Archive pour octobre, 2010

Omelia per il 29 ottobre 2010

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/785.html

Omelia (31-10-2003) 
padre Lino Pedron

Commento su Luca 14, 1-6

Gesù si reca nelle città e nei villaggi, nelle sinagoghe e nelle case private per annunciare il suo vangelo. Egli non rifiuta nemmeno l’invito dei suoi avversari, perché è venuto per offrire la salvezza a tutti. I farisei misurano la volontà e la parola di Dio in base alla loro interpretazione della legge e alla loro dottrina. Ritenevano la propria condotta, la propria interpretazione della legge, la fedeltà alle tradizioni come l’unico modo di vivere voluto da Dio. Ne erano talmente convinti che per principio non prendevano nemmeno in considerazione la possibilità che Dio potesse aprire nuove vie per la salvezza del suo popolo. Per questo bloccano ogni intesa con Gesù che annuncia il nuovo ordine della salvezza che egli è venuto a portare.

Gesù annuncia la sua parola anche a loro, che sono la categoria più inconvertibile dei peccatori, perché credono di essere giusti. La sua misericordia gli fa accettare l’invito a mangiare con loro per guarirli. Egli svela il loro male, visibilizzandolo una volta nella prostituta (cfr Lc 7,36ss) e qui nell’idropico. Essi sono affetti dal male più tremendo e più nascosto: con la loro autosufficienza si oppongono direttamente a Dio che è grazia e misericordia. Il tema di tutto il vangelo di Luca è la misericordia di Dio perché la Chiesa rimanga sempre nell’esperienza di Dio che salva e si senta sempre peccatrice perdonata. Solo così resta aperta a Dio e a tutti gli uomini, ricevendo e dando misericordia. Solo così evita il pericolo di trasformare il popolo di Dio, che è un popolo di peccatori perdonati, in una setta di « giusti », come più o meno succede in tutte le religioni.

L’idropico è un’immagine del fariseo, pieno di sé, gonfio della sua giustizia, incapace di passare per la porta stretta della salvezza (cfr Lc 13,24). Questa porta è la misericordia di Dio che egli rifiuta perché confida nei suoi meriti. Se al mondo ci fossero stati solo malati e peccatori forse non sarebbe stata necessaria la Croce: sarebbero bastati la guarigione e il perdono. Ma Gesù morirà in croce come giusto (cfr Lc 23,47; At 3,14), perché i giusti potessero scoprire un’altra giustizia: la misericordia di Dio che ama fino al dono totale di sé.

Ciò che Gesù era stato costretto a rimproverare al fariseo Simone, vale ugualmente per i farisei presenti alla guarigione dell’idropico: essi amano troppo poco (cfr Lc 7,47). La legge non ha lo scopo di limitare o impedire l’amore, perché l’amore di Dio non conosce limiti. Il regno di Dio predicato da Gesù è il dominio universale della misericordia di Dio.

Per Gesù il riposo del sabato significa la rivelazione della bontà di Dio verso le sue creature, una rivelazione di pace e di salvezza. Gesù dà gloria al Padre presentandolo al mondo come il Dio che dona e che perdona, il Dio dei poveri e degli oppressi. 

la Sindone

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DALL’UOMO VECCHIO A QUELLO NUOVO

dal sito:

http://www.tradizione.oodegr.com/tradizione_index/insegnamenti/vecchionuovouomopopovic.htm

DALL’UOMO VECCHIO A QUELLO NUOVO
 
Arch. Justin Popovic
 
        Come il Signore incarnatosi diventa tutto ed ogni cosa nell’uomo? Per raggiungere questo fine, che cosa debbono fare i Cristiani? Ecco, il comandamento è molto semplice e chiaro: “Fate morire in voi gli atteggiamenti che sono propri di questo mondo: immoralità, impurità, passioni, desideri cattivi e quella voglia sfrenata di possedere che è un tipo di idolatria”[1]. “Fateli morire”, poiché sono vivi, operano e agiscono. Essi costituiscono una specie di vostro corpo, in cui voi vivete, ed i cui organi agiscono secondo la vostra volontà, secondo i consigli del vostro cuore che ama il peccato, secondo i pensieri della vostra mente in preda al peccato. Con il loro aiuto voi siete cresciuti per la terra, per il suo piccolo mondo, che “tutto si trova in potere del demonio”[2]. Essi sono parti vive della nostra anima e, per così dire, costituiscono i vostri sensi: la vostra vista, con cui cercate il male; il vostro udito, con cui ascoltate il male. Finché non li fate morire, voi non potete neppure pensare “a ciò che è sopra”, né vivere “con il Cristo in Dio”. La mortificazione di queste passioni costituisce il principio della nostra vita nel Cristo. Giacché per prima cosa bisogna sradicare la malerba, le spine e la gramigna dal campo dell’anima nostra e poi seminarvi il seme delle celesti virtù evangeliche. Allora cresceremo verso il cielo con tutto il nostro essere e cercheremo “ciò che è sopra di noi, dove il Cristo siede alla destra di Dio”[3].
        In primo luogo bisogna far morire l’immoralità, la lascivia, poiché è una passione che inchioda terribilmente a ciò che è terreno, mortale, transeunte. Come si raggiunge questo scopo? Praticando le virtù evangeliche a cominciare dalla preghiera e dal digiuno. Ogni virtù evangelica allontana i desideri peccaminosi, distrugge le disposizioni immorali e l’ardore delle passioni. La preghiera poi unita al digiuno li fa morire completamente. E quando poi si manifestano come tentazioni, assumono la forma di fan tasmi sconfitti senz’alcun potere, che il segno della Croce dissolve come una ragnatela.
        L’Apostolo menziona quindi l’impurità. Essa deriva da ogni peccato e da ogni passione. Dal pungiglione del peccato gocciola nell’anima l’impurità, poiché essa è il sangue di ogni peccato. Ma, in fondo, tutta l’impurità proviene dagli spiriti impuri. Si chiamano così poiché ogni male, sia il più grande che il più piccolo, è per sua natura impurità e la diffonde nella natura umana appena si manifesta in essa. Poiché deriva dagli spiriti impuri, essa è una forza viva che bisogna far morire. Ma ciò avviene quando facciamo morire le sue cause, i peccati e gli spiriti impuri. Ciò si consegue unicamente con “le armi che Dio ci da”, cioè con tutte le virtù divine[4]. A coloro che di esse sono armati l’Apostolo scrive: “Siete forti ed avete vinto” il demonio[5]. Si deve poi far morire la “passione”. Essa consiste nell’affezionarsi a qualsiasi peccato. È il peccato trasformato in una abitudine gradita. Essa è la sensualità nel più ampio significato: l’amore appassionato per il piacere peccaminoso e per la voluttà. La sensualità e l’amore per il peccato devastano le anime di coloro che non hanno Dio nei pensieri e nella coscienza né vivono secondo i suoi comandamenti[6]. Per far morire questo mostro, è necessaria la fede in un solo vero Dio e Signore, Gesù Cristo, e una vita secondo i suoi comandamenti. La trasformazione in Cristo, questa è la medicina contro tutte le passioni. Per ciò l’Apostolo annuncia la Buona Notizia: “Coloro che appartengono a Gesù Cristo hanno fatto morire con lui, inchiodato alla Croce, il loro egoismo, con le passioni ed i desideri che esso produce”[7].
        Il Cristiano è obbligato a far morire i “cattivi desideri”. Essi sono l’espressione della volontà in stato di peccato. La volontà, che per l’amore al peccato s’è familiarizzata con il male, è naturale che lo desideri. In essa il male è diventato una forza viva, creatrice, che per mezzo suo desidera ciò che è peccaminoso e malvagio. Quale ne è la medicina? Sostituire l’amore per il peccato con quello per il Cristo. Si cercano le malattie della volontà quando uniamo la volontà nostra, umana, con quella di Dio e la sottomettiamo completamente ad essa e per noi diventa il principio supremo: “Non sia fatta la mia volontà, ma la tua”[8]. La volontà di Dio è completamente espressa nel Signore Gesù Cristo e nel suo Evangelo[9]. Obbedendo ai comandamenti evangelici, facciamo la volontà di Dio e così guariamo la nostra volontà dalle sue malattie, dai cattivi desideri ed annientiamo in essa l’amore per il peccato e per il male. E la volontà di Dio è frutto solo dell’amore per Dio. Perciò quest’ultimo è l’unica medicina contro l’amore del peccato e del male e di conseguenza l’unica via per rendere l’uomo immortale ed eterno. “Tutto ciò che c’è al mondo, i desideri del corpo, i desideri degli occhi, la superbia della vita, non deriva dal Padre, ma da questo mondo. E quest’ultimo passa e così i suoi desideri, ma chi fa la volontà di Dio vive in eterno”[10].
        L’avidità è una malattia mortale dell’anima. Perciò è un nostro dovere evangelico farla morire, poiché “è adorazione degli idoli”. L’avidità consiste nell’innamorarsi delle cose di questo mondo, che giunge sino alla loro adorazione. Essa può essere di due specie: materiale e spirituale. L’avidità è materiale quando si riferisce ad oggetti visibili di questo mondo ed alle opere umane; è spirituale quando ha per oggetto idee, pensieri, passioni, peccati. L’Apostolo chiama l’avidità adorazione degli idoli. Perché? In quanto l’uomo, in preda all’avidità, invece di un solo vero Dio e Signore, proclama se stesso significato, fine, divinità, idolo della propria vita. E tali possono essere l’oro, la natura, la scienza, la cultura, la tecnica, la donna, i figli, la società, il popolo, l’umanità, la voluttà, le passioni, le idee, gli eroi, i genii, i capi o qualsiasi persona o qualsiasi cosa. Un uomo siffatto è realmente un adoratore degli idoli e la sua vita è idolatria, in quanto si pone a servizio di uno o molti falsi dei. Gli uomini hanno inventato molti falsi dei, per cui esistono vari generi di idolatria, dai più semplici ai più raffinati, dai più barbari ai più civili. Per tutti loro la medicina è una sola: la fede in un unico vero Dio e Signore, Gesù Cristo, ed una vita vissuta in armonia con essa. E tutto ciò nel Corpo divino-umano della Chiesa.
        In mezzo alle passioni, alla voluttà ed alle varie forme di idolatria l’umanità conduce un’esistenza contraria a Dio. Una vita del genere non è altro che una continua opposizione a Dio. Ma in questa loro avversione a che padre obbediscono gli uomini? Al demonio che è il principale avversario di Dio. Il demonio in che cosa è tale? Nel peccato e nel male. E quanti vivono nel peccato e nel male inevitabilmente diventano figli del demonio, cioè figli della contraddizione, dell’avversione a Dio. L’immoralità rende l’uomo figlio del demonio, come pure l’impurità, le passioni, i cattivi desideri e l’avidità. In genere ogni peccato, ogni passione fa dell’uomo un figlio del demonio. Se uno è schiavo di qualsiasi peccato o di qualsiasi passione, è figlio della contraddizione, dell’avversione a Dio. Ma Dio, sebbene ami tutti e per quanto sia l’unico ad amare veramente gli uomini non può amare il peccato ed il male, poiché sostanzialmente contraddicono alla sua natura. Per essi egli ha solo l’ira. “L’ira di Dio dal Cielo per ogni azione contro di lui e per ogni ingiustizia”[11]. E quando gli uomini così coscientemente e tenacemente si legano all’ingiustizia, da diventare figli della contraddizione, allora su loro scende l’ira di Dio, poiché si sono identificati con il peccato e con il male e con l’eterno destino di questi ultimi.
        “Figli della contraddizione” sono, in primo luogo, i pagani e gli atei. Essi si oppongono continuamente al vero Dio adorando i falsi dei e vivendo nelle loro menzogne, voluttà e passioni. Non avendo consapevolezza del vero Dio, per l’amore del peccato a tal punto si abituano alla colpa ed al male che questi sembrano a loro cose naturali. La coscienza, macchiatasi del peccato, vede nel male e nel peccato qualcosa di logico e normale[12]. Solo la fede nel Cristo risveglia gli uomini, i quali allora si rendono conto dell’orrore rappresentato dal peccato e dal male per la natura umana. La fede nel Cristo è, invece, la nuova vita, la vita nell’unico vero Dio. Ed in questa nuova vita c’è una nuova coscienza, purificata dalla logica pagana e atea dal conseguente criterio della realtà.
        Perciò l’Apostolo raccomanda a coloro che erano stati pagani: “Ora respingete anche voi tutto ciò: l’ira, l’acredine, la cattiveria, la bestemmia, le cattive parole dalle vostre bocche”[13]. Respingere in qual modo? Sostituendo all’ira la mitezza, la acredine con la clemenza, la cattiveria con la bontà, la bestemmia con la glorificazione di Dio, le cattive parole con la buona novella dell’Evangelo. Se non respingete tutte queste cose, rimanete ulteriormente figli della contraddizione, su cui “scende l’ira di Dio”. Essa viene su questa terra sotto la forma di varie disgrazie e sofferenze, nell’altra vita nell’inferno e nelle eterne sofferenze. Con l’ira, l’acredine, la cattiveria, la bestemmia e le cattive parole gli uomini dimostrano di essere figli obbedienti del supremo avversario di Dio, il demonio, poiché fanno la sua volontà. E di chi si fa la volontà, di costui si è figli. In quest’ambito rientra anche la menzogna: “Non mentite l’uno all’altro”[14]. Se mentite, siete figli spirituali di colui che è “la menzogna ed il padre della menzogna”[15]. La menzogna, ogni menzogna per sua natura è legata al “padre della menzogna”. Il demonio fa sempre la stessa cosa: continuamente escogita, dice e diffonde menzogne su Dio. Una tale attività è naturale in lui, poiché “in lui non c’è verità, in quanto non ha Dio che è la verità”[16]. Quando mente, il demonio esprime ciò che è suo[17], ciò che costituisce la sostanza del suo essere, ciò che in realtà lo rende demonio e ciò con cui demonizza tutti gli esseri intelligenti e liberi che sono al suo servizio. Perciò le creature fatte ad immagine di Dio, gli uomini, quando mentono l’uno all’altro, in realtà non fanno altro che coscientemente o meno compiere l’opera del demonio nel mondo.
        Tutti questi peccati, queste passioni, questi turpi piaceri e queste menzogne così si sono acclimatati nell’uomo che non è di Cristo, si sono così trasformati nelle sue ossa, si sono così realizzati e divenuti abituali in lui, da costituire un uomo a sé, “l’uomo vecchio”[18]. Invece l’uomo di Cristo è nuovo, “creato simile a Dio, per vivere nella giustizia, nella santità e nella verità”[19]. Perciò l’Apostolo raccomanda: “Abbandonate l’uomo vecchio e le sue azioni, come si mette via un vestito vecchio. Ormai siete uomini nuovi e Dio vi rinnova continuamente per portarvi alla perfetta conoscenza e farvi simili a lui che vi ha creati”[20]. L’uomo vecchio con i suoi cattivi pensieri, con i suoi sentimenti, con i suoi desideri, disposizioni ed opere ha oscurato e deformato tutto ciò che è fatto ad immagine di Dio in lui, la coscienza, l’anima, la volontà e la mente. Esse nelle passioni o nei peccati si sono indebolite, si sono ammalate e sono invecchiate. Per rinnovarlo e ringiovanirle è necessario spogliarsi dell’uomo vecchio che si è imposto all’anima, alla coscienza, alla volontà ed alla mente create ad immagine di Dio che le ha circondate di sé come di un corpo. Come ci si spoglia dell’uomo vecchio? Respingendo tutte le opere cattive che lo costituiscono: l’ira, la collera, la malvagità e gli altri peccati e passioni. Quando ci si libera da tutti questi peccati e passioni, l’uomo vecchio muore e viene completamente meno. Ed il nuovo? Questi affiora dall’anima fatta ad immagine di Dio, dalla coscienza, dalla volontà e dalla mente e si rinnova gradualmente con il Cristo, che lo ha creato simile a Dio ed a sé. Questo rinnovamento è del tutto naturale, poiché avviene sul fondamento dell’originale natura umana creata a somiglianza di Dio. Ed il Signore Gesù Cristo che è l’“immagine di Dio invisibile”[21], è l’originale ed eterna immagine, secondo cui noi ci rinnoviamo. Secondo lui e per mezzo suo noi rinnoviamo la sembianza divina della nostra anima. E non solo rinnoviamo, ma ulteriormente la sviluppiamo in direzione dell’infinita perfezione divino-umana “fino a quando tutti assieme diventeremo uomini perfetti, degni dell’infinita grandezza del Cristo che riempie l’universo”[22].
 
L’UOMO AD IMMAGINE DEL CRISTO
 
        Così questo rinnovamento non è altro che la nostra partecipazione al Cristo ed il nostro trasformarsi nel Cristo. Giacché a questo scopo siamo creati e salvati, cioè per assomigliare al Creatore e nostro Salvatore il Signore Gesù Cristo. Ed in realtà as somigliamo a lui in quanto in lui viviamo. Il nostro ideale è assolutamente naturale: la somiglianza al Cristo, poiché siamo anche creati con un’anima simile al Cristo. Essa ha in germe, in potenza tutta la somiglianza al Cristo divina ed umana. Il Cristo si è fatto uomo ed ha mostrato completamente in sé l’immagine di Dio propria dell’uomo. E come Dio-Uomo possiede tutte le energie divine e le da a tutti i suoi seguaci, affinché gradualmente sviluppino la loro somiglianza al Cristo sino a raggiungerne la perfezione. E poiché da queste energie, che ci rendono partecipi di lui ed in lui ci trasformiamo, ad ognuno ed a tutte nel suo corpo divino-umano, la Chiesa, egli esige dai suoi seguaci la perfezione divina: “Siate perfetti come lo è il vostro Padre celeste”[23]. In questa nostra trasformazione nel Cristo, in questa nostra somiglianza al Cristo consiste nello stesso tempo anche il conseguimento della vera conoscenza di Dio. Nel nostro mondo umano solo la conoscenza del Cristo concede agli uomini la vera ed autentica conoscenza di Dio. Colui che nel Dio-Uomo non trova il vero Dio e Signore, non lo troverà mai in nessuna parte e resterà eternamente schiavo degli dei falsi e di false conoscenze.
        L’uomo nuovo quello ad immagine del Cristo, è l’uomo secondo Dio. Egli non invecchia, ma sempre fiorisce nella conoscenza di Dio e di ciò che è divino, ringiovanisce sempre più e nello stesso tempo si rafforza in quanto acquista una conoscenza superiore e si rende degno di cose sempre più grandi[24]. Non vi aspettate che l’uomo nuovo invecchi. Al contrario, quanto più vive, tanto più si avvicina non alla vecchiaia, ma alla gioventù, che è migliore di quella precedente. Giacché quanto più conoscenze acquista e si rende degno di cose migliori, tanto più fiorisce ed acquista sempre più maggiori forze, non solo dalla gioventù, ma anche dall’Immagine a cui si avvicina. Ecco, la miglior vita si chiama creazione, secondo l’immagine del Cristo, il che significa “secondo l’immagine di colui che lo ha creato”, poiché anche il Cristo è morto non nella vecchiaia, ma quand’era nel fiore di una bellezza che non si può esprimere[25]. Questa è la caratteristica della vita secondo le virtù evangeliche: essa con lo scorrere degli anni diventa sempre più giovane; sebbene fisicamente sembri più vecchia, spiritualmente continuamente fiorisce[26].
        Rivestirsi dell’uomo nuovo, il Dio-Uomo, significa diventare vero uomo, quale è uscito dalle mani di Dio al momento della creazione e per di più dotato di tutte le energie divino-umane del Cristo, riempito di “tutta la pienezza di Dio”[27]. Per il Signore ogni uomo è un essere simile a Dio: “non c’è né Greco né Ebreo, circonciso o meno, barbaro o Scita, schiavo o libero: ciò che importa è il Cristo e la sua presenza in tutti noi”[28]. In quanto Dio-Uomo divenuto Chiesa, il Signore abbraccia tutti i mondi divini e tutte le creature in essi, ha riempito di sé tutti e tutto e per ogni creatura è divenuto “tutto in tutto”. Nella misura in cui le creature non lo allontanano da sé con l’amore volontario per il peccato, dacché esiste la Chiesa del Cristo nel mondo, scompare tutto ciò che divide gli uomini. E l’uomo nuovo, l’uomo del Cristo, guarda in un modo nuovo i suoi simili, il mondo ed ha la filosofia “secondo il Cristo”[29]. Egli sente che la potenza del Logos unisce tutti gli uomini, tutti gli esseri, tutti i mondi. In tutta la creazione nel suo insieme ed in ogni creatura in particolare egli sente il Cristo come potenza creatrice, provvidenziale ed unificatrice. Dovunque vada, trova il Cristo; qualunque cosa guardi, vede il Cristo. Con tutto il suo essere sente che il Cristo è la vita della vita, l’esistenza dell’esistenza, la luce della luce[30]. Egli prima di tutto, attraverso tutto ed in tutto, “tutto riempie in tutto” e “tutto è in lui”[31]. In verità il Cristo è “tutto ed in tutto”; alla parte opposta a lui – il vuoto assoluto; l’essere assoluto – il non essere.
        Se non c’è il Cristo nell’uomo, questi è nulla, un cadavere, un non essere. Se non c’è nell’universo, quest’ultimo è un cadavere, è il nulla, è il non essere. Il Cristo è l’essere assoluto e l’unità assoluta. Egli riempie di sé tutto e tutto unisce; senza di lui tutto è vuoto, abbandonato e slegato. Se si ritira dall’uomo, dal sole, dall’universo, dall’ape, tutto precipita nel caos, nel non essere, nel nulla, nella morte. Egli solo con il suo corpo divino-umano, la Chiesa, unisce tutti e tutto, riempie tutto e tutti e tutti in tutti i mondi[32]. Da lui continuamente promana un’energia che tutto riempie, che tutto unisce, un’energia divina e piena di grazia, che tutti e tutto riempie ed unisce con il Logos. Se l’uomo diventa membro del corpo divino-umano del Cristo, egli si riempie del senso dell’essere assoluto, dell’unità assoluta; per lui non c’è più la morte, ma dappertutto una pienezza assoluta propria della Buona Notizia: l’immortalità e l’eternità. In questa ricchezza ci introduce il Battesimo, con il quale diventeremo membri del vivo corpo della Chiesa. In essa scompaiono tutte le differenze, poiché il Cristo è “tutto in tutto”. “Quanti vi siete battezzati nel Cristo, vi siete rivestiti del Cristo. In lui non c’è né Ebreo né Greco, né servo né padrone, né maschio né femmina, poiché tutti siete una sola cosa nel Cristo Gesù”[33]. “Il Cristo sia per voi tutto ed ogni cosa, valore e stirpe ed in tutti voi sia lui. Poiché tutti siete divenuti un solo Cristo, poiché siete il suo corpo”[34]. “Tutto ed in tutto il Cristo”, poiché tutti siamo un solo corpo, che ha per capo il Cristo. Perciò giustamente il Cristo è per noi tutto ed ogni cosa: Salvatore, Signore, Dio, Capo, Sommo Sacerdote e Vittima.
 
Trad. A. S.
Da: Dogmatika Pravoslavne Crkve, III, Beograd 1978, pp.176-184.
In: “Messaggero Ortodosso”, Roma, dicembre-gennaio 1984-1985, n. 12-1, p. 5-15.

[1] Colossesi 3, 5.
[2] 1 Giovanni 5,19.
[3] Colossesi 3, 1.
[4] cfr. Efesini 6, 11-18.
[5] 1 Giovanni 2, 14.
[6] cfr. Romani 5, 24.
[7] Galati 5, 24.
[8] Luca 22, 42.
[9] cfr. Efesini l, 9.
[10] 1 Giovanni 2, 16-17.
[11] Colossesi 3, 7.
[12] Colossesi 3, 7.
[13] Colossesi 3, 9.
[14] Colossesi 3, 8.
[15] Giovanni 8, 44; 1 Giovanni 8, 44; 14, 6.
[16] Giovanni 8, 44; 14, 6.
[17] Cfr. Giovanni 8, 44.
[18] Colossesi 3, 9.
[19] Efesini 4, 24.
[20] Efesini 4, 24.
[21] Colossesi 1, 15.
[22] Efesini 4, 13.
[23] Matteo 5, 48.
[24] Beato Teofilatto, Hom. III, cap. III, vers. 10; P.G. 82, col. 1257B.
[25] San Giovanni Crisostomo, Hom. VIII, 2; P. G. 62, col. 353.
[26] Icumenio, Hom. XIII, cap. 3, vers. 10; P. G. 88, col. 44C.
[27] Colossesi 2, 9-10.
[28] Colossesi 3, 11.
[29] Cfr. Colossesi 2, 8-10.
[30] Cfr. Giovanni 1, 3-4.
[31] Colossesi 1, 16-17; Efesini 1, 23.
[32] Cfr. Efesini 1, 20-23; Colossesi 1, 16-20; 3, 15.
[33] Galati 3, 27-28.
[34] San Giovanni Crisostomo, Hom. VIII, 2. 
 

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buona notte

buona notte dans immagini buon...notte, giorno Brunia_noduliflora301AlYak

Brunia noduliflora

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Omelia 28 ottobre 2010

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/8357.html

Omelia (28-10-2006) 
Eremo San Biagio

Dalla Parola del giorno
In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli.

Come vivere questa Parola?
In questa festa degli apostoli Simone e Giuda (naturalmente non l’Iscariota) il vangelo ci presenta Gesù che, non a parole ma con la vita, sottolinea l’assoluta priorità della preghiera. E, in questa pericope, lo vediamo dare un lungo tempo (addirittura tutta la notte) all’orazione, immediatamente prima di un atto importante: la scelta, tra i suoi discepoli, di quanti diventeranno « apostoli » che significa inviati, ambasciatori, delegati. Essi costituirono il primo nucleo del Nuovo Israele, in numero di dodici, simboleggiando così le dodici tribù dell’antico Israele. Questa elezione fu dunque di capitale importanza perché « diede loro il mandato di andare a evangelizzare e battezzare tutte le genti » (Mt 28,18). Non solo: li investì inoltre del potere di scacciare gli spiriti immondi e di guarire ogni sorta di malattie e infermità » (Mt 10,2). Ecco: il nodo importantissimo che lega la nostra attenzione a questi fatti è il con-templare un Gesù tutto solo sul monte immerso in preghiera per l’intera notte. Come crollano di schianto tante interpretazioni errate del nostro fare e strafare cose possibili o buone o addirittura tali da sembrare apostolato. L’anima dell’attività evangelizzante e apostolica è la preghiera. Se chi opera non prega e non insegna a pregare è come chi pensa di solcare il mare su una pagina di un grande atlante. In realtà non si muove e non muove nulla. O addirittura fracassa.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, visualizzo Gesù sul monte prostrato in preghiera. Mi faccio penetrare dalle energie divine del suo essere immerso nel Padre e chiedo di persuadermi vitalmente della priorità della preghiera nel mio vivere.

Signore Gesù, divino Orante, fa’ che la mia azione sempre nasca dalla preghiera come il ruscellare delle acque dalla viva sorgente.

La voce di un filosofo
Il punto di appoggio di Archimede per questo mondo è una cella di preghiera, dove un vero orante prega in tutta sincerità; ed egli solleverà la terra. Sì, se esistesse questo orante e la sua vera preghiera, quando chiude la porta, è incredibile quello che egli potrebbe fare
Sorèn Kierkegaard 

28 Ottobre : Santi Simone e Giuda

28 Ottobre : Santi Simone e Giuda  dans immagini sacre img_89931_-_copia

http://www.racine.ra.it/salesiani/santi_simone_e_giuda.html

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Papa Benedetto, 28 ottobre: Simone il Cananeo e Giuda Taddeo

dal sito:

http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2006/documents/hf_ben-xvi_aud_20061011_it.html

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 11 ottobre 2006

Simone il Cananeo e Giuda Taddeo

Cari fratelli e sorelle,

oggi prendiamo in considerazione due dei dodici Apostoli: Simone il Cananeo e Giuda Taddeo (da non confondere con Giuda Iscariota). Li consideriamo insieme, non solo perché nelle liste dei Dodici sono sempre riportati l’uno accanto all’altro (cfr Mt 10,4; Mc 3,18; Lc 6,15; At 1,13), ma anche perché le notizie che li riguardano non sono molte, a parte il fatto che il Canone neotestamentario conserva una lettera attribuita a Giuda Taddeo.

Simone riceve un epiteto che varia nelle quattro liste: mentre Matteo e Marco lo qualificano “cananeo”, Luca invece lo definisce “zelota”. In realtà, le due qualifiche si equivalgono, poiché significano la stessa cosa: nella lingua ebraica, infatti, il verbo qanà’ significa “essere geloso, appassionato” e può essere detto sia di Dio, in quanto è geloso del popolo da lui scelto (cfr Es 20,5), sia di uomini che ardono di zelo nel servire il Dio unico con piena dedizione, come Elia (cfr 1 Re 19,10). E’ ben possibile, dunque, che questo Simone, se non appartenne propriamente al movimento nazionalista degli Zeloti, fosse almeno caratterizzato da un ardente zelo per l’identità giudaica, quindi per Dio, per il suo popolo e per la Legge divina. Se le cose stanno così, Simone si pone agli antipodi di Matteo, che al contrario, in quanto pubblicano, proveniva da un’attività considerata del tutto impura. Segno evidente che Gesù chiama i suoi discepoli e collaboratori dagli strati sociali e religiosi più diversi, senza alcuna preclusione. A Lui interessano le persone, non le categorie sociali o le etichette! E la cosa bella è che nel gruppo dei suoi seguaci, tutti, benché diversi, coesistevano insieme, superando le immaginabili difficoltà: era Gesù stesso, infatti, il motivo di coesione, nel quale tutti si ritrovavano uniti. Questo costituisce chiaramente una lezione per noi, spesso inclini a sottolineare le differenze e magari le contrapposizioni, dimenticando che in Gesù Cristo ci è data la forza per comporre le nostre conflittualità. Teniamo anche presente che il gruppo dei Dodici è la prefigurazione della Chiesa, nella quale devono avere spazio tutti i carismi, i popoli, le razze, tutte le qualità umane, che trovano la loro composizione e la loro unità nella comunione con Gesù.

Per quanto riguarda poi Giuda Taddeo, egli è così denominato dalla tradizione, unendo insieme due nomi diversi: infatti, mentre Matteo e Marco lo chiamano semplicemente “Taddeo” (Mt 10,3; Mc 3,18), Luca lo chiama “Giuda di Giacomo” (Lc 6,16; At 1,13). Il soprannome Taddeo è di derivazione incerta e viene spiegato o come proveniente dall’aramaico taddà’, che vuol dire “petto” e quindi significherebbe “magnanimo”, oppure come abbreviazione di un nome greco come “Teodòro, Teòdoto”. Di lui si tramandano poche cose. Solo Giovanni segnala una sua richiesta fatta a Gesù durante l’Ultima Cena. Dice Taddeo al Signore: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?»”. E’ una questione di grande attualità, che anche noi poniamo al Signore: perché il Risorto non si è manifestato in tutta la sua gloria ai suoi avversari per mostrare che il vincitore è Dio? Perché si è manifestato solo ai suoi Discepoli? La risposta di Gesù è misteriosa e profonda. Il Signore dice: “Se uno mi ama osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,22-23). Questo vuol dire che il Risorto dev’essere visto, percepito anche con il cuore, in modo che Dio possa prendere dimora in noi. Il Signore non appare come una cosa. Egli vuole entrare nella nostra vita e perciò la sua manifestazione è una manifestazione che implica e presuppone il cuore aperto. Solo così vediamo il Risorto.

A  Giuda Taddeo è stata attribuita la paternità di una delle Lettere del Nuovo Testamento che vengono dette ‘cattoliche’ in quanto indirizzate non ad una determinata Chiesa locale, ma ad una cerchia molto ampia di destinatari. Essa infatti è diretta “agli eletti che vivono nell’amore di Dio Padre e sono stati preservati per Gesù Cristo” (v. 1). Preoccupazione centrale di questo scritto è di mettere in guardia i cristiani da tutti coloro che prendono pretesto dalla grazia di Dio per scusare la propria dissolutezza e per traviare altri fratelli con insegnamenti inaccettabili, introducendo divisioni all’interno della Chiesa “sotto la spinta dei loro sogni” (v. 8), così definisce Giuda queste loro dottrine e idee speciali. Egli li paragona addirittura agli angeli decaduti, e con termini forti dice che “si sono incamminati per la strada di Caino” (v .11). Inoltre li bolla senza reticenze “come nuvole senza pioggia portate via dai venti o alberi di fine stagione senza frutti, due volte morti, sradicati; come onde selvagge del mare, che schiumano le loro brutture; come astri erranti, ai quali è riservata la caligine della tenebra in eterno” (vv. 12-13).

Oggi noi non siamo forse più abituati a usare un linguaggio così polemico, che tuttavia ci dice una cosa importante. In mezzo a tutte le tentazioni che ci sono, con tutte le correnti della vita moderna, dobbiamo conservare l’identità della nostra fede. Certo, la via dell’indulgenza e del dialogo, che il Concilio Vaticano II ha felicemente intrapreso, va sicuramente proseguita con ferma costanza. Ma questa via del dialogo, così necessaria, non deve far dimenticare il dovere di ripensare e di evidenziare sempre con altrettanta forza le linee maestre e irrinunciabili della nostra identità cristiana. D’altra parte, occorre avere ben presente che questa nostra identità richiede forza, chiarezza e coraggio davanti alle contraddizioni del mondo in cui viviamo. Perciò il testo epistolare continua così: “Ma voi, carissimi – parla a tutti noi -, costruite il vostro edificio spirituale sopra la vostra santissima fede, pregate mediante lo Spirito Santo, conservatevi nell’amore di Dio, attendendo la misericordia del Signore nostro Gesù Cristo per la vita eterna; convincete quelli che sono vacillanti…” (vv. 20-22). La Lettera si conclude con queste bellissime parole: “A colui che può preservarvi da ogni caduta e farvi comparire davanti alla sua gloria senza difetti e nella letizia, all’unico Dio, nostro salvatore, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore: gloria, maestà, forza e potenza prima di ogni tempo, ora e sempre. Amen” (vv. 24-25).

Si vede bene che l’autore di queste righe vive in pienezza la propria fede, alla quale appartengono realtà grandi come l’integrità morale e la gioia, la fiducia e infine la lode, essendo il tutto motivato soltanto dalla bontà del nostro unico Dio e dalla misericordia del nostro Signore Gesù Cristo. Perciò, tanto Simone il Cananeo quanto Giuda Taddeo ci aiutino a riscoprire sempre di nuovo e a vivere instancabilmente la bellezza della fede cristiana, sapendone dare testimonianza forte e insieme serena.

Publié dans:Papa Benedetto XVI, SANTI APOSTOLI |on 27 octobre, 2010 |Pas de commentaires »

BENEDETTO XVI SU SANTA BRIGIDA DI SVEZIA, CO-PATRONA D’EUROPA

 dal sito:

http://www.zenit.org/article-24292?l=italian

BENEDETTO XVI SU SANTA BRIGIDA DI SVEZIA, CO-PATRONA D’EUROPA

Catechesi all’Udienza generale del mercoledì

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 27 ottobre 2010 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito il testo dell’intervento pronunciato da Benedetto XVI questo mercoledì durante l’Udienza generale tenutasi in piazza San Pietro.
Nel discorso in lingua italiana, il Papa si è soffermato sulla figura di santa Brigida di Svezia, Co-patrona d’Europa.

* * *
Cari fratelli e sorelle,
nella fervida vigilia del Grande Giubileo dell’Anno Duemila, il Venerabile Servo di Dio Giovanni Paolo II proclamò santa Brigida di Svezia compatrona di tutta l’Europa. Questa mattina vorrei presentarne la figura, il messaggio, e le ragioni per cui questa santa donna ha molto da insegnare – ancor oggi – alla Chiesa e al mondo.
Conosciamo bene gli avvenimenti della vita di santa Brigida, perché i suoi padri spirituali ne redassero la biografia per promuoverne il processo di canonizzazione subito dopo la morte, avvenuta nel 1373. Brigida era nata settant’anni prima, nel 1303, a Finster, in Svezia, una nazione del Nord-Europa che da tre secoli aveva accolto la fede cristiana con il medesimo entusiasmo con cui la Santa l’aveva ricevuta dai suoi genitori, persone molto pie, appartenenti a nobili famiglie vicine alla Casa regnante.
Possiamo distinguere due periodi nella vita di questa Santa.
Il primo è caratterizzato dalla sua condizione di donna felicemente sposata. Il marito si chiamava Ulf ed era governatore di un importante distretto del regno di Svezia. Il matrimonio durò ventott’anni, fino alla morte di Ulf. Nacquero otto figli, di cui la secondogenita, Karin (Caterina), è venerata come santa. Ciò è un segno eloquente dell’impegno educativo di Brigida nei confronti dei propri figli. Del resto, la sua saggezza pedagogica fu apprezzata a tal punto che il re di Svezia, Magnus, la chiamò a corte per un certo periodo, con lo scopo di introdurre la sua giovane sposa, Bianca di Namur, nella cultura svedese.
Brigida, spiritualmente guidata da un dotto religioso che la iniziò allo studio delle Scritture, esercitò un influsso molto positivo sulla propria famiglia che, grazie alla sua presenza, divenne una vera « chiesa domestica ». Insieme con il marito, adottò la Regola dei Terziari francescani. Praticava con generosità opere di carità verso gli indigenti; fondò anche un ospedale. Accanto alla sua sposa, Ulf imparò a migliorare il suo carattere e a progredire nella vita cristiana. Al ritorno da un lungo pellegrinaggio a Santiago di Compostela, effettuato nel 1341 insieme ad altri membri della famiglia, gli sposi maturarono il progetto di vivere in continenza; ma poco tempo dopo, nella pace di un monastero in cui si era ritirato, Ulf concluse la sua vita terrena.
Questo primo periodo della vita di Brigida ci aiuta ad apprezzare quella che oggi potremmo definire un’autentica « spiritualità coniugale »: insieme, gli sposi cristiani possono percorrere un cammino di santità, sostenuti dalla grazia del Sacramento del Matrimonio. Non poche volte, proprio come è avvenuto nella vita di santa Brigida e di Ulf, è la donna che con la sua sensibilità religiosa, con la delicatezza e la dolcezza riesce a far percorrere al marito un cammino di fede. Penso con riconoscenza a tante donne che, giorno dopo giorno, ancor oggi illuminano le proprie famiglie con la loro testimonianza di vita cristiana. Possa lo Spirito del Signore suscitare anche oggi la santità degli sposi cristiani, per mostrare al mondo la bellezza del matrimonio vissuto secondo i valori del Vangelo: l’amore, la tenerezza, l’aiuto reciproco, la fecondità nella generazione e nell’educazione dei figli, l’apertura e la solidarietà verso il mondo, la partecipazione alla vita della Chiesa.
Quando Brigida rimase vedova, iniziò il secondo periodo della sua vita. Rinunciò ad altre nozze per approfondire l’unione con il Signore attraverso la preghiera, la penitenza e le opere di carità. Anche le vedove cristiane, dunque, possono trovare in questa Santa un modello da seguire. In effetti, Brigida, alla morte del marito, dopo aver distribuito i propri beni ai poveri, pur senza mai accedere alla consacrazione religiosa, si stabilì presso il monastero cistercense di Alvastra. Qui ebbero inizio le rivelazioni divine, che l’accompagnarono per tutto il resto della sua vita. Esse furono dettate da Brigida ai suoi segretari-confessori, che le tradussero dallo svedese in latino e le raccolsero in un’edizione di otto libri, intitolati Revelationes (Rivelazioni). A questi libri si aggiunge un supplemento, che ha per titolo appunto Revelationes extravagantes (Rivelazioni supplementari).
Le Rivelazioni di santa Brigida presentano un contenuto e uno stile molto vari. A volte la rivelazione si presenta sotto forma di dialoghi fra le Persone divine, la Vergine, i santi e anche i demoni; dialoghi nei quali anche Brigida interviene. Altre volte, invece, si tratta del racconto di una visione particolare; e in altre ancora viene narrato ciò che la Vergine Maria le rivela circa la vita e i misteri del Figlio. Il valore delle Rivelazioni di santa Brigida, talvolta oggetto di qualche dubbio, venne precisato dal Venerabile Giovanni Paolo II nella Lettera Spes Aedificandi: « Riconoscendo la santità di Brigida la Chiesa, pur senza pronunciarsi sulle singole rivelazioni, ha accolto l’autenticità complessiva della sua esperienza interiore » (n. 5).
Di fatto, leggendo queste Rivelazioni siamo interpellati su molti temi importanti. Ad esempio, ritorna frequentemente la descrizione, con dettagli assai realistici, della Passione di Cristo, verso la quale Brigida ebbe sempre una devozione privilegiata, contemplando in essa l’amore infinito di Dio per gli uomini. Sulla bocca del Signore che le parla, ella pone con audacia queste commoventi parole: « O miei amici, Io amo così teneramente le mie pecore che, se fosse possibile, vorrei morire tante altre volte, per ciascuna di esse, di quella stessa morte che ho sofferto per la redenzione di tutte » (Revelationes, Libro I, c. 59). Anche la dolorosa maternità di Maria, che la rese Mediatrice e Madre di misericordia, è un argomento che ricorre spesso nelle Rivelazioni.
Ricevendo questi carismi, Brigida era consapevole di essere destinataria di un dono di grande predilezione da parte del Signore: « Figlia mia – leggiamo nel primo libro delle Rivelazioni –, Io ho scelto te per me, amami con tutto il tuo cuore … più di tutto ciò che esiste al mondo » (c. 1). Del resto, Brigida sapeva bene, e ne era fermamente convinta, che ogni carisma è destinato ad edificare la Chiesa. Proprio per questo motivo, non poche delle sue rivelazioni erano rivolte, in forma di ammonimenti anche severi, ai credenti del suo tempo, comprese le Autorità religiose e politiche, perché vivessero coerentemente la loro vita cristiana; ma faceva questo sempre con un atteggiamento di rispetto e di fedeltà piena al Magistero della Chiesa, in particolare al Successore dell’Apostolo Pietro.
Nel 1349 Brigida lasciò per sempre la Svezia e si recò in pellegrinaggio a Roma. Non solo intendeva prendere parte al Giubileo del 1350, ma desiderava anche ottenere dal Papa l’approvazione della Regola di un Ordine religioso che intendeva fondare, intitolato al Santo Salvatore, e composto da monaci e monache sotto l’autorità dell’abbadessa. Questo è un elemento che non deve stupirci: nel Medioevo esistevano fondazioni monastiche con un ramo maschile e un ramo femminile, ma con la pratica della stessa regola monastica, che prevedeva la direzione dell’Abbadessa. Di fatto, nella grande tradizione cristiana, alla donna è riconosciuta una dignità propria, e – sempre sull’esempio di Maria, Regina degli Apostoli – un proprio posto nella Chiesa, che, senza coincidere con il sacerdozio ordinato, è altrettanto importante per la crescita spirituale della Comunità. Inoltre, la collaborazione di consacrati e consacrate, sempre nel rispetto della loro specifica vocazione, riveste una grande importanza nel mondo d’oggi.
A Roma, in compagnia della figlia Karin, Brigida si dedicò a una vita di intenso apostolato e di orazione. E da Roma si mosse in pellegrinaggio in vari santuari italiani, in particolare ad Assisi, patria di san Francesco, verso il quale Brigida nutrì sempre grande devozione. Finalmente, nel 1371, coronò il suo più grande desiderio: il viaggio in Terra Santa, dove si recò in compagnia dei suoi figli spirituali, un gruppo che Brigida chiamava « gli amici di Dio ».
Durante quegli anni, i Pontefici si trovavano ad Avignone, lontano da Roma: Brigida si rivolse accoratamente a loro, affinché facessero ritorno alla sede di Pietro, nella Città Eterna.
Morì nel 1373, prima che il Papa Gregorio XI tornasse definitivamente a Roma. Fu sepolta provvisoriamente nella chiesa romana di San Lorenzo in Panisperna, ma nel 1374 i suoi figli Birger e Karin la riportarono in patria, nel monastero di Vadstena, sede dell’Ordine religioso fondato da santa Brigida, che conobbe subito una notevole espansione. Nel 1391 il Papa Bonifacio IX la canonizzò solennemente.
La santità di Brigida, caratterizzata dalla molteplicità dei doni e delle esperienze che ho voluto ricordare in questo breve profilo biografico-spirituale, la rende una figura eminente nella storia dell’Europa. Proveniente dalla Scandinavia, santa Brigida testimonia come il cristianesimo abbia profondamente permeato la vita di tutti i popoli di questo Continente. Dichiarandola compatrona d’Europa, il Papa Giovanni Paolo II ha auspicato che santa Brigida – vissuta nel XIV secolo, quando la cristianità occidentale non era ancora ferita dalla divisione – possa intercedere efficacemente presso Dio, per ottenere la grazia tanto attesa della piena unità di tutti i cristiani. Per questa medesima intenzione, che ci sta tanto a cuore, e perché l’Europa sappia sempre alimentarsi dalle proprie radici cristiane, vogliamo pregare, cari fratelli e sorelle, invocando la potente intercessione di santa Brigida di Svezia, fedele discepola di Dio e compatrona d’Europa. Grazie per l’attenzione.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]
Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare, saluto i fedeli della diocesi di Sulmona-Valva, guidati dal Vescovo Mons. Angelo Spina, qui convenuti per ricambiare la visita, che ho avuto la gioia di compiere nella loro terra nello scorso mese di luglio. Cari amici, ancora una volta vi ringrazio per l’affetto con cui mi avete accolto, ed auspico che da quel nostro incontro scaturisca per la vostra Comunità diocesana una rinnovata e generosa adesione a Cristo e alla sua Chiesa. Saluto il pellegrinaggio promosso dalle Suore del Preziosissimo Sangue e guidato dall’Arcivescovo di Vercelli, Mons. Enrico Masseroni, in occasione della beatificazione di Alfonsa Clerici ed esorto ciascuno a proseguire, sull’esempio della nuova Beata, nell’impegno di testimonianza evangelica. Saluto i rappresentanti del Gruppo di preghiera « Madonna Pellegrina di Schoenstatt » di Sant’Angelo di Alife, accompagnati dal loro Pastore, Mons. Valentino Di Cerbo, ed assicuro la mia preghiera perché si rafforzi in ciascuno il fermo desiderio di annunciare a tutti Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo. Saluto le Suore dell’Ordine del Santissimo Salvatore e Santa Brigida – Brigidine, riunite per il loro Capitolo generale e prego il Signore perché da questa assemblea scaturiscano generosi propositi di vita evangelica per l’intero Istituto.
Mi rivolgo, infine, ai giovani, ai malati ed agli sposi novelli. Carissimi, celebreremo domani la festa dei santi Apostoli Simone e Giuda Taddeo. La loro gloriosa testimonianza sostenga voi tutti nel rispondere generosamente alla chiamata del Signore.

[APPELLO DEL SANTO PADRE]
Nelle ultime ore, un nuovo terribile tsunami si è abbattuto sulle coste dell’Indonesia, colpita anche da un’eruzione vulcanica, provocando numerosi morti e dispersi. Ai familiari delle vittime esprimo il più vivo cordoglio per la perdita dei loro cari ed a tutta la popolazione indonesiana assicuro la mia vicinanza e la mia preghiera.
Sono, inoltre, vicino alla cara popolazione del Benin, colpita da continue alluvioni, che hanno lasciato molte persone senza tetto e in precarie situazioni igienico-sanitarie. Sulle vittime e sull’intera Nazione invoco la benedizione ed il conforto del Signore.
Alla comunità internazionale chiedo di prodigarsi per fornire il necessario aiuto e per alleviare le pene di quanti soffrono per queste devastazioni.

buona notte

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Publié dans:immagini buon...notte, giorno |on 27 octobre, 2010 |Pas de commentaires »

Omelia per il 27 ottobre 2010: La porta stretta per entrare nel Regno

dal sito:

http://www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/13911.html

Omelia (29-10-2008) 
Monaci Benedettini Silvestrini
 
La porta stretta per entrare nel Regno

La vita di ogni uomo, il percorso di ritorno a Dio di tutta l’umanità è paragonabile ad un duro ed incerto incedere nel deserto, dove tutto è arido e la segnaletica è quasi inesistente. Tutto ci è già stato descritto nella narrazione biblica dell’Esodo. Oggi Gesù, interpellato sul numero di coloro che si salvano, ci parla della porta stretta. Vuole ricordarci che bisogna farsi piccoli ed umili per entrarci, bisogna faticare duro ed essere perseveranti e puntuali all’appuntamento per evitare il gravissimo rischio di arrivare in ritardo e trovare la porta chiusa. Accadde anche alle vergini stolte rimaste senz’olio. Nessuno allora potrà accampare scuse dinanzi al giusto giudizio di Dio; a nulla varrà il vanto di pretese intimità con Dio non suffragate dalla verità e dall’autenticità dei nostri comportamenti. Ci sentiremo dire con sgomento: « in verità vi dico, non vi conosco ». Quando la fede si spegne o licenziamo Dio dalla nostra vita, non solo smarriamo la via del Regno, ma la rendiamo colpevolmente inaccessibile a noi stessi e ci ritroviamo fuori, proprio come accadde ai nostri progenitori dopo l’esperienza del primo peccato. Gesù però ancora una volta ci conforta: egli si definisce la porta delle pecore. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 

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