« Magari fossero tutti profeti nel popolo! » (Numeri 11,29)

dal sito:

http://www.apostoline.it/riflessioni/riflessioni.htm

 I PROFETI  … Testimoni dell’alleanza

di LUIGI VARI, biblista

« Magari fossero tutti profeti nel popolo! » (Numeri 11,29)

Mosè risponde così a chi si mostra preoccupato per il fatto che alcuni uomini parlano in nome di Dio, senza l’autorizzazione di Mosè.

Forse si potrebbe prendere questo episodio come paradigmatico del modo di porsi di tutte le generazioni davanti alla profezia.

Da una parte ci sono quelli che non sono in grado di comprenderla nella sua funzione, e sono quelli perennemente preoccupati della presenza di una parola non controllata e non controllabile all’interno di una comunità; dall’altra ci sono quelli che, come Mosè, comprendono l’essere profeta e non solo permettono, ma auspicano la presenza non di una sola, ma di molte voci che dicano una parola imprevedibile o semplicemente nuova, alla comunità.

Stiamo parlando della parola di Dio, e allora possiamo anche dire che la differenza nasce dal modo di pensare Dio: se lo pensiamo come uno stanco burocrate che non vuole dire niente di nuovo e al quale si ricorre solo per confermare i punti fermi, abbiamo poche possibilità per capire la profezia; ma se invece, quando pensiamo a Dio, pensiamo ad uno che vuole intervenire nella nostra storia e lo fa con grande libertà e fantasia, allora il cammino dei profeti diventa non solo significativo, ma entusiasmante e diventa nostra la parola di Mosè che dice: « magari tutti fossero profeti! ».

Mosè è l’uomo che nel Deuteronomio (Dt 34,10) viene considerato come il più grande dei profeti e, al di là dei problemi di interpretazione, questo giudizio è importante e mostra un riconoscimento dato a questo uomo, il primo a permettere alla parola di Dio di entrare nella sua vita in maniera tanto determinante e significativa per un intero popolo.

Diventare voce di Dio
Può essere riconosciuto profeta chi porta le parole di Dio sulla propria bocca, chi parla con l’autorità di Dio e chi vede confermare dagli eventi quelle parole:

« È un profeta come te che io susciterò per loro in mezzo ai loro fratelli; metterò le mie parole sulla sua bocca ed egli dirà loro tutto ciò che gli ordinerò. E se qualcuno non ascolta le mie parole, quelle che il profeta avrà detto nel mio nome, allora io stesso gliene domanderò conto. Ma se il profeta ha la presunzione di dire in mio nome una parola che io non gli avrò ordinato di dire, o se parla in nome di altri dei, allora è il profeta che morrà. Forse ti domanderai: « come riconosciamo noi che non è una parola detta dal Signore? ». Se ciò che il profeta ha detto nel nome del Signore non si verifica, allora non è una parola detta dal Signore » (Dt 18,18-22).

In Mosè questo modello della profezia diventa reale. Tutta la storia di Mosè dice il desiderio di Dio di intervenire nelle vicende del suo popolo: « salvato dalle acque », « costretto alla fuga », « chiamato sul monte nel momento della vocazione ». Preparato da Dio viene chiamato ad avere il coraggio di diventare voce di Dio e perché questo avvenga deve prima di tutto allargare gli orizzonti della propria vita; non può essere profeta se non sa staccarsi dal comodo esilio che vive per ricordarsi del dolore del suo popolo. Dovrà essere custode della più importante parola che mai a nessun uomo sia  stata confidata: il nome stesso di Dio.

Con la forza che viene da quel nome Mosè dovrà affrontare il faraone, la paura della sua gente davanti alle responsabilità che nascono dalla libertà ed iniziare un cammino che è diventato modello dell’umanità che cerca sinceramente un sentiero degno d’essere percorso verso la terra promessa, qualunque essa sia.

Spazio all’imprevedibile
La libertà fondamentale che vive Mosè è, forse, quella dalla logica che spesso ci sembra inattaccabile, e cioè la logica degli eventi. Solo chi non accetta che gli eventi siano definitivi può muovere un popolo, mettendolo nel rischio concreto, in nome di una promessa e con la forza di un nome. La libertà che vive Mosè è la libertà di Dio. Tracciamo così il primo tratto del profeta, un uomo pieno della libertà di Dio che accetta di diventare una porta attraverso la quale gli eventi che spesso appaiono inattaccabili diventano discutibili e possono essere cambiati.

La profezia di Mosè, che ha come unica forza quella del nome di Dio, è una profezia di base, una profezia comune a tutti gli uomini che hanno buona volontà ed è comprensibile l’augurio di Mosè: « magari tutti fossimo profeti! ».

Per capire l’esperienza del popolo guidato da Mosè, che fa spazio all’imprevedibile per cambiare la situazione di fatto e inattaccabile, sarebbe non poco interessante rileggersi molti giornali del 1988 e 1989. Ci accorgeremmo per esempio della ironia con la quale venivano rispettosamente liquidati i protagonisti della fine dell’impero dell’Est: « c’erano i fatti… una nazione potente… motivi economici e politici… », e nessuno prevedeva il precipitare degli avvenimenti, proprio perché nessuno poteva o sapeva mettere nella dinamica della storia questa profezia di base che muove i popoli con gesti e parole che sembrano solo sogni, una profezia di base che è forte spesso solo di una promessa e della voglia di un bene negato.

Certamente l’esperienza biblica ha una portata diversa, ma può essere paradigmatica di ogni esperienza autenticamente umana.

(da « Se vuoi ») 

Publié dans : BIBBIA, Bibbia - Antico Testamento |le 22 octobre, 2010 |Pas de Commentaires »

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