Archive pour octobre, 2010

Donne evangelizzatrici nella comunità cristiana primitiva

dal sito:

http://www.atma-o-jibon.org/italiano/don_doglio12.htm#

L’ambiente familiare di Gesù

FIGURE FEMMINILI NELLE SACRE SCRITTURE

Don Claudio Doglio

Donne evangelizzatrici nella comunità cristiana primitiva

Verso la conclusione della carrellata biblica sulle figure femminili, dedicheremo questo incontro alle donne nelle opere apostoliche, cioè alle figure femminili che compaiono negli Atti e nelle Lettere.
Con questo, intendo mettere in rilievo come siano numerose e significative le figure di donne; anche se restano un po’ in penombra e non diventano mai protagoniste, sono presenti ed hanno un ruolo importante. L’idea che mi interessa sottolineare soprattutto è che nella comunità cristiana primitiva le donne ebbero un ruolo di evangelizzazione; questo è proprio il senso dato ai racconti della visita al sepolcro da parte delle donne: tutti gli evangelisti sottolineano come, all’inizio della predicazione apostolica, ci sia stata la testimonianza di alcune donne, anche se nella tradizione giudaica la testimonianza delle donne non era credibile e non era attendibile. Dicevano che per una documentazione seria servivano dieci testimoni, ma dovevano essere uomini e adulti; non sarebbero bastati nove uomini e cento donne. Era decisamente un senso di disprezzo nei confronti della donna.
Quel racconto della visita al sepolcro da parte delle donne, le quali per prime annunciano di avere visto il Signore risorto, non può essere stato inventato, proprio perché è contro la mentalità corrente; avrebbero piuttosto inventato la visita da parte degli Apostoli, e di tutti gli Apostoli per potere essere in numero sufficiente da poter testimoniare; non hanno invece alcun interesse a inventare falsità e raccontano come realmente sono andati i fatti. Anche se da un punto di vista giuridico ebraico quelle testimonianze non hanno alcun valore, a loro non interessa. Interessa invece il fatto che il Signore risorto si presentò a delle donne per prime e le mandò ad annunciare la risurrezione agli Apostoli, facendole così diventare evangelizzatrici degli Apostoli; il ruolo importante della Magdalena sta proprio qui: è colei che per prima incontrò il risorto, è colei che annunciò agli Apostoli la risurrezione.
Si adopera proprio il termine « evangelizzazione », per cui queste donne sono delle « evangeliste », non per avere scritto dei Vangeli ma nel senso che hanno annunciato il Vangelo ed hanno avuto un ruolo primario. Qualche maligno dice che la scelta delle donne come prime annunciatrici sarebbe dovuto al fatto che il Signore voleva che la notizia si diffondesse rapidamente, cosicché tutta Gerusalemme, in un solo giorno, venne a conoscenza del fatto. In realtà non si tratta di una notazione poi tanto maligna, ma piuttosto di un’indicazione importante di coraggiosa testimonianza.

    L’ambiente familiare di Gesù nella comunità cristiana primitiva e le donne che ne facevano parte

Nella comunità cristiana delle origini le donne sono presenti in numero considerevole e sono a fianco agli Apostoli; all’inizio degli Atti, Luca ricorda il gruppo dei discepoli: elenca gli undici rimasti, poi annota che erano uniti insieme a Maria, la Madre di Gesù, e ad alcune donne. C’è l’ambiente familiare di Gesù e viene nominata frequentemente Maria di Cleofa, che era presente ai piedi della croce e che viene chiamata « sorella di sua Madre »; in realtà era la cognata, ma sappiamo che il termine « sorella » viene usato molto frequentemente per indicare i vari gradi di parentela, senza stare ad analizzare con sottigliezza se si tratta di cugine, cognate, zie o nuore. Cleofa, secondo la tradizione giudeo-cristiana documentata da Eusebio di Cesarea, era fratello di San Giuseppe – e sarebbe quel Cleofa nominato come uno dei due discepoli di Emmaus -, quindi era zio di Gesù. Maria di Cleofa era la moglie di questo Cleofa, mentre Maria, Madre di Gesù, era moglie di San Giuseppe, per cui erano spose di due fratelli e perciò cognate e, conseguentemente, Maria di Cleofa era zia di Gesù; talvolta viene chiamata « Maria di Giacomo », ma non si tratta di un’altra persona perché Giacomo è il figlio e viene cioè indicata con il nome del marito o con il nome del figlio.
Giacomo, figlio appunto di Cleofa e di sua moglie Maria, era uno dei cosiddetti « fratelli di Gesù », che sono espressamente nominati nel Vangelo di Marco e sono, oltre a Giacomo: Giuseppe, Giuda Taddeo, Simeone e poi due sorelle, una delle quali si chiamava Salome.
Giacomo, detto il minore, e Giuda Taddeo – detto anche Giuda di Giacomo per indicare che erano due fratelli – sono due degli Apostoli, cugini di Gesù. Salome era andata sposa ad uno di nome Zebedeo ed era perciò la madre di Giacomo e Giovanni, che erano quindi cugini di Gesù in secondo grado. Vediamo perciò che era abbondantemente presente tutto il parentado, un ambiente di famiglia come era normale a quel tempo, che costituiva l’insieme che veniva chiamato « i fratelli e le sorelle di Gesù ». Questo ambiente familiare seguì il maestro, benché in un primo tempo avesse avuto dei dubbi e delle perplessità.
Giacomo, il « fratello  » di Gesù – in realtà il cugino, come abbiamo visto – fu vescovo di Gerusalemme e sempre indicato come tale; non si parla mai, infatti, di San Pietro come vescovo di Gerusalemme, ma si parla sempre appunto di questo Giacomo come il capo della comunità cristiana di Gerusalemme. In quanto « fratello » del Signore, fu considerato come l’erede e la guida della comunità giudeo-cristiana; fu martirizzato nell’anno 62 e prese il suo posto l’altro fratello minore, Simeone, che divenne vecchissimo superando i cento anni di età e restando uno degli ultimi testimoni oculari della vita storica di Gesù di Nazaret.
L’ambiente di Gerusalemme della comunità cristiana primitiva è dunque caratterizzato anche dalla presenza di alcune donne; sono quelle che fanno parte della « famiglia » di Gesù, ma ce ne sono altre: Maria di Magdala, Maria di Betania, Marta, che non erano legate da parentela, ma avevano seguito Gesù per amicizia, per fede nella sua figura messianica e nella sua persona divina.

    Le donne nelle comunità cristiane fondate dagli Apostoli

Le donne compaiono però anche nelle comunità cristiane fondate dagli Apostoli fuori dall’ambiente giudaico; anzi, ancora di più negli ambienti greci le donne hanno un ruolo significativo. Passiamo allora in rassegna alcune figure che vengono nominate
Iniziamo con due personaggi importanti, dei quali si parla abbastanza negli Atti degli Apostoli: si tratta di Lidia e di Priscilla.
Al capitolo sedici degli Atti degli Apostoli si parla di Lidia; in questo punto, il narratore racconta in prima persona, il che significa che lo stesso narratore era presente ai fatti.
« Salpati da Troade, facemmo vela verso Samotracia e il giorno dopo verso Neapoli e di qui a Filippi, colonia romana e città del primo distretto della Macedonia. Restammo in questa città alcuni giorni; il sabato uscimmo fuori della porta lungo il fiume, dove ritenevamo che si facesse la preghiera, … » (At 16, 11-13a). Siamo intorno all’anno 50, all’inizio del secondo viaggio apostolico di Paolo; i personaggi in questo « noi », oltre a Paolo, sono: Sila, Timoteo e lo stesso Luca, quattro in totale. Partono da Troade, la città ellenista costruita vicino ai resti dell’antica Troia, e con due giorni di navigazione, facendo scalo nell’isola di Samotracia, arrivano al porto di Neapoli – che oggi si chiama Kavala -, sbarcano e, a piedi, sorpassano la montagna che è sulla costa per arrivare nella grande pianura interna dove era costruita l’immensa città di Filippi, una delle grandi colonie romane. Era una città abbastanza recente, di tipo militare, costruita dai romani proprio per interesse strategico e amministrativo; non c’era un’antica tradizione commerciale, per cui gli ebrei non avevano una sede e per questo nella città non c’era una sinagoga.
Paolo era abituato ad iniziare la predicazione dalla sinagoga; se non c’era una sinagoga, gli ebrei della città avevano l’abitudine di riunirsi per la preghiera del sabato in un luogo vicino all’acqua corrente. Questa abitudine doveva risalire all’epoca in cui nacque la sinagoga, cioè al tempo dell’esilio babilonese, quando Israele era sui fiumi di Babilonia, per cui rimase l’idea che la preghiera, in terra d’esilio, si facesse presso l’acqua, presso un fiume o un lago o una sorgente.
Gli evangelizzatori – Paolo e gli altri tre – si recano dunque fuori della città, lungo un corso d’acqua sul quale avevano avuto notizia che si sarebbe tenuta la preghiera « e sedutici rivolgevamo la parola alle donne là riunite » (ib. 16, 13b). Questo è proprio il motivo di particolare interesse: non c’era sinagoga e non c’erano neppure uomini, c’erano solo donne riunite in quel punto. Come detto prima per la testimonianza, la stessa regola valeva per la preghiera del sabato: un principio giudaico dice che per fare la preghiera del sabato ci vogliono almeno dieci uomini adulti, ma non bastano nove uomini e cento donne; se non ci sono dieci uomini adulti, non si può fare la preghiera del sabato. Ancora oggi le donne non possono entrare nell’aula della sinagoga; nella sinagoga di Roma c’è il matroneo tuttora funzionante e nell’aula, magari in fondo, hanno accesso solo le bambine e le donne anziane, mentre l’aula della preghiera è riservata agli uomini adulti.
L’elemento caratteristico di questo episodio è che Paolo, Sila, Timoteo e Luca, trovandosi in quel contesto, non obiettano assolutamente nulla e Paolo comincia a parlare a queste poche donne come aveva parlato in altre sinagoghe affollate di uomini; è un elemento importante che occorre sottolineare perché significa che dà importanza e peso a queste persone e non tiene in considerazione il fatto che siano poche e tanto meno che siano donne.

    Lidia, una « manager » intraprendente, prima convertita in Europa

« C’era ad ascoltare anche una donna di nome Lidia, commerciante di porpora, della città di Tiatìra, una credente in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo » (ib. 16, 14). Si tratta di una signora benestante ed intraprendente, che oggi potremmo definire una manager o un’industriale: « commerciante di porpora » indica una donna che aveva un’industria ed una rete di negozi, probabilmente delle fabbriche di produzione della porpora. Veniva da Tiatìra, città all’interno della Turchia nella zona di Efeso e una delle Chiese dell’Apocalisse; la regione si chiamava anch’essa Lidia, per cui il nome della donna era legato alla regione di provenienza. Una donna quindi ricca e sicuramente anche colta perché capace di avere un commercio internazionale, cosa certamente non di poco conto, oggi come nell’antichità. Era un’ebrea, credente in Dio: « il Signore le aprì il cuore », dove « il Signore » è chiaramente Gesù, il Cristo risorto, il quale apre il cuore di questa donna perché aderisca alle parole di Paolo; è evidente che c’è l’annuncio del Vangelo e questa donna crede alla predicazione di Paolo. Con tocco di finezza teologica Luca spiega che « il Signore le aveva aperto il cuore », esattamente come si dice dei discepoli di Emmaus o degli Apostoli nel Cenacolo: il Cristo risorto apre la mente alla comprensione delle Scritture e se non è il Cristo che apre il cuore, né l’uomo né la donna arrivano ad accogliere veramente questa Parola; ciò che era avvenuto agli Apostoli ora avviene per questa donna.
È la prima volta, così come raccontano gli Atti, che la predicazione evangelica arriva in Europa – Troade infatti è in Asia e con la navigazione gli Apostoli sono sbarcati in Europa – e la prima persona di cui si racconti la conversione e il battesimo in Europa è una donna, Lidia.
« Dopo essere stata battezzata insieme alla sua famiglia, ci invitò: «Se avete giudicato ch’io sia fedele al Signore, venite ad abitare nella mia casa». E ci costrinse ad accettare » (ib. 16, 15). Quest’ultima espressione è detta con una venatura di ironia da parte di Luca: probabilmente, i quattro avevano prima dormito all’aperto, quindi saranno stati fuor di dubbio molto contenti di trovare una casa, un letto e una mensa.
Lidia si fa battezzare « insieme alla sua famiglia ». Di per sé non si parla né di marito né di figli, per cui, forse, la famiglia era l’insieme dei dipendenti; nell’espressione latina i « famuli », i servi, costituivano la famiglia. È una donna a capo di una « famiglia », ha una casa grande ed ha un emporio, forse addirittura una fabbrica di tessuti. Ha lo spazio per accogliere questi quattro e non solo per dare vitto e alloggio; la sua casa diventa, nel nostro gergo, la « parrocchia » di Filippi: mette a disposizione la casa perché diventi l’ambiente d’incontro dove si radunano i cristiani per celebrare l’Eucaristia, la sua casa diventa cioè la sede della comunità cristiana.

    Priscilla e la sua opera nelle comunità cristiane di Corinto e di Efeso

Andando oltre nel racconto degli Atti, al capitolo diciotto, sempre in quello stesso anno 50, accompagniamo Paolo che arriva a Corinto. Paolo è stato maltrattato a Filippi, poi a Tessalonica, poi ancora a Berea, è passato da Atene dove ha rimediato un fallimento colossale sull’Areopago, infine arriva a Corinto, città altamente malfamata. È ormai tardo autunno se non addirittura inverno, è un anno che Paolo è in giro per città greche e fino adesso ha avuto solo grane. A Corinto non trova una bella situazione, anzi; è una città portuale, una città di schiavi, di marinai, di mercenari, di persone di passaggio, dove la nota caratteristica è la prostituzione. A Corinto c’è una grande sinagoga e Paolo comincia a frequentarla; qui ha un colpo di fortuna perché trova un giudeo chiamato Aquila, oriundo del Ponto – quello che oggi chiamiamo il Mar Nero -, arrivato poco prima dall’Italia con la moglie Priscilla in seguito all’editto di Claudio che allontanava da Roma tutti i giudei.
Paolo incontra dunque Priscilla, o Prisca, nome romano classico e tradizionale, come pure quello del marito, Aquila; sono ebrei, ma molto bene inculturati nella tradizione greco-romana. Sono anch’essi benestanti, commercianti, produttori di tende ed hanno una fabbrica di tessuti e di stuoie. Sono stati mandati via da Roma, e questo è un fatto molto importante perché abbiamo la stessa notizia testimoniata dallo storico latino Svetonio, il quale in « Le vite dei dodici Cesari », a proposito di Claudio racconta che mandò via da Roma i giudei e dice testualmente: « Assidue tumultuantes, impulsore Chresto, Roma expulit » – « (Claudio) mandò via da Roma (i giudei), che erano sempre in rivolta per istigazione di Cristo ». Probabilmente quel « Chresto » nominato da Svetonio è proprio il Signore Gesù, che l’autore non conosce, non capisce e prende per un nome qualsiasi; sente dire « Cristo » ma, trattandosi di una parola greca, ritiene che sia scritto con la lettera ? e quindi scrive “Chresto”: è un problema di pronuncia tipico di quell’epoca.
Tutto questo vuol dire che nel 49, anno di emanazione dell’editto di Claudio, a Roma è arrivata la predicazione cristiana ed è già arrivata da qualche tempo, al punto che la comunità giudaica della capitale si trova in rivolta perché qualcuno ritiene che Gesù sia veramente il Messia mentre altri lo rifiutano; si originano quindi delle sommosse a causa di Cristo, per cui il governo imperiale prese la risoluzione di allontanare da Roma il maggior numero possibile di giudei. Aquila e Priscilla sono due di questi che, avendo perso la possibilità di restare a Roma, si sono appena trasferiti a Corinto, che hanno scelto in quanto città tipicamente commerciale dove poter installare nuovamente la loro fabbrica di tessuti. Non si sa se sono già cristiani, sicuramente sono ebrei simpatizzanti della predicazione cristiana e, incontrando Paolo, lo invitano a casa loro e gli danno lavoro; in un certo modo lo assumono e Paolo si mantiene lavorando alle dipendenze di Aquila e Priscilla e diventando loro amico.
A questo punto, sicuramente Aquila e Priscilla sono cristiani e diventano collaboratori di Paolo; quando, un anno e mezzo dopo, l’apostolo Paolo parte da Corinto anche loro due lo seguono, s’imbarcano con lui e si fermano a Efeso. Una cosa che meraviglia leggendo queste vicende è la grande mobilità che le persone avevano in quel tempo: una famiglia come quella di Aquila e Priscilla, marito e moglie, nel 49 sono a Roma, nel 50 sono a Corinto e nel 52 sono ad Efeso. Pensiamo cosa significa non solo cambiare città, ma trasportare un’attività; il che dimostra che avevano delle possibilità economiche, ma che dovevano avere anche e soprattutto delle capacità imprenditoriali. Quindi, tanti discorsi che a volte si sentono fare circa il cristianesimo delle origini come una realtà da schiavi, da bassa plebe e di disperati, non sta assolutamente in piedi. Queste persone che hanno aiutato Paolo e che hanno avuto un ruolo importante nella strutturazione della prima comunità sono persone istruite e benestanti, che hanno dato la possibilità ai predicatori cristiani di avere dei punti di appoggio e degli aiuti, di avere dei sostegni economici. Successivamente, Aquila e Priscilla si fermarono a Efeso, mentre Paolo ripartì per Gerusalemme.
Leggiamo ora ciò che racconta Luca alla fine del capitolo diciotto. « Arrivò a Efeso un giudeo, chiamato Apollo, nativo di Alessandria, uomo colto, versato nelle Scritture. Questi era stato ammaestrato nella via del Signore e pieno di fervore parlava e insegnava esattamente ciò che si riferiva a Gesù, sebbene conoscesse soltanto il battesimo di Giovanni » (ib. 18, 24-25). Questo Apollo, in altre parole, aveva avuto una formazione incompleta e imprecisa: era cioè un ebreo simpatizzante del cristianesimo con qualche conoscenza del Cristo.
« Egli intanto cominciò a parlare francamente nella sinagoga. Priscilla e Aquila lo ascoltarono, poi lo presero con sé e gli esposero con maggiore accuratezza la via di Dio » (ib. 18, 26). Notiamo come tutto si svolge sempre in ambiente giudaico – la sinagoga – e non c’è distinzione o separazione alcuna con i cristiani, risultando normale e naturale che gli ebrei siano cristiani; oltre al fatto che il narratore cita sempre per prima la donna, notiamo anche un particolare molto interessante: marito e moglie, sentendo questo dotto alessandrino che parla di Cristo e accorgendosi che non conosce troppo bene le cose, lo invitano a casa e gliele spiegano meglio. In questo ruolo Priscilla è nominata per prima e, in ogni caso, si tratta di una coppia, di una catechesi familiare.
Occorre inoltre tenere conto che questi due laici, moglie e marito, formano Apollo che sarà poi parroco o vescovo di Corinto. Sono loro che lo educano e gli spiegano il Vangelo e, addirittura, scrivono una lettera di raccomandazione per presentare Apollo alla comunità di Corinto. « Poiché egli desiderava passare nell’Acaia, i fratelli lo incoraggiarono e scrissero ai discepoli di fargli buona accoglienza » (ib, 18, 27a). La nomina di un parroco a Corinto viene fatta da Priscilla e Aquila; siamo ovviamente in una fase primordiale, in cui queste persone, che hanno una competenza evangelica, hanno anche un ruolo significativo all’interno della comunità.

    Le donne menzionate in alcune Lettere di Paolo

Facciamo ora una carrellata prendendo in considerazione le Lettere, semplicemente per vedere nomi di donne e tralasciandone molte per ricordarne alcune.
Nella Lettera ai Filippesi, scritta proprio in quegli anni, al capitolo quattro Paolo manda a salutare due donne. « Esorto Evòdia ed esorto anche Sìntiche ad andare d’accordo nel Signore » (Fil 4, 2). Si tratta di nomi non molto famosi e certamente non comuni: Evòdia significa « profumata » ed è quindi il nome del buon odore, mentre Sìntiche corrisponde a « fortunata ». In questa lettera, indirizzata a tutta la comunità, ad un certo momento Paolo ricorda due donne e le esorta ad andare d’accordo: è evidente che c’era qualcosa che non andava fra loro due. Il fatto che Paolo le nomini e si rivolga a loro espressamente significa che dovevano essere persone importanti nella comunità, dovevano avere un ruolo; e il fatto che le inviti ad andare d’accordo significa che c’erano delle tensioni. Paolo continua dicendo: « E prego te pure, mio fedele collaboratore – il cui nome non ci è noto -,di aiutarle, poiché hanno combattuto per il Vangelo insieme con me, con Clemente e con gli altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita » (ib. 4, 3). Siamo di fronte ad una bella espressione: queste due donne hanno bisogno di essere aiutate, dice Paolo, « poiché hanno combattuto per il Vangelo insieme con me ». Sono quindi delle donne combattive che in questo momento si trovano in disaccordo fra di loro, ma hanno fatto molto per il Vangelo insieme con Paolo, per cui bisogna aiutarle a ritrovare una concordia smarrita.
Quando Paolo scrive a Filèmone, la Lettera è indirizzata anche alla sorella di lui, Appia, e ad Archippo, « nostro compagno d’armi » – un modo per indicare il combattimento spirituale, l’impegno serio nella predicazione apostolica. C’è quindi una lettera di Paolo a Filèmone inviata anche a questa donna, Appia, che era la moglie; si è cioè sintetizzato parlando di « Lettera a Filèmone », mentre in realtà la lettera è a Filèmone e alla moglie Appia.
Nella seconda Lettera a Timoteo, al capitolo primo, Paolo ricorda la madre e la nonna di Timoteo, due donne che aveva conosciuto prima di conoscere lui e di prenderlo con sé. « Mi ricordo infatti della tua fede schietta, fede che fu prima nella tua nonna Loide, poi in tua madre Eunice, e ora, ne sono certo, anche in te » (2 Tm 1, 5).
È interessante il fatto che abbiamo il nome della madre e della nonna di Timoteo, due donne che hanno lasciato un ricordo positivo nella mente di Paolo. Quei discorsi di Paolo che sembrano misogini non corrispondono affatto a questi schemi; un conto è l’impostazione teologica – che non riusciamo a capire bene e che ci urtano -, un conto è Paolo schietto, fraterno, umano, che ha contatti con tante donne, è capace di collaborare con loro e le valorizza, in un ambiente ed in un mondo dove invece non sono né valorizzate né rispettate. C’è un vero e proprio esercito di donne nelle comunità cristiane primitive, con ruoli importanti e significativi.

    Le donne nella comunità cristiana di Roma (ancora Priscilla fra queste)

Terminiamo con la Lettera ai Romani, un testo bellissimo e di una teologia implicita splendida; al capitolo sedici troviamo un elenco di nomi che è però il quadro della comunità, come un album di fotografie che mostrano un ambiente umano e fraterno. Terminando questa Lettera così importante, Paolo ricorda che questo testo sarà portato da una donna. « Vi raccomando Fede, nostra sorella, diaconessa della Chiesa di Cencre: … » (Rm 16, 1). Tradurre « diaconessa » crea solo dei problemi, perché è un termine che in greco non ha femminile, che significa « servo » o « ministro » e indica semplicemente una donna impegnata, una donna che lavora nella parrocchia di Cencre, uno dei porti di Corinto, cioè un borgo della città; quindi tutti i discorsi sull’ordine diaconale dato alle donne e basati su questo testo non hanno alcun fondamento.
Paolo manda a Roma una Lettera di tale portata affidandola ad una donna; questa donna è quindi importante e in gamba, capace di muoversi, di prendere la nave e arrivare a Roma. È una donna che ha l’autorità di arrivare nella comunità romana portando il testo certamente non come postina, ma come vera e propria rappresentante di Paolo: è lei che leggerà la Lettera. « … ricevetela nel Signore, come si conviene ai credenti, e assistetela in qualunque cosa abbia bisogno; anch’essa infatti ha protetto molti, e anche me stesso » (ib. 16, 2). È una lettera di raccomandazione, dove si chiede di trattarla bene perché è una donna che ha fatto molte cose, ha protetto e ha difeso: evidentemente, a Corinto si è esposta per aiutare delle persone ed ha aiutato Paolo.
« Salutate Prisca e Aquila, miei collaboratori in Cristo Gesù; per salvarmi la vita essi hanno rischiato la loro testa, e ad essi non io soltanto sono grato, ma tutte le Chiese dei Gentili – cioè dei cristiani provenienti dal mondo greco-romano -; salutate anche la comunità che si riunisce nella loro casa »(ib. 16, 3-5a). Quindi, Prisca – Priscilla – e Aquila sono di nuovo a Roma: nel 52 li avevamo lasciati ad Efeso, la Lettera è scritta nel 57 e li manda a salutare a Roma; hanno cambiato molti luoghi dove hanno svolto le loro attività, sono cioè una coppia decisamente mobile.
Il cristianesimo si è diffuso velocemente nelle città del Mediterraneo antico proprio grazie a persone di questo tipo, che non hanno messo radici in un luogo per morirci, ma nel giro di pochi anni hanno cambiato domicilio da una città all’altra del Mediterraneo, ricreando i contatti: Paolo non era ancora stato a Roma, ma notiamo il gran numero di persone che risiedono a Roma e che conosce, avendole incontrate prima da altre parti. C’era all’epoca molta più mobilità di quella che noi conosciamo oggi; ed è proprio grazie a questa mobilità che il Vangelo si è rapidamente diffuso. Tornando al testo appena letto, notiamo che Priscilla e Aquila, dopo avere dato la propria casa a Corinto per la parrocchia ed avere a Efeso evangelizzato altri, trasferitisi a Roma, la loro casa diventa una parrocchia – una « domus Ecclesiae ». Hanno rischiato la testa per salvare Paolo: probabilmente a Efeso nel 56, l’anno che precede la scrittura della Lettera, Paolo fu condannato a morte, ma venne prodigiosamente liberato e si pensa che sia stata proprio la mediazione di Aquila, personaggio importante, che è riuscito a introdursi e ad ottenere la grazia per l’amico Paolo. Nella tradizione romana, la casa di Prisca e Aquila si trova sull’Aventino, dove c’è ancora l’antica basilica di Santa Prisca, dedicata a lei e non al marito Aquila.
« Salutate il mio caro Epèneto, primizia dell’Asia per Cristo. Salutate Maria, che ha faticato molto per voi » (ib. 16, 6). C’è quindi un’altra donna, un’altra Maria, che ha faticato molto per la comunità.
« Salutate Andronico e Giunia – probabilmente marito e moglie -, miei parenti e compagni di prigionia; sono degli apostoli insigni che erano in Cristo già prima di me » (ib. 16, 7). Paolo attribuisce il termine di « apostolo » con l’aggettivo « insigne » ad una donna: questa Giunia viene cioè qualificata come « apostolo insigne », che ha faticato, che si è impegnata, che « era in Cristo prima di Paolo », quindi prima dell’anno 36; e sono suoi parenti.
« Salutate Ampliato, mio diletto nel Signore. Salutate Urbano, nostro collaboratore in Cristo, e il mio caro Stachi. Salutate Apelle che ha dato buona prova in Cristo. Salutate i familiari di Aristòbulo. Salutate Erodione, mio parente. Salutate quelli della casa di Narciso che sono nel Signore. Salutate Trifena e Trifosa – altre due donne – che hanno lavorato per il Signore. Salutate la carissima Pèrside – altra donna – che ha lavorato per il Signore. Salutate Rufo, questo eletto nel Signore, e la madre sua che è anche mia » (ib. 16, 7-13). Notiamo, per inciso, la menzione di Rufo ricordando che è figlio del Cireneo; Marco, che scrive per i romani, è l’unico che dice che « Simone di Cirene era padre di Alessandro e di Rufo ». Quindi, Rufo si trovava in quel tempo a Roma, e sua madre era la moglie del Cireneo; Paolo dice che questa donna non è solo madre di Rufo, ma è stata anche madre sua, gli ha fatto da madre, cioè esisteva fra queste persone un riconoscimento di affetto, di servizio, di impegno.

« Salutate Filologo e Giulia, Nereo e sua sorella e Olimpas e tutti i credenti che sono con loro » (ib. 16, 15).

Questo testo è un po’ l’elenco dei cristiani più in vista della prima comunità e, fra di essi, sono numerosi i nomi di donne; nomi di persone oscure, ma importanti nella comunità, presenti, reali. Tante, tante donne, nei primi anni del cristianesimo, sono state persone significative e in quell’ambiente la predicazione evangelica è arrivata proprio anche grazie alla testimonianza femminile: dal primo mattino di Pasqua fino alla comunità di Roma le donne sono state presenti e importanti. Ringraziamo gli Apostoli di avere lasciato i loro nomi, quasi le loro fotografie, perché ci ricordiamo del ruolo importante che oggi possono avere nella Chiesa, semplicemente, come donne che annunciano il Vangelo.

Publié dans:biblica |on 19 octobre, 2010 |Pas de commentaires »

buona notte

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Myosotis stenophylla

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Omelia per il 19 ottobre 2010

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/13855.html

Omelia (21-10-2008) 
Eremo San Biagio

Commento a Luca 12, 37

Dalla Parola del giorno
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.

Come vivere questa Parola?
Il richiamo a vegliare in attesa del padrone, dello sposo o della fine della vita si ripete più volte nel Vangelo. L’atteggiamento di chi è pronto e non dorme, già presente nel primo Testamento, acquista nelle pagine del nuovo Testamento accenti di poesia e insieme di dramma. E’ monito per le vergini stolte, per l’uomo sazio dei suoi beni. Si annuncia come speranza di essere addirittura serviti a tavola per chi rimane in attesa, vigilante.
Ma che cosa significa per il cristiano vigilare? Il cardinale Martini ha cercato di approfondire questo tema nelle sue lettere pastorali e in molti interventi ai sacerdoti e ai laici. Nella sua ricerca non ha mai taciuto le difficoltà del quotidiano, “i sentimenti di inadeguatezza, di fatica, di delusione, di sconforto” che ognuno può provare nella vita di ogni giorno, nel proprio lavoro, nelle proprie relazioni. Ma queste non devono farci vivere da perdenti, con la paura di non farcela.
C’è un rimedio che rimuove le difficoltà. Si tratta della preghiera continua richiamata spesso dal Maestro, una preghiera che nasce dal quotidiano, che è impastata con il lavoro, con le vicende familiari, le preoccupazioni, la fiducia, il dolore. Una preghiera, come ci ha insegnato Gesù, che si rivolge a Dio e lo chiama Padre.
“La preghiera continua – dice il cardinale Martini – corrisponde alla grazia battesimale. Questa preghiera è trasformante, perché trasforma le debolezze, le incapacità, i piccoli fallimenti apostolici, le inquietudini, in carbone ardente di spirito filiale, rendendoci veramente evangelici. E che cosa possiamo essere se non figli del Padre, che cosa possiamo dare se non testimoniare la sua paternità?”

Nella pausa di silenzio di questa giornata chiederò al Signore di essere unito a lui, semplicemente, come un figlio che si abbandona e ha fiducia di essere sostenuto dalle braccia del papà.

Parole di un canto popolare
Nella notte, o Dio, noi veglieremo
Con le lampade, vestiti a festa.
Presto arriverai e sarà giorno. 

Saint Luc Évangéliste

Saint Luc Évangéliste dans immagini sacre Saint_Luke

http://catholique-nanterre.cef.fr/IMG/jpg/Saint_Luke.jpg

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18 ottobre : San Luca Evangelista

18 ottobre : San Luca Evangelista dans immagini sacre

http://www.santiebeati.it/

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La Chiesa alle sue origini ( su Atti e Luca) (Carlo Maria Martini)

dal sito:

http://www.zenit.org/article-20937?l=italian

LA CHIESA ALLE SUE ORIGINI

( su Atti e Luca)

Carlo Maria Martini

ROMA, venerdì, 8 gennaio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il contributo del Cardinale Carlo Maria Martini, Arcivescovo emerito di Milano, contenuto nel “Codex Pauli”, un’opera unica dedicata a Benedetto XVI al termine dell’Anno Paolino.

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La cristianità primitiva ci ha lasciato un racconto sui primi sviluppi del movimento cristiano. Citato verso il 180 dagli Atti dei Martiri di Lione e dalla Epistula Apostolorum, esso è menzionato nel Canone Muratoriano (seconda metà del II secolo) sotto il titolo di Acta omnium Apostolorum e ne viene indicato anche il nome dell’autore, cioè Luca. Il titolo usuale del libro è “Atti degli Apostoli”. Tale titolo non gli è stato però attribuito dall’autore, che aveva concepito questo libretto come la seconda parte di un’opera complessiva sulle origini cristiane (cfr. Lc 1,1-4 e At 1,1).
Negli Atti è narrata la diffusione del messaggio della risurrezione di Gesù secondo una linea di progressione geografica che parte da Gerusalemme e, attraverso la Giudea e la Samaria, si estende fino alle regioni della Siria e dell’Asia Minore, e di là alla Grecia, per terminare a Roma. La missione di far percorrere questo itinerario alla Parola di Dio è narrata nei primi dodici capitoli e viene affidata a Pietro. L’azione di Pietro raggiunge il suo momento culminante quando egli ammette al battesimo il pagano Cornelio, centurione romano, senza obbligarlo ad abbracciare la legge di Mosè (At 10,1 – 11,18). A partire dal capitolo 13, il compito di attuare questa predicazione è affidato principalmente a Paolo, che viene così a porsi nel centro della narrazione. Paolo può allargare i confini della sua missione verso le terre più lontane dell’Asia Minore, della Macedonia e della Grecia. Dopo una intensa attività missionaria e dopo una serie estenuante di processi, Paolo viene condotto a Roma. La narrazione si chiude con la descrizione di Paolo prigioniero a Roma.
Vi è oggi un sostanziale accordo tra gli studiosi nel ritenere che l’autore degli Atti degli Apostoli è lo stesso che ha scritto il terzo vangelo. L’accordo tra gli studiosi non è più unanime quando si pone il problema se l’autore sia da identificare con uno di coloro che raccontano in prima persona plurale nelle cosiddette “sezioni noi” (At 16,10-17; 20,5-21; 27,1-28,16). Accettando questa identificazione si viene ad ammettere che l’autore è stato compagno di Paolo in alcuni viaggi, ed è stato quindi testimone oculare di parte degli avvenimenti che riferisce. Si raggiunge così la testimonianza dell’antica cristianità che ha attribuito gli Atti a un compagno di viaggio di Paolo, cioè a Luca, menzionato nell’epistolario paolino (cfr. Col 4,14; Fm 24; 2Tm 4,11).
Tuttavia, sulla base della diversa mentalità dell’autore degli Atti e di quello delle Epistole, non si può rinunciare alla fondata tradizione che gli Atti sono opera di uno che ha conosciuto san Paolo. Tra i compagni di viaggio dell’Apostolo, Luca è certamente quello che, a voler tenere conto delle notizie antiche e dell’analisi interna dell’opera, ha le più fondate probabilità per essere designato come l’autore degli Atti.
Luca ha composto il suo libro servendosi di elementi di origine diversa. Benché tutti gli studiosi siano d’accordo nel ritenere che l’autore utilizza per il suo racconto vari tipi di informazioni, tuttavia è molto difficile determinare quale forma avessero le fonti che Luca ha potuto utilizzare. Nel secolo scorso furono fatti vari tentativi per definire con criteri stilistici i documenti scritti che sottostanno ad At 1-15 (come l’esistenza di una fonte antiochena e di una doppia fonte gerosolimitana), ma senza risultati definitivi. Il moltiplicarsi di teorie diverse e tra loro inconciliabili produsse un certo scetticismo. Oggi si tende ad analizzare le singole unità letterarie prese in se stesse, senza pretendere di ricostruire dei veri e propri documenti scritti.
Il materiale che l’autore ha raccolto attingendo a diverse fonti di informazione venne da lui elaborato in un racconto unitario. In esso si distingue una prima epoca dominata dalla figura di Pietro, mentre la seconda ha come protagonista l’apostolo Paolo. Tra le due epoche se ne coglie come una intermedia, di grande importanza, in cui si mostra il passaggio provvidenziale dai giudei ai pagani, e insieme la continuità che permane tra i due gruppi, entrambi inseriti nell’unico disegno divino di salvezza. Riguardo alla struttura degli Atti risultano inadeguate le divisioni che hanno per base soltanto i due personaggi principali del racconto, Pietro e Paolo, perché le loro vicende si intersecano e sono frammiste con quelle di altri personaggi di rilievo (come Stefano e Filippo). Neppure è adeguata la divisione che vorrebbe basarsi sulle parole programmatiche di Gesù in At 1,8: «Mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e in Samaria e fino all’estremità della terra».
È comunque possibile dividere il libro nelle cinque parti seguenti: a) Le origini della Chiesa a Gerusalemme (1,1 – 5,42). b) Una nuova e più violenta persecuzione sorge a causa di Stefano (6,1 – 12,25). c) Missione di Barnaba e Paolo in Asia (13,1 – 15,35). d) Missione di Paolo nelle principali città della Grecia e nella grande città di Efeso (15,36 – 20,38). e) Arrivo di Paolo a Gerusalemme, suo imprigionamento e viaggio a Roma, nel centro del mondo conosciuto allora, dove egli annuncia con libertà la Parola di Dio (21,1 – 28,31).
L’autore ha subordinato il disegno generale dell’opera, la sua struttura e il suo stile a una finalità che egli ha espresso nel prologo a Teofilo con queste parole: «affinché ti renda conto della solidità della dottrina su cui sei stato catechizzato». Lo scopo dell’opera rimane molto generico e soggetto a diverse interpretazioni. Per questo si è discusso assai, soprattutto a partire dal secolo XVIII, sulla finalità di Luca nella sua narrazione. Fino a quel tempo si riteneva che Luca volesse semplicemente presentare un quadro delle origini cristiane e difendere Paolo dai suoi avversari. Si profilava, quindi un approccio degli Atti dal taglio storiografico e apologetico. Ma le finalità di questa opera oggi vengono comprese alla luce dell’orizzonte più ampio prospettato sia dall’esame del terzo Vangelo, sia dall’esame di questo suo “secondo libro”. Appare, così, decisivo il ruolo della comunità destinataria dell’opera lucana. Si tratta probabilmente di una comunità composta in gran parte dai pagani convertiti, preoccupati però di tener viva la coscienza delle radici anticotestamentarie del messaggio cristiano. Il libro è posto così sotto il segno della continuità: tra Antico e Nuovo Testamento, tra attività del Cristo e vita delle Chiese; tra Israele e la Chiesa, tra i giudeo-cristiani e i pagani convertiti. Garante invisibile ma sempre operante di questa continuità è lo Spirito. Nella predicazione universale del Vangelo ai pagani le profezie messianiche trovano il loro pieno adempimento, e si mostra così l’unità e la continuità del disegno divino di salvezza.
Tuttavia lo scopo che si prefiggeva l’autore era certamente quello di comunicare importanti valori dottrinali e un autentico messaggio, valido per ogni tempo. Per avere un quadro sintetico degli elementi dottrinali presenti negli Atti, bisogna partire dall’evento centrale da cui ha origine tutto il movimento cristiano, cioè la risurrezione di Cristo.
Gesù glorificato costituisce l’oggetto della fede della Chiesa (9,13), e la predicazione ha appunto lo scopo di mostrare che egli è il Messia predetto dalle Scritture, colui che è stato costituito giudice dei vivi e dei morti, il Figlio di Dio (9,20). Soltanto per la fede in lui (16,31) e per il battesimo nel suo nome (2,38) è possibile ottenere la salvezza (cfr. 4,12) e il perdono dei peccati (5,31).
Centrale è pure il ruolo dello Spirito Santo che pervade con la sua presenza e il suo influsso tutta la vita e l’espansione della Chiesa primitiva. La manifestazione fondamentale dello Spirito si ha nella Pentecoste, che rappresenta per la dottrina sullo Spirito un po’ quello che la risurrezione rappresenta per la cristologia. Nella presenza, tra i testimoni della Pentecoste, di molti che rappresentano i principali popoli allora conosciuti si manifesta la vocazione universale della Chiesa e si realizza la sua missione di essere un segno di unità tra i diversi popoli. La Chiesa (5,11) appare come la comunità di coloro che hanno creduto nel Cristo Risorto e vivono in unità sotto l’autorità degli Apostoli. Tra gli apostoli Pietro gode di una posizione speciale.
È importante pure ricordare il posto che hanno negli Atti la fede (si veda ad es. 2,44; 3,16; 4,4.32; 5,14, ecc.), il battesimo (cfr. 2,38; 8,36; 10,47, ecc.), l’imposizione delle mani per conferire lo Spirito (8,15 – 17; 19,5-6), l’Eucaristia (2,42.46; 20,7.11) e la preghiera (si veda ad es. 4,24-30; 10,9; 12,5; 16,25). Anche le diverse situazioni che scandiscono il cammino delle comunità cristiane (crescita, persecuzione, dispersione, riconferma della fede) e i loro atteggiamenti (gioia, carità, scambio fraterno dei beni, mutuo aiuto, unione, prontezza a soccorrere anche i lontani, ospitalità, coraggio, apertura di cuore e di orizzonti, ecc.) affiorano di continuo nella narrazione. Si ricava così dalla lettura del libro un quadro ricchissimo della vita dei primi cristiani, quadro che viene presentato alle Chiese di tutti i tempi come modello e come stimolo. Gli Atti degli Apostoli sono perciò «un libro per tutti i tempi, un libro molto attuale per il nostro tempo. Bisogna leggerlo tutto in una volta, così come si leggono avidamente i ricordi di famiglia» (H. Jenny).

Card. Carlo Maria Martini
Arcivescovo Emerito di Milano

18 ottobre – San Luca Evangelista

dal sito:

http://www.santiebeati.it/dettaglio/21800

18 ottobre – San Luca Evangelista 
 
Antiochia di Siria – Roma (?) – Primo secolo dopo Cristo

Luca, evangelista e autore degli Atti degli Apostoli, è chiamato « lo scrittore della mansuetudine del Cristo ». Paolo lo chiama « caro medico », compagno dei suoi viaggi missionari, confortatore della sua prigionia. Il suo vangelo, che pone in luce l’universalità della salvezza e la predilezione di Cristo verso i poveri, offre testimonianze originali come il vangelo dell’infanzia, le parabole della misericordia e annotazioni che ne riflettono la sensibilità verso i malati e i sofferenti. Nel libro degli Atti delinea la figura ideale della Chiesa, perseverante nell’insegnamento degli Apostoli, nella comunione di carità, nella frazione del pane e nelle preghiere. (Mess. Rom.)

Patronato: Artisti, Pittori, Scultori, Medici, Chirurghi
Etimologia: Luca = nativo della Lucania, dal latino
Emblema: Bue
Martirologio Romano: Festa di san Luca, Evangelista, che, secondo la tradizione, nato ad Antiochia da famiglia pagana e medico di professione, si convertì alla fede in Cristo. Divenuto compagno carissimo di san Paolo Apostolo, sistemò con cura nel Vangelo tutte le opere e gli insegnamenti di Gesù, divenendo scriba della mansuetudine di Cristo, e narrò negli Atti degli Apostoli gli inizi della vita della Chiesa fino al primo soggiorno di Paolo a Roma.
Ma che c’entra Teofilo? E chi lo conosce? Da sempre ci pare un po’ abusivo questo personaggio ignoto, che vediamo riverito e lodato all’inizio del vangelo di Luca e dei suoi Atti degli Apostoli. La risposta si trova nella formazione ellenistica dell’autore. Con la dedica fatta a Teofilo che doveva essere un cristiano eminente egli segue l’uso degli scrittori classici, che appunto erano soliti dedicare le loro opere a personaggi insigni.
Luca, infatti, ha studiato, è medico, e tra gli evangelisti è l’unico non ebreo. Forse viene da Antiochia di Siria (oggi Antakya, in Turchia). Un convertito, un ex pagano, che Paolo di Tarso si associa nell’apostolato, chiamandolo « compagno di lavoro » (Filemone 24) e indicandolo nella Lettera ai Colossesi come « caro medico » (4,14). Il medico segue Paolo dappertutto, anche in prigionia: due volte. E la seconda, mentre in un duro carcere attende il supplizio, Paolo scrive a Timoteo che ormai tutti lo hanno abbandonato. Meno uno. « Solo Luca è con me » (2Timoteo 4,11). E questa è l’ultima notizia certa dell’evangelista.
Luca scrive il suo vangelo per i cristiani venuti dal paganesimo. Non ha mai visto Gesù, e si basa sui testimoni diretti, tra cui probabilmente alcune donne, fra le prime che risposero all’annuncio. C’è un’ampia presenza femminile nel suo vangelo, cominciando naturalmente dalla Madre di Gesù: Luca è attento alle sue parole, ai suoi gesti, ai suoi silenzi. Di Gesù egli sottolinea l’invitta misericordia, e quella forza che uscendo da lui « sanava tutti »: Gesù medico universale, chino su tutte le sofferenze. Gesù onnipotente e “mansueto” come lo credeva Dante nelle parole di Luca.
Gli Atti degli Apostoli raccontano il primo espandersi della Chiesa cristiana fuori di Palestina, con i problemi e i traumi di questa universalizzazione. Nella seconda parte è dominante l’attività apostolica di Paolo, dall’Asia all’Europa; e qui Luca si mostra attraente narratore quando descrive il viaggio, la tempesta, il naufragio, le buone accoglienze e le persecuzioni, i tumulti e le dispute, gli arresti, dal porto di Cesarea Marittima fino a Roma e alle sue carceri.
Secondo un’antica leggenda, Luca sarebbe stato anche pittore e, in particolare, autore di numerosi ritratti della Madonna. Altre leggende dicono che, dopo la morte di Paolo, egli sarebbe andato a predicare fuori Roma; e si parla di molti luoghi. Di troppi. In realtà, nulla sappiamo di lui dopo le parole di Paolo a Timoteo dal carcere. Ma il vangelo di Luca continua a essere annunciato insieme a quelli di Matteo, Marco e Giovanni in tutto il mondo. E con esso anche gli Atti degli Apostoli. Nella liturgia della Parola, durante la Messa e in tutte le lingue, Luca continua davvero a predicare; anche ai nostri giorni, incessantemente.

Autore: Domenico Agasso 

Publié dans:Santi Evangelisti |on 18 octobre, 2010 |Pas de commentaires »

Omelia per il 18 ottobre 2010

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/8270.html

Omelia (18-10-2004) 
Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto perché noi le praticassimo.

Come vivere questa Parola?
Ci permettiamo di seguire la lettura continua della meravigliosa lettera di Paolo agli Efesini, anche in questa festa dell’evangelista Luca. L’apostolo delle genti evidenzia con lucido argomentare che Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo. Ciò che conta è lasciarsi persuadere di quanto siamo oggetto personalmente, dell’infinito amore di Dio. Siamo dunque salvati non a causa di chissà quale sforzo volontaristico. « Per grazia infatti – dice inequivocabilmente Paolo – siete stati salvati ». È una « straordinaria ricchezza » sottolinea ancora l’apostolo. Così straordinaria che – in speranza – noi siamo già dei conrisorti con Cristo, e la gioia di lassù è per noi. Attenzione però! Se è così, quel che deve crescere in noi è la fede. Il « fiotto » di vita e salvezza viene di lì, non dalle nostre opere buone di cui sarebbe dunque ben stolto vantarsi. Però – ecco la meraviglia! – non siamo creati da un Dio che non ci salva come fossimo automi, ma come figli a cui offre da praticare liberamente opere di bene. E se, con una fede che opera e si realizza amando, noi per amore le compiamo, ecco che realizziamo il disegno di Dio: salvezza per noi, ma anche per quelli a cui ci dedichiamo nel nostro quotidiano.

Oggi, nel mio ritorno al cuore, sosto un momento in quiete contemplativa a stupirmi del meraviglioso disegno di Dio. No, non sono mai così bravo da salvarmi da solo. Però, dentro il suo piano, il Signore mi indica tutto quel bene che, con la sua grazia, io posso compiere per amore, io personalmente!

Signore, accresci in me la fede e dammi un cuore umile e riconoscente. Aprimi alle opere di bene che tu vuoi che io compia. E poi dammi grazia perché io, amandoti, le realizzi.

La voce di un Padre Apostolico
Tutti sono stati esaltati e glorificati, non in grazia dei loro meriti, né per le loro opere o per la pratica della virtù, ma per il volere di Dio. Anche noi non possiamo giustificarci da noi stessi, per mezzo della nostra sapienza o intelligenza, della nostra pietà o delle opere che abbiamo compiuto con purezza di cuore, ma veniamo giustificati invece dalla fede. Allora smetteremo di operare il bene? Non permetta il Signore che questo ci accada! Adoperiamoci invece con tutto il nostro impegno e il nostro ardore a realizzare ogni opera buona.
Clemente di Roma 

Nostra Signora di Sheshan – Cina

Nostra Signora di Sheshan - Cina dans immagini sacre shesham
http://www.maranatha.it/Benvenuti/mapa/sheshan.htm

Publié dans:immagini sacre |on 17 octobre, 2010 |Pas de commentaires »

Salvare gli uomini col loro sapore

dal sito: 

http://www.atma-o-jibon.org/italiano6/diario_mag09.htm#Lamore_copre_una_moltitudine_di_peccati

Salvare gli uomini col loro sapore

Sono lì, Signore,
a invocare da me il loro significato.
Attendono la loro verità da me, Signore, ma essa non è stata ancora forgiata: illuminami.

E io voglio salvare gli uomini con il loro sapore.

Io impasto la farina del pane
perché si manifestino le radici,
ma nulla ancora si lega,
e conosco la cattiva coscienza delle notti bianche.

Ma conosco pure l’oziosità del frutto.
Perché ogni creatura sta dapprima a bagno nel tempo,
in cui diverrà.

Mi portano alla rinfusa le loro aspettative,
i loro desideri, i loro bisogni.

Li impilano nel mio cantiere come materiali
di cui io devo operare l’assemblaggio
affinché siano assorbiti dal tempio o dalla nave.


Ma io non sacrificherò
i bisogni degli uni ai bisogni degli altri,
la grandezza degli uni a quella degli altri.
La pace degli uni a quella degli altri.
Li sottometterò invece tutti gli uni agli altri,
perché divengano il tempio o la nave.

Non ascolterò di certo la maggioranza,
perché essa non può vedere la nave, che la sovrasta.

Non creerò certo la pace dei termitai
con una scelta vuota
e con boia e prigioni.

Non riconcilierò più.
Perché riconciliare è accontentarsi
dell’ignominia di un tiepido miscuglio
nel quale si sono conciliate
bevande ghiacciate e bollenti.

ANTOINE DE SAINT-EXUPERY
Citadelle, Paris 1948, p. 462.  

Publié dans:poemi |on 17 octobre, 2010 |Pas de commentaires »
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