Ci consola la promessa dell’immortalità futura (commemorazione di tuti i fedeli defunti, Tettamanzi, 2 novembre 1998)
dal sito:
http://www.diocesi.genova.it/documenti.php?idd=343
Dionigi Tettamanzi
Arcivescovo di Genova
Cattedrale di S. Lorenzo,
2 novembre 1998
Ci consola la promessa dell’immortalità futura
Omelia per la S.Messa nella Commemorazione di tutti i fedeli defunti
Nel giorno dei morti, e dunque della vita che finisce, la Chiesa ci parla con coraggio della vita immortale, ossia della vita che non conosce il tramonto. È una grande lezione per noi, che siamo venuti al cimitero; anzi, è una vera e propria sfida alla nostra fede, a noi che ci riteniamo credenti. In realtà, proprio la fede è la ragione più vera del nostro essere qui: non è in questione oggi semplicemente il ricordo dei nostri cari defunti, un ricordo intessuto di gratitudine, di affetto, di preghiera; è in questione piuttosto la nostra fede, che viene provocata in un suo contenuto essenziale e qualificante.
1. Abbiamo ascoltato alcune affermazioni dell’antico Libro della Sapienza sull’immortalità. Sono affermazioni che lasciano sconcertata la cultura materialista di cui è ampiamente imbevuta la nostra società: nel pensiero di molti, infatti, la morte è considerata la fine di tutto. Ma allora non possiamo sottrarci alla domanda: che significato può avere per tante persone la visita al cimitero? Ma c’è di più, perché le affermazioni del Libro della Sapienza lasciano meravigliato lo stesso pensiero spiritualista, che pure è presente, almeno in parte, nella nostra società e cultura. È questo un pensiero che interpreta e dà voce a quel bisogno profondo di non morire che pervade il cuore di ogni uomo: lo ritroviamo, questo pensiero, nell’antica filosofia greca, come ad esempio in Platone, per il quale l’immortalità è una qualità dell’anima umana che è spirituale e quindi incorruttibile. Ben più alto, addirittura inimmaginabile da mente umana, è il concetto di immortalità di cui ci parla l’autore sacro: l’immortalità consiste nella comunione piena con Dio, e quindi è un dono totalmente libero e gratuito di Dio all’uomo, che viene pertanto chiamato a condividere la vita eterna di Dio stesso.
Così la nostra fede, accogliendo questa rivelazione divina, apre davanti a noi spazi di speranza e di pace, nonostante tutto. Già ora, in questa « valle di lacrime », siamo nelle mani e nel cuore di Dio, che ci è Padre. Certo, ora non mancano prove e sofferenze, difficoltà e paure, oscurità e tragedie: non è questo, forse, il desolante spettacolo che le famiglie, la società e l’umanità intera sono costrette a vedere e a sperimentare ogni giorno? Certo, la morte sembra un fallimento che nulla riesce a scongiurare. Ma non è qui tutta la realtà! Se veramente crediamo, nonostante tutto siamo nella pace, perché la nostra speranza è « piena di immortalità ».
Riascoltiamo ancora una volta, con una grande calma interiore e chiedendo al Signore che ci rafforzi nella fede, le parole del Libro della Sapienza nella consapevolezza che sono state scritte anche per noi, per ciascuno di noi: « Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero; la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace. Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza è piena di immortalità. Per una breve pena riceveranno grandi benefici, perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di sé; li ha saggiati come oro nel crogiuolo e li ha graditi come un olocausto » (Sap 3, 1-6).
Sono parole, queste, che non possono non confortarci, non possono non rendere più certa la nostra speranza e più piena la pace del nostro cuore. Ma ad una condizione: quella di rinnovare con spirituale energia la nostra fede. Questa è la grazia che oggi dobbiamo chiedere al Padre che nel suo amore misericordioso aspetta l’abbraccio perfetto e definitivo con ciascuno dei suoi figli, questa è la grazia che dobbiamo implorare da Gesù risorto che con la potenza dello Spirito vuole rendere partecipe ogni credente della sua risurrezione. Se è giusto che oggi si intensifichi la preghiera di suffragio per i nostri morti, è anche necessario che si faccia più viva la preghiera di implorazione per noi: per la nostra fede, per la nostra fede nella vita immortale.
2. A sostegno della nostra fede, la Chiesa oggi ci offre una stupenda testimonianza: quella dell’Apocalisse di san Giovanni. In questo libro l’evangelista canta la speranza della Chiesa, che la potenza di Dio rende vittoriosa sulle persecuzioni e sugli incubi della storia. È nella Gerusalemme celeste che la speranza cristiana trova, per così dire, la sua « incarnazione ». Qui Giovanni contempla « un nuovo cielo e una nuova terra »: è questo il luogo del bene, del vero, del giusto, dell’ordine, della vita, della pace. Infatti, annota Giovanni, « il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più » (Ap 21, 1). Il mare non c’era più! Ora il mare è il simbolo tenebroso del male, del caos, del nulla: questo mare è stato definitivamente prosciugato, dunque non c’è più. Al centro di questo nuovo cielo e di questa nuova terra sta la « nuova Gerusalemme », che l’evangelista contempla come una bellissima sposa, preparata con splendidi ornamenti per il suo sposo e ormai finalmente congiunta per sempre con lo Sposo. È « la dimora di Dio con gli uomini » (Ap 21, 3). È lo spazio vivo dell’alleanza d’amore tra Dio e l’umanità.
Sì, con l’evangelista Giovanni noi guardiamo al futuro. Ma guardiamo anche al presente, perché questa dimora e questa alleanza d’amore tra Dio e l’uomo è una realtà che oggi è operante nella storia, è dentro di noi e segna profondamente la nostra vita. Il Battesimo che abbiamo ricevuto, l’Eucaristia che celebriamo, la Parola di Dio che ascoltiamo e alla quale rispondiamo con la nostra preghiera, la vita di grazia che lo Spirito di Gesù accende in noi ci dicono che veramente questa alleanza d’amore tra Dio e l’uomo è stampata nell’intimo del nostro stesso essere e trasforma in profondità la nostra vita: proprio grazie a questa alleanza, la nostra vita, pur svolgendosi ancora nel pellegrinaggio terreno, pregusta e in qualche modo anticipa la vita immortale della Gerusalemme celeste.
È per questo che chi crede può sperimentare una gioia che niente e nessuno riescono a cancellare: è la gioia della comunione intima dell’uomo con Dio, una gioia che già ora è in atto, ma che attende di esplodere in pienezza quando Dio ci introdurrà definitivamente nella vita immortale. È vero: i nostri giorni sono spesso pesantemente segnati dalle lacrime, dall’affanno, dal lamento, dalla morte: questo, infatti, è l’invariato panorama che tutti i giorni ci presenta la nostra società. Ma la fede a questa visione non s’arrende: apre, invece, il cuore alla speranza, ad una speranza che non conosce dubbi e incertezze perché è fondata sul disegno onnipotente di Dio. Ecco che cosa farà egli un giorno, nel suo amore per noi: « Tergerà ogni lacrima dai nostri occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate » (Ap 21, 4). Proprio questo è il traguardo della nostra esistenza: ricevere il dono della vita immortale, secondo l’esplicita promessa di Cristo che fa nuove tutte le cose (cfr Ap 21, 5): « A colui che ha sete darò gratuitamente acqua delle fonte della vita » (Ap 21, 6).
3. Così dunque la pagina del Libro della Sapienza e la visione di Giovanni nell’Apocalisse, che brevemente abbiamo commentato, sono un sostegno e un incoraggiamento alla nostra fede e alla nostra speranza nella vita immortale alla quale il Signore ci chiama. Ma è soprattutto Gesù stesso che, proclamando le Beatitudini, rivolge a noi la « lieta notizia » che la morte non ci distruggerà, ma ci renderà più vivi che mai, riportandoci alla casa del Padre. Gesù parla della « grande ricompensa » e dell’allegria festosa che anima la comunione con il Dio della vita. Così il Signore Gesù inizia il discorso delle Beatitudini. « Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli » (Mt 5, 3); e, dopo aver proclamato le singole beatitudini, conclude: « Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli » (Mt 5, 12).
Sì, Gesù ha parole di verità e di vita, e noi ci fidiamo pienamente di lui. Ma è soprattutto la sua risurrezione da morte la notte di Pasqua a dare fermezza incrollabile alla nostra fede e slancio inarrestabile alla nostra speranza nella vita immortale che Dio ci prepara. Che il Signore ci dia di fare nostra la convinzione assolutamente certa della Chiesa nella risurrezione della carne e nella vita eterna. E con lei preghiamo il Padre: « In Cristo tuo Figlio, nostro salvatore, rifulge a noi la speranza della beata risurrezione, e se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola la promessa dell’immortalità futura. Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo » (Prefazio dei defunti, I). O Padre, ricco di misericordia e di perdono, in questa tua abitazione serba un posto per ciascuno di noi. Amen.
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