo uscì purgato dei passaggi che ammettevano l’uso del preservativo per frenare il contagio.
C’è voluto papa Benedetto per dire quello che nessuno aveva fin qui osato, al vertice della Chiesa. E basta questo per fare di lui un umile, mite rivoluzionario.
(Da « L’espresso » n. 48 del 2010).
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LA VERITÀ SUL PRESERVATIVO
di Martin Rhonheimer
La maggior parte della gente è convinta che una persona infetta da HIV e che abbia rapporti sessuali debba fare uso del preservativo per proteggere il partner dall’infezione. Indipendentemente dalle opinioni che si possono avere sulla promiscuità come stile di vita, sull’omosessualità o sulla prostituzione, quella persona almeno agisce con un certo senso di responsabilità nel cercare di evitare di trasmettere ad altri la sua infezione.
Si ritiene comunemente che la Chiesa cattolica non appoggi una tale opinione. [...] Si crede che la Chiesa insegni che gli omosessuali sessualmente attivi e le prostitute dovrebbero evitare l’uso del preservativo, in quanto quest’ultimo sarebbe “intrinsecamente cattivo”. Anche molti cattolici sono persuasi [...] che l’uso del preservativo, anche esclusivamente diretto a prevenire l’infezione del partner, non rispetta la struttura fertile che gli atti coniugali debbono avere, non può costituire il reciproco e completo dono personale di sé e pertanto viola il sesto comandamento.
Ma questo non è un insegnamento della Chiesa cattolica. Non c’è alcun magistero ufficiale sul preservativo, sulla pillola anti-ovulazione o sul diaframma. Il preservativo non può essere intrinsecamente cattivo, solo le azioni umane possono esserlo. Il preservativo non è un’azione umana, ma una cosa.
Ciò che il magistero della Chiesa cattolica designa chiaramente come “intrinsecamente cattivo” è un tipo specifico di azione umana, definito da Paolo VI nella sua enciclica « Humanae vitae » (e successivamente nel n. 2370 del Catechismo della Chiesa cattolica) come una “azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo, o come mezzo, di impedire la procreazione”.
La contraccezione è un tipo specifico di azione umana che, come tale, comprende due elementi: la volontà di prendere parte ad atti sessuali e l’intenzione di impedire la procreazione. Un’azione contraccettiva, quindi, incorpora una scelta contraccettiva. Come ho affermato in un articolo uscito su « Linacre Quarterly » nel 1989, “una scelta contraccettiva è la scelta di un’azione intesa ad impedire le conseguenze procreative previste di rapporti sessuali liberamente consenzienti, ed è una scelta operata proprio per questa ragione”.
Ecco perché la contraccezione, intesa come un’azione umana qualificata come “intrinsecamente cattiva” o disordinata, non è determinata da ciò che accade sul piano fisico. Non fa alcuna differenza se una persona previene la fertilità del rapporto sessuale prendendo la pillola o interrompendo onanisticamente il rapporto. Inoltre, la definizione appena data non differenzia tra “fare” e “astenersi dal fare”, in quanto il coito interrotto è un tipo di astensione, almeno parziale.
La definizione di atto contraccettivo non comprende quindi, ad esempio, l’uso di contraccettivi inteso a prevenire le conseguenze procreative di una violenza carnale prevista. In una circostanza del genere, la persona violentata non sceglie di partecipare al rapporto sessuale né di prevenire una possibile conseguenza del proprio comportamento sessuale, ma si sta semplicemente difendendo da un’aggressione sul proprio corpo e dalle sue conseguenze indesiderabili. Anche una atleta che partecipi ai Giochi Olimpici e che prenda la pillola anti-ovulazione per prevenire il ciclo mestruale non sta facendo un atto “contraccettivo”, se non ha alcuna intenzione simultanea di avere rapporti sessuali.
L’insegnamento della Chiesa non concerne il preservativo o simili strumenti fisici o chimici, ma l’amore sponsale e il significato essenzialmente sponsale della sessualità umana. Il magistero ecclesiale afferma che, se due coniugi hanno una ragione seria per non fare figli, essi dovrebbero modificare il loro comportamento sessuale tramite l’astinenza, almeno periodica, dall’atto sessuale. Per evitare di distruggere sia il significato unitivo sia quello procreativo dell’atto sessuale e quindi la pienezza del dono reciproco di sé, i coniugi non devono prevenire la fertilità dei rapporti sessuali, qualora ne abbiano.
Ma che dire delle persone promiscue, degli omosessuali sessualmente attivi e delle prostitute? Ciò che la Chiesa cattolica insegna loro è semplicemente che le persone non dovrebbero essere promiscue, ma fedeli a un solo partner sessuale; che la prostituzione è un comportamento gravemente lesivo della dignità dell’uomo, soprattutto della dignità della donna, e che quindi non dovrebbe essere praticata; e che gli omosessuali, come tutte le altre persone, sono figli di Dio e sono amati da lui come ogni altro, ma dovrebbero vivere in continenza come qualsiasi altra persona non sposata.
Ma se queste persone ignorano questo insegnamento, e sono a rischio di HIV, dovrebbero usare il preservativo per prevenire l’infezione? La norma morale che condanna la contraccezione come atto intrinsecamente cattivo non comprende questi casi. Né può esservi insegnamento della Chiesa su di ciò; sarebbe semplicemente privo di senso stabilire delle norme morali per dei comportamenti intrinsecamente immorali. Dovrebbe forse la Chiesa insegnare che uno stupratore non deve mai fare uso del preservativo, poiché altrimenti, oltre a commettere il peccato della violenza carnale, verrebbe anche meno al rispetto del dono personale di sé reciproco e completo e così violerebbe il sesto comandamento? Certo che no.
Cosa dico io, come sacerdote cattolico, a persone promiscue, o ad omosessuali, infetti da AIDS i quali usano il preservativo? Cercherò di aiutare costoro a vivere una vita sessuale morale e ben ordinata. Ma non dirò loro di non usare il preservativo. Semplicemente, non parlerò loro di ciò e presumerò che, qualora scelgano di avere rapporti sessuali, manterranno almeno un certo senso di responsabilità. Con un atteggiamento del genere, rispetto in pieno l’insegnamento della Chiesa cattolica sulla contraccezione.
Questo non è un appello a favore di “eccezioni” alla norma che proibisce la contraccezione. La norma sulla contraccezione vale senza eccezioni: la scelta contraccettiva è intrinsecamente cattiva. Ma, com’è ovvio, la norma vale solo per gli atti contraccettivi, come questi sono definiti nella « Humanae vitae », i quali incorporano una scelta contraccettiva. Non tutte le azioni in cui viene usato un dispositivo il quale, da un punto di vista puramente fisico, è “contraccettivo”, sono da un punto di vista morale atti contraccettivi che cadono sotto la norma insegnata dalla « Humanae vitae ».
Ugualmente, un uomo sposato che è infetto da HIV e usa il preservativo per proteggere sua moglie dall’infezione non agisce per impedire la procreazione, ma per prevenire l’infezione. Se il concepimento è prevenuto, questo sarà un effetto collaterale (non intenzionale), e quindi non determinerà il significato morale dell’azione come un atto contraccettivo. Possono esservi altre ragioni per ammonire contro l’uso del preservativo in un caso del genere, o per raccomandare la continenza totale, ma queste non dipenderanno dall’insegnamento della Chiesa sulla contraccezione, ma da ragioni pastorali o semplicemente prudenziali (il rischio, ad esempio, che il preservativo non funzioni). Ovviamente, quest’ultimo ragionamento non si applica alle persone promiscue, perché, anche se i preservativi non sempre funzionano, il loro uso aiuterà comunque a ridurre le conseguenze negative di comportamenti moralmente cattivi.
Fermare l’epidemia mondiale di AIDS non è una questione concernente la moralità dell’uso del preservativo, ma piuttosto la maniera di prevenire efficacemente una situazione in cui le persone provocano conseguenze disastrose con il loro comportamento sessuale immorale. Papa Giovanni Paolo II ha ripetutamente insistito che la promozione dell’uso del preservativo non è una soluzione a questo problema in quanto ritiene che non risolva il problema morale della promiscuità. Se, in generale, le campagne che promuovono l’uso del preservativo incoraggino comportamenti rischiosi e peggiorino l’epidemia mondiale di Aids è una questione decidibile sulla base di evidenze statistiche non sempre facilmente accessibili. Che riducano, a breve termine, i tassi di trasmissione entro gruppi altamente infettivi come prostitute ed omosessuali, è impossibile negare. Se possano diminuire i tassi di infezione fra popolazioni promiscue “sessualmente liberate” o, al contrario, incoraggiare comportamenti a rischio, dipende da molti fattori.
Nei paesi africani le campagne anti-AIDS basate sull’uso del preservativo sono generalmente inefficaci, in parte perché per l’uomo africano la mascolinità è tradizionalmente espressa dalla procreazione del massimo numero di figli possibile. Per il maschio africano tradizionale il preservativo trasforma il sesso in un’attività priva di significato. Questa è la ragione per cui – e ciò costituisce una prova notevole a favore dell’argomento del papa – fra i pochi programmi efficaci in Africa c’è quello dell’Uganda. Benché non escluda il preservativo, questo programma incoraggia un cambiamento positivo nel comportamento sessuale (fedeltà ed astinenza), differenziandosi così dalle campagne per il preservativo, le quali contribuiscono ad oscurare o anche a distruggere il significato dell’amore umano.
Le campagne che promuovono l’astinenza e la fedeltà sono in definitiva l’unico mezzo efficace per combattere l’AIDS a lungo termine. Non c’è quindi alcuna ragione per cui la Chiesa debba considerare le campagne che promuovono il preservativo come utili per il futuro della società umana. Ma la Chiesa non può neanche insegnare che chi partecipa a stili di vita immorali dovrebbe astenersi dall’uso del preservativo.
(Da « The Tablet », 10 luglio 2004, traduzione di Paolo Baracchi).
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